TUTTOSCIENZE 5 aprile 95


CHI SA RISPONDERE ?
LUOGHI: ITALIA

Q Com'è nata l'attuale lunghezza pressoché standard delle sigarette? E' stata calcolata in base a un'ipotetica «dose» di nicotina? Q Perché la maionese «impazzisce»? E perché si riprende se la si mischia con maionese riuscita? Q Perché si usa dire che l'invidia è verde e la fifa blu? _______ Risposte a «La Stampa-Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax numero 011- 65.68.688


LA PAROLA AI LETTORI Piede Liutprando? Ce ne sono decine!
LUOGHI: ITALIA

ANCORA il piede Liutpran do! Scrivono due lettori: Alle pur esaurienti risposte, ritengo opportuno aggiungere un altro dato. Le citate «Istorie Fiorentine» si possono datare intorno al 1306. Dalla «Cronaca di Novalesa», scritta da un ignoto monaco a metà del secolo XII a partire dal 726, rileviamo quanto segue: «Sempre in quei giorni Liut prando, re dei Longobardi, regnava saldamente sull'Italia. Si dice che egli avesse i piedi di tanta lunghezza che raggiungeva press'a poco quella di un cubito umano. La misura di questi piedi, secondo la consuetudine, si mantiene presso i Longobardi per misurare i campi anche al giorno d'oggi, in modo tale che dodici dei suoi piedi in una pertica o in una fune fanno una tavola». Questa testimonianza è importante perché ridimensiona il piede alla lunghezza di un osso dell'avambraccio. Franco Tizzani, Torino Prima della riforma sui piedi e sulle misure emanata nel 1612 dal Duca di Savoia Carlo Emanuele I, esistevano in Piemonte ben 56 tipi di Piede Liutprando tutti diversi fra di loro. Il più piccolo, quello di Rivoli, corrispondeva a 47,1 cm; il più grande, delle Valli di Lanzo, raggiungeva i 63,6. Con la riforma del 1612 il Piede Liutprando fu portato a 51,38 cm in tutti gli Stati sabaudi «al di qua dei monti». Nella successiva riforma del 1818 il suo valore fu portato a 51,44. A Milano e Pavia il Piede Liutprando è ragguagliato a 44,6. La Pertica Longobarda, di 12 Piedi Liprandi, si calcola di metri 5,3516, sicché il Piede Liprando Longobardo dovrebbe essere pari a 44,6 cm, proprio come il piede pavese e milanese. Guido Ferrero, Torino Le cellule che attuano la foto sintesi clorofilliana possiedono alcune sostanze, i pigmenti fotosintetici, che hanno il compito di eccitare gli elettroni. L'energia necessaria alla fotosintesi corrisponde alla porzione dello spettro delle radiazioni elettromagnetiche corrispondente alla luce visibile. In primavera (e autunno) la pianta ricorre ai carotenoidi, sostanze che respingono le radiazioni corrispondenti ai colori giallo e rosso. Di conseguenza foglie e fiori assumono i colori giallo e rosso. Infatti il tipico fiore della primavera è la mimosa. Igor Follini e Dario Ferrante Torino Che cos'è uno tsunami? Il termine, giapponese, viene usato nel linguaggio scentifico internazionale per indicare i maremoti. Gli tsunami corrispondono a una serie di onde, eccezionali per dimensioni e pericolosità, che possono venir generate da terremoti con epi centro in mare, da eruzioni vulcaniche o da frane sottomarine. Esse sono caratterizzate da una velocità di propagazione notevolissima (fino a 600 km/h) e sono costituiti da treni di onde che in mare aperto superano di rado i tre metri, mentre vicino alle coste, nelle baie e nei golfi possono raggiungere altezze di oltre 30 metri. Enrica Rolla, Torino Gli tsunami si verificano per lo più lungo gli archi di isole di recente formazione e lungo le coste vulcaniche. Alcuni tsunami hanno un periodo che può raggiungere i 50 minuti e tra due ondate successive il mare si ritira completamente, lasciando pesci e navi arenati sul fondo. Samantha Mortara Villanova d'Asti Perché le cose bagnate lucci cano? Quando un'onda elettromagnetica (qual è anche la luce) colpisce un corpo, può essere assorbita, riflessa (reirradiata in una sola direzione), rifratta oppure, ed è il caso più comune, «scatterata», cioè reirradiata in ogni direzione. Quando un corpo che, asciutto, scattera la luce, viene bagnato, questa prima di colpirlo deve passare attraverso l'acqua che la rifrangerà (se l'angolo di incidenza non supera il cosiddetto «angolo limite») e comunque la rifletterà, inviando all'osservatore alcuni raggi luminosi molto intensi, che egli vedrà disporsi casualmente in base alla rugosità superficiale del corpo stesso (il luccichio). Federico Deri Torino


STRIZZACERVELLO I quadrati antimagici
ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA

Si definiscono «antimagici» i quadrati numerici per i quali la somma di due numeri adiacenti qualsiasi in orizzontale oppure in verticale sia sempre diversa. Risistemare i numeri del quadrato 3X3 della figura in modo tale che le somme delle dodici possibili coppie di numeri adiacenti (orizzontali o verticali) siano tutte diverse. Ci sono complessivamente 70 soluzioni che si riducono a cinque quando si impone, come ulteriore condizione, che anche le somme delle otto coppie di numeri in diagonale siano diverse fra loro. La risposta domani, accanto alla soluzione del tempo.


NUOVA GEOGRAFIA L'Europa vuole le Alpi bucate
Autore: SORLINI ACHILLE

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, TRASPORTI
NOMI: PELLIZZA SEBASTIANO
LUOGHI: ITALIA

IN un vertice a Essen la Comunità europea ha confermato il suo impegno nella realizzazione di alcuni importanti collegamenti stradali e ferroviari per migliorare l'efficienza dei trasporti tra i Paesi comunitari e le economie emergenti dei Paesi dell'Est. In primo piano è la necessità di un rapido attraversamento della catena alpina e quindi di una serie di nuove opere di valico in galleria quali i trafori stradali del Tenda (3 chilometri) e del Mercantour (18 chilometri) e i trafori ferroviari del Moncenisio (54), del Sempione (35), del Brennero (53) e di Villa Opicina (35 chilometri). L'eccezionale lunghezza delle gallerie ferroviarie nasce dalle esigenze dei nuovi convogli: velocità di 300 km/h richiedono minime pendenze e curve molto larghe. Le linee non possono quindi salire e superare la catena alpina con gallerie «corte» come quella del Frejus (12 chilometri, in esercizio dal 1873), ma devono entrare in tunnel a bassa quota e attraversare la Alpi in profondità, con coperture di roccia di centinaia o migliaia di metri e tracciati di decine di chilometri. Il valico delle Alpi Occidentali, inserito nella tratta ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, farà parte del complesso sistema di collegamento tra il Nord Europa, la Pianura Padana, il Sud di Italia, la Grecia ed i nuovi Paesi emergenti quali Slovenia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Stati Balcanici. Una delle ipotesi per collegare Torino con Lione è quindi la realizzazione del Traforo del Moncenisio che, entrando in sotterraneo alle spalle di Susa, condurrebbe i treni sino a St-Jean de Maurienne attraverso 54 chilometri di galleria. Un'opera di tale importanza potrà comportare un gran numero di difficoltà legate all'ubicazione del tracciato, straordinariamente lungo e profondo, alla tecnologia e alla sicurezza del lavoro di scavo, allo smaltimento dei notevoli volumi di roccia scavata, alla presenza di cantieri in valle per più di sei, sette anni. Secondo Sebastiano Pellizza, del Politecnico di Torino, presidente della Società Italiana Gallerie, oggi è possibile migliorare la nostra comprensione dei problemi da affrontare e risolverli già nell'ambito della progettazione preliminare. Nel caso venga scelta la realizzazione della lunga galleria del Moncenisio, il primo problema da porsi sarà il tipo di opera da eseguire, tenendo conto della futura sicurezza di esercizio dei convogli passeggeri. Non un'unica grande galleria a doppio binario, bensì due tunnel paralleli, uno per senso di marcia, tra loro collegati da accessi trasversali. A circa metà tracciato, all'altezza di Modane, si potrà realizzare una stazione sotterranea, alternativa ad una terza galleria di servizio, per garantire la possibilità di un eventuale soccorso e smistamento dei convogli in difficoltà. La notevole profondità del tracciato, oltre 2300 metri di copertura sotto il Massiccio di Ambin, renderà difficile affrontare il lavoro di scavo da più punti, realizzando gallerie intermedie, ma dovrà essere condotto dai fronti contrapposti. Inoltre, i metodi di indagine geologica a quella profondità non consentono affidabili previsioni sulle condizioni delle rocce attraversate dalla galleria, che, in particolare sul versante francese, non si presentano in buone condizioni. I problemi maggiori potrebbero essere legati alla presenza nelle fratture della roccia di acque profonde all'elevatissima pressione di 50-60 atmosfere, come già avvenne nella galleria del Monte Bianco. E' difficile decidere se utilizzare una tecnologia di scavo tradizionale, come l'esplosivo, oppure affidarsi alle macchine di scavo integrale: i moderni «tunneler». Nella prima ipotesi, la maggiore lentezza di avanzamento e la relativa complicazione dell'organizzazione del lavoro saranno compensate dalla maggiore flessibilità del metodo, capace di superare qualsiasi difficoltà. Per contro, lo scavo integrale garantirebbe una esecuzione molto più rapida e la semplificazione delle operazioni di cantiere, anche se la mancanza di informazioni geologiche precise rappresenta un forte rischio. Non sono ancora disponibili macchine in grado di superare qualunque difficoltà naturale, nonostante il continuo progresso in questo settore. Dal punto di vista ambientale, il problema più vistoso è rappresentato dalla «messa a discarica» della roccia estratta che, globalmente, ammonta a più di sei milioni di metri cubi di materia da movimentare, di cui la metà sul versante italiano. Una parte potrà essere impiegata per opere accessorie, come rilevati stradali, ferroviari ed inerti per calcestruzzi, mentre si ipotizza che la maggior parte sarà sistemata sul territorio, anche a bonifica di aree alluvionabili, innalzandone la quota attuale. Superate queste difficoltà, la galleria unirà al vantaggio di un trasporto più rapido per viaggiatori e merci, quello di una riduzione dell'inquinamento dovuto al traffico pesante stradale. Achille Sorlini


LA GOBBA DEL DROMEDARIO Il segreto antisete Il vero problema è mangiare, non bere
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Nel caldo del deserto, la capacità di adattamento del dromedario alle condizioni ambientali del deserto

I dromedari possiedono due caratteri peculiari: l'assenza di corna e la presenza di zampe che terminano in due sole dita (in origine ne possedevano altre due). Queste dita terminano in unghie che formano una caratteristica sorta di suola collosa, larga ed elastica, adattissima per la progressione sulla sabbia dei deserti o lungo passaggi accidentati e sdrucciolevoli. Lo stomaco presenta notevoli diversità rispetto a quello dei ruminanti, in quanto presenta tre sole cavità, tra le quali un rumine privo di villi ma munito, sulle pareti, di cavità sacciformi, dette celle acquifere, che consentono all'animale di bere a notevoli intervalli di tempo.


GIORNATA MONDIALE DELLA SANITA' Polio, la guerra continua Quarant'anni fa il primo vaccino
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: SALK JONAS, SABIN ALBERT
ORGANIZZAZIONI: OMS
LUOGHI: ITALIA

QUARANT'ANNI fa, nel 1955, iniziava la vaccinazione antipolio. Il vaccino era stato preparato da Jonas Salk, che lavorava in un laboratorio di Pittsburgh: virus ucciso mediante formalina, somministrabile con iniezione. Seguì nel 1961 il vaccino preparato da Albert Sabin in un laboratorio di Cincinnati: virus vivo attenuato, somministrabile per bocca. La polio era un flagello. Nel mondo i casi erano centinaia di migliaia all'anno e si calcolava che ci fossero 12 milioni di paralitici a causa dell'infezione. In Italia i casi erano 5-6 mila all'anno nel 1956, quando arrivò il vaccino Salk (la vaccinazione fu resa obbligatoria nel 1959), ed erano ancora 2-3 mila quando fu distribuito nel 1963 il Sabin, il cui uso divenne obbligatorio nel 1966. Già a metà degli Anni 70 i casi di malattia erano ridotti a poche unità, oggi non se ne hanno più. Attualmente l'85% dei lattanti nel mondo è vaccinato. Si conosce il numero dei casi notificati nel 1993 dai 189 Stati membri dell'Oms (Organizzazione mondiale della sanità): 9164, il che rappresenta una diminuzione del 74% in confronto agli oltre 35 mila notificati nel 1988. Non essendo però possibile conoscere tutti i casi nel mondo, si presume che ancora 115 mila bambini siano colpiti. Nelle Americhe, nell'Europa occidentale e centrale, nell'Africa del Nord, orientale ed australe, nel Medio Oriente, in sostanza in 145 dei 189 Stati sopraddetti il virus è scomparso, con ciò intendendo non soltanto l'assenza di casi di malattia ma anche la ricerca del virus con esami di laboratorio (il virus è ospite dell'intestino). L'Africa occidentale e centrale e l'Asia del Sud rimangono i principali serbatoi del virus. Nel 1993 circa due terzi dei casi di malattia furono segnalati in Bangladesh, India e Pakistan, e il 10% nell'Africa occidentale e centrale. Dopodomani, venerdì 7 aprile, è la Giornata mondiale della sanità, che si celebra annualmente. Quest'anno lo slogan è «Un mondo senza polio». Una meta dell'Oms è che l'anno 2000 sia quello della scomparsa della polio. Con l'Oms collaborano il Rotary, l'Unicef, banche internazionali, alcuni governi. Occorre avere il vaccino (10 miliardi di dosi) e distribuirlo, controllare la diffusione del virus. Si calcola che l'impegno finanziario per i prossimi cinque anni sia di oltre 800 milioni di dollari. Si sono fatte grandi campagne promozionali. Un solo esempio: la più vasta vaccinazione di massa è avvenuta in Cina nel gennaio 1994, in due giorni 83 milioni di bambini minori di 4 anni ricevettero una dose di vaccino. Nel 1990 la Cina rappresentava circa il 25% di tutti i casi di polio segnalati nel mondo, nel 1992 meno dell'8%. Nonostante questi e altri dati confortanti, la stessa Oms ammette che lo sradicamento mondiale della polio, obiettivo dell'anno 2000, è lungi dall'essere assicurato. C'è un precedente, lo sradicamento del vaiolo, scomparso nel 1977 grazie anch'esso ad un'intensa campagna di vaccinazione, ma le condizioni sono diverse. Il vaccino antivaioloso si manteneva stabile anche in clima tropicale mentre quello di Sabin richiede una catena del freddo; dell'antivaioloso era sufficiente una dose, mentre dell'antipolio ne occorrono 3 o 4. Inoltre in questo momento ci sono guerre, instabilità politiche, rivolgimenti sociali che in parecchi Paesi hanno reso impossibili le vaccinazioni. L'avvenire non è roseo. Ulrico di Aichelburg


CONFERENZA SUL CLIMA DI BERLINO Effetto serra, sono finite le scuse Serve un geo-teologo che insegni l'etica planetaria
Autore: CANUTO VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IL nostro passerà alla storia come il secolo delle grandi scoperte in fisica, astronomia e biologia. E' esaltante pensare che la famiglia umana ha superato la barriera dell'infinitamente piccolo con le leggi della meccanica quantistica, svelato il segreto del Dna e scoperto che l'universo si sta espandendo. Ma in altri campi il trionfalismo è fuori luogo. «L'umanità sta portando a termine un esperimento perverso e incontrollato», si disse alla Conferenza di Toronto del 1988. L'effetto serra - ci sta ricordando la Conferenza in corso a Berlino - e tutti i suoi tristi corollari, aumento dell'intensità e frequenza di alluvioni, uragani, siccità sono in gran parte dovuti al consumo di combustibili fossili. Tanto per quantificare, l'umanità brucia annualmente una quantità di combustibile fossile pari a quello che la natura formò in un milione di anni! Dovremmo concepire l'ambiente come una Banca che appartiene all'umanità: il capitale è la capacità di assorbimento dell'atmosfera. Dall'inizio della rivoluzione industriale, le emissioni di poche nazioni ne hanno consumato 10 volte di più di quanto abbia consumato il resto del mondo. Le alterazioni climatiche che causiamo sono tanto più preoccupanti in quanto avvengono a distanza: le attività di una nazione in un punto del pianeta possono ripercuotersi su un Paese dall'altra parte del globo, Paese dal quale si è divisi non solo dalla distanza fisica, ma da tradizioni, costumi, cultura, sviluppo sociale, religione. E' forse questo il modo di finire questo secolo di successi, con un esperimento perverso? Chi poteva immaginare che bruciare carbone in Europa può far sparire le Isole Maldive sotto un oceano gonfiato dall'espansione termica causata dall'effetto serra antropogenico? Ma allora, poiché abbiamo individuato il nemico e il nemico siamo noi, chi ci salverà da noi stessi? Non dobbiamo cadere vittime della separazione baconiana tra i valori scientifici e quelli etici. Abbiamo bisogno di entrambi. Scienza e tecnologia facilitano il nostro compito, ma non motivano le nostre attività. Abbiamo bisogno di un bagaglio etico. L'ambiente non è nostro, l'abbiamo ricevuto in dotazione dalle generazioni passate con il tacito impegno che l'avremmo trasmesso alle generazioni future se non migliorato, quantomeno nelle stesse condizioni in cui lo abbiamo ricevuto. Abbiamo fallito, perché abbiamo già deprezzato la nostra aliquota di capitale ecologico. La scusa canonica che le ingiurie all'ambiente dei decenni passati furono inconsapevolmente causate dalla giustificata aspirazione a un miglioramento generale della società, non è più valida. Sono finite quelle che Sir Ramphal ha caritatevolmente chiamato «azioni non corrotte da malizia». Le scuse sono finite perché è finita l'ignoranza. Oggi conosciamo le conseguenze delle nostre azioni perché le quantifichiamo dallo spazio. Ghandi disse che la Terra ha abbastanza risorse per i bisogni dell'uomo ma non abbastanza per la sua cupidigia. Abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare, di una nuova etica, di un'etica della Terra, come disse Strong, segretario della Conferenza Mondiale di Rio del 1992. Dobbiamo abbandonare il punto di vista kantiano secondo cui la natura è una collezione di forze irrazionali che dobbiamo soggiogare, poiché le conseguenze di tali azioni sono anche troppo evidenti. Il 60 per cento della popolazione della Terra vive in aree dove le fonti energetiche a cui noi siamo abituati non arriverà forse mai. Tali popolazioni, è prudente assumere, aumenteranno. Quale sarà il loro destino se i popoli, le nazioni industriali non vengono loro incontro? Useranno l'antica risorsa a loro disposizione, la biomassa, il che significa la distruzione delle foreste tropicali, lo scrigno in cui si conserva la più grande diversità biologica della Terra, forse 20 milioni di specie, da cui deriviamo più del 40 per cento di tutti i nostri medicinali. Il biologo di Harvard, E. O. Wilson, ha commentato con amarezza che distruggere queste cattedrali verdi è come bruciare un quadro del Rinascimento per scaldarci la cena. Abbiamo bisogno di una nuova persona, un «geo- teologo», un geologo-teologo che ci insegni etica e igiene planetaria. Vittorio M. Canuto Nasa, Goddard Institute for Space Studies - New York, N. Y.


IGUANE DELLE GALAPAGOS Nidi in fondo al cratere Ci dev'essere un errore
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ETOLOGIA
NOMI: DE ROY TUI
LUOGHI: ITALIA

L'ABBIAMO vista tante volte nei documentari, la tartaruga marina che va a deporre le uova in terraferma. Esce dal mare nottetempo e faticosamente s'inerpica su per la spiaggia facendo leva sulle pinne, che sono propulsori efficientissimi nel nuoto e diventano mezzi di locomozione terribilmente goffi e inefficienti sul terreno. Deve superare la battigia e raggiungere la sabbia asciutta. Finalmente localizza il posto adatto e incomincia a scavare e scavare, con le zampe posteriori. Fa una buca ben profonda e vi fa scivolare dentro il suo carico di uova, poi vi getta sopra, a colpi di pinne, la sabbia rimossa. La buca viene riempita e del nido non rimane traccia alcuna. A questo punto la tartaruga ripercorre in senso inverso il cammino che la riporta in mare. Mamma coccodrillo fa di più. Anche lei cerca un posto soleggiato almeno una decina di metri lontano dal fiume e vi scava una buca profonda dove deporre le uova, poi ricopre la buca. Ma non si allontana. Rimane nei paraggi per circa tre mesi, senza prendere cibo, per sorvegliare il nido ed evitare che venga saccheggiato dai predoni. Tartarughe e coccodrilli affidano entrambi l'incubazione delle uova al calore solare. Ma non tutti i rettili si comportano allo stesso modo. Tui De Roy, fotografa e naturalista che vive da 35 anni nelle Galapagos, ci svela che le iguane terrestri dell'isola Fernandina, la più occidentale del famoso arcipelago, hanno scelto come incubatrice ideale per le loro uova proprio il caldissimo cratere vulcanico dove la temperatura si mantiene costantemente elevata e non subisce le escursioni diurne, cioè la notevole differenza di temperatura tra giorno e notte. L'isola Fernandina, con la sua aspra natura vulcanica, sembra riproporre il paesaggio primordiale delle antiche ere geologiche. Le frequenti eruzioni plasmano e alterano continuamente la conformazione di gran parte dell'isola. Come disse Darwin quando visitò le Galapagos un secolo fa, «sembra di essere trasportati indietro nel tempo e nello spazio a quel grande evento - il mistero dei misteri - che fu la prima comparsa di esseri viventi sulla terra». In questa atmosfera quasi irreale prosperano le iguane terrestri (Conolophus subcristatus), le grosse lucertole endemiche delle Galapagos, che si nutrono di cactacee, divorandone perfino le spine. Ma incredibilmente dentro il cratere ferve la vita sotto diverse forme. Tui De Roy se ne rende conto inerpicandosi più volte, a distanza di anni, su per le pareti esterne del vulcano e ridiscendendo poi all'interno del cratere. Un'impresa davvero ardua, se si pensa che le pareti sono estremamente friabili. Giunta al fondo del cratere, la ricercatrice scopre un lago dall'acqua ricchissima di sali minerali e di alghe microscopiche, che ospita una miriade di insetti acquatici. E, per quanto il cratere sembri un paesaggio lunare assolutamente brullo e privo di vegetazione, nell'aria volteggiano innumerevoli libellule e le rive del lago sono piene di ragnatele, segno evidente della presenza di ragni. L'anno seguente la studiosa ritorna sul posto una settimana dopo un'eruzione e trova che la lava ha portato la temperatura del lago all'ebollizione, cancellando ogni forma vivente. Qualche anno dopo, altra escursione. La scena è cambiata. Di nuovo l'acqua pullula di vita ed ecco uno spettacolo inatteso: centinaia di iguane con l'addome gonfio di uova, dopo aver risalito faticosamente i fianchi del vulcano, altrettanto faticosamente ne discendono le pareti interne. Arrivate al fondo ancora ben caldo, si contendono furiosamente i posti migliori dove nidificare. Poi si danno febbrilmente a scavare, incuranti del calore. Ciascuna di loro deposita nel nido ventitrè uova lunghe poco più di cinque centimetri, poi riempie la buca. Ma non si allontana. Rimane lì per parecchi giorni a sorvegliare che nessun predatore si avvicini alla culla. Queste iguane vengono da lontano. La maggior parte ha percorso parecchi chilometri per arrivare alla base del vulcano, si è arrampicata per oltre millecinquecento metri ed è discesa per quasi altrettanti per raggiungere il fondo del cratere. Poi, stanche, smagrite, ricoperte di cenere, con gli artigli consumati dal tanto scavare, le iguane madri ripercorrono lo stesso cammino in senso inverso. E' troppo lungo il periodo d'incubazione. Devono passare tre mesi e mezzo prima che i piccoli siano pronti a nascere. Quando finalmente le iguane neonate sbucano fuori dai nidi, stuoli di falchi delle Galapagos piombano dall'alto per catturarle. I piccoli rettili hanno ben poche probabilità di sfuggire allo sterminio. Non c'è un filo d'erba dietro cui nascondersi. Sbattono da un sasso all'altro cercando di salire, ma debbono affrontare quasi millecinquecento metri di ascesa in verticale prima di raggiungere una copertura vegetale. Ora viene spontanea la domanda. Come mai la popolazione delle iguane di Fernandina si sobbarca tanti disagi, si espone a tante perdite provocate dalle eruzioni e dalla predazione, pur di nidificare nell'interno di un vulcano attivo, mentre le iguane delle altre isole nidificano in prossimità delle coste umide? Qui possiamo procedere soltanto per supposizioni. E Tui De Roy fa notare che il vulcano di Fernandina ha dormito per parecchie migliaia di anni. Si è risvegliato solo in tempi recenti. Può darsi che durante il lungo periodo di sonno le iguane, vista l'assenza di spiagge sabbiose, abbiano scelto proprio quel monte, allora ricoperto di fiorente vegetazione, come il miglior posto per nidificare. Poi, siccome i rettili hanno tendenza a deporre le uova sempre nello stesso luogo in cui sono nati, la migrazione si è protratta nel tempo. Nelle circostanze attuali è diventata indubbiamente antieconomica dal punto di vista del rendimento. Così può darsi che le future generazioni saranno costrette ad abbandonare le vecchie abitudini. Ma, ammesso che l'ipotesi sia attendibile, quanto tempo ci vorrà perché ciò avvenga? Non lo sappiamo. I tempi dell'evoluzione sono lunghi e la vita di un uomo troppo breve per poterne vedere il risultato. Isabella Lattes Coifmann


SCOPERTA La Via Lattea ha un'altra cugina Si allarga la famiglia della nostra galassia
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Galassia «Dwingeloo»

NELLE notti limpide il cielo è solcato da uno splendido fiume di stelle: la Via Lattea, la nostra galassia. Il braccio della spirale in cui siamo immersi copre un quinto della volta celeste e, costituito com'è in gran parte da nubi di gas e di polveri, nasconde ciò che si trova oltre una distanza di 10 mila anni-luce. Non è un caso che gli oggetti extragalattici conosciuti si distribuiscano in cielo al di fuori del disco della nostra galassia. Una ricerca di galassie anche nelle regioni occultate dalla Via Lattea ha avuto inizio recentemente presso il radiotelescopio di Dwingeloo, in Olanda, dotato di un'antenna parabolica di 25 metri di diametro. Infatti le nubi di polveri e di gas, che assorbono la luce alle frequenze visibili, lasciano invece passare le onde radio. Alla lunghezza d'onda di 21 centimetri gli astrofisici hanno iniziato una ricognizione su piccole regioni di cielo separate l'una dall'altra di 0,4°. In pochi mesi sono già riusciti a scovare una nuova galassia, subito battezzata con il nome Dwingeloo 1 (o Dw1: il numero sottolinea l'auspicio che sia solo la prima di una lunga serie). Quattro misure adiacenti hanno suggerito la presenza di un oggetto esteso, ipotesi poi confermata dal radiotelescopio di Westerbork. Il telescopio ottico inglese «Newton», installato alle Canarie, è poi riuscito a rivelare l'immagine nel visibile di Dw1, mettendone in evidenza la forma a spirale barrata. Studi successivi hanno permesso di valutare alcuni parametri fisici della galassia appena scoperta. La sua massa dovrebbe essere pari a circa un terzo di quella della Via Lattea, e la sua distanza di circa 10 milioni di anni-luce. Non appartiene quindi al Gruppo Locale, di cui fanno parte la Via Lattea e M31, la galassia di Andromeda lontana 2 milioni di anni-luce, mentre è lecito pensare che si tratti di un membro del Gruppo di Maffei, formato dalle galassie Maffei 1, Maffei 2 e IC 342, poste a una distanza comparabile e separate da Dw1 di pochi gradi. La scoperta di Dw1 è importante per le conseguenze della sua presenza sulla dinamica galattica. L'universo si sta espandendo: tutti gli oggetti a grande scala come le galassie e gli ammassi di galassie, si stanno allontanando gli uni dagli alri. Non fa eccezione il Gruppo di Maffei, in allontanamento dal Gruppo Locale con una velocità fra 136 e 258 chilometri al secondo. Tuttavia M31 e la Via Lattea si stanno avvicinando una all'altra alla velocità di 120 chilometri al secondo. Questo moto di avvicinamento locale suggerisce che le rispettive masse siano maggiori di quanto si potrebbe pensare sulla base delle osservazioni della materia visibile, e implica la presenza di un alone galattico di materia oscura che giustifichi il comportamento dinamico del Gruppo Locale. Ricostruendo il moto della galassia di Andromeda si è trovato che nel momento in cui iniziò ad avvicinarsi alla Via Lattea, invertendo così il processo di espansione, essa era a metà strada fra essa e il Gruppo di Maffei. La presenza di Dw1 fa sì che la massa globale di quest'ultimo sia maggiore di quanto si supponesse finora, e quindi il suo influsso gravitazionale attrattivo su M31 più intenso. Di conseguenza, se la Via Lattea è riuscita a opporsi efficacemente ad esso costringendo la galassia di Andromeda a interrompere il suo moto di allontanamento, anch'essa deve possedere una massa maggiore del previsto. La correzione da apportare alla stima delle masse galattiche dopo la scoperta di Dw1 è piccola in confronto a quella che sarebbe necessaria per giustificare l'ipotesi che l'universo sia «chiuso». Tuttavia la ricerca di galassie nascoste dietro la Via Lattea prosegue, ed è possibile che nuove scoperte conducano a una radicale revisione del valore della massa del Gruppo Locale. Marco Cagnotti


TELEMATICA Scienziati in una rete mondiale
Autore: GIORCELLI ROSALBA

ARGOMENTI: INFORMATICA, COMUNICAZIONI
NOMI: PAULING LINUS, WATSON JAMES, CRICK FRANCIS, GALLINO LUCIANO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Convegno: «Ricerca e comunicazione nell'età telematica»

LA rete telematica mondiale dedicata agli scienziati si chiama Www, World Wide Web, letteralmente «ragnatela internazionale» di comunicazione. Le prospettive della comunicazione scientifica sono state discusse a Venezia nel convegno «Ricerca e comunicazione nell'età della telematica» organizzato da Telecom Italia, aperto con il racconto di un caso esemplare di storia della scienza. Nel 1952 Linus Pauling, chimico, conduceva in California i suoi studi sulla struttura del Dna; scrisse un articolo sull'osservazione di una serie di immagini a raggi X di filamenti di acido nucleico, e inviò una copia del manoscritto ai colleghi-concorrenti James Watson e Francis Crick a Cambridge; Pauling però aveva commesso un errore che fu nuova fonte di ispirazione per Watson e Crick: con il loro modello a due eliche, che descrissero su Nature, vinsero il Nobel. Questo processo di conoscenza, nella «città planetaria delle reti» di oggi avrebbe contenuto gli stessi elementi ma in forma diversa, come spiega Luciano Gallino, dell'Università di Torino: «La conoscenza scientifica si costruisce su segni generati e mediati dagli strumenti, interpretati e discussi nei laboratori: oggi possiamo trovare scienziati seduti intorno a un tavolo oppure collegati in rete. Gioca una parte notevole la "corporeita"', la costruzione di modelli: Watson e Crick usarono palline di plastica e bastoncini di legno, oggi avrebbero potuto collegarsi a un laboratorio di simulazione e servirsi di un programma di realtà virtuale per generare il loro modello tridimensionale. La comunità scientifica è un gruppo sociale che comunica tramite una rete di relazioni. Una rete che si infittisce, con grandi potenzialità». La fisica ha un grosso ruolo nella richiesta e nello sviluppo di nuove tecnologie per la comunicazione: non è un caso che Www sia nata al Cern di Ginevra, dove ci si accorse di quanto fosse difficile leggere la grande massa di risultati scientifici internazionali perché presentati nelle forme più diverse a seconda dei gusti degli autori. E' stato così messo a punto un programma che riconduce quest'informazione a una forma più omogenea e leggibile. Si stanno elaborando metodi per superare i problemi di protocolli e aumentare l'ampiezza delle bande di trasmissione (quindi velocità e quantità di informazione viaggiante) per creare una rete attraverso la quale, per rapidi passaggi successivi, sia possibile ad esempio raggiungere da un centro di ricerca italiano un analogo punto giapponese. La situazione in realtà rischia di scappare di mano perché Www ha favorito un'enorme produzione di documenti. «Altro che rivoluzione inavvertita», dice Enzo Valente, dell'Istituto nazionale di fisica nucleare di Roma: «Il traffico sulle reti di calcolo va verso la congestione perché la collaborazione scientifica sta crescendo di un fattore 20 ogni vent'anni: nel 1970 i gruppi collegati di ricerca nella fisica erano 25, oggi sono circa 700 e saranno presto duemila». In Italia tutti i dipartimenti universitari di fisica e gli istituti del Cnr sono connessi al Cern; i principali laboratori europei sono interconnessi nella rete EuropaNet; esistono poi collegamenti tra EuropaNet e Stati Uniti (Princeton); Stati Uniti e Giappone; EuropaNet, Russia e Paesi dell'Est (Joint Institute for Nuclear Research, Dubna). Il salto di qualità per l'Italia è un progetto dal nome provvisorio Ten-34, sottoposto a Telematics e Esprit, progetto speciale del Quarto Programma Quadro comunitario: vuol favorire le interconnessioni ad altissima velocità, a 34 e poi 155 Mbit/s tra le reti di ricerca europee sia tra di loro (EuropaNet) che con gli Usa. Con collegamenti utilizzabili anche da altri Paesi. Il costo dell'intero progetto per EuropaNet è di 70 milioni di Ecu. Trattandosi di una rete a scopo scientifico, non commerciale, la sua esistenza sarà condizionata dalla collaborazione con i fornitori pubblici di reti (le varie Telecom nazionali). Per l'Italia si tratterebbe di adeguare i collegamenti tra EuropaNet e Garr, la rete italiana (Gruppo Armonizzazione Reti per la Ricerca), costituita da università e centri di ricerca. Rosalba Giorcelli


PER UN PROCESSO CHIMICO Continua la lenta agonia delle pellicole Già perduta quasi la metà dei film girati prima del 1950
AUTORE: G_V
ARGOMENTI: CHIMICA, TECNOLOGIA
NOMI: PINEL VINCENT
LUOGHI: ITALIA
NOTE: CENTENARIO DEL CINEMA. LANTERNE MAGICHE E MACCHINE DEL PRE-CINEMA TEMA: CENTENARIO DEL CINEMA. LANTERNE MAGICHE E MACCHINE DEL PRE-CINEMA

PROPRIO mentre festeggia il suo centesimo compleanno, il cinema sta morendo. Non si tratta solo della diminuzione degli spettatori e delle sale e delle nuove tecnologie dell'immagine. Le pellicole impressionate da Lumiere e Melies, sino a Fellini e Welles, si stanno decomponendo. Vincent Pinel, uno studioso francese, afferma che sono scomparsi il 60 per cento dei lungometraggi muti e il 25 per cento di quelli sonori. Da una stima approssimata, la perdita dell'intera produzione mondiale fino alla prima metà del secolo tocca il 50 per cento. E più il tempo passa, più le pellicole muoiono, di un'agonia lenta e inesorabile. «Nitrate can't wait», il nitrato non può aspettare, dice un motto diffuso nelle cineteche: il principale indiziato per la fine della decima arte è il nitrato di cellulosa usato nella produzione delle pellicole. Thomas Alva Edison, il geniale inventore americano, aveva brevettato nel 1887 il kinetoscopio, un apparecchio per la visione individuale di immagini in movimento. Per girare i suoi film aveva bisogno di un supporto resistente e flessibile su cui stendere l'emulsione fotografica. Usò la celluloide, prima sostanza plastica della storia, sintetizzata dai fratelli Hyatt già nel 1868. Come capita talvolta, la scoperta fu casuale, perché John Wesley stava cercando un sostituto dell'avorio per produrre palle da biliardo. La celluloide, costituita da una miscela di nitrocellulosa con canfora, era proprio il materiale che Edison stava cercando. Resa liquida, veniva stesa su ampie superfici di vetro e si solidificava, dopo l'evaporazione della canfora, in una pellicola trasparente e flessibile. A questo punto si stendeva l'emulsione fotografica su un sottilissimo substrato adesivo in gelatina. I fogli venivano poi tagliati in nastri di vari larghezza: la pellicola vera e propria. Il supporto dell'emusione è sempre stato di celluloide, e quindi di nitrati di cellulosa. Pur avendo buone proprietà fisiche (plasticità) e ottiche (trasparenza), il nitrato ha un limite: l'infiammabilità. Proprio per i grossi rischi di infammabilità, negli Anni 50 il nitrato di cellulosa è stato poi sostituito dal meno pericoloso acetato di cellulosa o, in certi casi, dal poliestere. Ma il problema del nitrato non è solo l'infiammabilità. Fin dal momento della produzione della pellicola si avvia un processo di decomposizione inesorabile. Anche nelle migliori condizioni di conservazione (temperature basse e buona ventilazione), il supporto in nitrato sviluppa diversi gas, in particolare anidride nitrosa che, combinata con l'acqua contenuta nel substrato di gelatina e con l'aria, produce acido nitroso e acido nitrico. Sono questi acidi che corrodono i sali d'argento dell'emulsione, portando alla perdita progressiva dell'immagine. Il supporto assume una colorazione brunastra, l'emulsione diventa appiccicosa. Se si svolge la pellicola, si possono staccare porzioni di sali d'argento, compromettendo l'immagine. Il tutto accompagnato da un odore caratteristico, che ormai permea molte cineteche. Con il deterioramento aumentano anche i rischi di incendi: una pellicola in perfette condizioni brucia a 170°, mentre la temperatura di infiammabilità di un film in decomposizione scende a 41°. La pellicola muore con la formazione del «miele nitrico», una materia molle, schiumosa, color miele, dall'odore molto acre, che solidifica in una massa compatta: questo è il film al suo stadio terminale.. Le migliori condizioni per conservare un nitrato, consigliate dalla Fiaf (Federation Internationale des Archives du Film), prevedono il controllo di temperatura (tra 2 e 4°), di umidità (dal 40 al 60 per cento) e ventilazione dei locali. Una soluzione ideale è quella di ospitare i film in grandi celle frigorifere, in contenitori di alluminio, non chiusi ermeticamente ma dotati di fori per l'uscita dei gas che il nitrato inevitabilmente produce. Le cineteche spesso ristampano i film su supporto ininfiammabile (Safety) in triacetato di cellulosa. In questo caso, il pericolo si chiama «vinegar syndrome», sindrome dell'acetato, per il fortissimo odore acidulo emanato. Il processo di decomposizione delle pellicole in acetato di cellulosa è molto simile a quello del nitrato: la pellicola diventa fragile e tende ad accartocciarsi. Al limite estremo, dei film resta solo una manciata di trucioli trasparenti. Il grido d'allarme è stato lanciato qualche anno fa da uno studio di James Reilly per conto dell'Image Permanence Institute di Rochester. Tutti i film, quelli dell'epoca del muto ristampati ma anche quelli prodotti dopo il 1950, rischiano una morte lenta. Tra i fumi dell'aceto. [g. v.]


E DOMANI? Realtà virtuale da spettatori a protagonisti
AUTORE: INFANTE CARLO
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ELETTRONICA
NOMI: CANALI MARIO, CAMPIONE MARCELLO
ORGANIZZAZIONI: CORRENTI MAGNETICHE-PIGRECO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: CENTENARIO DEL CINEMA. LANTERNE MAGICHE E MACCHINE DEL PRE-CINEMA TEMA: CENTENARIO DEL CINEMA. LANTERNE MAGICHE E MACCHINE DEL PRE-CINEMA

IL centenario del cinema è una buona occasione per interrogarsi sul futuro di questa tecnologia che, con la fotografia, segnò l'avvento dell'era della riproducibilità tecnica dell'immagine: un'era giunta a un punto terminale con la presenza ridondante della televisione. Una presenza che ormai ha mandato fuori scala di valori il rapporto stesso tra le immagini e la loro fruizione cosciente. Le realtà virtuali già da qualche anno hanno posto in campo dei nuovi termini per la produzione e il consumo di immagini, aspetti talmente radicali da porre in discussione le modalità proprie della visione. In una «navigazione immersiva», con procedimenti stereoscopici e interattivi, l'utente- spettatore viene sollecitato da una forte «illusione cognitiva» (come direbbe Richard Gregory), a tal punto da credere di «essere» nella visione e non solo di vederla. In questo senso lo spostamento in avanti dei modi della rappresentazione visiva è decisamente drastico. Ma dove è possibile trovare risposte alle domande su cosa è possibile vedere, o meglio «provare» , di queste ricerche sull'immagine virtuale? Nonostante il gran baccano scatenato sulle realtà virtuali, per non dire di quello di Internet, qualcosa di ben connotato ha comunque preso forma. Esistono alcune piccole società che stanno applicando le tecnologie immersive alla modellizzazione tridimensionale interattiva. Tra queste spicca Correnti Magnetiche-Pigreco che da tre anni ha dato il via a una sperimentazione che potremmo definire «realtà virtuale d'autore», parafrasando quella definizione di cinema in cui è possibile cogliere una specificità artistica. Navigare dentro uno degli scenari virtuali realizzati da Mario Canali e Marcello Campione (due degli autori che compongono questa «factory» milanese) è quindi da considerare come un'esperienza sensoriale ai limiti della visione. Il loro ultimo scenario, dal titolo «Satori» (il riferimento allo stato di grazia della meditazione zen non è casuale) è un piccolo viaggio in un parco metafisico popolato di oggetti simbolici ed emblemi dell'immaginario (dalla «Maya desnuda» di Goya ai disegni leonardeschi, fino alle maschere del teatro Kabuki). Viene presentato alla Fiera di Cagliari, fino al 9 aprile, in occasione del Medialab allestito per la Biennale dell'Adolescenza. Un'altra società rivolta alla realizzazione di «realtà virtuale d'autore» è Nauta, che tra le varie ricostruzioni architettoniche ha simulato anche un viaggio nel corpo umano. Si potrà provare il loro sistema il 10 aprile alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, presso il Servizio Audiovisivi del Castello del Valentino. Carlo Infante


IL CINEMA PRIMA DEL CINEMA Tutti i padri della macchina dei sogni
AUTORE: VALERIO GIOVANNI
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, OTTICA E FOTOGRAFIA, CINEMA, TECNOLOGIA
NOMI: LUMIERE LOUIS, HOLLAND ANDREW, HOLLAND EDWIN, EDISON THOMAS ALVA, DICKSON WILLIAM, MAREY ETIENNE JULES, MUYBRIDGE EADWEARD, LIPPMANN GABRIEL, TISSANDIER GASTON, BROWN SEQUARD EDWARD, MEISSONIER ERNST, STANFORD LELAND
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. TAB. PREISTORIA DEL CINEMA ================================================ CIRCA 2000 a.C., teatro d'ombre e proiezioni tramite specchi presso gli antichi Egizi, i Babilonesi e nel Medio Oriente ---- 1420 l'italiano Giovanni da Fontana disegna una primitiva lanterna da proiezione ---- 1558 l'italiano Giovanni Battista Della Porta studia le proiezioni luminose nel tratto «Magia Naturalis, sive de Miraculis Rerum Naturalium» ---- 1646 prima illustrazione di una lanterna magica nel libro «Ars Magna Lucis et Unbrae» del tedesco Athnasius Kircher ---- 1827 il «Thaumatrope» di tale Dr. Fitton, citato nel volume «Philosophy in Sport Made Science in Earnest» dell'inglese John Ayrton Paris ---- 1833 il «phenakistocope» di Plateau ---- 1834 il «daedalum» dell'inglese William George Horner ---- 1852 lo «stereofantascope» del francese Jules Dubosq ---- 1853 lo «stroboscope» dell'austriaco Franz von Uchatius ---- 1870 il «phasmatrope» dell'americano Henry Renno Heyl ---- 1874 il «revolver fotografico» dell'astronomo francese Pierre-Jules-Cesar Janssen ---- 1877 il «praxinoscope» del francese Emile Reynaud ---- 1879 il «praxinoscope theatre» di Reynaud ---- 1882 il «fucile fotografico» del fisiologo francese Etienne-Jules Marey ---- 1887 il «kinetoscope» dell'americano Thomas Alva Edison ---- 1890 la lanterna magica «a ripresa rapida» dell'inglese William Friese-Greene ---- 1891 il «phonoscope» del francese Georges Demeny ---- 1895 il «cinematographe» dei francesi Auguste e Louis Lumiere ================================================
NOTE: CENTENARIO DEL CINEMA. LANTERNE MAGICHE E MACCHINE DEL PRE-CINEMA TEMA: CENTENARIO DEL CINEMA. LANTERNE MAGICHE E MACCHINE DEL PRE-CINEMA

IL cinema è entrato, anche ufficialmente, nel suo centesimo anno di vita. A Lione, il 19 marzo di un secolo fa, a mezzogiorno in punto, il fotografo e industriale Louis Lumiere dava il primo colpo di manovella della storia del cinema. Le riprese, durate poco meno di un minuto, riguardavano l'uscita degli operai dalla sua fabbrica. La pellicola (dal prevedibile titolo «La Sortie de l'Usine Lumiere a Lyon») fu poi proposta agli sbalorditi spettatori della sala da biliardo di un caffè italiano al Boulevard des Capucines a Parigi, la sera del 28 dicembre 1895. E' questa la data ufficiale della nascita del cinema, anche se non tutti sono d'accordo. Per molti americani, il centesimo compleanno della settima arte è già avvenuto e il cinema è nato non con i Lumiere, ma grazie ad altri due fratelli: Andrew e Edwin Holland. A New York City, al 1155 di Broadway, il 14 aprile 1894, gli Holland aprirono le porte del loro «Kinetoscope Parlor», la prima sala al mondo riservata allo sfruttamento commerciale del kinetoscopio di Edison. Ferroviere e telegrafista, inventore eclettico e autodidatta, oltre al fonografo, alla lampada elettrica e a decine di miglioramenti tecnici del telegrafo, l'americano Thomas Alva Edison aveva brevettato anche il kinetoscopio, un apparecchio per la visione individuale di immagini in movimento. A fianco di William K. Dickson, Edison si dedicò alla produzione di brevi filmati. Suo è il Black Maria, il primo studio cinematografico del mondo, così chiamato perché ricordava un cellulare della polizia (in slang americano chiamato appunto Black Maria). Edison e Dickson girarono non solo scene di vita reale, ma anche i primi film di finzione: storici («The Execution of Mary, Queen of Scotland»), comici («A Bar Room Scene», con un ubriaco inseguito dai poliziotti), musical («Milk White Flag», con 34 ballerini in costume). E piccoli film erotici, come la danza del ventre di Madame Ruth o la biancheria intima di Carmencita, grazie ai quali il kinetoscopio, con la sua visione singola un po' da voyeur, continuò a prosperare sino alla fine del secolo scorso. In realtà, il cinematografo dei Lumiere è il frutto di oltre cinquant'anni di esperimenti in campo fotografico e di perfezionamenti tecnici che si susseguono incessantemente, portando alla nascita continua di macchine per immagini in movimento, dal thaumatropio al fenachistoscopio, dal daedalum dell'inglese Horner al choreutoscopio del francese Molteni. La svolta decisiva ha origine con gli studi del movimento animale e la ricerca di apparecchiature per una riproduzione «scientifica» del movimento. In questo caso la data davvero importante per stabilire la nascita del cinema è il 26 settembre 1881, un lunedì. Nella casa del fisiologo Etienne-Jules Marey, vicino al Trocadero, a Parigi, un piccolo pubblico di scienziati assiste pietrificato alle proiezioni del fotografo inglese Eadweard Muybridge. Tra gli spettatori, Hermann von Helmotz (studiò i legami tra processi vitali e processi chimici, si occupo' di fisiologia del sistema nervoso e di organi di senso), Gabriel Lippmann (premio Nobel per la fisica nel 1908 per la scoperta della fotografia a colori), Gaston Tissandier (realizzatore, con il fratello Albert, del primo dirigibile mosso da un motore elettrico), il fisiologo Edward Brown-Sequard e il pittore e scrittore Nada appassionato di nuove tecnologie, l'altro pittore Ernst Meissonier, che non parla una parola di francese e lascia all'amico Marey l'incarico di commentare le immagini. Le riprese riguardano gli studi del movimento animale finanziati a partire dal 1872 dal mecenate americano Leland Stanford. A Palo Alto, in California, Muybridge ha sistemato dodici macchine fotografiche al bordo di una pista di equitazione. Gli otturatori vengono azionati dal cavallo stesso durante la corsa, grazie a un intricato sistema di fili disposti trasversalmente lungo la pista stessa. Si ottiene così una serie di fotografie successive che riproducono un certo numero di fasi del movimento. I dodici negativi del cavallo «Occident» al trotto o della giumenta «Sallte Gardner» al galoppo, noti in Europa a partire dal dicembre 1878, avevano già stupito artisti, fisiologi e fotografi. Lo stesso Marey era in qualche modo il promotore dell'inchiesta «zoopraxografica» di Muybridge e Stanford. Nel 1873 aveva affermato che il cavallo al galoppo si trova, in una frazione di un tempo, con gli zoccoli sospesi al di sopra del suolo. Questa osservazione, ottenuta da Marey stesso con un metodo grafico, fu verificata e infine confermata dai negativi di Muybridge, promuovendo le ricerche sulle immagini in movimento. Come scriveva Marey in «Etudes de physiologie artistique» (1893), la scienza e l'arte si confondono alla ricerca del vero. Qualche anno dopo il cinema, nato come novità scientifica, cresciuto come rappresentazione precisa della realtà, si sarebbe imposto come spettacolo popolare. Sorella di Talia e di Urania, nel giardino delle arti muoveva i primi passi la decima musa. Giovanni Valerio


SETTIMANA DELLA SCIENZA Operazione laboratori aperti Giochi, parchi, esperimenti e un angolo di cielo
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: DIDATTICA
NOMI: CASTELLANI VITTORIO, MANZELLI PAOLO
ORGANIZZAZIONI: OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI CUNEO, MUSEO NAZIONALE DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA, FONDAZIONE IDIS, ASTRIS, STET
LUOGHI: ITALIA

SIAMO nella «Settimana della Scienza», una iniziativa del ministero per l'Università e la ricerca che si propone di aprire i laboratori e i centri scientifici al pubblico, e in particolare alle scuole. Questa è la quinta edizione, e delle precedenti mantiene una costante: il ritardo con cui il Ministero distribuisce il catalogo. E' partito da Roma verso la periferia del Paese soltanto giovedì scorso, quando ormai non serviva più perché per prenotarsi a molte manifestazioni della «Settimana» occorrono 10-15 giorni di anticipo. In questo, i governi della prima e della seconda repubblica risultano assolutamente identici: cambiano i ministri ma non la burocrazia annidata nei ministeri. Così stando le cose, nel segnalare le manifestazioni della «Settimana della Scienza» (3-8 aprile) ci sembra giusto dare la precedenza ad alcuni organizzatori più volenterosi - e probabilmente consapevoli dell'inefficienza ministeriale - che hanno inviato direttamente alla nostra redazione informazioni sulle loro iniziative. Sono, in genere, scarni comunicati in fax o frettolose telefonate, niente di paragonabile al lussuoso catalogo, ma meritano attenzione. Non è detto che queste segnalazioni riguardino sempre le mete più importanti o più attraenti: senza dubbio però si tratta di iniziative sostenute con passione da chi le ha messe in piedi. Incominciamo da una curiosità. A Mondovì, nell'Antico Palazzo di Città, c'è una mostra di giochi, giocattoli e curiosità scientifiche: rimarrà aperta fino al 18 aprile. I visitatori potranno divertirsi con la «sfera di plasma», caleidoscopi, trottole, giroscopi, orologi basati su insoliti principi di funzionamento, computer che elaborano frattali; il tutto a cura dell'Associazione per l'insegnamento della fisica. Sempre nel Cuneese, spicca l'iniziativa «I parchi delle stelle» promossa dall'Osservatorio astronomico di Cuneo, dalla Pro Natura e dai parchi dell'Alta Valle Pesio e Tanaro e dell'Argentera. L'idea è di coniugare la difesa dell'ambiente con l'osservazione del cielo. Sabato sera a Cuneo, in piazza Galimberti, saranno a disposizione del pubblico piccoli telescopi per dare uno sguardo ai crateri della Luna. A Milano il Museo nazionale della Scienza e della Tecnica celebra l'anno marconiano con una serie di esperimenti sulla radio illustrati da un animatore (8 e 9 aprile). Ci sarà anche «Il giardino della scienza», un'area verde attrezzata con giochi scientifici come la bilancia ad acqua, una centrifuga, meridiane. Prodotti industriali ad alto contenuto tecnologico saranno in mostra l'8 e 9 aprile. A Napoli, sotto l'egida della Fondazione Idis, la Settimana della Scienza si è aperta con una conferenza dell'astrofisico Vittorio Castellani su «L'astronomia in Antartide». L'astronomia è di scena anche a Ferrara, con un planetario itinerante in grado di proiettare un cielo di quattromila stelle su una cupola di plastica gonfiabile. Sul tema del planetario, ma a Roma, imposta la «Settimana della scienza» anche «Astris», l'associazione astrofili della Stet: l'obiettivo è di ridare alla capitale italiana questo prezioso strumento per la divulgazione dell'astronomia. Ancora a Roma, l'Istituto dell'Enciclopedia Treccani promuove una mostra dell'editoria scientifica e un ciclo di conferenze. L'Enea, tra le altre iniziative, ha aperto (su prenotazione) il suo Centro Ricerche di Saluggia. In questi laboratori si sviluppano nuove tecnologie per la fissione e la fusione nucleare, per il risparmio energetico, per la disattivazione di impianti nucleari e per il controllo dell'ambiente. A Firenze il Laboratorio di ricerca educativa promosso da Paolo Manzelli (dipartimento di chimica dell'Università fiorentina) ha deciso di affrontare il tema cruciale della società telematica vista in funzione dell'evoluzione sociale ed umana: ne nascerà un progetto di educazione permanente nel quadro di una convenzione con la Regione Toscana. Per finire, Torino. Tra gli altri, sono in campo l'Osservatorio di Pino Torinese, l'Alenia Spazio (prenotazioni allo 011- 718.0739), l'Area di ricerca del Cnr (011-397.7357), l'Archivio di Stato, il Centro ricerche Rai, l'Istituto di fitovirologia, il «Galileo Ferraris» (011-39.191), Fiat Avio (011-685.8111), l'Istituto di metrologia «Colonnetti» (011-397.71), il Politecnico (con varie iniziative), il Museo regionale di Scienze Naturali (011-432.3002) e l'Orto botanico dell'Università (6699.884). Piero Bianucci


ISTITUTO GALILEO FERRARIS La scure colpisce il segnale orario I tagli di fondi mettono in crisi la ricerca
NOMI: LESCHIUTTA SIGFRIDO
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO ELETTROTECNICO NAZIONALE GALILEO FERRARIS
LUOGHI: ITALIA

L'ISTITUTO Elettrotecnico Nazionale «Galileo Ferraris» è nato nel 1934 per iniziativa di Giancarlo Vallauri, allora titolare a Torino della cattedra che era stata dello stesso Galileo Ferraris, e si è affermato come un'autorità nei campi della metrologia elettrica, dell'elettronica, dell'elettroacustica, della telefonia, della radiotecnica, dei materiali dielettrici e magnetici. Oggi la sua attività si svolge nelle aree della metrologia e della fisica della materia (con speciale riferimento ai superconduttori), alle quali si aggiungono i settori delle apparecchiature e delle scienze informatiche. L'Istituto svolge importanti funzioni istituzionali quale istituto metrologico primario: realizza (e perfeziona costantemente) le unità di misura e mantiene i campioni di riferimento delle grandezze di tempo e frequenza, e di quelle usate nel campo dell'elettricità, della fotometria e dell'acustica. L'attività per la quale il Galileo Ferraris è più largamente conosciuto è la misura del tempo: in pratica, l'ora esatta per tutta l'Italia, che viene diffusa attraverso la Rai. Il campione di tempo è realizzato tramite un oscillatore agganciato permanentemente alla frequenza propria di un fascio di atomi di cesio ed è mantenuto con un'incertezza relativa di 3x10 alla meno 13; si sta ora studiando un nuovo campione di frequenza, ancora più preciso, a fascio di atomi di magnesio. Questo patrimonio culturale ora è in pericolo. Sigfrido Leschiutta, docente al Politecnico di Torino e presidente dell'Istituto Elettrotecnico Nazionale «Galileo Ferraris», allarga le braccia: «Non una lira in più». Ha appena parlato con il ministero della Ricerca Scientifica il quale, nonostante le vivaci rimostranze delle scorse settimane, ha confermato inesorabile: il contributo statale per il '95 scenderà a 9 miliardi, contro gli 11,7 del '94. Significa che quest'anno le risorse saranno quasi interamente assorbite dagli stipendi dei 125 addetti e dalle spese di routine; alla ricerca e al miglioramento delle attrezzature resterà ben poco. Le conseguenze sull'istituto torinese rischiano di essere dirompenti. Il Galileo Ferraris funziona con il contributo ministeriale e con l'autofinanziamento (4, 6 miliardi nel '94 e circa la stessa cifra prevista per il '95) proveniente da attività svolte per conto di terzi. Negli anni passati il contributo ministeriale copriva grosso modo le spese per il personale mentre l'autofinanziamento era destinato alla ricerca e all'aggiornamento delle sofisticate attrezzature; quest'anno i conti sono presto fatti: per pagare il personale bisognerà prelevare 3 miliardi dai fondi per la ricerca. Il Galileo Ferraris è un istituto indipendente, con un consiglio di amministrazione, un presidente e un proprio bilancio. Da questo bilancio deve saltare fuori tutto, dagli stipendi, agli investimenti, alla riparazione del tetto che gocciola. L'autofinanziamento è sempre stato una voce importante, oltre che una testimonianza del prestigio internazionale dell'Istituto; i contratti di ricerca (che nel '94 hanno fruttato 1, 6 miliardi) hanno committenti che vanno dalla Cee all'Enel, dalla Nato all'Enea, al Cnr, al Politecnico di Torino; del servizio di taratura (2 miliardi nel '94) si sono servite le maggiori aziende italiane, dall'Alenia all'Italtel, dalla B-Ticino allo Cselt. Ma questa attività non può essere dilatata più di tanto se non si vuole che vada a discapito dell'attività istituzionale e di ricerca. In ogni caso essa dipende dall'alto livello delle prestazioni dell'istituto e queste a loro volta sono il frutto del continuo aggiornamento delle conoscenze e delle attrezzature. Se ora il circolo virtuoso si interrompe finirà fatalmente per inaridirsi anche la fonte dell'autofinanziamento. Altrettanto gravi le conseguenze per il servizio di taratura; il Galileo Ferraris (insieme con l'altro istituto torinese, il «Gustavo Colonnetti» del Cnr nel suo campo specifico) è il termine di riferimento di decine di altri istituti sparsi in tutta Italia e questi a loro volta lo sono per migliaia di aziende; se l'istituto un giorno non fosse più in grado di mantenere gli standard attuali tutto il sistema italiano di taratura potrebbe andare in crisi e tutta l'industria ne soffrirebbe. La batosta arriva in un momento critico. Dopo 11 anni di regime commissariale l'Istituto da 14 mesi è tornato alla normalità amministrativa, ha varato un piano triennale che prevede (prevedeva) alcuni obiettivi speciali, per i quali era indicata una spesa di 3 miliardi l'anno; in Strada delle Cacce sta crescendo una sede staccata, con 5 edifici già completati e 4 in costruzione. Che fine faranno questi programmi? Si sa che a causa delle difficoltà del bilancio statale tutti i fondi distribuiti dal ministero della Ricerca sono stati ridotti; ma la media dei tagli è stata del 5 per cento mentre per il Galileo Ferraris la riduzione è stata ben più drastica. Perché? Ci sono ipotesi di una diversa organizzazione della ricerca? «Se ci sono a noi non sono note e la logica di tutto ciò ci sfugge» dice Leschiutta. A meno che non ci sia un sottile disegno di svuotamento del Galileo Ferraris per arrivare tra qualche anno a trasferirne altrove le competenze. Un gioco che i torinesi conoscono fin troppo bene. Vittorio Ravizza




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