TUTTOSCIENZE 28 dicembre 94


ASTROLOGIA & ASTRONOMIA Proviamo a smontare l'oroscopo Gli influssi astrali analizzati con criteri scientifici
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. IL «PESO» DI MARTE. LA FORZA DELLE MAREE. L'INFLUSSO ELETTROMAGNETICO
NOTE: Oroscopo e scienza

FINE d'anno, tempo di astrologi. Le solite facce in Tv, le solite firme su quotidiani e rotocalchi, i soliti dossier delle riviste per spiegarci come sarà l'anno che verrà. Amore, denaro, salute: tutto può essere previsto e studiato conoscendo segni, ascendenti, case, congiunzioni e via discorrendo. Milioni di persone leggeranno il proprio oroscopo e, se questo fosse solo un gioco, niente di male. Ma molti forse se ne faranno condizionare. Per chi ha un atteggiamento razionale, la soluzione più semplice sarebbe cavarsela con un sorriso. Se però non si vuole essere accusati di dogmatismo, è opportuno sottoporre la credenza nell'astrologia a un esame scientifico rigoroso. Osserviamo innanzitutto che l'astrologia non si inserisce in alcun modo nel contesto delle teorie scientifiche moderne. Se l'esistenza di influssi astrologici venisse confermata, ci costringerebbe a modificare radicalmente i modelli di cui facciamo uso per descrivere il mondo. Ma nessuna interazione fisica conosciuta è in grado di giustificare la presunta influenza degli astri sulle vicende umane. Per esempio, la consueta osservazione degli astrologi riguardo agli influssi noti dei corpi celesti sulla Terra, come le maree («Se il Sole e la Luna sono in grado di muovere enormi masse di acqua, non potrebbero anche condizionare le nostre vite?») non regge a una analisi rigorosa. Come mostrano le tabelle in alto, nè l'attrazione gravitazionale diretta nè l'influsso mareale possono essere invocati per spiegare l'influenza degli astri sul nascituro. E' chiaro che, in questo caso, per redigere un oroscopo serio dovremmo tener conto anche della sua posizione rispetto alle persone e agli oggetti circostanti, mentre assolutamente trascurabili sarebbero gli effetti di molti oggetti di interesse astrologico, come i pianeti più lontani. La terza tabella in alto mostra come sia impossibile fare appello alla radiazione elettromagnetica per giustificare l'ipotetico influsso astrologico: una debole lampadina da 20 Watt avrebbe un'influenza maggiore di tutti gli oggetti astrologici significativi, escluso il Sole. Le altre interazioni fisiche note non sono neppure da prendere in considerazione, perché il loro influsso a livello macroscopico è assolutamente trascurabile. Infine, nè i campi magnetici degli oggetti celesti, nè il flusso di particelle che essi emettono nello spazio potrebbero essere spiegazioni convincenti: alcuni pianeti sono privi di campo magnetico, e l'unica sorgente di particelle all'interno del nostro sistema planetario è il Sole. Ma le difficoltà dell'astrologia non finiscono qui. Anche ammesso che il presunto influsso astrologico sia reale, dovrebbe trattarsi di un influsso alquanto strano. Tanto per cominciare, non dovrebbe dipendere da alcuna caratteristica fisica nota degli oggetti celesti, nè dalla loro distanza: la Luna e Plutone agirebbero in modo diverso, ma con la stessa intensità benché il secondo sia oltre diecimila volte più lontano della prima. Non avrebbe nulla a che fare con quanto realmente si osserva in cielo, visto che i segni zodiacali, a causa della precessione degli equinozi, da molto tempo non coincidono più con le costellazioni, al punto che, quando per gli astrologi il Sole è nel segno del Sagittario, in realtà esso si proietta prospetticamente nella costellazione di Ofiuco, alla quale non corrisponde alcun segno zodiacale. Le costellazioni stesse non hanno peraltro alcuna realtà fisica, poiché si tratta solo di apparenze prospettiche. E ancora, il presunto influsso astrologico soffrirebbe di una curiosa dipendenza dalla materia frapposta fra il bambino e gli astri: non verrebbe arrestato dalle montagne, ma sarebbero sufficienti pochi centimetri di tessuto organico (il ventre materno) per fermarlo. Queste sono solo alcune delle obiezioni che possono essere fatte al modo di operare degli astrologi: a nessuna di esse nessun astrologo è mai riuscito a rispondere. Molte altre le abbiamo trascurate per mancanza di spazio, ma non per questo sono meno importanti: dalla mancanza di credibilità degli oroscopi redatti prima della scoperta dei tre pianeti più esterni del sistema solare, al fatto che al momento della nascita un essere umano ha già alle spalle nove mesi di vita, fino all'impossibilità di giustificare il caso dei gemelli biovulari, perfettamente identici riguardo al cielo di nascita, ma spesso completamente diversi per carattere e personalità. La rappresentazione tradizionale mostra l'astrologo come una sorta di mago nel suo antro, fra tavole numeriche e strani strumenti e, soprattutto, con un telescopio alla finestra. Niente di più falso! Nessun astrologo ha mai osservato seriamente il cielo: se lo avesse fatto, avrebbe capito che quello che c'è scritto nelle sue tavole astrologiche non ha nulla a che vedere con la realtà dei fenomeni celesti. Eppure alle soglie del terzo millennio, a 450 anni dalla rivoluzione copernicana, c'è ancora chi si ostina a leggere gli oroscopi e a lasciarsi condizionare da ciò che vi trova. Certo per molti è più semplice credere che la risposta alle domande su di sè e sul proprio futuro si trovi fra gli astri. Per gli astrologi è senza dubbio più lucroso. La realtà è diversa. La scienza è un'avventura intellettuale più impegnativa e intellettualmente più rischiosa, ma incomparabilmente più affascinante e più onesta, delle superstizioni astrologiche. Marco Cagnotti


MA FUNZIONA? La statistica smentisce lo Zodiaco
Autore: M_C

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, ASTRONOMIA, STATISTICHE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Oroscopo e scienza

DI fronte alla contraddizione fra scienza e astrologia, gli astrologi rispondono di solito che un rapporto di causalità astri/destini umani verrà scoperto forse in futuro. Ma non importerebbe neppure trovare giustificazioni all'astrologia perché, semplicemente, «l'astrologia funziona». Funziona? I casi in aperta contraddizione con le previsioni degli astrologi non smuovono la certezza dei credenti: a loro basta rispondere che «l'astrologia inclina ma non costringe». Tuttavia, se ci fosse qualche relazione tra fenomeni celesti e vita umana, dovremmo vederne gli effetti su un campione statisticamente valido. Di ricerche in questo senso la letteratura scientifica è ricca. Nessuna relazione è mai stata identificata fra la posizione degli astri al momento della nascita e le caratteristiche individuali o la tendenza a seguire determinate carriere. Sportivi e militari di professione non nascono più frequentemente sotto il segno dell'Ariete che sotto quello dell'Acquario, e lo stesso si può dimostrare per gli artisti, i medici e i preti. Prendere in considerazione, oltre al segno zodiacale, l'ascendente non cambia il risultato. Come si spiega allora che molti si riconoscono nelle descrizioni della personalità che gli astrologi propongono loro? Un famoso esperimento statistico, i cui risultati sono stati pubblicati su Nature nel 1985, ha dimostrato che anche gli astrologi professionisti, quando si trovano a dover fare delle previsioni precise senza conoscere direttamente i soggetti con cui hanno a che fare, ma solo sulla base della data e dell'ora di nascita, indovinano con una precisione non superiore a quella che otterrebbero andando a caso. Di norma le previsioni degli astrologi sono condizionate dalla conoscenza preliminare del soggetto con cui hanno a che fare, oppure sono così generiche da poter essere applicate a chiunque. «Siete una persona apparentemente sicura di sè, ma nel profondo timida e insicura. Però quando è necessario sapete tirare fuori le unghie e farvi valere». Chi di noi non cerca di dare un'immagine di sicurezza, pur sentendosi insicuro? «Attenti alla routine. Rivitalizzate il rapporto con il vostro partner». Quale amore non rischia di cadere nella routine? Se chi crede di riconoscersi nel profilo fornito dall'astrologo lo leggesse con spirito critico si renderebbe conto che esso è adatto anche al coniuge e al vicino di casa. Invece preferisce pensare che qualcuno sia in grado di fornirgli una descrizione accurata del suo carattere e, soprattutto, sappia prevedere ciò che gli accadrà. Un tipico caso di imbroglio di se stessi, in piena buona fede. Lo stesso si può dire per gli astrologi, escludendo, nella maggior parte dei casi, la buona fede. (m. c.)


LA PIANTA DI CAPODANNO Baciatevi sotto il vischio riabilitato Secondo alcuni studiosi non è da considerarsi un parassita
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: BOTANICA, MEDICINA, CULTURA, FOLK
LUOGHI: ITALIA

MOMENTI di popolarità per il vischio, e non semplicemente perché è Capodanno. In difesa della mitica pianticella, sotto la quale è di buon auspicio baciarsi la notte di San Silvestro, si levano molte voci: non chiamatelo più parassita, dicono alcuni esperti, i danni che produce alle piante sono davvero minimi. Inoltre, aggiungono, ha un ruolo importante negli equilibri naturali e nella fitoterapia: foglie e giovani rami hanno virtù ipotensive, antispasmodiche e antiepilettiche. Conclusione: chiunque lo può coltivare in giardino o nel frutteto, a patto che i cespugli non siano numerosi e non raggiungano dimensioni eccessive, per non sottrarre troppa linfa all'albero. In cambio si avrà la soddisfazione di fare gli auguri regalando una pianta non rubata alla natura o strapagata sulle bancarelle. Il vischio comune (Viscum album) cresce in quasi tutte le regioni italiane (specie nei boschi intorno ai mille metri di altitudine), eccetto la Sardegna. Ne esistono parecchie sottospecie, che chi intende coltivare farà bene a riconoscere, perché quelle che vegetano sulle conifere non crescono sulle piante da frutto, e viceversa. La varietà platyspermum, ad esempio, cresce anche in zone di pianura, preferibilmente su caducifoglie a legno tenero, primo fra tutti il pioppo, ma anche mandorlo, sorbo e robinia. La varietà abietis si riconosce facilmente perché ha i frutti bianchi: cresce di solito sull'abete e sulle conifere, ed è diffusa principalmente sulle zone prealpine e nei boschi collinari. La varietà austriacum, infine, ha i frutti giallastri e cresce preferibilmente sui pini. Quanto alla coltivazione, un antichissimo manoscritto afferma che la pianta «è fatta quasi unicamente di aria e di acqua, pochissimo di terra». In termini più attuali, non ha bisogno di alcun substrato. La tecnica si basa sulle bacche: in autunno, quando sono molli e mature, vanno prelevate e inserite qua e là (schiacciandole leggermente) nelle screpolature dei rami o in piccole incisioni che si avrà cura di praticare. Nelle screpolature sarà bene inserire un po' di sostanza organica, per mantenere una certa umidità. Se nella cavità si ferma acqua piovana, la germinazione dei semi avverrà ancora più facilmente. Se tutto procede regolarmente, la primavera successiva comparirà qualche germoglio, che nel giro di quattro o cinque anni si trasformerà in una pianta rigogliosa, dalla bella forma sferica. Il vischio fiorisce dal quarto anno (in marzo-aprile) e vive per alcuni decenni: quando viene raccolto, quindi tagliato, il ceppo principale non muore, ma la base germoglia e produrrà nuovi frutti. L'unico inconveniente, nel caso di alberi da frutto, è un leggero rallentamento della crescita: i danni sono però limitati, perché la pianta è autotrofa, svolge cioè da sola la fotosintesi clorofilliana. Al di là delle caratteristiche botaniche, il vischio è una leggenda vivente: Virgilio racconta che Enea, approdato presso il lago Averno, visitò la Sibilla Cumana chiedendole di guidarlo al regno dei morti: lei rispose che prima doveva cogliere una fronda dai frutti giallastri, che cresce su un elce. Il vischio è dunque il ramo d'oro che placa l'ira di Caronte, è la pianta che i druidi, maghi dei celti, raccoglievano con un falcetto d'oro nei boschi di querce (i loro alberi sacri per eccellenza), nel sesto giorno della luna. In quel giorno di novembre iniziava il loro anno, che doveva essere festeggiato con una pianta solare, scesa dal cielo. Noi cogliamo ritualmente il vischio in occasione del solstizio d'inverno: il giorno più corto dell'anno, momento sacro in cui il sole muore e rinasce. A Natale appunto, erede della festa pagana dedicata al Sol invictus. Carlo Grande


UN MILIARDO DI ANNI FA Marte era abitabile Lo rivela lo studio di una meteorite
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, BIOLOGIA, CHIMICA
NOMI: GRADY MONICA
ORGANIZZAZIONI: NATURE, OPEN UNIVERSITY DI LONDRA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Ipotesi di vita su Marte

I marziani forse sono esistiti davvero, ma si sono estinti un miliardo di anni fa. L'uomo è comparso sulla Terra da appena 3 milioni di anni. Così abbiamo mancato l'appuntamento. Bisogna però aggiungere subito che per «marziani» qui non si intende omini verdi (o di qualche altro colore) dotati di intelligenza, ma soltanto qualche forma di vita molto elementare: batteri, alghe, esseri rudimentali formati da poche cellule. L'ipotesi è comparsa su «Nature» del 15 dicembre e nasce da ricerche di Monica Grady (Open University e Museo di storia naturale di Londra) su una meteorite trovata in Antartide nel 1984. Questa pietra piovuta dallo spazio è nota come «Allan Hills 84001» dal nome del luogo dove fu raccolta. In base alla profondità del ghiaccio che la racchiudeva, si stima sia precipitata dodicimila anni fa, dopo aver vagato a lungo tra i pianeti, finché l'attrazione gravitazionale della Terra l'ha catturata. L'analisi del sasso marziano indica che il luogo di provenienza era caldo e umido, un po' come i nostri paesi tropicali ma con una escursione termica fortissima tra estate e inverno: da 0 a 80 gradi. C'era anche acqua ricca di anidride carbonica. Insomma, acqua gassata naturale, una specie di «Ferrarelle», che scorreva sotto la superficie marziana. Fu la «Belle epoque» del pianeta rosso. Oggi Marte è un deserto gelido, con un'atmosfera 100 volte più rarefatta di quella terrestre. Se volete farvi un'idea dell'ambiente, prendete il Sahara, raffreddatelo a 60 gradi sotto zero e portatelo a 25 mila metri di quota, dove non arriva neppure il «Concorde». E' chiaro che nessuna creatura può resistere in un posto così inospitale. Ed è lì che le sonde americane Viking 1 e 2 alla fine degli Anni 70 hanno cercato tracce di vita. Invano, naturalmente. Gli scienziati che hanno analizzato la meteorite «Allan Hills» hanno trovato la stessa composizione chimica osservata dalle sonde Viking, ma la pietra conserva, per così dire, la memoria di tempi migliori: ora tiepidi, ora freddi, ora torridi, ma pur sempre tali da non escludere la possibilità della vita. Molti si domanderanno come diavolo questa pietra marziana sia finita in Antartide, e quali garanzie gli scienziati abbiano sulla sua reale provenienza. Domanda saggia, con risposta che induce alla prudenza. La grande maggioranza delle meteoriti deriva dal frammentarsi di pianetini che si scontrano tra di loro in quanto affollano, a decine di migliaia, ristrette fasce orbitali tra Marte e Giove. Nell'urto, le schegge si disperdono su traiettorie anomale, che possono portarle a precipitare sulla Terra. Anche i nuclei delle comete esaurite sono forse sorgenti di meteoriti, e certamente di meteore. Perché una meteorite marziana arrivi fino a noi bisogna immaginare che un pianetino si schianti su Marte e lanci nello spazio pezzi di roccia a una velocità superiore a 5 chilometri al secondo, che è la velocità di fuga di quel pianeta. Improbabile, ma non impossibile. Si conoscono, oggi, quattro meteoriti a cui si attribuisce un'origine marziana. Gli astronomi le chiamano shergottiti perché la prima fu vista cadere vicino alla città indiana di Shergotty nel 1865. Studiata da ricercatori della Nasa, quella pietra rivelò proprietà non terrestri e un'età tra 0,6 e 1,2 miliardi di anni. Quando, forse, scrive «Nature», Marte era un paradiso tropicale. Piero Bianucci


I BOTTI DI CAPODANNO Polvere di stelle Una miscela efficace ma rischiosa
Autore: V_RAV

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ESPLOSIVI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Anatomia di una «bomba»
NOTE: Fuochi d'artificio

I «botti» raggiungeranno il parossismo a mezzanotte del 31 dicembre. Ma purtroppo hanno già fatto le prime vittime, quei due polizioti (uno è morto, l'altro ferito gravemente) saltati in aria per l'esplosione fortuita di una cassa di mortaretti illegali che avevavo appena sequestrato. Molti «botti» artigianali sono per loro natura poco affidabili. La colpa è della polvere nera. Un tempo era composta da un 75% di salnitro, un 12,5% di zolfo e un 12,5% di carbone di legna. Oggi il salnitro è stato sostituito dal nitrato di potassio, ma la reazione chimica è analoga: a contatto con una scintilla, il salnitro o il nitrato di potassio e gli ossidanti forniscono allo zolfo e al carbone l'ossigeno necessario per la combustione, che è rapidissima, con l'istantanea trasformazione dell'energia chimica in energia cinetica che fa partire verso il cielo le nostre stelle filanti. Purtroppo questa semplice polvere, la stessa inventata dai cinesi nel VI secolo e usata per le prime armi da fuoco, è instabile, sensibile agli urti e allo sfregamento e in ogni caso la sua velocità di combustione dipende da molti fattori che l'utente non può conoscere, come la maggiore o minore granulosità, la compressione, la concentrazione. Ecco perché tanti incidenti. Tuttavia la tecnologia sembra sul punto di entrare anche in questo campo, finora spesso occupato da fabbricanti inprovvisati. Mentre la chimica consente una gamma sempre più vasta di colori e di effetti, la polvere nera per «sparare» in alto i fuochi d'artificio potrebbe essere sostituita da lanciatori ad aria compressa. Intanto i creatori dei grandi spettacoli pirotecnici, eredi di una tradizione antica e raffinata, nata nelle corti e nelle grandi città d'Europa, hanno messo a punto sistemi di accensione elettrici in sostituzione dell'inaffidabile miccia e fanno ormai ricorso all'elettronica per far danzare nel cielo i loro elaborati «fuochi» al ritmo della musica. (v. rav.)


Dove cercare la vita? Forse nel sottosuolo del pianeta
Autore: BATALLI COSMOVICI CRISTIANO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, BIOLOGIA, CHIMICA
NOMI: GRADY MONICA
ORGANIZZAZIONI: VIKING 1, PHOBOS 1, MARS OBSERVER
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Ipotesi di vita su Marte

NEL 1976 due sonde americane, Viking 1 e 2, si posarono su Marte attrezzate di un sofisticatissimo laboratorio biochimico allo scopo di analizzare il suolo marziano per verificare la presenza di eventuali tracce di una vita microbica remota. La risposta fu negativa, anche perché si esplorò una zona desertica dove la radiazione ultravioletta solare non schermata per milioni di anni ha sicuramente qualsiasi traccia di un'eventuale vita sulla superficie marziana. Da allora due sonde russe, Phobos 1 e 2, e una americana, Mars Observer, che avrebbero potuto contribuire ad approfondire la ricerca sono scomparse nel nulla senza poter compiere la loro missione. Nei prossimi anni altre sonde americane e russe ritenteranno l'avventura in vista dello sbarco umano che potrebbe avvenire intorno al 2030. Ciò che rende la superficie di Marte particolarmente inospitale per la vita è l'assenza di acqua liquida, quale risultato della bassa pressione atmosferica (6 mbar) e della bassa temperatura media (-70 C). Sotto la superficie, a causa del peso del suolo sovrastante, si otterrebbero pressioni atte a liquefare il ghiaccio. Per ottenere invece temperature superiori a 0 C sarebbe necessaria una sorgente di calore interna, come quella vulcanica. C'è evidenza di una attività vulcanica non troppo remota su Marte in base all'esame di alcune meteoriti di origine marziana come quella di Shergotty (India). La densità delle tracce lasciate dai raggi cosmici nei cristalli di lava meteoritica suggerisce che la lava sia fluita sulla superficie di Marte circa 200- 300 milioni di anni fa. E' però improbabile che Marte sia stato vulcanicamente attivo per 4 miliardi di anni e si sia spento soltanto negli ultimi 200 milioni di anni. Bisogna ricordare, a proposito, che su Marte non è mai stata osservata traccia di vulcanismo attivo. Le regioni polari di Marte, dove esistono cappe di anidride carbonica e acqua ghiacciate, sono certamente le ragioni più interessanti per la ricerca di una eventuale vita primordiale sotterranea, ma il maggiore svantaggio è dato chiaramente dalla mancanza di luce solare necessaria alla fotosintesi. Gli eventuali organismi dovrebbero trovare un'altra strada per fornirsi della necessaria energia vitale. Vi sono però esempi anche sulla Terra di organismi che si sono sviluppati in assenza di luce e di ossigeno. Nelle grotte di Movile (Romania) si sono trovati 26 tipi sconosciuti di animali che per 5 milioni di anni si sono sviluppati in un ambiente totalmente buio e senza ossigeno, ma ricco di acido solfidrico. I batteri sotterranei hanno evidentemente imparato a dissociarne la molecola, liberando energia che è poi servita a generare zuccheri quali datori di calorie. Un simile processo è conosciuto sotto il nome di «chemosintesi». E noi sappiamo oggi che l'acido solfidrico è uno dei principali costituenti dei nuclei cometari e delle atmosfere dei pianeti esterni. Anche durante l'impatto recente della cometa SL-9 con Giove si è rilevata una notevole quantità di tale composto non osservato precedentemente su Giove. La sonda spaziale «Cassini», che visiterà Titano all'inizio del prossimo secolo e vi depositerà strumentazione paracadutata, potrà inoltre verificare se tali meccanismi chimici possano funzionare anche con temperature estreme (-150 C). Un altro tipo di chimica che potrebbe essere usato dai microrganismi marziani per svilupparsi è quello conosciuto per una classe di organismi terrestri denominati «metanogeni». Essi possono ricavare la loro energia vitale da reazioni che coinvolgono idrogeno molecolare e anidride carbonica per produrre metano e acqua. In questo caso però è necessaria la presenza dell'idrogeno proveniente da un'attività vulcanica. Supponendo ora che vi sia una vita sotterranea su Marte, essa dovrebbe essere completamente isolata dalla superficie per poter sopravvivere. In caso contrario tali ecosistemi non potrebbero mantenere le «salutari» condizioni superficiali. Una struttura ermetica è altamente improbabile in quanto sicuramente vi sono crepe e condotti nel terreno marziano che porterebbero inevitabilmente le spore viventi verso la superficie, ma in quantità non sufficiente per essere rivelate dalle apparecchiature del Viking. Forse in futuro una strumentazione molto più sofisticata e in grado di misurare in profondità potrà verificare tali possibilità. In ogni caso se vita vi è stata o vi è nel sistema solare, al di fuori del pianeta Terra, Marte è il posto più adatto per cercarla e l'importanza di tale ricerca rende l'esplorazione di Marte l'obiettivo principale della scienza del XXI secolo. Cristiano B. Cosmovici Cnr, Istituto di fisica dello spazio


NUMERI INSPIEGABILI C'è un mistero nelle costanti della fisica Se certi parametri variassero anche di poco, addio universo
Autore: REBAGLIA ALBERTA

ARGOMENTI: FISICA, ASTRONOMIA
NOMI: GAMOW GEORGE, GALILEI GALIELO, NEWTON ISAAC
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Parametri fisici, costanti universali

LE costanti fondamentali di natura, o costanti universali, potrebbero apparire uno degli elementi meno problematici di cui si occupa la fisica. Si tratta, in fondo, di valori numerici da includere nelle equazioni che esprimono le leggi per spiegare i fenomeni naturali. Il compito dei fisici di fronte a questi parametri, che concernono i più diversi caratteri naturali (dal valore dell'interazione gravitazionale alla velocità della luce nel vuoto, dalla carica dell'elettrone all'intensità dei campi elettrodeboli, per fare solo qualche esempio), è quello di determinarne il valore con la maggior precisione possibile. Ma le costanti universali, seppure poco appariscenti, non sono strutture secondarie; esse si rivelano invece irrinunciabili chiavi di volta, aventi un ruolo insostituibile e sorprendentemente problematico. Se il valore della costante gravitazionale, che determina l'intensità della forza di gravità, aumentasse di un miliardo di volte, e diminuisse di 10 milioni di volte il valore effettivo della velocità della luce, il nostro universo, familiare e ospitale, si trasformerebbe in un piccolo ammasso di rocce e polveri densissime, il quale sarebbe soggetto al susseguirsi, nell'arco di un paio d'ore, di una rapida espansione e di un'altrettanto celere contrazione, raggiungendo, nel suo momento di massima espansione, un diametro di circa 300 chilometri. Tutta la grandiosa imponenza del cosmo si troverebbe così ridotta a ben poca cosa, e in questo grumo di pietre non esisterebbero più il Sole nè altre stelle nè, ovviamente, sarebbe possibile trovare traccia di vita. Eppure, entro questo ipotetico «universo giocattolo», scherzosamente tratteggiato dal fisico George Gamow in un celebre volumetto del 1939, tutti i fenomeni sarebbero ancora regolati dalle medesime leggi fisiche che riconosciamo essere alla base della struttura e dell'evoluzione dell'universo in cui ci troviamo a esistere. Scoprire leggi della natura, secondo quanto ha insegnato la storia della fisica da Galileo in poi, significa poter descrivere le proprietà e prevedere i movimenti dei corpi. Ma se (schematizzando) queste leggi sono paragonabili a regole, che non possono essere violate in alcun modo dai fenomeni ai quali sono preliminarmente imposte, esse - di fatto - definiscono dei precisi divieti. Nel sancire quali caratteri e quali processi dinamici sono fisicamente impossibili, ogni fondamentale legge della natura delinea pertanto tutta una classe di eventi fisicamente possibili, almeno in linea di principio. Tuttavia, si sa, tra l'affermare una possibilità e il constatare una realtà vi è un salto logico non indifferente. E le costanti universali sono proprio gli elementi che, a livello fisico, possono colmare il salto. Introdurre materialmente nelle formule matematiche che esprimono le differenti leggi fisiche i valori numerici effettivamente assunti dalle varie costanti universali rende possibile passare da una descrizione di eventuali mondi compatibili con le leggi scoperte dall'indagine fisica a una concreta, puntuale analisi del nostro reale universo e del suo comportamento. Ci si accorge, allora, che anche considerando variazioni minime nei valori delle costanti, si produrrebbe un cambiamento tanto profondo nell'assetto complessivo del cosmo da non consentire di rintracciare al suo interno le strutture consuete (dagli ammassi galattici, al numero statisticamente elevato di stelle appartenenti alla stessa fase evolutiva che caratterizza il Sole). E, conseguenza non trascurabile, un simile mutamento dello scenario cosmico non permetterebbe la nascita di alcuna forma vivente. La struttura concreta dell'universo si regge su pilastri - le costanti universali - le cui caratteristiche non potrebbero essere variate neppure di poco senza compromettere la stabilità complessiva della costruzione. Ma queste indispensabili colonne portanti non possiedono l'intrinseca necessità delle leggi naturali: i valori delle costanti sono, per quanto ne sappiamo, puramente casuali, ossia possiamo osservarli e registrarli, ma non potremmo dedurli da nessuna causa anteriore. Una necessità intrinseca potrebbe essere attribuita anche ai valori delle costanti fondamentali di natura soltanto riuscendo a individuare una loro dipendenza dalle prescrizioni neces sarie della legge scientifica. Sebbene questa strada non sia agevolmente percorribile, alcuni tra gli scenari cosmologici oggi ritenuti più attendibili nel descrivere struttura ed evoluzione del cosmo sembra possano raggiungere il risultato auspicato. L'eventuale esito positivo è, peraltro, strettamente subordinato alla definizione di inedite intersezioni tra teoria della relatività generale, meccanica quantistica e, forse, indagini su caos e complessità. E tanto le leggi quantistiche, alla base della fisica che studia le particelle atomiche e sub-atomiche, quanto le leggi di caos e complessità, fulcro della scienza che si occupa dei cosiddetti «fenomeni instabili» (quei fenomeni così comuni nella nostra esperienza quotidiana, quali lo sprigionarsi delle bolle in una pentola d'acqua in ebollizione, o la traiettoria di un foglia sospinta da un turbine di venti constrastanti), non possono essere ritenute regole inviolabili, mediante le quali prevedere con precisione il comportamento degli eventi a esse soggetti; sono piuttosto leggi statistiche, attraverso cui non è consentito seguire la concatenazione casuale che determina l'evoluzione storica di un singolo evento. Qualora fosse effettivamente possibile eliminare tutti i problemi concettuali sollevati dalle costanti universali, ci si troverebbe a constatare come, nel quadro emergente, sarebbe la stessa legge fisica a dover rinunciare alla sua necessità assoluta, lontana da ogni casuale contingenza: si riuscirebbe così a spiegare perché le costanti di natura possiedono il loro effettivo valore, e tuttavia nel rispondere a un interrogativo altri se ne aprirebbero, altrettanto inquietanti e profondi. Alberta Rebaglia


I LEONI DI MARE Non schiacciatemi! Un durissimo addestramento alla vita
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: BRUEMMER FRED
LUOGHI: ESTERO, NUOVA ZELANDA, ENDERBY

LA mortalità infantile è molto alta tra le otarie leonine, i cosiddetti «leoni di mare» (si chiamano così perché la loro voce possente assomiglia al ruggito del re della foresta, ma in realtà si tratta di pinnipedi, parenti stretti delle foche e dei trichechi). Chi sono i killer dei piccoli? Incredibile a dirsi: proprio gli adulti della stessa specie e spesso addirittura il padre o la madre. Quando i grossi maschi adulti del leone marino di Hooker (Phocarctos hookeri) che pesano fino a 450 chilogrammi, vogliono dare una lezione ai giovani maschi scavezzacollo che insidiano le loro femmine, succede spesso che, nella foga di scagliarsi contro gli scapestrati, travolgano senza nemmeno accorgersene il tenero corpicino di un neonato che pesa soltanto sei chili. E così almeno il tre per cento dei cuccioli nati in una sola spiaggia dell'isola Enderby, una delle isole Auckland trecento miglia a Sud della Nuova Zelanda, muore schiacciato sotto il peso di un maschio adulto che può anche essere il padre della vittima. L'ha constatato Fred Bruemmer, lo studioso lettone naturalizzato canadese che si dichiara affascinato dai pinnipedi e in particolare studia da molti anni i leoni di mare. Il piccolo impara assai precocemente che i maschi adulti rappresentano per lui un pericolo mortale e cerca di schivarli evitando di trovarsi sulla loro strada. Ma non sempre ci riesce. Una volta che un bestione si era fermato proprio sopra il corpicino di un neonato, il ricercatore neozelandese Martin Cawthorn fu testimone di un singolare episodio. La madre, che si era accorta dell'infortunio capitato al suo piccolo, si mise immediatamente a mordicchiare il collo del grosso maschio, come fanno le femmine in calore, assumendo un atteggiamento volutamente sensuale. Il dongiovanni non rimase insensibile alla provocazione femminile. Subito si sollevò per montare la femmina. Era quello che la madre aveva sperato. Quello che ci voleva per liberare il cucciolo, che quella volta, grazie all'astuzia materna, riuscì a salvarsi. Tra i leoni di mare di Steller (Eumetopias jubata), che vivono nei mari boreali, dallo Stretto di Bering alle coste californiane, paradossalmente non è il maschio, ma è proprio la femmina adulta la maggiore minaccia per la vita dei piccolo. Il leone di mare di Steller è il gigante della famiglia. Il maschio arriva a pesare millecento chilogrammi e la femmina quattrocento. Bruemmer ha studiato il comportamento di questa specie nelle Isole Marmot, in Alaska. Qui i maschi giungono in terraferma nel mese di maggio e immediatamente si azzuffano tra loro per spartirsi i territori. Va da sè che i più grossi riescono a impadronirsi dei territori migliori e diventano i partner più ambiti dalle femmine. Le quali arrivano un paio di settimane dopo e danno immediatamente alla luce il piccolo che avevano concepito l'anno precedente. Dopo di che sono pronte a nuovi connubi. Incomincia allora il calvario del povero neonato. Non appena viene al mondo, la madre lo solleva in alto e poi lo lascia cadere sulla roccia e lo sbatacchia parecchie volte di seguito (addirittura cinquantadue volte di fila, in uno dei casi osservati), finché il piccolo non si mette a piangere e a urlare. E fin qui passi, perché in fondo anche noi maltrattiamo un po' il neonato per indurlo a respirare ed emettere il primo vagito. Il peggio viene dopo. Può capitare che il figlioletto partorito l'anno precedente infastidisca la madre per attirare su di sè la sua attenzione. Succede allora che la femmina non riesca a stabilire il giusto rapporto con il nuovo nato e, anziché dargli retta, lo attacchi come fosse un estraneo. In tal caso il piccolo muore dopo un paio di giorni. Bisogna dire però che normalmente la madre si mostra attaccata al figlioletto. Lo annusa continuamente per imprimersi bene nel cervello il suo odore e lo protegge affettuosamente con le pinne. Ma respinge con ferma ostilità i piccoli che non sono suoi. E qui sta il pericolo. Durante la sua prima settimana di vita, il neonato non riconosce ancora la voce materna e scambia per la propria madre qualunque femmina senta urlare nella spiaggia sovraffollata. Uno sbaglio che finisce spesso per pagare caro. Perché non appena la femmina si accorge che il piccolo non è suo figlio, ringhia minacciosa, lo afferra brutalmente e lo scaraventa lontano. Se il cucciolo cade, come spesso succede, nel bel mezzo del territorio di un'altra femmina, la scena si ripete. E così il piccolo viene scaraventato da una parte all'altra come una bambola di stracci. Chi è di forte tempra, resiste a questa dura prova e impara quanto sia importante per lui riconoscere la voce materna. Ma c'è chi non resiste ai maltrattamenti e ci rimette la pelle. La cosa peggiore che può capitare al neonato è quella d'imbattersi in una femmina che abbia perduto il suo piccolo. In questo caso, non appena si rende conto che quel cucciolo è un estraneo, la madre orbata del figlio lo prende selvaggiamente a morsi e lo riduce in fin di vita, quasi volesse sfogare su di lui tutta la sua frustrazione. Purtroppo le popolazioni dei leoni marini sono in declino dovunque, al Sud come al Nord. Nel 1961 si calcolava ci fossero in Alaska dai 240 ai 300 mila leoni marini di Steller. Trent'anni dopo, nel l99l ne rimanevano soltanto 40 mila. E la causa di questo rapido declino non è certo la mortalità infantile. Si suppone che ne sia responsabile soprattutto la pesca eccessiva da parte dell'uomo, che impoverisce quei mari un tempo così pescosi, togliendo letteralmente di bocca ai leoni marini i pesci, i cefalopodi e i crostacei di cui questi pinnipedi hanno bisogno per vivere. Isabella Lattes Coifmann


UN PROGETTO DELL'UNIVERSITA' Quale primavera per i campi alluvionati Riciclare i sedimenti: decisivi i prossimi sei mesi
Autore: QUAGLIA GIANFRANCO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, GEOGRAFIA E GEOFISICA, AGRICOLTURA, PROGETTO, UNIVERSITA', REGIONE, BOTANICA
NOMI: BOERO WALTER
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)

UNA patina di fango che presto diventerà crosta indurita dal gelo. Così si presenta la campagna nel Sud Piemonte, dove l'alluvione ha seminato distruzione e causato vittime. Ai danni, enormi, causati ai centri abitati e alle strutture, ora si aggiunge l'incertezza sulla ripresa delle coltivazioni agricole. Molti suoli, stravolti dai sedimenti, sono compromessi. Non si sa ancora quando le aziende agricole potranno tornare a coltivarli: la primavera non è lontana ma è impossibile al momento formulare ipotesi su un piano di programmazione delle semine. Un contributo alla soluzione del problema è offerto dalla Facoltà di Agraria dell'Università di Torino (Dipartimento di valorizzazione e protezione delle risorse agroforestali-Chimica agraria) con un progetto presentato alla Regione Piemonte a firma del professor Walter Boero, con il quale collaborano i professori Arduino, Franchini-Angela, Zanini, Piccone e Barberis. La proposta parte da due considerazioni: innanzitutto l'esigenza che nasce dai numerosi agricoltori, i quali vogliono urgentemente essere informati sulle decisioni da prendere; e la consapevolezza che un ripristino del preesistente affidato esclusivamente alla natura sarebbe, in molti casi, troppo lento e senza certezze. Ecco allora alcune alternative. Spiega il professor Boero: «I sedimenti potrebbero essere tolti e, in relazione alla loro natura, essere venduti per scopi extra-agricoli. Sabbie e ghiaie, ad esempio, potrebbero essere riciclate come materiali inerti per l'edilizia. Dove il sedimento è più fine, invece, lo si può mescolare con il vecchio suolo sottostante per recuperare almeno in parte la situazione precedente, eventualmente con l'integrazione di materiali organici eco-compatibili». Si pensa all'utilizzo di letame e compost, ad arature e sovesci (sotterramento di piante coltivate per arricchire il terreno di sostanza organica). Là dove lo spessore della coltre alluvionale è troppo potente, gli esperti dell'Università propongono di avviare la «pedogenesi», influendo con apporti di materiale organico, di cui però bisogna accertare l'effetto, sui processi naturali sino a ricostituire in tempi ragionevoli un nuovo substrato con caratteristiche di fertilità chimica sufficienti per la crescita vegetale. Occorre poi studiare il problema di eventuali inquinanti, come i metalli pesanti, che potrebbero essere presenti e rendere necessario l'asporto totale della coltre. Il progetto dell'equipe del Dipartimento è un contributo per far tornare la situazione dei suoli alluvionati in pochi anni in condizioni di quasi normalità. Ma - osserva il professor Zanini - occorre partire immediatamente per non sciupare altro tempo prezioso. I prossimi sei mesi dovrebbero essere decisivi. I ricercatori prevedono anche di compiere simulazioni in laboratorio di campioni di terreno e di limo prelevati in più punti della vasta fascia alluvionata. La prima fase del progetto potrebbe concludersi entro la tarda primavera '95 e fornire agli agricoltori prime utili indicazioni sugli interventi da eseguire sui loro terreni. Gianfranco Quaglia


Il fiume e le sue rive Un ecosistema di alberi, bello e utile
Autore: BLANCHARD GUIDO, GALLO PAOLO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, GEOGRAFIA E GEOFISICA, AGRICOLTURA, PROGETTO, UNIVERSITA', REGIONE, BOTANICA
LUOGHI: ITALIA, TORINO (TO)
TABELLE: D. Tecniche di ingegneria naturalistica per sistemare le rive dei fiumi proteggendole da rischi idro-geologici

LA progressiva riduzione delle possibilità di evoluzione spontanea dei corsi d'acqua ha spesso creato forti scompensi all'equilibrio dell'ecosistema fluviale e talvolta innesca processi devastanti sul territorio. Mutare artificiosamente posizione e larghezza dell'alveo, altezza dell'acqua o pendenza, causa facilmente erosioni, frane e inondazioni. Anche quando gli interventi sul corso d'acqua sono limitati, le calamità aumentano in proporzione all'infittirsi di insediamenti o infrastrutture in aree che restano di pertinenza di fiumi e torrenti, sebbene vengano inondate a intervalli irregolari e poco frequentemente. E' un'utopia, ma occorrerebbe restituire ai corsi d'acqua i loro spazi naturali. Più realisticamente, la pianificazione territoriale e urbanistica dovrebbe imporre rigide limitazioni allo sfruttamento delle zone lungo le rive. Gli interventi di sistemazione delle sponde e per il ripristino di frane o zone in erosione sono quasi sempre realizzati con metodi tradizionali, a forte impatto sull'ambiente. Oggi esistono tecniche di «ingegneria naturalistica», ampiamente sperimentate, che sono applicabili in gran parte delle sistemazioni idraulico-forestali e permettono di conseguire diversi obiettivi: protezione dal rischio idrogeologico, salvaguardia e recupero dei valori ambientali e paesaggistici, prevenzione contro il rischio idrogeologico. Ad esempio, anziché ricorrere alle tradizionali opere di difesa in pietra o, peggio, in cemento armato, si possono costruire sponde con materiale vegetale vivo e legname, o con materiale vegetale e pietrame, che assolvono le stesse funzioni di protezione dalle piene, mantenendo però le sponde in uno stato pressoché naturale, favorendo gli scambi idrici con la falda, l'ecosistema delle rive ricco di specie vegetali e animali e la qualità del paesaggio. In Svizzera, nel Cantone di Zurigo, è stato completato un «programma di rianimazione delle acque correnti» il cui fine è riportare a uno stato naturale i corsi d'acqua prima rettificati, arrivando anche allo smantellamento delle opere realizzate per restituire ai corsi d'acqua i territori ad essi sottratti, con una previsione di spesa di 400 milioni di franchi su un totale di 560 chilometri di corsi d'acqua. In Italia, almeno nel prossimo futuro, stando alle difficoltà di trovare risorse finanziarie, è difficile ottenere questi risultati, sebbene, sull'esempio di alcune esperienze già avviate da qualche anno particolarmente in Alto Adige, nel Trentino e nel Veneto, si possa sperare in un cambiamento della filosofia di intervento sui nostri torrenti. Le opere di ingegneria naturalistica sono in grado di sostituire gran parte delle strutture tradizionali e garantiscono l'efficienza ecologica del corso d'acqua innescando naturali processi evolutivi negli ambienti ripari. Non sono trascurabili inoltre i vantaggi economici che derivano dal minor costo di queste opere rispetto alle tecniche tradizionali. Numerose sono le esperienze nei Paesi di lingua tedesca e, in Italia, dell'Azienda Speciale per la regolazione dei corsi d'acqua e la difesa del suolo della Provincia Autonoma di Bolzano, dove opera una sezione che si occupa dei lavori di ingegneria naturalistica e della sperimentazione di specie vegetali idonee alle diverse situazioni ambientali alpine. Anche in altre regioni si sta lentamente sviluppando questo nuovo modo di intervenire sul territorio, applicabile, oltre che sui corsi d'acqua, nella sistemazione di frane e pendici in erosione o nel ripristino di aree degradate. Ad esempio, si sostituiscono le strutture di tipo tradizionale, costruite con materiali morti che iniziano il lento decorso del deperimento al momento stesso in cui vengono costruite, con le strutture composte di materiali vivi, le quali, dal momento della posa in opera, iniziano un processo di consolidamento e raggiungono uno stabile equilibrio dopo alcuni anni. E' opportuno innanzitutto ricorrere a specie tipiche delle successioni vegetazionali naturali e, per quanto possibile, evitare l'impiego di specie che provengono da lontano e comportano il rischio di insuccesso perché diffondono piante infestanti o mal si adattano alle nuove condizioni ambientali. Molto importante è utilizzare un gran numero di specie diverse, per favorire la biodiversità, garantire l'adattabilità delle piante al sito e, non ultimo, creare quella variabilità di forme e colori che è tipica di molti ambienti naturali. Le funzioni di consolidamento nelle piante sono legate in gran parte allo sviluppo dell'apparato radicale che, nelle diverse specie e in funzione delle caratteristiche di suolo e clima, possono assumere forme e sviluppi diversi. E' fondamentale conoscere le caratteristiche proprie delle piante usate negli interventi di ingegneria naturalistica: molte, infatti, possiedono una massa radicale di molto superiore a quella dei getti. Generalmente le piante migliorano la resistenza e la stabilità degli strati del terreno attraverso l'azione di armatura dovuta alle radici e quella di drenaggio e pompaggio dell'acqua nel suolo. Inoltre le piante sono indispensabili per il contenimento dell'erosione superficiale: si stima che il materiale asportato da una pioggia intensa su un pendio ripido possa variare in quantità con un rapporto fino a 500:1, confrontando un terreno nudo e una superficie protetta da una copertura vegetale naturale. La vegetazione permette ricuciture di ambienti dissestati, mascheramenti di strutture e opere artificiali di difficile inserimento nel contesto territoriale. Inoltre assicura protezione e riparo da polveri e rumori, ad esempio nelle fasce di rispetto stradali o nelle aree di cava. Possiamo sperare per il prossimo futuro in una politica del territorio più attenta? Alcune leggi esistono e sono buone, non resta che applicarle: ai politici e ai progettisti è assegnata la responsabilità di governare e intervenire in modo da assicurarci tempi migliori. Guido Blanchard Paolo Gallo Associazione italiana per l'ingegneria naturalistica


FUMO PASSIVO Mi ammalo per colpa tua Nuovi studi sui rischi di tumori e cardiopatie
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA', STATISTICHE, SONDAGGIO
ORGANIZZAZIONI: ENVIRONMENTAL PROTECTION AGENCY, JAMA
LUOGHI: ESTERO, USA
NOTE: Sigarette

RIPETUTI sondaggi attestano la crescente sensibilizzazione dell'opinione pubblica ai problemi connessi con il fumo passivo, quello cioè che si respira in ambienti chiusi dove qualcuno fuma. Le indagini sugli effetti del fumo passivo sono molto complesse in quanto si deve tener conto di numerosi fattori di confusione. Tuttavia i dati che emergono dai numerosi studi epidemiologici e sperimentali condotti in varie parti del mondo sembrano attestare in modo inconfutabile che il fumo passivo provoca più morti di qualunque altro inquinante ambientale prodotto dall'uomo, in modo proporzionale alla quantità e alla durata dell'esposizione. Secondo la Environmental Protection Agency (l'ente statunitense per la protezione dell'ambiente) sarebbero tremila ogni anno le morti per tumori polmonari imputabili al fumo passivo negli Stati Uniti e, secondo uno studio recentemente pubblicato su Jama (sulla base di nove studi epidemiologici), ben 35-40 mila sarebbero le morti cardiache. Studi europei indicano, nei Paesi della Cee, in 4000 i decessi annui per tumori polmonari e in più di 60.000 i decessi per il totale delle patologie conseguenti agli effetti del tabagismo passivo, di cui la maggior parte per malattie cardiovascolari, ma molti anche per asma bronchiale, bronchite cronica, carcinoma della vescica e del collo dell'utero. Il problema riveste una rilevanza etica maggiore quando a subirne le conseguenze sono i bambini. Secondo alcuni ricercatori della School of Medicine presso l'Università di Yale, i bambini esposti a fumo passivo in casa corrono un rischio di infezioni batteriche o virali quattro volte superiore rispetto ai bambini non esposti, sia a causa dell'irritazione del tratto respiratorio superiore (che rende più suscettibile alle infezioni trasmesse per via aerea), sia per l'effetto inibente il sistema immunitario attribuito al fumo. Uno studio condotto da ricercatori della University of North Carolina school of public health ha evidenziato che il fumo dei genitori prima della nascita del bambino, in particolare quello delle madri che fumavano prima del concepimento e durante la gravidanza, aumentava in modo significativo il rischio post-natale di leucemia linfoblastica acuta, linfomi e neoplasie cerebrali. Quindi sia un effetto pre-concepimento per una ipotizzata alterazione delle cellule germinali, sia un effetto diretto durante la gravidanza. Le donne che fumano durante la gravidanza hanno inoltre una probabilità doppia di avere un bambino di basso peso alla nascita e con malformazioni gravi (soprattutto a carico dei polmoni) che comportano un aumento della mortalità perinatale: alterazioni della membrana villosa della placenta (riscontrate esaminando placente di gravidanze interrotte alla fine del primo trimestre) impedirebbero un normale scambio di ossigeno e di sostanze nutritive tra madre e feto. In uno studio condotto presso il Dipartimento di Immunologia dell'Università di Pretoria, Sud Africa, è stato dimostrato che, esponendo per tre ore al fumo in una stanza poco ventilata 16 non fumatori in buona salute, il fumo passivo determina un aumento dei globuli bianchi (leucociti) la cui componente neutrofila rilascia agenti ossidanti in grado, nei fumatori abituali, di danneggiare l'epitelio bronchiale e innescare un processo tumorale. Esistono due tipi di fumo: quello inalato ed espulso dal fumatore e quello prodotto dalla combustione dalla sigaretta accesa (rispettivamente 15 e 85%). Il secondo è il più pericoloso in quanto, non filtrato dai polmoni del fumatore, contiene una maggiore quantità di benzopirene (un prodotto noto per essere altamente cancerogeno) e di monossido di carbonio che, avendo un'affinità per l'emoglobina 25 volte superiore a quella dell'ossigeno, riduce l'ossigenazione del sangue. In questo modo esacerba uno stato di ischemia coronarica e innesca delle crisi anginose. Sono stati ipotizzati anche altri meccanismi sfavorevoli per il sistema cardio-circolatorio, quali un'aumentata aggregazione piastrinica, un effetto lesivo sull'endotelio vasale, una riduzione del livelli di colesterolo- HDL (che ha azione protettiva), un innalzamento del fibrinogeno (che ha un'azione favorente le trombosi). L'Organizzazione mondiale della sanità considera di grande rilevanza la lotta al fumo passivo e attraverso il gruppo di lavoro sulla qualità degli ambienti confinanti Iaq (Indoor Air Quality), ha raccomandato fin dal 1989 di vietare il fumo nei luoghi pubblici, sui mezzi di trasporto pubblico e negli uffici. Inoltre, ha proposto campagne di informazione per sensibilizzare la gente al problema. Raccomandazioni che hanno avuto un riscontro legislativo anche in Italia. I membri dell'Associazione Fumatori (Af), temendo una progressiva ghettizzazione, sostengono che più che la legge sarebbe bene applicare il galateo e il buon senso. Antonio Tripodina


IN BREVE Il Cern avrà il collider Lhc
ARGOMENTI: FISICA, TECNOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: CERN, LHC
LUOGHI: ESTERO, SVIZZERA, GINEVRA

E' una decisione che segnerà la fisica delle particelle dei prossimi vent'anni: il Cern di Ginevra avrà il super-acceleratore Lhc (Large Hadron Collider) da 14 TeV che permetterà di sviluppare le ricerche sulle proprietà fondamentali della materia. La decisione è tanto più importante per la comunità scientifica in quanto gli Stati Uniti hanno invece deciso di cancellare il loro progetto analogo, Ssc. La macchina europea sorgerà nel tunnel lungo 27 chilometri che già ospita l'acceleratore Lep. Costerà due miliardi di dollari ed entrerà in funzione verso il 2004 per essere a pieno regime nel 2008. Con Lhc, che sarà il più potente acceleratore mai costruito, si potranno ricreare le condizioni fisiche esistenti un milionesimo di milionesimo di secondo dopo il Big Bang. Tuttavia il bilancio del Cern sarà congelato per tre anni e dal 1998 riprenderà a crescere soltanto dell'uno per cento all'anno indipendentemente dall'inflazione.


IN BREVE Agricoltura biologica nuovo regolamento
ARGOMENTI: BIOLOGIA, AGRICOLTURA
ORGANIZZAZIONI: CEE, UE UNIONE EUROPEA
LUOGHI: ITALIA

E' stato completamente riscritto, e comporta alcune novità, il Decreto di attuazione del Regolamento Cee sui prodotti agro- alimentari con metodo biologico, annullato dalla Corte Costituzionale su ricorso di alcune regioni. L'aspetto nuovo è l'introduzione di quattro categorie: produttori agricoli veri e propri, preparatori, importatori e raccoglitori di prodotti spontanei. Tutti dovranno iscriversi a un albo regionale. Inoltre, presso il Ministero delle Risorse Agricole, è stata costituita una Commissione per l'agricoltura biologica.


IN BREVE L'allocco degli Urali nidifica in Italia
ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA, ITALIA

Per la prima volta in Italia sono stati scoperti i nidi di uno tra i più misteriosi rapaci notturni europei, l'allocco degli Urali. L'hanno avvistato due ornitologi nelle valli friulane al confine con la Slovenia: ne dà notizia il mensile di natura «Oasis».


IN BREVE La Cuf registra 1200 farmaci nuovi
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA'
ORGANIZZAZIONI: CUF
LUOGHI: ITALIA

La Commissione unica del farmaco ha accettato la registrazione di 1200 nuove specialità, in gran parte copie di farmaci già in commercio, «parcheggiate» da tempo in attesa dell'autorizzazione. Quasi tutte appartengono alla fascia C, quella dei farmaci a totale carico di chi li acquista.


IN BREVE Test genetici da pochi dollari
ARGOMENTI: GENETICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: GENETHICS CENTER
LUOGHI: ESTERO, USA, HAGERS

Il Genethics Center di Hagers, Usa, annuncia con preoccupazione che stanno per arrivare sul mercato test genetici che costano pochissimo: 10 dollari per la ricerca su un gene, 50 quella su più geni. Si teme che questi prezzi, nell'assenza di regole sulle diagnosi genetiche, invoglieranno le imprese e le assicurazioni a un check up più approfondito sui rischi di malattia di chi cerca un lavoro o vuole stipulare una polizza sanitaria.


IN BREVE Il «Chi è» della chimica
ARGOMENTI: DIDATTICA, CHIMICA, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: FEDERCHIMICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Repertorio dell'industria chimica»

La Federchimica ha appena pubblicato un volume e un floppy disk che mettono a disposizione degli operatori del settore, degli studenti e dei ricercatori un utilissimo «Repertorio dell'industria chimica». Le informazioni riguardano l'industria chimica in generale, il sistema Federchimica, tutte le imprese associate ed elencate per settori di attività, l'elenco dei prodotti (per esempio dall'Ampicillin benzhatine si può risalire alla Ribbon che lo produce) e il glossario italiano/inglese dei prodotti. Costo dell'opera (volume e dischetto), 150 mila lire. Per informazioni, tel. 02-26810.210.


IN BREVE Plastica riciclata una nuova tecnica
ARGOMENTI: ECOLOGIA, RICICLAGGIO, RIFIUTI, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: APME, ASSOPLAST
LUOGHI: ITALIA

L'Associazione dei produttori di materie plastiche in Europa (Apme), rappresentata in Italia dalla Assoplast, sta lavorando a una nuova tecnologia di riciclaggio delle plastiche. Lo sviluppo avviene grazie a un consorzio europeo. Si tratta di un processo di scissione per riscaldamento a letto fluido (un letto di sabbia tenuto in sospensione con gas ricircolante a una temperatura che spezza le molecole delle materie plastiche).


ENDOCRINOLOGIA Gli ormoni del cuore Modificano il flusso del sangue
Autore: FONTANA MICHELA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: DE BOLD ADOLFO, ERDOS ERVIN
ORGANIZZAZIONI: HEART INSTITUTE DI OTTAWA
LUOGHI: ITALIA

SE si chiede ad Adolfo De Bold, il primo scienziato che ha indagato la funzione endocrina del cuore, di parlare di questi ormoni, vi risponde che sono tanto complicati quanto le interazioni tra particelle elementari. A tredici anni dalla scoperta che lo ha reso famoso e fatto entrare nella rosa dei candidati al premio Nobel, De Bold sta ancora studiando, parallelamente a gruppi di ricerca in tutto il mondo, i meccanismi di azione del «fattore natriuretico atriale» (Anf), l'ormone secreto da piccoli granuli contenuti nelle cellule del muscolo cardiaco che influenza il funzionamento del cuore stesso, e anche l'equilibrio idroelettrolitico dell'intero organismo. Non solo. All'interno dello Heart Institute di Ottawa, in Canada, dove lavora, De Bold coordina le prove cliniche, condotte in parallelo ad altri ospedali statunitensi, per verificare il valore del fattore natriuretico atriale nella prevenzione del blocco renale post operatorio. E segue anche le ricerche mirate a produrre nuovi farmaci basati sull'Anf per il trattamento dell'ipertensione. Quando De Bold, che ha appena ritirato a Chicago il prestigioso premio Ciba per le ricerche sull'ipertensione, insieme a Ervin Erdos dell'Università dell'Illinois, scoprì, dopo anni di solitario lavoro, che il cuore secerne un ormone, di cui successivamente individuò la corretta composizione (è un peptide, cioè una piccola proteina formata da 28 amminoacidi), non avrebbe forse immaginato di aprire un settore di ricerca così ricco di implicazioni conoscitive e di potenzialità farmacologiche. Gli ormoni della famiglia Anf sono in realtà tre. Due secreti all'interno del cuore e uno a livello cerebrale. La loro azione consente di regolare il funzionamento del cuore stesso, modificando il flusso di sangue che vi arriva, attraverso una cascata di azioni su organi bersaglio come i reni e attraverso l'interazione con gli altri sistemi endocrini di controllo. Gli Anf hanno un'azione diffusa; tra l'altro, costringono i reni a diminuire la presenza di sodio e di acqua dall'organismo, inducono la diminuzione della renina, un ormone che influisce sulla pressione sanguigna, inibiscono il rilascio di aldosterone, un ormone che facilita la ritenzione di sodio e hanno l'effetto di modulare il tono muscolare delle pareti dei vasi sanguigni. «La ricerca sulla famiglia degli Anf è oggi su tre livelli - spiega De Bold -. Al primo si studiano i meccanismi molecolari attraverso i quali questi ormoni agiscono e le modalità generali di interazione con gli altri organi. Due problemi aperti sono quello di comprendere che cosa realmente controlla la sintesi degli Anf e di capire la loro azione sui recettori contenuti nelle cellule dei tessuti bersaglio e le modifiche che essi inducono sui canali per il trasporto di ioni nella membrana cellulare. «Al secondo livello si studia il loro ruolo in patologie come il blocco renale, lo scompenso cardiaco, l'ipertensione arteriosa. Al terzo, si utilizzano le conoscenze per sviluppare nuovi farmaci». Le maggiori aspettative sono nel settore dell'ipertensione, con un mercato potenziale enorme. Ma, come ammette lo stesso De Bold, gli ostacoli da superare sono ancora molti. Intanto gli Anf, come l'insulina, non si possono assumere per bocca, in quanto vengono resi inattivi dagli enzimi coinvolti nel processo digestivo. Inoltre, poiché hanno una vita relativamente breve all'interno del circuito sanguigno, dovrebbero essere iniettati più volte durante una stessa giornata. Se questi problemi verranno risolti, con il progredire delle tecniche e delle conoscenze di base, proprio gli ormoni secreti dal cuore potranno rappresentare una nuova generazione di farmaci, più sofisticati e mirati degli attuali. Michela Fontana


DIAGNOSI SULL'EMBRIONE Basta una cellula per il test genetico
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: GENETICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: NIH NATIONAL INSTITUTE OF HEALTH
LUOGHI: ESTERO, USA

CHE cosa può fare una coppia che sappia di essere portatrice di un gene che causa una delle 300 malattie ereditarie oggi conosciute? Attualmente ha solo due alternative di prevenzione. La madre può sottoporsi in gravidanza a un esame che constati la presenza o no del gene in un villo corionale a 10 settimane di età embrionale oppure può ricorrere all'amniocentesi a 16 settimane. Se uno dei due esami risulta positivo per il gene malato, le possibilità che la malattia sia trasmessa al neonato sono altissime. A questo punto la coppia deve affrontare la decisione se interrompere la gravidanza o no. Continuarla vuol dire condannare un essere umano a una vita che può essere non solo breve ma anche molto difficile e crudelmente dolorosa. Oggi esiste però una terza alternativa: una diagnosi svolta sull'embrione a uno stadio precocissimo, non in vivo ma bensì in vitro, con basso rischio per la madre. Questa tecnica si basa sulla fecondazione di un uovo prelevato dalla madre con gli spermatozoi prelevati dal padre in condizioni di laboratorio e sul prelievo di un solo blastomero, cioè di una sola cellula, tra le otto che compongono l'intero embrione a quello stadio. Come noto, si definisce «stadio embrionale» quello che si estende fino a otto settimane. Da quel punto in poi l'embrione viene considerato un feto. La nuova tecnica, già sperimentata con successo in una cinquantina di casi, utilizza un metodo che amplifica il Dna della cellula, la cosiddetta polimerasi (Pcr), grazie alla quale si accerta la presenza o l'assenza del gene malato. Se questo non è presente (essendo tutte le cellule uguali nella loro espressione genetica, basta analizzarne una) l'embrione ottenuto al di fuori dell'utero può esser trapiantato nella madre, che può procedere con tranquillità nella gravidanza. Per aumentare le probabilità di successo, si possono trapiantare più embrioni contemporaneamente. Secondo un comitato di diciannove esperti nominato dal massimo organo di ricerca scientifica in Usa, l'Nih (National Institute of Health), la tecnica è molto promettente ma deve esser ulteriormente studiata e perfezionata. Il comitato ha quindi raccomandato di soprassedere al bando dei fondi per questo genere di ricerca che era stato deciso negli scorsi anni e iniziare nuovamente il finanziamento di questi esperimenti, nonostante l'opposizione di diversi gruppi, soprattutto religiosi. La commissione Nih ha specificato il tipo di malattie ereditarie e di coppie che possono sottoporsi al trattamento. Per il momento sono ammesse soltanto le coppie portatrici dei geni della fibrosi cistica, della sindrome di Lesch-Nyhan, della distrofia muscolare di Duchenne, della malattia di Tay- Sachs, di disturbi correlati a difetti del cromosoma X quali l'emofilia di tipo A, dell'adrenoleucodistrofia (vedi il film «L'olio di San Lorenzo»), la paraplegia spastica, varie altre forme miopatiche e alcune forme di ritardo mentale. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


INDAGINE DOXA SUI FANS Curo l'infiammazione, rischio il mal di stomaco Farmaci efficaci ma da usare con cautela per gli effetti collaterali
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SONDAGGIO, STATISTICHE
ORGANIZZAZIONI: DOXA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Corticosteroidi

FAMOSA è stata la scoperta dell'effetto antinfiammatorio e immunosoppressivo dei corticosteroidi, avvenuta nel 1949 per opera degli americani Kendall, Reichstein e Hench (ebbero il Nobel l'anno successivo). I corticosteroidi, ormoni sintetizzati dalla parte corticale delle ghiandole surrenali, hanno una struttura molecolare detta appunto steroidea. Essi sono oggi fra i farmaci più ampiamente utilizzati in un gran numero di malattie e nelle strategie contro il rigetto dei trapianti (il primo fu il cortisone), ma le molteplici attività farmacologiche si associano a vari effetti indesiderati, e soltanto terapie brevi sono relativamente ben tollerate. Da qui l'importanza della disponibilità di altri medicamenti di struttura chimica differente da quella dei derivati corticosteroidi, i Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei), un gruppo che comprende varie sostanze, come i salicilici, derivati dal pirazolone, l'acido idolacetico, l'acido antranilico e via dicendo. I Fans, una delle categorie di farmaci più prescritti in assoluto nelle affezioni reumatologiche, sono inoltre antipiretici e analgesici. Agiscono inibendo l'enzima ciclossigenasi, che permette la conversione dell'acido arachidonico in prostaglandine, sostanze che partecipano all'infiammazione e riducono l'immunità. Capostipite fu il benilbutazone, seguì l'indometacina, oggi se ne contano più di cento in commercio nel mondo, e se ci è concesso citare alcuni nomi di specialità, d'altronde ormai noti anche fuori dal campo medico, ecco l'Aspirina, il Voltaren, il Feldene, la Butazolidina, il Tanderil e via elencando. Perché più di cento? Nonostante le migliorate conoscenze delle reazioni cellulari, chimiche e immunologiche alla base dell'infiammazione, non è stato ancora sintetizzato l'antinfiammatorio ideale, soprattutto nei riguardi degli effetti indesiderati. Meglio tollerati degli steroidei, i Fans devono comunque essere impiegati in maniera motivata e corretta, e il paziente che ne faccia uso prolungato deve essere tenuto sotto controllo per la potenziale tossicità del farmaco. Gli effetti indesiderati più frequenti sono a carico dello stomaco, dei reni, del fegato, della cute, del cuore, del sangue, del sistema nervoso, e probabilmente dipendono dall'inibizione dell'enzima ciclossigenasi. La Doxa ha condotto una ricerca presso medici e pazienti, riguardante gli effetti collaterali dei Fans sullo stomaco. E' un'indagine molto interessante, perché in Italia oltre otto milioni di affetti da malattie reumatiche sono curati con i Fans, e la gastropatia da Fans è qualcosa di specifico, differente dalla classica ulcera gastroduodenale. Dalle interviste con i medici è risultato, come medie, che l'84% dei reumatici è trattato con i Fans, che il 33% può avere rilevanti lesioni gastriche da una terapia prolungata, che i più esposti, oltre a questi ultimi, sono coloro che hanno già sofferto di ulcera, i forti bevitori, i forti fumatori, i soggetti in età superiore a 65 anni. La ricerca Doxa è presentata e commentata da studiosi di reumatologia e gastroenterologia. E' accertato che l'uso prolungato di Fans, i dosaggi elevati, le combinazioni di più Fans sono fattori di rischio per lo stomaco. Comunque i Fans, oculatamente impiegati dal medico, hanno grande importanza nella patologia reumatica e il potenziale rischio è accettabile. Vi è inoltre un farmaco, il misoprotol, che essendo un analogo sintetico della prostaglandina alla cui mancanza è attribuibile l'effetto dannoso dei Fans sullo stomaco, è efficace per la prevenzione dei danni gastrici e duodenali, come risulta da numerosi studi italiani e stranieri. Ulrico di Aichelburg




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