TUTTOSCIENZE 25 gennaio 95


CHE COS'E' IL DHEA L'ormone dell'adolescenza in aiuto alla vecchiaia? Negli anziani potrebbe causare danni collaterali, non compensati dagli eventuali benefici
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: BAULIEU ETIENNE EMILE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. La catena del montaggio del Dhea
NOTE: Ormone «Dhea», Endocrinologia

UN ormone attraversa un'improvvisa popolarità da quando l'endocrinologo francese Etienne-Emile Baulieu, già padre della pillola per abortire RU-486, lo ha indicato come soluzione di alcuni problemi legati all'invecchiamento. E' un ormone di cui pochi avevano sentito parlare e che non godeva di grande considerazione neanche tra gli addetti ai lavori, essendo ancora nebulosa la sua reale funzione biologica. Vediamo di tracciarne un identikit e di capire attraverso quali sperimentazioni abbia potuto far nascere il sogno di prevenire e combattere la vecchiaia. Il suo nome è Dhea, acronimo di de-hidro-epi-androsterone, un androgeno prodotto dalle ghiandole cortico-surrenali insieme al suo estere solfato Dheas, all'androstenedione e all'11-beta- idrossiandrosterone. Mentre è ben noto il ruolo vitale svolto dagli altri ormoni prodotti dal cortico-surrene (i glicorticoidi e i mineral-corticoidi, rispettivamente col cortisolo e con l'aldosterone come principali esponenti), il ruolo degli androgeni surrenali è tuttora poco chiaro. La loro attività biologica intrinseca è minima e agiscono essenzialmente come pre-ormoni, dovendo essere convertiti nei tessuti periferici in androgeni molto più attivi, il testosterone e il deidro-testosterone, per esplicare un'azione sugli organi bersaglio. Non sono stati documentati infatti loro recettori specifici ed è a questa conversione periferica che si devono i fenomeni di androgenizzazione (acne, irsutismo, virilizzazione) delle donne con una eccessiva secrezione di androgeni surrenalici. L'estere solfato del Dhea, il Dheas, è inattivo per la sua stessa struttura, in quanto la coniugazione con l'acido solforico lo rende incapace di attraversare le membrane cellulari per interagire con un eventuale recettore: è considerato una riserva circolante del Dhea, col quale è in un equilibrio dinamico continuo. Il surrene fetale produce grandi quantità di Dhea e Dheas, che vengono trasformati in estrogeni dalla placenta: la produzione cade criticamente dopo la nascita e rimane molto bassa fino ai 7-8 anni, quando ricomincia a salire. Il livello aumenta ancora dopo la pubertà, per stabilizzarsi nell'età adulta. Si ha un declino dopo i 50 anni e in modo più netto nell'età senile. Queste variazioni di produzione di Dhea e Dheas nelle varie fasce d'età hanno suggerito a Baulieu l'ipotesi che potesse esserci qualche correlazione tra il calare di tali ormoni e il declino fisico dell'anziano, caratterizzato da diminuzione della massa corporea magra per la diminuita sintesi proteica, aumento della massa grassa, aumento della morbilità cardiovascolare nell'uomo e tumori della mammella nella donna, da calo del potere immunitario. Altri ricercatori raccolsero l'idea e, nel 1988, Nesler, somministrando dosi molto elevate di Dhea (1600 milligrammi al giorno) per 4 settimane a giovani uomini in buona salute, riferì di avere riscontrato una diminuzione della colesterolemia e una diminuzione del 31 per cento del grasso corporeo, senza un cambiamento di peso. I risultati non furono confermati da altri autori che usarono dosaggi uguali in uomini obesi e non obesi (Usiskin, 1990) e in donne in menopausa (Welle, 1990). Le megadosi usate in questi primi esperimenti avevano però l'inconveniente di creare condizioni lontane da quelle fisiologiche. L'equipe statunitense di Samuel Yen ha condotto una sperimentazione in «doppio cieco» per valutare gli effetti di una restaurazione dei livelli giovanili del Dhea e del Dheas (portandoli ai livelli della seconda decade di vita), in 17 donne e in 13 uomini, di età compresa fra i 40 e i 70 anni, somministrando loro 50 milligrammi di Dhea al giorno per 3 mesi. I risultati sono su un recente numero del «Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism» (vol. 78, n. 6, 1994). A prima vista sembrano più basati su dati soggettivi che oggettivi, La maggioranza sia delle donne (82%) sia degli uomini (67%) dopo 12 settimane di trattamento ha riferito un senso di maggiore benessere, mentre meno del 10% ha riferito cambiamenti durante il trattamento con placebo. In particolare è stata riferita una migliore capacità di gestire lo stress. Non fu notata alcuna differenza nella libido tra chi assumeva Dhea e chi assumeva placebo. Cinque soggetti hanno riferito un calo dei dolori articolari e un miglioramento della motilità delle articolazioni. Sebbene soggettive, tali sensazioni di benessere sono state ritenute dovute a variazioni psico- fisiche reali e non ad un effetto placebo; convinzione supportata dal riferimento di una mancata variazione della libido. Il meccanismo non è ancora chiaro ed è stato ipotizzato un probabile effetto neuro-modulatore centrale. Non sono state riscontrate significative variazioni degli indici antropometrici (percentuale di grasso e Indice di Massa Corporea), nè variazioni dei parametri del metabolismo lipidico (a parte una riduzione dell'Hdl nelle donne) e glicidico. Soltanto nelle donne è avvenuta una significativa bio-conversione del Dhea in androgeni più potenti (sempre però nei limiti normali) e una tendenza alla diminuzione delle proteine di trasporto. Non si è notato alcun cambiamento nella produzione dell'ormone della crescita, mentre fu notato, un aumento della Igf-I (Insulin-like Growth Factor o somatomedina) serica. L'Ifg-I è un potente fattore di crescita regolato dall'ormone della crescita (Gh) e secreto dal fegato, senza possibilità di essere accumulato; anch'esso in graduale riduzione nell'età avanzata. Ha attività mediatrice del Gh stesso esplicando un effetto anabolico ormai accertato sul tessuto muscolare, adiposo e cartilagineo. Quest'ultima osservazione è stata ritenuta degna della massima considerazione in quanto unica modificazione veramente significativa. In assenza di altri plausibili meccanismi d'azione, si tende a ritenere che il motivo dell'azione stimolante del Dhea somministrato in dosaggi fisiologici in uomini e donne in età avanzata passi attraverso l'incremento della produzione epatica della Igf-I o nel ripristino dei recettori per il Gh. Una ipotesi suggestiva, che richiede ulteriori sperimentazioni. Antonio Tripodina


INFORMAZIONE La scienza perderà «Leonardo»?
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: DIDATTICA, PROGETTO, CHIUSURA, PROGRAMMA, SCIENZA, TELEVISIONE
NOMI: VALENTE LEONARDO, ANTONETTO ROBERTO
ORGANIZZAZIONI: RAITRE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «Leonardo»

IN sua difesa si stanno mobilitando scienziati, associazioni culturali e sindacali, politici di Torino e della Regione Piemonte. Ma per adesso non ci sono risultati concreti. La sorte di «Leonardo», il telegiornale scientifico della Rai nato tre anni fa, in onda dal lunedì al venerdì sulla Rete 3, sembra molto incerta. E' una notizia triste in sè, e più triste per ciò che indirettamente rivela. In sè, in quanto con «Leonardo» la tv pubblica perderebbe una sua caratteristica qualificante. Per ciò che indirettamente rivela, in quanto l'impressione dei colleghi che ci lavorano è che «Leonardo» rischia di scomparire per trascuratezza nella gestione aziendale, gettando una luce preoccupante sulle inconsce tendenze autodistruttive che pare aleggino in viale Mazzini. Prodotto da una redazione con sede a Torino, «Leonardo» è stato un esperimento coraggioso. E riuscito. Nessuna televisione, pubblica o privata che fosse, aveva mai saputo dare alla scienza uno specifico spazio informativo quotidiano. L'idea era invece venuta a Leonardo Valente, già direttore della testata regionale. Pochi i mezzi: 5 redattori in tutto, da confrontarsi con l'esercito di 1500 giornalisti schierati dalla Rai; nessun archivio di immagini; un orario infelice e - ciò che è peggio per un giornale, il cui pubblico si costruisce sulla base di appuntamenti regolari - un orario ballerino: prima alle 13,45, poi a metà pomeriggio, infine alle 12,30 (circa.. .). Nonostante ciò, sotto la guida di Roberto Antonetto, «Leonardo» ha preso quota rapidamente, fili diretti si sono stabiliti con i maggiori centri di ricerca, il magazzino di filmati è cresciuto, la redazione si è costruito un patrimonio di credibilità. Inoltre, con «Tuttoscienze» era nato un rapporto di amichevoli scambi, con il fine di unire utilmente le poche forze disponibili. L'ascolto, ormai attestato intorno al milione di spettatori, premiava questo lavoro. Insomma, un'esperienza culturale che i vertici Rai avrebbero dovuto apprezzare e potenziare. Invece, in seguito a una serie di nomine fatte senza tener conto di quanto già esisteva, nasce dal nulla un nuovo tg scientifico a Roma e la direzione della testata regionale progetta la creazione di un «Tg Italia» che assorbirebbe in sè il tg dell'economia e «Leonardo»: un contenitore nel quale l'informazione scientifica sarebbe mescolata ai più vari temi di cronaca. «Leonardo», così, si spegnerebbe, pur senza che ci sia un killer preciso e deliberato. A questo punto forse sarebbe opportuno ricordare che «Leonardo» era nato anche per compensare almeno in parte la sede Rai di Torino di altre mutilazioni. Ma sarebbe riduttivo farne una questione campanilistica e trasformare in un piagnisteo provinciale ciò che invece è una perdita per tutto il nostro Paese. Ciò che va detto, invece, è che «Leonardo», negli impegni originari, doveva diventare il primo nucleo di una redazione scientifica al servizio di tutti i tg, ciò che avrebbe dato finalmente alla scienza uno spazio un po' più proporzionato all'importanza che essa ha nella nostra vita. Illusione. I 1500 giornalisti Rai, a parte qualche importante eccezione, hanno altro a cui pensare: sono tanti i politici da rincorrere, che forse si sentono persino in pochi. C'è, infine, una riflessione ancora più generale, e riguarda il significato che si vuole dare alla scienza nella nostra cultura. Probabilmente l'ideale sarebbe che le notizie scientifiche non fossero chiuse in micromondi a sè stanti, come sembrano essere un tg scientifico e il supplemento che state leggendo. Si dovrebbe parlare e scrivere di scienza con la stessa disinvoltura e loquacità con cui si tratta di politica, sport, spettacoli. Purtroppo l'esperienza è che ciò non avviene. Per tante ragioni: siamo nipotini di Croce, i direttori dei giornali vengono tutti dalle cronache politiche, la scuola italiana è quella che è. E allora, perché non salvare almeno quella piccola oasi scientifica - chiamatela pure ghetto, se volete - che tanto interessa a chi trova che 28 minuti di politichetta casereccia su 30 di tg sono troppi? Piero Bianucci


UNA MOLECOLA FONDAMENTALE CD38, «timone» biologico Indirizza alla meta le cellule del sangue
Autore: MALAVASI FABIO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA

LA vita sociale delle cellule che compongono l'organismo umano è molto intensa: ci sono continui contatti con altre cellule e con agenti solubili (sostanze di nutrizione, fattori di crescita, citochine, ormoni e altro) presenti nei liquidi extracellulari. Questa fitta rete di interazioni è resa possibile da molecole di struttura e funzioni diverse che sporgono dalla membrana cellulare, costituendo un ponte biologico tra il mondo interno e quello esterno. Lo studio di questi recettori di superficie ha compiuto progressi enormi negli ultimi anni, grazie all'impiego di strumenti di analisi precisi come gli anticorpi monoclonali. Mettendo insieme le informazioni provenienti da diversi laboratori in tutto il mondo collegati tra loro, si è riusciti a disegnare una mappa delle molecole di superficie dei leucociti (le cellule che circolano nel sangue) identificate con la classificazione CD (cluster designation markers), che viene usata nella vita quotidiana di tutti gli ospedali per diagnosi di ogni tipo. Uno dei CD ancora oggi misteriosi è il CD38, inizialmente identificato all'Università di Harvard nel 1981; alla fine degli Anni 80 all'Università di Torino ne vennero caratterizzati dettagliatamente la struttura e il ruolo nella attivazione di diverse popolazioni cellulari. Per semplificare un modello in realtà ancora non del tutto chiarito, il CD38 si associa sulla membrana ai grandi complessi molecolari che sui linfociti B e T accendono i programmi genetici che consentono di reagire contro eventuali agenti invasori. Al dipartimento di Biologia e Chimica medica dell'Università di Torino il 27 gennaio si terrà un incontro per fare il punto sullo stato delle ricerche che coinvolgono laboratori di tutto il mondo, da Houston, Memphis e San Francisco negli Usa, a Tokyo e Osaka in Giappone, in Europa a Parigi, Londa e Granada e in Italia a Torino, Genova e Novara. La svolta che ha fatto del CD38 una molecola celebre, con un ruolo di primo piano nella biologia molecolare dei linfociti, ha un'origine inaspettata: la Aplysia californica, una lumaca marina e i suoi enzimi. Hon Cheung Lee, un biologo dell'Università del Minnesota, nel 1990 ha purificato e sequenziato un enzima in grado di produrre un composto essenziale nella regolazione dei livelli citoplasmatici del calcio, uno ione che tutte le cellule usano come messaggero di segnali che regolano la vita e le interazioni della cellula con il mondo circostante. Ebbene, nonostante la distanza filogenetica che ci separa dalle lumache, Lee scoprì che la sequenza di questo enzima era incredibilmente simile a quella del CD38. Ulteriori analisi dimostrarono che anche il CD38 umano è un enzima e catalizza la formazione di composti essenziali per la segnalazione mediata dal calcio. Il significato dei messaggi è diverso in cellule diverse, ma comunque regola sempre i destini di vita o di morte del linfocita: a livello del midollo osseo, i segnali trasmessi dal CD38 sopprimono la crescita dei linfociti B, mentre nei linfonodi li salvano da morte certa. Dopo le lumache, il CD38 ha vissuto il suo momento magico e la sua storia si è arricchita di altre pagine di interesse più immediato: anticorpi diretti contro il CD38 vengono oggi usati come immunofarmaci in certe forme leucemiche. Al riguardo sono state avviate prove su pazienti con la collaborazione dell'M.D. Anderson Cancer Center di Houston, l'Università di Torino e quella di Ancona. Si è inoltre dimostrato che la molecola è altamente espressa durante la vita fetale e - forse è il dato più significativo - fino a questo momento non si sono trovati individui o pazienti privi del CD38, suggerendo che la molecola sia essenziale per la vita. Nel corso dell'ultimo anno, esperimenti compiuti da ricercatori di vari Paesi che hanno lavorato all'Università di Torino grazie anche al supporto della Fondazione Ghirotti e a un finanziamento Telethon, hanno consentito di purificare la proteina e analizzarne l'espressione in tutti i tessuti dell'organismo umano. I dati più stimolanti emersi fino a questo momento sono la presenza del CD38 sulle cellule muscolari, mentre un gruppo giapponese ha osservato una esclusiva espressione della molecola in cellule nervose di pazienti affetti da malattia di Alzheimer. Sono state trovate inoltre forme troncate di CD38 umano, che diviene quindi solubile nei liquidi biologici, e si sta lavorando per identificare suoi recettori presenti sulle cellule che rivestono la parete dei vasi sanguigni. Questa ultima caratteristica sembra indicare che il CD38 possa funzionare come una sorta di timone biologico, che indirizza le cellule ematiche verso distretti diversi del nostro organismo e, all'interno di questi, verso destini diversi. Fabio Malavasi Università di Ancona


STRIZZACERVELLO I denari dei poveri
ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA

L'autore del problema di questa settimana è padre Clavio, un gesuita, celebre matematico del Seicento, passato alla storia come il nemico di Galileo. Egli infatti negò sempre il suo sostegno alle pericolose teorie dello scienziato che, isolato, fu costretto all'abiura. Se distribuisco 7 denari a ciascuno dei poveri che durante la giornata hanno bussato alla mia porta, me ne rimangono 24. Se invece volessi dare 9 denari a ciascuno di loro, me ne mancherebbero 32. Quanti sono i poveri e i denari a mia disposizione? La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo.


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA

Q Come mai il cappello del cuoco è alto e gonfio? Q Quale formula si usa per calcolare la data della Pasqua? Q Dati 16 giocatori, 8 maschi e 8 femmine, che giocano sempre in coppia maschio-femmina, in un torneo all'italiana dove un maschio, in 7 giocate, gioca contro tutti gli altri maschi, è possibile che ognuno giochi sempre contro e in coppia con una femmina diversa? Come si stabiliscono le giocate? E se non è possibile per tutte 7, per quante è possibile? _______ Risposte a «La Stampa-Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax 011-65.68.688


MEDICINA Pillole per fermare il tempo Che cosa c'è di serio nelle cure anti-età
Autore: AMANDOLA GIAN PIERO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: BAULIEU ETIENNE EMILE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Ormone «Dhea», terapie contro l'invecchiamento

DOTTOR Faust, sei tutti noi. Ma sì, lo si ammetta o no, tutti venderemmo l'anima al diavolo per rimanere giovani. Il demone con cui ci troviamo a trattare si chiama ricerca cosmetica, o, quando se ne parla con la massima devozione, medicina antietà. Armeggia in noi, alambicca sui nostri fluidi e umori, cerca incantesimi per la nostra pelle. E ora che da Parigi, ci offre il «Dhea», celebrato come elisir di giovinezza, anche i giornali vendono le loro prime pagine all'antietà. Anche se, conviene subito dirlo, passati i primi clamori, il Dhea, ormone prodotto dalle ghiandole surrenali, dimostra le sue parentele con i vecchi ricostituenti che il medico di famiglia prescriveva appunto per incrementare la produzione delle ghiandole surrenali. Sicuramente il Dhea, che come l'ormone della crescita è elevato durante l'infanzia e cala in seguito, può aumentare le masse muscolari e le capacità energetiche e antidolorifiche perché simile agli ormoni steroidei, quelli che assumono i body buil der o i velocisti per aumentare di potenza. Non a caso il Dhea è stato presentato da Etienne Emile Baulieu, ricercatore dell'Accademia francese delle Scienze, autorità riconosciuta nel campo degli anabolizzanti. Peraltro, il Dhea si conosce già bene da trent'anni. Se solo adesso viene lanciato contro la vecchiaia, pare che sia soprattutto per interessi di mercato. Se non siamo tutti dei dottor Faust, perlomeno viviamo nel mondo che prevedeva il filosofo francofortese Theodore Adorno: siamo schiavi delle strutture che abbiamo costruito per dominare la natura e le sue leggi (invecchiamento compreso). Schiavi nella moderna versione di consumatori di prodotti sfornati dalla diabolica ricerca cosmetica. E allora che si può fare? Intanto un uso il più possibile cosciente della medicina antietà. Qui proviamo a fornire qualche istruzione per l'uso corredata da un glossarietto delle ultime scoperte del settore. Cominciamo col dire che ci sono degli esami cui ci si può sottoporre per capire che cosa ci serve dei prodotti considerati antietà, a cominciare dal Dhea per proseguire con l'ormone della crescita e concludere con gli integratori alimentari, che adesso vanno fortissimo, anche coi prezzi. Per l'ormone della crescita c'è l'esame che ne valuta il livello basale, ma difficilmente i medici prescrivono questo ormone, sia perché è carissimo, sia perché sottopone a qualche rischio di malattie metaboliche, come il diabete. Però ci sono studi che giurano che assumendo più di 5 grammi di un innocuissimo aminoacido, l'arginina, si ottiene un aumento dell'ormone della crescita (quindi più massa muscolare, riduzione della percentuale di adipe dai tessuti, ispessimento della pelle e minore stancabilità), senza effetti collaterali. Anche il Dhea che abbiamo in corpo è calcolabile con i vecchi esami sull'attività delle ghiandole surrenali. Poi è possibile fare un mineralogramma, una analisi del capello che stabilisce le percentuali di zinco, ferro, rame, selenio, manganesio presenti nell'organismo per individuare le eventuali disfunzioni e carenze che possono essere corrette assumendo oligoelementi. E ci si può sottoporre a un esame del sangue, quello del sondaggio dei perossidi lipidici serici che permette di stabilire quanto i famigerati radicali siano presenti nell'organismo. I radicali liberi sono molecole, spesso di ossigeno, che per impulso esterno (raggi solari, fumo, inquinamento, ma anche la semplice fatica del vivere) perdono un elettrone. E per cercare di recuperarlo, iniziano una specie di rubamazzetto (o meglio rubaelettrone) a catena con le altre cellule fino a che qualcuna ne rimane danneggiata, rimane ossidata. Ora, l'ossidazione provoca i perossidi e, se ricordate, l'esame del sangue in questione quantifica appunto i perossidi lipidici serici, insomma i danni causati alle membrane cellulari dai radicali liberi. Appurato un elevato livello di perossidi può essere utile assumere integratori dietetici antiossidanti. Oppure, quando sarà in commercio, si potrà scommettere sui rinvigorimenti cellulari del Dhea o similari. Quindi, già che ci siamo, conviene fare il test di fagocitosi al luminolo. Un esame del sangue che rivela una fonte specifica di radicali liberi, quella che consegue alla lotta dei globuli bianchi contro batteri e agenti tossico- infettivi. I globuli divorano, fagocitano i loro nemici. Ma la fagocitosi provoca l'ossidazione, quindi i radicali liberi e allora conviene intervenire per aiutare l'organismo a difendersi preventivamente dagli agenti che provocano la fagocitosi. Dopo gli esami, possiamo immergerci nelle diavolerie che bollono nelle pentole dei ricercatori americani d'avanguardia. Fra qualche mese andranno in prima pagina sui quotidiani. Il «Pbn» (fenibutil nitrone), ad esempio, è una molecola che blocca i danni dei radicali liberi a livello cerebrale. Uno studio dell'Oklahoma Medical Research Foundation dimostra che il Pbn migliora la memoria e rallenta i processi ossidativi che danneggiano le cellule del sistema nervoso centrale. Poi si sta sperimentando l'aminoguanidina che arresta i danni causati alle cellule del glucosio. Sono in corso test sui diabetici per cercare di rallentare o evitare lesioni ai reni e altri tessuti importanti da un livello troppo alto di glucosio nel sangue. Chi teme di invecchiare nell'attesa di queste sostanze può saccheggiare l'armamentario delle attuali farmacie e beautyfarm. Ormai c'è poco da dire sulle vitamine. La solita avvertenza, attenzione a non eccedere con le vitamine liposolubili perché si accumulano nell'organismo: parliamo della vitamina A o il suo precursore il beta-carotene e della E, entrambe con poteri antiossidanti. Istruzioni: la A ha bisogno dello zinco per essere assimilata al meglio e la E parrebbe rafforzare anche il sistema immunitario. Con le vitamine idrosolubili non c'è rischio di accumulo, le più acconce alla lotta con la vecchiaia sembrano la C, ovviamente, antiossidante, antinfezione e antitossicità in generale. Poi le vitamine del gruppo B (B1, B3, B6 e la colina). Si sta però diffondendo la tesi che le vitamine per dare i loro effetti sul serio debbono essere accompagnate dagli enzimi, intanto quelli digestivi: lipasi, amilasi, proteasi, cellulasi che pure andrebbero acclusi alle vitamine come avviene in qualche prodotto d'avanguardia. Ma ci sono anche gli altri enzimi utilizzabili come il glutatione (un tripeptide che contiene zolfo) e che viene oggi semplicemente confezionato in farmaci per fluidificare catarri e muchi. Anche la carnosina, la catalasi e il Sod (superossido dismutasi) entrano nei più recenti bollettini di guerra all'invecchiamento. Che da tempo riportano i nomi di sali minerali e oligoelementi come il magnesio, il rame, il selenio, lo zinco. Dei quali però conviene ricordare che sono presenti nella normale alimentazione in dosi considerate sufficienti. Anzi, in conclusione di questo mini-prontuario per gioventù facili, è bene ricordare che fino a qualche tempo fa - prima che si scatenasse il conflitto a colpi di grosse dosi di sostanze benefiche contro il tempo che passa e usura - si guardava con diffidenza ad ogni additivo a una sana alimentazione. Per quel che riguarda le questioni di pelle, c'è da segnalare l'irruzione delle creme agli «aha» cioè agli alfaidrossiacidi che provocano l'esfoliazione degli strati superiori dell'epidermide costringendola a rinnovarsi. Fanno il cosiddetto «peeling» con minori disagi rispetto all'acido retinoico, cioè la vitamina A, usata fino a qualche mese fa. Il più noto degli «aha» è l'acido glicolico che viene dalla canna da zucchero, l'acido lattico dal latte fermentato, l'acido citrico dagli agrumi, l'acido malico dalle mele e l'acido tartarico dall'uva. Oltre al «peeling» gli «aha» riuscirebbero anche a stimolare i fibroblasti, l'elastina e il collagene per ridare il turgore anche agli stati inferiori dell'epidermide. Poi si usa anche l'ossigeno contro le rughe e i radicali liberi: creme all'ossigeno e le infiltrazioni sottopelle di ossigeno ionizzato. Infine le infiltrazioni in ruga di placenta. O di collagene che prima vi asportano dai glutei e poi vi iniettano nelle rughe del volto. Ma qui ci fermiano perché si varcano i confini con la chirurgia estetica. E cercare di evitarvela è uno dei pochi meriti che questo articolo vorrebbe accampare. Gian Piero Amandola


NEL 2000 A GINEVRA Il collider del futuro Strapperà all'atomo l'ultimo segreto
Autore: FERRARA SERGIO

ARGOMENTI: FISICA, RICERCA SCIENTIFICA, FINANZIAMENTO, PROGETTO
NOMI: LLEWELLIN SMITH CHRIS, RUBBIA CARLO
ORGANIZZAZIONI: CERN, LHC (LARGE HADRON COLLIDER)
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Schema dei vari acceleratori che porteranno a scontrarsi in Lhc fasci di protoni con l'energia di 14 Tev

DOPO febbrili contrattazioni politiche, con una alternanza incessante di previsioni ottimistiche e pessimistiche per la sua approvazione, alla fine dell'anno scorso il consiglio del Cern (l'organo decisionale formato dai rappresentanti politici e scientifici del consorzio dei Paesi europei che finanziano il Consiglio Europeo per la Ricerca Nucleare) ha approvato all'unanimità il più grande progetto scientifico di tutti i tempi, che porterà alla costruzione della più potente macchina acceleratrice del mondo, denominata Lhc. Lhc (Large Hadron Collider) è un acceleratore che farà scontrare fasci di protoni di 14 Tev (l'equivalente in massa a circa 14 mila volte la massa del protone) nel tunnel circolare lungo 27 chilometri già esistente al Cern, nel quale attualmente opera un altro acceleratore, il Lep (Large Electron Positron) che accelera elettroni e antielettroni in direzione opposta, che quindi collidono frontalmente a una energia di 100 Gev (circa 100 masse protoniche). La decisione del finanziamento per il programma Lhc è stata tormentata per una serie di ragioni che vanno dagli interessi nazionali di un Paese (la Germania), ai vincoli finanziari da parte di un altro (Inghilterra), fino al fatto, elemento forse preponderante, di una difficoltà oggettiva nel predire il finanziamento di un progetto di ricerca fondamentale su tempi di 10-15 anni. Senza addentrarci nelle particolari situazioni che esistono nei vari Paesi aderenti al laboratorio di Ginevra, sta di fatto che lo scorso giugno, nella centesima sessione del Cern, Germania e Inghilterra si sono astenute nella votazione per l'approvazione definitiva del progetto Lhc mentre tutti gli altri Paesi membri (cioè 17 su 19) hanno votato a favore. Poiché il contributo finanziario della Germania e dell'Inghilterra rappresenta più di un terzo dell'intero budget del Cern, sarebbe stata impensabile l'approvazione di un progetto di tale portata in simili condizioni. E' stato quindi salutato con grande sollievo e molto entusiasmo l'esito finale di dicembre, quando finalmente il direttore generale del Cern, l'inglese Chris Llewellin-Smith, ha escogitato una soluzione scientifico-finanziaria che ha ottenuto il consenso di questi due importanti Paesi, consentendo il segnale di via libera per la costruzione di Lhc. Nella risoluzione del Council di dicembre, per contenere le spese in modo compatibile con le disponibilità economiche dei Paesi contribuenti, si è deciso di costruire Lhc in due fasi: una prima fase, detta di «missing magnet», da completare entro il 2004, nella quale l'acceleratore funzionerà a una energia massima di 10 Tev; una seconda fase, da completare entro il 2008, in cui la macchina verrà portata ad una energia massima di 14 Tev. Questo scenario è, per così dire, pessimista, poiché si pensa che Paesi extraeuropei - come Stati Uniti, Giappone e Canada - potrebbero contribuire finanziariamente al progetto in un prossimo futuro. Se questo evento si verificherà, con una revisione del progetto da completarsi entro il 1997, la soluzione in due fasi verrebbe abbandonata, e Lhc potrebbe arrivare in porto in dieci anni. Il progetto Lhc costerà circa tremila miliardi di lire, cioè circa trecento miliardi l'anno. Ma quali sono lo scopo e l'utilità di questa mastodontica impresa scientifica? Il suo finanziamento, sebbene sia finalizzato alla ricerca «fondamentale», cioè con uno scopo prettamente culturale e conoscitivo, che è quello di riprodurre per la prima volta le condizioni in cui si trovò la materia nei primissimi istanti dell'universo, ha chiaramente altre finalità, per così dire accessorie, ma forse politicamente più rilevanti. La prima è di riaffermare l'egemonia scientifico-culturale dell'Europa in questo campo, che è cominciata alla metà degli Anni 80. La seconda è di realizzare una cooperazione mondiale in un campo che è stato sempre fruttuoso nei suoi risvolti culturali, applicativi e tecnologici e che quindi potrebbe proiettare il Cern in vetrina come centro di avanguardia scientifica alle soglie del XXI secolo. E' forse utile ricordare che pochi giorni prima dell'approvazione di Lhc il premio Nobel italiano Carlo Rubbia (precedente direttore del Cern che si occupo' durante il suo mandato della fattibilità del Lhc) ha spiegato in una sua conferenza la concreta possibilità in tempi piuttosto brevi di un nuovo modo di produrre energia, basato sulla fissione nucleare, con l'aiuto di macchine acceleratrici. Da un punto di vista accademico, il Cern servirà come centro interuniversitario per le università europee e extraeuropee, per preparare giovani ricercatori, fisici, ingegneri, matematici nei prossimi 20 anni. In Italia, tale attività è coordinata dall'Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) da cui dipendono tutte le attività nel campo della fisica fondamentale nucleare e subnucleare connesse a istituti universitari e laboratori nazionali. Per quel che riguarda la fisica «istituzionale» del Cern, cioè la fisica delle particelle elementari, Lhc alle sue massime energie risponderà probabilmente a quasi tutti i quesiti insoluti sulla nostra comprensione delle forze fondamentali che regolano tutti i fenomeni naturali. In particolare Lhc darà una risposta definitiva all'origine della massa, cioè se esistono e quante sono le fantomatiche particelle di Higgs responsabili della differenzazione tra i fotoni (quanti di luce) e i bosoni intermedi, mediatori delle forze deboli (luce pesante). Inoltre Lhc produrrà in grande abbondanza il «top quark», il sesto tipo di quark, che è sfuggito fino ad ora, a una precisa identificazione, sebbene vi sia una forte evidenza sperimentale della sua esistenza, con una massa attorno ai 175 Gev, da misure fatte al Laboratorio Fermi di Chicago, in buon accordo con i risultati di precisione del Lep di Ginevra. Infine, e forse è questa l'avventura più affascinante, Lhc potrebbe scoprire una nuova forma di materia, detta supersimmetrica, che prevede l'esistenza di un intera gerarchia di nuove particelle per spiegare l'enorme differenza tra l'energia tipica dei processi elettrodeboli e nucleari e la massa di Planck, cioè l'energia in gioco nell'interazione tra particelle ai primi istanti dell'universo. Sergio Ferrara Cern, Ginevra


INFORMATICA UN GIOCO MOLTO SERIO NAVIGARE CON INTERNET Il mondo è nel computer. Prendilo Prima puntata di una guida alla «grande rete»
AUTORE: MERCIAI SILVIO
ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: INTERNET
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Prima puntata della guida alla rete telematica Internet

LA prima volta che ho lanciato un collegamento intercontinentale - con la Tasmania: forse non sapevo neppure esattamente dove fosse - ho provato un'emozione fortissima. In pochi secondi il calcolatore a cui mi ero indirizzato mi ha risposto, dandomi il suo benvenuto (in inglese, ovviamente) e mi ha messo a disposizione una serie di programmi. Me ne serviva uno, questo era il motivo per cui mi ero collegato. Gli ho dato i comandi (semplicissimi) perché me ne mandasse una copia. Dopo pochi minuti (indicativamente: 100 k impiegano circa 3 minuti) il programma era sul disco rigido del mio calcolatore. Mi sembrava realmente incredibile: eppure lo avevo letto, razionalmente sapevo che era proprio così... Molti di voi avranno già provato questa esperienza (mi piacerebbe sapere qual è stata la vostra risposta emotiva alla «prima volta» su Internet: scrivetemi!): questa rubrica - che avrà cadenza ricorrente e mira a essere un piccolo servizio offerto al lettore - è essenzialmente (ma spero non solo) rivolta agli altri, a quelli cioè che non conoscono Internet o pensano che sia cosa per esperti o per iniziati. Non è così e spero di dimostrarvelo. Con un'avvertenza immediata, per poterci capire e fissare i limiti del nostro discorso. Io non sono un informatico e non ho studiato in modo adeguato la scienza dell'informazione: la mia professione ne è lontanissima, e neppure faccio uso del calcolatore per il mio lavoro. L'informatica, il calcolatore sono per me soltanto un hobby: spero di riuscire a mostrarvi, se avrete voglia di seguirmi, che il calcolatore è uno strumento potentissimo per sviluppare e stimolare la vostra curiosità e la vostra creatività: a me piace esclusivamente per questo. Non aspettatevi da me niente di tecnico o di specialistico (e mettete in conto qualche ingenuità): però potete essere certi che tutto quello che leggerete è qualcosa che io ho già verificato. E quindi, se l'ho potuto fare io, è alla vostra portata. Prima di darvi qualche indi rizzo (tra un attimo vi sarà chiaro il perché del termine), devo dirvi un paio di cose su che cos'è Internet e su come ci si arriva (o, almeno, su come ci sono arrivato io). Internet, oggi, è uno spaccato in evoluzione continua del mondo, e, in particolare, del mondo dell'informazione. Concretamente il fenomeno Internet consiste nella interconnessione di un numero enorme di vari calcolatori, sparsi in tutto il mondo, e nella possibilità, da parte di noi utenti, di collegarci con una di queste macchine e di leggere o prelevare quello che ci interessa. C'è di tutto, molto di più di quello che potete immaginare. Volete scrivere una lettera al presidente Clinton, oppure ordinare un taglio di pizza (vi arriva un po' freddina, dagli Stati Uniti), oppure avere sul vostro calcolatore la mappa delle condizioni atmosferiche inviata due ore prima dal satellite, o leggere articoli sullo sviluppo dell'informatica, imparare ricette di cucina di qualche strano Paese, consultare l'Enciclopedia Britannica, visitare l'ultima mostra del Louvre, sapere le ultime novità sulla mappa del genoma umano? Basta cercare l'indirizzo giusto ed è tutto a vostra disposizione. Ecco, appunto, l'indirizzo: l'unica cosa che dovete sapere è dove cercarlo. Del resto, per telefonarmi dovete conoscere il mio numero di telefono. Se poi non avete nessun interesse particolare, lasciate che sia Internet a coinvolgervi. Quello che io vorrei fare è accompagnarvi per un pezzetto, darvi qualche indirizzo, mettervi in contatto con una parte di questo universo. Poi, se vi piacerà (io l'ho trovata affascinante e, in un certo senso, inquietante) viaggerete da soli (e, quando troverete qualche indirizzo interessante, me lo farete sapere in modo che io possa rilanciarlo da queste colonne e metterlo a disposizione di tutti). Che cosa ci vuole per fare tutto questo? Io uso un normale personal computer (nel mio caso è un DX2 50 Mhz) con un modem a 14.400 bps (il modem è un apparecchio che collega il vostro computer alla normale linea telefonica; i bps sono la velocità di trasmissione: se dovete comprarlo, tenete conto che al di sotto di questa velocità le cose diventano molto lente e noiose e mettete in conto una spesa di circa mezzo milione) collegato alla mia linea telefonica di casa. In più, occorre abbonarsi a un fornitore (provider è il termine tecnico) che ci connetta a Internet. Se vi interessa, un'ora su Internet di sera (dopo le mitiche 22) costa (tra abbonamento e scatti) come un cinema (più l'indisponibilità, per lo stesso tempo, ovviamente, della vostra linea telefonica: attenzione ai problemi familiari, specie se avete, come nel mio caso, un figlio adolescente!). Mi resta poco spazio, quindi vi dò i primi due indirizzi (sono scelti a caso, non sono un esperto di marketing). 1) Una mailing list utile per tenersi aggiornati sul soft-ware da usare è la Winsock-Llist: mandate questo mes-saggio: subscribe winsock-lVostroIndirizzoPostale alist-admin7papa.indstate.edu. 2) E' uscito Netscape release 1.0 (shareware gratuito): un programma splendido che vi consiglio di usare (lo prelevate da http://home.mcom.coma patto che ne preleviate ifiles del manuale: e che nondimentichiate di leggere laHeartwarming Introduction che vi ripagherà di tutte le volte che avete trovato troppo noioso leggere il manuale di un qualche programma). Le prossime volte, sperando che la cosa vi interessi, oltre ad altri indirizzi (compresi quelli che voi stessi mi segnalerete), vorrei darvi anche l'indicazione di qualche curiosità e riportarvi qualche pagina del molto materiale umano che mi perviene ogni giorno. Ovviamente, questa rubrica ha senso se è interattiva (come per l'appunto lo è Internet). Scriveteci, per quanto possibile vi risponderemo. Per posta normale indirizzate a: «La Stampa - Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Dalla prossima puntata avrete a disposizione anche un indirizzo elettronico. A presto e buon viaggio su Internet! Silvio A. Merciai


TRAFFICO E TRASPORTI URBANI Ordine e scorrevolezza Una istruttiva ricerca su otto città-campione
Autore: FAZIO MARIO

ARGOMENTI: TRASPORTI, INCHIESTA, VIABILITA', INQUINAMENTO, RISULTATI
ORGANIZZAZIONI: FIAT, CENTRO STUDI SUI SISTEMI DI TRASPORTO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. Ricerca Fiat sui trasporti urbani in 8 città europee: Parigi, Londra, Stoccolma, Barcellona, Lione, Stoccarda, Zurigo, Bordeaux

AL ritorno da ogni viaggio al'estero si ripete il rituale confronto con le nostre città. Siamo veramente così diversi e arretrati come sembrano rilevare alcuni indicatori comuni più sofferti, traffico e trasporti pubblici? Come mai le nostre città sono più esposte di altre agli allarmi rossi per inquinamento atmosferico, alla commedia delle targhe alterne? Nel tempo dell'informazione-spettacolo e dei sondaggi, è raro avere risposte fondate su ricerche attendibili. La realtà e le esperienze compiute nella Comunità Europea sembrano appartenere a mondi remoti e insondabili. Così sorprende l'arrivo di un volume ricco di informazioni e dati statistici su otto città-campione: Parigi, Londra, Stoccolma, Stoccarda, Zurigo, Lione, Bordeaux, Barcellona. E' il frutto di una ricerca svolta dalla Fiat, con il contributo del Centro Studi sui Sistemi di Trasporto. Primo insegnamento: le amministrazioni locali che hanno ottenuto i risultati migliori si erano mosse con decenni di anticipo sulle nostre, secondo strategie di grande respiro che abbinavano la pianificazione del territorio a quella dei trasporti. Vedi Parigi: Piano Metropolitano del 1961, «Schema Directeur» del 1977, decentramento, «Villes Nouvelles» e rete ferroviaria regionale. L'espansione attorno alla capitale era caotica, Parigi stava per cadere in uno stato simile a quello di Roma. «Mettez moi un peu d'ordre dans cette pagaille», mettete un po' di ordine in questo caos, avrebbe detto De Gaulle, alludendo in argot alla magmatica conurbazione che minacciava di soffocare la capitale. Oggi Parigi funziona come un orologio, al confronto con Roma, pur avendo lo stesso rapporto numerico tra abitanti e automobili. Ben 21 milioni circolano nell'Ile de France, la Regione che comprende l'area metropolitana di Parigi. Sul cuore dell'area, la «Ville de Paris» popolata da poco più di due milioni di abitanti, gravitano i sobborghi, le cinture e le città- satelliti (complessivamente quasi quattro milioni di abitanti) più le cinque «Villes Nouvelles» costruite nel raggio di trenta chilometri. Il sistema non è perfetto, ma funziona grazie ai trasporti pubblici su rotaia. Le linee Rer (Reseau Express Regionel) si estendono per 370 chilometri, con 161 stazioni. Collegate alla metropolitana sotterranea (110 stazioni nel cuore urbano) trasportano oltre due miliardi di passeggeri-anno. Ogni dieci minuti si parte dalla Ville Nouvelle di Cergy Pontoise (umiliante il confronto con i grandi quartieri periferici di Roma, Napoli, Genova) e si arriva rapidamente in centro, dove gli spostamenti avvengono al 70 per cento su mezzi pubblici. Chi continua a usare l'automobile trova parcheggi accanto alle stazioni del metro, con decine di migliaia di posti-auto in continua moltiplicazione. Nei parcheggi di interscambio ai bordi della città, Parigi offre una disponibilità dieci volte superiore a quella di Roma. Emerge dall'inchiesta una diversità profonda, di natura politica e culturale, nella considerazione dei problemi urbanistici strettamente uniti a quelli dei trasporti e collocati ai primi posti nella scala delle priorità. A Zurigo vennero sottoposti ai cittadini una serie di referendum. Già trent'anni fa la maggioranza decise di rinunciare al metro sotterraneo e di potenziare i tram. Oggi, all'interno della città antica, l'automobile è usata soltanto per il 12% degli spostamenti; 117 chilometri di tranvie veloci, su sedi separate, si integrano con autobus e filobus, con ferrovie suburbane a ritmo cadenzato. Nella «Grande Zurigo», 890 mila abitanti, il mezzo privato conta per il 23%, quello pubblico per il 38%. Il 34% dei residenti e pendolari si muove a piedi o in bicicletta, perché esistono chilometri di piste riservate e perché chi arriva da fuori trova abbondanza di parcheggi ai bordi (i posti-auto aperti al pubblico sono 141 mila). Ridotti drasticamente, da 61 mila a 10 mila posti, i parcheggi ai lati delle strade comunali. Stoccolma è una città-modello (un milione e 600 mila abitanti nella conurbazione, 650 mila nella città interna). Ogni giorno quasi due milioni di persone si muovono dalla periferia e dalle bellissime città-satelliti, ricche di verde e di servizi, grazie a un sistema di ferrovie regionali, metro (116 chilometri e 90 stazioni) tranvie e linee di bus su corsie preferenziali. Nelle ore di punta alla stazione centrale arriva un convoglio al minuto. Benché gli svedesi non abbiano affatto rinunciato all'automobile, all'interno della città il mezzo pubblico ha la quota del 70%. Dopo lunghe discussioni pubbliche, è stato deciso di introdurre il pedaggio urbano: far pagare l'ingresso nel centro, secondo tariffe che tengono conto del tipo di automobile, più o meno inquinante. Sistema adottato da anni in città norvegesi, e tuttora considerato in Italia con scarsa convinzione. Nelle otto città esaminate sono avvenuti fenomeni simili a quelli che hanno segnato le grandi città italiane: esplosione verso l'esterno, crescita del pendolarismo e della mobilità interna, congestioni del traffico e inquinamenti. Le amministrazioni di Londra, Parigi, Stoccolma, avevano però anticipato i tempi adottando negli Anni Sessanta piani di decentramento e programmi di potenziamento dei servizi di trasporto collettivo, puntando principalmente sulla rotaia. Va osservato che la densità automobilistica è altissima, più o meno quella italiana. Ma nei casi migliori si è riuscito a limitare l'uso del mezzo privato in città offrendo ottime altenative e assicurando la possibilità di lasciare l'automobile in parcheggi situati ai bordi. Nello stesso tempo è stata resa più severa l'azione di scoraggiamento della sosta ai lati delle strade: sulla «Rco Routes» di Londra, strade segnate da strisce rosse, sono vietate la sosta e la fermata. I trasgressori trovano le ruote dell'automobile bloccate. Nelle città di minori dimensioni che hanno somiglianze più marcate con le nostre, come Lione e Barcellona, sono in corso esperimenti interessanti per migliorare l'accessibilità ai centri storici, ad esempio con linee-navetta servite da minubus o tram. A Lione viene introdotta la novità del «Batobus», linea sul Rodano con speciali catamarani, raccordata alla metropolitana. A Barcellona (1.700.000 abitanti) i fondi straordinari ottenuti per le Olimpiadi sono stati spesi in buona parte per potenziare le ferrovie suburbane collegate alle linee sotterranee (59 km e 88 stazioni), migliorare la viabilità di scorrimento, costruire parcheggi periferici (10 mila posti funzionali allo scambio col metro). E' in programma una quinta linea di metro, di tipo leggero, lunga 11 chilometri. Se ripensiamo ai fiumi di denaro spesi malamente per le Olimpiadi di Roma, per i Mondiali di calcio e le Colombiane, e alla difficoltà di trovare almeno i soldi per sostituire i vecchi autobus inquinanti con quelli elettrici o ibridi, il confronto europeo segna la condanna del tipo di cultura che ha radicato nella nostra società un atteggiamento di sorda indifferenza per il destino delle città. Mario Fazio


CLIMA Ondata di gelo tutto normale
Autore: COLACINO MICHELE

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA

L'ONDATA di gelo che ha investito nei giorni scorsi il nostro Paese, dopo che il 1994 che è risultato l'anno più caldo dell'ultimo secolo, ha innescato i soliti commenti sul modificato andamento del clima: si è parlato anche di «ribaltone» climatico, riferendosi al fatto che il Sud è stato coperto da una spessa coltre di neve mentre al Nord, particolarmente nelle regioni alpine di Nord Est, le nevicate, malgrado il freddo intenso, si sono verificate in misura ridotta o sono del tutto mancate. In realtà la situazione, anche se non frequente, è del tutto nella norma: il repentino passaggio dalle temperature miti e dalla pioviggine, che hanno caratterizzato il periodo tra Natale e Capodanno, al freddo e alla neve è dovuto al formarsi di una depressione molto profonda, denominata in gergo tecnico «bomba» meteorologica. Con questo termine si indicano quelle depressioni la cui velocità di approfondimento supera i 20 hPa/giorno. Si tratta di eventi abbastanza rari, come indicano le statistiche in merito, dalle quali si deduce che negli ultimi trent'anni il numero di questi eventi è oscillato da un minimo di uno a un massimo di sette per anno. La formazione di queste depressioni si verifica nel giro di poche ore e sempre e solo sul mare. Nel Mediterraneo le zone ciclogeneticamente più attive risultano essere il Mare Balearico, i bacini del basso Tirreno e dello Jonio e il Mare Egeo. La «bomba» in questione si è formata inizialmente sul Mar Tirreno meridionale, per spostarsi poi rapidamente sullo Jonio. Tenendo presente che nei cicloni la circolazione atmosferica è antioraria, è facile intuire come questo vortice, facendo incontrare l'aria fredda proveniente dai Balcani con l'aria più calda e umida proveniente dai quadranti meridionali, abbia determinato fenomeni di intense e abbondanti precipitazioni nevose in quelle regioni, che in genere si pensa siano sempre soleggiate in una sorta di perenne primavera, e abbia escluso le regioni del Nord, dove arriva l'aria fredda da Est ma non l'aria umida da Sud. Come per tutte le bombe meteorologiche, anche questa si è esaurita in un periodo abbastanza breve, e al suo posto è subentrato un campo depressionario che può prolungare la fenomenologia registrata nei giorni scorsi, anche se con manifestazioni di minore intensità. Si tratta in ultima analisi di una situazione meteorologica che poco o nulla ha a che vedere con il manifestarsi o no di cambiamenti del clima: proprio eventi di questo genere devono far riflettere sulla prudenza necessaria per valutare i diversi fenomeni meteoclimatici prima di emettere sentenze definitive su possibili modifiche climatiche. Occorre, infatti, fare una precisa distinzione tra la variabilità del clima e il suo possibile cambiamento. La prima è dovuta a fluttuazioni, positive e negative, su scale di tempo che vanno dai giorni, ai mesi, agli anni in un sistema sostanzialmente stabile. Con questo si intende dire che, analizzando gli andamenti sul lungo periodo, le oscillazioni in più o in meno tendono a compensarsi e il valore medio dei parametri che definiscono il clima (temperatura, precipitazioni, umidità, ecc. ) rimane praticamente costante. Il cambiamento è costituito sempre da uno scostamento dai valori medi, che si presenta però con un segno ben definito e che, valutato su periodi di tempo lunghi (decenni o multipli di decenni), può essere indicativo di una reale alterazione del regime climatico. Tanto per esemplificare, le oscillazioni interannuali della temperatura sono manifestazioni tipiche della variabilità, mentre l'aumento di 0,5 C, registrato a partire dal secolo scorso a scala globale potrebbe essere indice di una possibile modifica. La differenza tra variabilità e cambiamento è evidente, oltre che sulla scala dei tempi, anche su quella spaziale: infatti le fluttuazioni del clima, dovute alla sua variabilità, possono presentarsi in modo difforme passando da una zona all'altra del pianeta. Ragionando invece di modifiche climatiche, queste, per essere tali, devono coinvolgere l'intero pianeta: l'esempio più significativo deriva proprio dalla ricostruzione del clima nell'ultimo milione di anni. Come è ben noto, il globo ha oscillato tra fasi glaciali e interglaciali con una periodicità di circa centomila anni. Questo andamento è stato ottenuto a partire dai dati delle analisi del rapporto isotopico tra 018 e 016 su campioni provenienti da bacini oceanici dell'emisfero sia australe sia boreale. In tutti i campioni analizzati, qualunque fosse il bacino di provenienza, gli andamenti erano concordi indicando quindi che l'effetto di raffreddamento o riscaldamento si verificava contemporaneamente su tutta la Terra. In definitiva, quindi, è bene evitare valutazioni affrettate, dato che la natura ci presenta una grande varietà di situazioni, e solo una indagine accurata, paziente e prolungata nel tempo può consentire di trarre conclusioni non azzardate e meritevoli di attenzione. Michele Colacino


YOGURT Bacilli di lunga vita Proprietà disinfettanti, quasi da antibiotico
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Procedimento di produzione dello yogurt, Composizione di un vasetto di yogurt naturale da 125 grammi

LO yogurt ha dietro di sè una storia millenaria ma nessuno è ancora riuscito a stabilire con esattezza in quale parte del mondo abbia visto la luce questa antichissima biotecnologia. Si parla spesso delle sue origini bulgare - ed effettivamente quel prodotto ha sapore e consistenza molto particolari, «primordiali». Il segreto che rende lo yogurt nutriente, digeribile e purificatore sta nella miriade di bacilli vivi che sguazzano nel latte: da 500 a 800 milioni per millilitro. E questi bacilli sono antichi come la vita. I bulgari se li portarono dietro dall'Asia, da dove migrarono diretti nei Balcani circa 700 anni prima di Cristo. In Asia questi bacilli prosperavano già da millenni, tant'è che il fermento bulgaro si chiama Maya, lo stesso termine con cui il pensiero indiano chiama la potenza creatrice. Lo yogurt ha una straordinaria proprietà disinfettante e antibiotica: 225 grammi di yogurt equivalgono a 14 unità di penicillina. I fermenti lattici devono essere vivi al momento della consumazione: per questo la conservazione non può superare i trenta giorni.


RISPARMI MIOPI Quelle forbici sulla ricerca
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA'
LUOGHI: ITALIA

TUTTE le volte che si parla di tagli al bilancio dello Stato - e purtroppo capita spesso - la scuola, l'università, la ricerca e la sanità sono le prime voci ad essere toccate. In particolare, i problemi della ricerca e della sanità, con le forti spese che l'assistenza pubblica comporta, sono strettamente intrecciati e inducono ad alcuni commenti di natura scientifica ed economica. Manca nel nostro Paese una solida cultura di ricerca e le ragioni di questa debolezza vanno ricercate nella storia culturale italiana. Proprio per questa ragione, ogni volta che vengono decisi tagli alle spese sanitarie si parte sempre dalle spese per la ricerca. Questo avviene sotto qualunque governo di qualunque Repubblica, a rafforzare il concetto che si tratti in realtà di un problema di cultura generale: da noi punire la ricerca è considerato normale. I tagli ovviamente vanno a incidere su un livello di spesa dedicata alla ricerca biomedica già ridottissimo e degno di un Paese del Terzo Mondo. Vorrei cercare di far comprendere che, lungi dall'essere un sovrappiù, investire in ricerca biomedica rappresenta un modo per ridurre le spese sanitarie. Quindi, tagliare sulla ricerca è un atto autolesionistico che nuoce al bilancio statale molto al di là del piccolo illusorio risparmio che subito si ottiene. In questo ci aiuta una lista di esempi tratti dalla storia del progresso medico. Negli Anni Trenta la tubercolosi era una malattia comune che colpiva una persona su mille, spesso in età giovanile. Di qui l'enorme investimento nella costruzione e nella gestione di sanatori, ghetti più che ospedali, atti a confinare malati per i quali allora non esisteva cura. Negli Anni Cinquanta l'uso esteso degli antibiotici, frutto della ricerca di base, sradicò la malattia e la spesa enorme per i sanatori cadde quasi a zero, anche se questi continuarono a essere costruiti e divennero inutili cattedrali. La poliomielite è un altro straordinario esempio di come la ricerca di base riuscì a debellare una malattia costosissima anche in termini sociali. Purtroppo la gente non sa o dimentica che cosa c'è al di là di una cura medica e pensa che la ricerca sia un passatempo per pochi idealisti. Ci sono altri esempi più vicini a noi e non così spettacolari che indicano il rapido avanzamento della scienza biomedica. Il trattamento delle depressioni con litio o altri farmaci, quello dell'ulcera peptica con i nuovi farmaci specifici, dei calcoli renali con farmaci acidificanti hanno ridotto enormente i costi sociali e medici di queste diffusissime malattie. Di nuovo la gente e i politici tendono a dimenticare i successi, anche economici, della ricerca biomedica e a sottovalutarne le radici profonde nella scienza di base. A fronte di successi dimenticati ci sono i problemi aperti, come il cancro e l'Aids. Anche se la medicina moderna può vantare una forte diminuzione della mortalità per cancro, resta la paura di una drammatica realtà che incombe su tutti e tiene desta l'attenzione della gente ma, purtroppo, non quella dei politici. Tagli sulla spesa pubblica di ricerca sul cancro sono stati preannunciati e andranno a diminuire ancora una quota già magra e nettamente inferiore all'iniziativa privata in questo campo cruciale. Lo stesso si prevede per l'Aids. Ci si chiede ora se questo sia un atteggiamento saggio e non piuttosto dettato da un dilettantismo incapace di valutare i rapporti tra costi e benefici insiti nella ricerca. Una visione miope del problema sostiene che i frutti della ricerca non si vedono subito e sono soprattutto difficilmente prevedibili. Un po' questo è vero, ché solo con un atto di fede si può predire una mazzata definitiva inferta al cancro o all'Aids nei prossimi dieci anni. Ma è altrettanto vero che senza investimenti non c'è nemmeno una minuscola probabilità di vincere. E' come acquistare un biglietto della lotteria; anche un solo biglietto mette in condizione di vincere ma il rifiuto ad acquistarlo esclude automaticamente chiunque da questa possibilità. Vincite imprevedibili e imprevedibili successi su mali ora poco o nulla curabili possono essere il frutto anche di minuscoli investimenti. Non sarebbe quindi logico tagliare sulla spesa sanitaria corrente mettendo al tempo stesso incentivi sulla ricerca? Una seria riforma sanitaria dovrebbe partire dall'idea che almeno l'uno per cento della spesa sanitaria globale debba essere dedicato alla ricerca, favorendo questa a tutti i livelli, dall'Università, agli ospedali, all'industria. Perché lasciare senza fiato e senza denaro un settore di sviluppo che costa in realtà pochissimo? L'obiezione che ogni atto innovativo nella medicina porti a costi aggiuntivi è contraddetta dalla riduzione di spese mediche che sono difficili da valutare in tempi brevi ma che sono il frutto ignorato della ricerca di base. Tuttavia, gli esempi sopra riportati dimostrano i potenziali vantaggi economici a lungo termine che derivano dall'investimento ricerca. Al ministro della Sanità bisogna pur dire che è giusto tagliare sulle spese improduttive ma è altrettanto giusto mettere incentivi su una medicina più avanzata, più conscia della propria capacità di progresso e, perché no, pronta a investire il costo di un biglietto della lotteria. Qualsiasi riforma della medicina che non tenga conto del valore morale ed economico dell'innovazione in termini di salute è destinata a vita grama e a sostenere costi sempre più alti. Pier Carlo Marchisio Dibit San Raffaele, Milano


LA PAROLA AI LETTORI E l'inerzia fa sobbalzare l'auto all'indietro
LUOGHI: ITALIA

Nella risposta di Marina Michelatti sul Teorema di Pitagora, sono state stampate in maniera errata le misure: la lunghezza della trave è 0;30 e non 0,30, in quanto i babilonesi usavano il sistema di misura sessagesimale. Perciò 0;30 corrisponde a 30/60, ossia al nostro 0,5. Analogamente, la seconda misura indicata è 0;60 e non 0, 60: perciò 0;6 è uguale a 6/60, ossia 0,1. Con queste notazioni inesatte, il lettore potrebbe erroneamente pensare a una ipotenusa più corta del cateto. Quando un mezzo in movimen to arresta la sua corsa, si nota una percettibile ed evidente ri sposta in senso inverso al movi mento che aveva. Perché? Per arrestare un mezzo in movimento, è necessario disporre di un dispositivo che applichi alle ruote una forza generante attrito, tale da dissipare in energia termica l'energia cinetica inerente al moto. Ovviamente questo dispositivo è il freno. Agendo sul freno, avremo quindi una decelerazione della quale ci renderemo chiaramente conto, mentre non ci renderemo conto che la forza d'inerzia del mezzo, contrastata dall'azione dei freni, genererà piccole ma apprezzabili deformazioni elastiche nella struttura del veicolo, il quale riassumerà le sue geometrie originali al momento dell'arresto, facendoci ben percepire un piccolo sobbalzo all'indietro. Bene si comportano dunque quei sensibili piloti che, per cognizione o istinto, tolgono la pressione del piede dal comando del freno un attimo prima dell'arresto definitivo, permettendo alle strutture di riprendere la loro forma originale senza il contrasto delle ruote bloccate, rendendo così inavvertibile il fastidioso fenomeno. Fabio Borsani, Verbania La risposta in senso inverso che si nota quando un mezzo si ferma è causata dalle sospensioni. Le ruote sono le prime ad arrestarsi mentre la carrozzeria, e quindi il passeggero, continua la sua corsa per un breve tratto, in quanto le sospensioni si estendono per la forza di inerzia della carrozzeria. Quando, per il loro effetto elastico, le sospensioni ritornano nella posizione di riposo, riportano indietro la carrozzeria, causando il moto inverso. Manuel Chinchio, Padova Perché la randa moderna delle barche a vela viene chiamata «Marconi»? All'inizio di questo secolo sulle grandi barche a vela da regata cominciarono a diffondersi alberi in legno molto slanciati, in un solo pezzo, che permettevano l'uso di rande triangolari il cui bordo anteriore, detto d'inferitura, si estendeva fino alla testa dell'albero. Prima dell'avvento di questi alberi, esistevano già vele triangolari, allora dette bermudiane, in cui l'angolo superiore (punto di drizza) era inviato più in alto della testa d'albero per mezzo di un picco che poteva essere issato quasi verticalmente, costituendo un prolungamento dell'albero. Ai cantieristi e deportisti dell'epoca non era parso vero di poter eliminare questo picco e la corrispondente manovra, sostituendolo con il tratto più alto dei nuovi alberi slanciati. Questi ultimi richiedevano però un particolare sartiame per controventarli. Come si può constatare ancora oggi nelle moderne barche a vela, questo sartiame ha l'aspetto delle prime antenne radio. Per questa similitudine, verso il 1920 i marinai cominciarono a chiamare la nuova attrezzatura velica con il nome di «attrezzatura Marconi». Il passaggio successivo è facile da dedurre: una volta persa di vista l'origine dell'attributo «Marconi», si cominciò a chiamare per metonimia «randa Marconi» o «vela Marconi» la randa triangolare adatta alla nuova attrezzatura e che sino ad allora era chiamata bermudiana o, all'inglese, bermudian. Pierre Saconney, Torino Le vele «Marconi» (triangolari) si sono imposte nel tempo sulle precedenti vele «auriche» (trapezoidali) soprattutto per una maggiore semplicità di manovra e di attrezzatura (che non necessita più della tipica antenna detta «picco» a sostegno della parte superiore della randa) con le conseguenti complicate regolazioni. Riccardo Maia Cairo Montenotte (Sv) Qual è il gioco d'azzardo con le maggiori probabilità di vincere? Testa o croce: 50% - 50% Antonio Tulimieri, Potenza




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