TUTTOSCIENZE 7 febbraio 96


IN BREVE Una protesi per il bacino
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: WALDEMAR LINK
LUOGHI: ITALIA

Sta per essere impiantata per la prima volta in Italia una protesi per il bacino. La struttura ossea del paziente, danneggiata da un tumore, verrà integrata della parte che il chirurgo sarà costretto a togliere con un impianto metallico progettato al computer e realizzato dalla Waldemar Link. Chirurgo e costruttori della protesi devono tenersi in stretto contatto in modo da progettare la protesi in funzione dell'intervento e viceversa.


IL NASO COME BUSSOLA
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ZOOLOGIA
NOMI: PAPI FLORIANO, TODD JOHN
LUOGHI: ITALIA

NELLA scala degli esseri viventi, di solito si pensa che l'uomo occupi il vertice, cioè che sia l'essere più perfetto, il capolavoro dell'evoluzione. Ma è proprio vero? Dal punto di vista delle capacità sensoriali, si direbbe decisamente di no. In questo settore la nostra inferiorità rispetto agli altri animali è palese. I nostri cinque sensi sono limitati. L'olfatto è incomparabilmente inferiore a quello del cane, il gusto distingue soltanto pochi sapori, il tatto non è distribuito uniformemente su tutta la pelle, la vista registra soltanto i raggi luminosi di lunghezza d'onda compresa tra quattrocento e ottocento milionesimi di millimetro. L'udito infine percepisce solo i suoni di frequenza compresa tra le venti e le ventimila vibrazioni al secondo. Filosofi e studiosi si chiedono da secoli come percepiscano il mondo gli altri esseri viventi, quale sia il dominio di conoscenza di un'ape, di una scimmia, di un topo, di una farfalla o di un pipistrello, quali strumenti sensori posseggano per interpretare l'ambiente che li circonda. Fino a poco più di mezzo secolo fa le nostre conoscenze in materia erano vaghe. E la gente è sempre incline a ritenere sovrannaturale ciò che non si conosce. Del resto c'è anche oggi una corrente di pensiero che tende ad attribuire agli uccelli migratori, ai cani da droga o da valanga, agli animali che sembra presentano i terremoti, misteriose virtù metapsichiche. Si parla di «percezioni extrasensoriali». Ma le ricerche degli ultimi decenni hanno dato una spiegazione scientifica e razionale alla maggior parte di questi fenomeni. In quel campo oscuro e ancora parzialmente inesplorato che è il mondo sensoriale degli animali, si conferma ogni giorno di più l'eccellenza dei sensi naturali. Ecco perché è più esatto parlare di una ipersensibilità sensoriale degli animali, anziché di presunti sensi «sovrannaturali». Limitiamoci a considerare l'olfatto. Dal punto di vista evolutivo, è il più antico dei cinque sensi, più antico della vista e dell'udito, del tatto e del gusto. Si ritiene si sia originato quando i primi organismi acquatici incominciarono a nuotare in cerca di cibo e del partner con cui riprodursi. Dell'olfatto gli animali si servono per innumerevoli scopi che ci sono noti solo in parte. I mammiferi territoriali usano secrezioni odorose (i cosiddetti «feromoni» prodotti da speciali ghiandole) per avvertire i compagni di specie di tenersi alla larga da una zona già occupata. Spesso l'animale appone in altro modo il cartello «transito vietato»: urinando o defecando abbondantemente lungo i confini del proprio territorio. Lo fanno molti canidi e felidi. La sensibilità all'odore dell'urina è impressionante. I gerbilli riescono a sentirlo anche se l'urina è diluita un migliaio di volte. La maggior parte degli artiodattili possiede tasche odorose tra le dita dei piedi. Così, mentre camminano, lasciano una traccia odorosa che «parla» a chi li segue. Gli ermellini hanno ghiandole odorose sul ventre, le giraffe sotto le orecchie, le volpi sulla punta della coda. Topi e ratti lasciano una scia odorosa che li aiuta a trovare la strada per ritornare alla tana. Gli impala, le springbock e altre antilopi, quando avvistano un predatore, fanno un balzo, lanciando un allarme chimico che diffondendosi nell'aria avverte del pericolo il resto del branco. I nostri mici si strofinano contro le gambe del padrone o della padrona per depositarvi la secrezione delle loro ghiandole odorose. Un marchio d'identificazione che significa all'incirca: «Tu sei roba mia». Ma la regione in cui i profluvi odorosi sono particolarmente abbondanti è quella ano-genitale. Annusandola, il cane si accorge se la femmina è recettiva o se non lo è. E lei dal canto suo pubblicizza la propria disponibilità all'accoppiamento, diffondendo feromoni all'intorno. Come fanno le femmine dei tamarini, le graziose scimmiette sudamericane. Si sfregano ben bene la coda contro i genitali e dopo averla impregnata di quell'odore carico di significato, la sventolano nell'aria come una bandiera al vento. Degli uccelli si è sempre saputo che hanno uno scarso senso olfattivo. Ma non è esatto. Un avvoltoio può sentire l'odore di una carogna a chilometri di distanza. E secondo le ricerche dell'etologo Floriano Papi l'olfatto guiderebbe gli uccelli anche nei voli migratori. Sentirebbero infatti gli odori portati dai venti, associandoli alle direzioni di provenienza. L'olfatto ha grande importanza nella migrazione delle anguille e dei salmoni. Questi pesci percepiscono la presenza di sostanze odorose nell'acqua in concentrazione infinitesima - poche parti in un milione - per cui percorrono i «corridoi odorosi» degli oceani, guidati dal loro finissimo odorato. Il pesce gatto, in particolare, è in grado di distinguere dall'odore se il pesce che gli passa accanto è un amico o un nemico. In quest'ultimo caso non occorre nemmeno metterglielo vicino. Basta versare nell'acquario che lo ospita un poco dell'acqua contenuta nella vasca del nemico, perché si scateni immediatamente la sua aggressività, come ha potuto accertare l'etologo John H. Todd. Gli insetti sociali identificano i membri della società con una sorta di parola d'ordine olfattiva. Un'ape che lascia l'alveare porta con sè l'odore di casa. Quando torna all'alveare, le api guardiane l'annusano. Se sentono che ha la giusta parola d'ordine olfattiva, la lasciano entrare. Ma se la sua parola d'ordine è differente, l'attaccano. Un posto nel «Guinness dei primati» spetta tuttavia alle farfalle notturne. Le loro femmine emettono feromoni potentissimi che giungono a chilometri di distanza. I maschi avvertono l'irresistibile sex appeal con le migliaia di peluzzi sensitivi delle antenne. E raggiungono l'autrice dell'effluvio percorrendo la lunghissima pista odorosa, ansiosi di convolare a nozze. Le nostre capacità olfattive, al confronto, sono straordinariamente modeste. Anche se a volte un profumo può evocare magicamente nella memoria il ricordo di un evento lontano nel tempo. Isabella Lattes Coifmann


UNA SVOLTA Cure mediche dai laboratori al malato
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: CULLITON BARBARA
ORGANIZZAZIONI: NATURE MEDICINE, AIRC, TELETHON
LUOGHI: ITALIA

NEL '95 è nata la rivista «Nature Medicine», figlia di «Nature», prestigioso settimanale scientifico inglese. Lo scopo di «Nature Medicine» è coniugare il progresso delle scienze biologiche di base con la profonda evoluzione della medicina, quella che si fa al letto del malato. Nel primo numero, Barbara Culliton, direttore della rivista, invocava la rinascita di una figura di medico che è andata scomparendo, il bedside scien tist, lo scienziato al letto del malato. Con l'aumento delle conoscenze biologiche, questo tipo di medico direttamente responsabile del progresso della propria disciplina si è venuta a perdere. Le ragioni dello strappo tra scienza di base e assistenza al malato sono molte. In breve, la medicina, sopravanzata dal rapido progresso della biologia molecolare dovuto a biologi, chimici, fisici e matematici, si è trovata al traino di discipline che procedono più rapidamente e stenta a colmare il divario anche metodologico tra queste e il progresso terapeutico. Che è poi quello che conta. Colmare il divario tra scienza di base e medicina sarebbe un enorme passo avanti. Non è che tutta la medicina arranchi per tenere il passo sfrenato della biologia molecolare. In certe discipline mediche più influenzate dai progressi della biologia di base, come l'ematologia e l'oncologia, già ora si vede l'applicazione al malato di strategie terapeutiche che derivano direttamente dai progressi della ricerca. Non è un caso che proprio in queste branche della medicina si siano avuti i successi più vistosi degli ultimi decenni. Ma la situazione non è così entusiasmante in altre discipline mediche. Un enorme progresso si va facendo anche nel matrimonio tra medicina e genetica. La spinta del Progetto Genoma Umano teso a rivelare l'intero software di segnali che guidano la fisiologia dell'uomo ha portato a svelare la ragione di malattie che erano finora ignote o inspiegabili. Questa nuova conoscenza apre la strada alla speranza di poter intervenire con terapie di tipo genico in malattie genetiche rare e dischiude anche la possibilità di affrontare il cancro, che raro purtroppo non è. Quale sforzo deve fare la società, non solo quella medica più illuminata, per arrivare alla medicina molecolare? Due sono i campi di intervento. Il primo è promuovere la conoscenza. L'enorme e improvviso esplodere della telematica non è una frivolezza tecnologica di questa fine di millennio ma è la base sulla quale fondare la diffusione del progresso scientifico tra i medici, anche quelli di base oppressi dal lavoro di routine. Nuova conoscenza vuol dire nuova coscienza del proprio ruolo. E poi è l'insegnamento medico, prima e dopo la laurea, che deve avvantaggiarsi di questo straordinario strumento di conoscenza rendendo capillare tra nuovi e vecchi medici il progresso della medicina molecolare. Il secondo è promuovere la ricerca. Anche al letto del malato il medico deve essere uno scienziato vero dotato dello stile e del metodo che sono propri della scienza di base. Di nuovo, scienza e metodo non devono essere appannaggio dei medici che fanno ricerca direttamente ma entrare nella mentalità di tutti i medici. Non c'è a mio avviso nessun mezzo migliore per raggiungere questa meta se non promuovere e portare la ricerca a diventare un bisogno di tutti i medici. L'Italia ufficiale investe poco in ricerca, molto al di sotto della media europea. Quel poco che fa lo fa in ritardo e spesso male compensato in parte dalla generosa sensibilità dei privati cittadini verso l'Airc o Telethon. Pochi si rendono conto, compresi i politici, che investire in ricerca biomedica e promuovere capillarmente il matrimonio tra biologia molecolare e medicina vera servirebbe a rendere più razionale anche l'assistenza sanitaria. In altre parole, a rendere, alla lunga, i medici meno maghi e più scienziati al letto del malato. Come avveniva una volta in uno scenario completamente diverso. Ci sono molti problemi sanitari, come il diabete, varie malattie neurologiche, il cancro, l'infarto, che attendono l'impegno dei biologi ma anche l'attenzione del medico molecolare, una nuova figura che deve far crescere e sviluppare la medicina del 2000. Pier Carlo Marchisio Dibit San Raffaele, Milano


MEDICINA D'URGENZA Amputazioni, tutto (o quasi) si può riattaccare Gli ultimi progressi della microchirurgia per rimediare a incidenti
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, TECNOLOGIA
NOMI: GALLO MONICA
ORGANIZZAZIONI: GIM GRUPPO INTERDIVISIONALE DI MICROCHIRURGIA, CUMI, CTO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come salvare gli arti amputati

L'ULTIMO «miracolo» è stato quello di Monica Gallo, 14 anni. Era finita sotto il treno a Lanzo Torinese, e le ruote le avevano quasi strappato una gamba; tornerà a camminare. La microchirurgia, la chirurgia dei reimpianti, una tecnica che ha mosso i primi passi appena una trentina di anni fa, è oggi in grado rimediare a molti incidenti un tempo irreparabili: riattaccare dita, mani, piedi, braccia e soprattutto ridare loro la funzionalità. Si tratta di interventi complessi, che hanno come primo, importantissimo presupposto la tempestività, perché i tessuti non siano compromessi dalla prolungata assenza di irrorazione sanguigna. Di qui la necessità che il ferito sia portato con la massima celerità nel luogo giusto e che la parte amputata arrivi con lui nelle migliori condizioni. Il luogo giusto: in Italia i centri di microchirurgia in grado di svolgere questa attività in modo sistematico, cioè 24 ore su 24, sono ancora pochi; a Torino opera il Gruppo interdivisionale di microchirurgia (Gim) che si è formato con la partecipazione di 14 medici al Cto; poi ci sono quelli di Brescia, Legnano, Firenze, Modena; altri sono in fase di costituzione. Sono coordinati da un Comitato per le urgenze microchirurgiche in Italia (Cumi) che fa capo al ministero della Sanità e che ha il numero verde 1678/48088. Questi centri devono avere, oltre alla disponibilità a operare in ogni momento del giorno e della notte, un personale medico e infermieristico capace di risolvere un complesso di problemi che vanno affrontati contestualmente dato che occorre agire in stretta sequenza su ossa, tendini, muscoli, nervi e soprattutto arterie e vene. Il microchirurgo opera con l'aiuto del microscopio da 16 a 40 ingrandimenti, usando un filo molto più sottile di un capello, con un lavoro molto lungo perché richiede estrema precisione e movimenti lenti e controllati. Per dare un'idea: ogni punto prende un paio di minuti e per ogni vaso sanguigno occorrono 8 punti. Se tutto va liscio anche solo per riattaccare un dito occorrono almeno due ore e mezzo. Il compito del chirurgo è più facile quando la parte è stata amputata di netto, assai più critico quando l'arto, magari non separato dal corpo, è stato strappato e sfrangiato, situazione che si presenta spesso in seguito a incidenti stradali. La microchirurgia consente sia reimpianti sia rivascolarizzazioni; il reimpianto consiste nella riparazione chirurgica dell'amputazione totale di un arto o di un segmento di un arto; rivascolarizzazione è la riparazione di un'amputazione parziale, che consiste nel ricostruire chirurgicamente il sistema vascolare dell'arto stesso. La rivascolarizzazione, cioè il ripristino della circolazione del sangue, è il momento essenziale per la riuscita del reinnesto. Queste tecniche, ormai ben codificate, possono avere un importante vantaggio dalla consapevolezza e dalla collaborazione della popolazione. Che cosa occorre fare nel caso in cui ci si trovi a soccorrere una persona ferita? Innanzitutto ricordarsi che un dito o un piede troncati di netto non sono perduti; vanno raccolti e conservati mettendoli in un contenitore immerso a sua volta in un altro contenitore con ghiaccio e acqua (intorno a zero gradi); non devono essere immersi in acqua, nè posti direttamente a contatto con il ghiaccio, che provoca congelamento, nè tantomeno in alcol. Non ha invece molta importanza che la parte sia sporca (terra, grasso). Bisogna fare presto perché normalmente l'intervento va concluso, e la circolazione ripristinata, entro 4-8 ore; si tenga conto che certi interventi richiedono 5-6 o più ore e che lo stato di conservazione della parte staccata è decisivo per la buona riuscita. Per evitare perdite di tempo prezioso è importante accertarsi di dirigere il ferito nel luogo attrezzato per l'intervento, magari perdendo qualche minuto nella ricerca (ricordarsi del numero verde) piuttosto che rischiare un viaggio a vuoto. A volte, poi, la fretta causa grossi guai, come per esempio far arrivare il ferito in un ospedale e l'arto da riattaccare in un altro; (è già capitato). Le migliaia di casi che passano sotto gli occhi del gruppo dei medici del Cto consentono alcune considerazioni. La prevenzione ha avuto l'effetto di contenere gli incidenti nell'industria mentre aumentano quelli domestici (alcuni classici, come la mano nel motore della lavatrice, altri nuovi, come il bambino che lascia la punta delle dita nell'apertura del videoregistratore) e da bricolage. I peggiori, poi, sono quelli che si registrano in agricoltura: macchine e attrezzature sono spesso sorpassate, molti utenti sono anziani e poco avvezzi a convivere con le trappole della tecnologia; la macchina sfogliatrice di mais (una serie di rulli che girano l'uno in senso opposto all'altro) è responsable di molte mani e braccia orrendamente maciullate. Un'altra constatazione: spesso la pericolosità risulta abbastanza indipendente dal tipo di attività, ma legata piuttosto alle caratteristiche dell'operatore. Per esempio, una recente indagine fatta a Torino mette in rilievo che esistono tre picchi evidentissimi di pericolosità in corrispondenza di tre precise fasce di età degli operatori: dai 15 ai 20 anni, l'età dell'inesperienza e dell'avventatezza; dai 40 ai 45, l'età dell'esperienza ma anche dell'eccessiva confidenza che dà un falso senzo di sicurezza; dai 60 ai 65 anni, l'età della stanchezza, delle difficoltà di vista e di movimento, che spesso si pagano con gravi menomazioni. Vittorio Ravizza


ASTRONOMIA Scoperta: ecco le stelle nere
Autore: DI MARTINO MARIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

DOPO anni di infruttuose ricerche finalmente è stato scoperto un oggetto celeste che potrebbe essere l'anello mancante tra i pianeti giganti, come Giove, e le stelle di più piccola massa. Sebbene i modelli sulla formazione stellare prevedano l'esistenza di questi astri di transizione, provarne l'esistenza è un obiettivo arduo a causa della loro debolissima luminosità intrinseca. Stelle come il nostro Sole producono energia grazie alle reazioni di fusione termonucleare che nelle regioni centrali del corpo stellare trasformano l'idrogeno in elio. Corpi con massa inferiore all'8 per cento di quella solare non sono in grado di innescare nel loro nucleo le reazioni di fusione dell'idrogeno; essi non possono essere definiti nè stelle nè pianeti e sono stati denominati «nane scure». Nei primi 10 milioni di anni della loro vita questi oggetti si contraggono sotto l'azione della loro gravità e, grazie alla trasformazione dell'energia gravitazionale in calore, iniziano ad emettere radiazioni, per lo più nella regione infrarossa dello spettro elettromagnetico. Terminata la fase di collasso gravitazionale, le nane scure, se hanno una massa superiore a poco più dell'uno per cento di quella del Sole, possiedono un nucleo sufficientemente compresso e caldo da permettere per un breve periodo di tempo le reazioni di fusione del deuterio, o idrogeno-2, ma sono troppo poco massicce per innescare la fusione dell'idrogeno-1, il processo che permette alle normali stelle di brillare per oltre il 90 per cento della loro vita. Le nane scure quindi, trascorse queste prime effimere fasi, si raffreddano rapidamente diventando sempre più deboli e quindi difficilmente rilevabili. Gli oggetti più piccoli tra le nane scure sono assimilabili ai pianeti di tipo gioviano e, secondo le teorie, quelle di massa compresa tra una volta e 100 volte quella di Giove dovrebbero avere caratteristiche alquanto simili: una struttura interna convettiva e dimensioni dell'ordine di un decimo di quelle del Sole. Nonostante queste somiglianze, si pensa che le nane scure e i pianeti giganti abbiano però origini differenti. Le prime dovrebbero formarsi direttamente dal collasso gravitazionale di una nube di gas e polveri interstellari, mentre i secondi si originerebbero in seguito alla condensazione di un disco circumstellare protoplanetario. I motivi per i quali è importante studiare le nane scure, specie le più fredde, sono almeno due. Primo, perché questi oggetti si trovano nella regione di massa, ancora inesplorata, che è compresa tra quella delle stelle e dei pianeti; secondo perché sarebbe molto interessante poter confrontare le nane scure e Giove. Lo spettro della radiazione emessa da un oggetto di tipo stellare dipende principalmente dalla sua temperatura e gravità superficiali e dalla sua composizione chimica. La luminosità minima di una stella che riesce ad innescare le reazioni di fusione dell'idrogeno nel suo nucleo è pari ad un decimillesimo di quella del Sole mentre la sua temperatura superficiale è di circa 1800 K. Questa è grosso modo la temperatura della piccolissima stella Gd 165B, che era l'oggetto condensato più freddo conosciuto prima della scoperta di Gl 229B, che con i suoi 1000-1200 K batte adesso il record di «stella» più fredda. Quest'ultima eccitante scoperta è stata fatta da un gruppo di astronomi americani, che circa tre anni fa iniziò una ricerca sistematica di eventuali nane scure possibili compagne di un centinaio di stelle che si trovano ad una distanza inferiore ai 50 anni luce da noi, utilizzando il telescopio da 1,52 metri dell'osservatorio di Monte Palomar. Lo strumento usato è un coronografo a ottiche adattive, che blocca la luce proveniente da una stella creando un'eclisse artificiale e che permette così di individuare la presenza di eventuali oggetti deboli vicini, che altrimenti si confonderebbero nel bagliore della luce emessa dell'oggetto principale. Dall'analisi delle immagini ottenute con questa tecnica è praticamente certo che Gl 229B è legato gravitazionalmente alla stella nana rossa Gliese 229 e che la sua distanza dalla compagna maggiore è di circa 44 unità astronomiche (6,5 miliardi di km), pari a quella che separa Plutone dal Sole. Gl 229B ha una luminosità che è circa un centesimo di quella della stella più piccola finora conosciuta e la definitiva conferma che si tratti di una nana scura è venuta dall'esame del suo spettro infrarosso, ottenuto con il telescopio da 5 metri di diametro sempre dell'osservatorio di Monte Palomar. Nello spettro - l'impronta digitale di un corpo celeste - sono infatti presenti le larghe bande di assorbimento del metano, la cui molecola può esistere solo a temperature inferiori ai 1800 K, ma l'aspetto più eccitante è che l'«impronta digitale» di Gl 229B è molto simile a quella di Giove. I risultati ottenuti sono i primi passi verso l'individuazione in natura di oggetti previsti dalla teoria che, oltre ad avere grande importanza nel campo dell'evoluzione stellare, potrebbero contribuire alla soluzione dell'ormai annoso problema della «massa mancante» dell'universo: in parte, potrebbe essere «nascosta» sotto forma di nane brune. Mario Di Martino Osservatorio Astronomico di Torino


INTERNET Ma dove inizia la censura?
Autore: MERCIAI SILVIO

ARGOMENTI: ELETTRONICA, COMUNICAZIONI, INFORMATICA
NOMI: ROMANO FULVIO, GIANOTTI PAOLO, VAN DER LEUN GERARD
ORGANIZZAZIONI: INTERNET, RADIO STEREO CINQUE, TIME, REALAUDIO
LUOGHI: ITALIA

FORSE ho fatto bene a ricordarvi che abbiamo preparato una pagina su Internet e una lista postale in italiano dedicata agli appassionati di navigazione sulla rete, perché, tramite la mailbox di Tuttoscienze (quella del logo qui sopra), alcuni lettori si sono messi in contatto con me e hanno visitato la «loro» pagina: spero con piacere] E' per loro che l'abbiamo rinnovata proprio in questi giorni, arricchendola di vari strumenti di ricerca, che sono oggi, a mio avviso, ben più utili delle lunghe rassegne di indirizzi (che si trovano ormai un po' ovunque e che sono una miniera infinita: si calcola che attualmente Internet abbia più di 16 milioni di pagine). E quelli che hanno un computer e un modem, ma non una connessione sulla rete? Molti provider stanno mettendo a disposizione connessioni di prova. Per esempio, ricordo ai lettori torinesi che Inrete offre loro una settimana di connessione gratuita. Per lo stesso motivo riporto sulla mia pagina l'indirizzo di un sito di Cuneo (Multimedia) che ha attivato un servizio radio in collaborazione con Radio Stereo Cinque (usando il software di RealAudio per la ricezione e riproduzione in tempo reale dei messaggi sonori), per la trasmissione on line di notizie locali e regionali: cosa ampiamente sperimentata negli Usa, ma ancora nuova qui in Italia (grazie a Fulvio Romano per la segnalazione). Il discorso che ho cominciato l'altra volta a proposito di pornografia e censura su Internet ha incontrato interesse. Migliaia di lettori (va bene, va bene: alcuni lettori]) mi hanno scritto, sostanzialmente in assenso alle mie affermazioni: evidentemente quelli in disaccordo si sono autocensurati. Per esempio, Paolo Gianotti scrive: «Sicuramente la pornografia sul net è una cosa di cui tener conto, soprattutto perché è un argomento che ha una notevole presa sul grande pubblico e tutte le persone che hanno una naturale resistenza verso le innovazioni approfittano di qualsiasi appiglio vero o presunto per denigrare ciò che non conoscono o conoscono poco. In realtà, proprio perché la rete è il mezzo della libera scelta per eccellenza (se vuoi vai e vedi, se non vuoi no) l'unico vero problema è l'accesso dei minori a materiale più o meno sconcio». Questo mi ha fatto venire in mente due cose. Una è una citazione da uno speciale di «Time» dell'anno scorso dedicato a Internet: occorre tener presente, scriveva Gerard Van der Leun, «che il cibersesso esiste da quando gli uomini hanno avuto il dono dell'immaginazione. Alla fin fine, il cibersesso non è altro che il trasferimento delle vecchie fantasie sessuali di sempre nelnuovo contenitore elettronico. Come tutti i nuovi media, la pubblicazione on line trae le sue energie dagli stessi due argomenti di sempre: il radicalismo politico e le fantasie erotiche. Questo è il primo uso che si fa di ogni mezzo di comunicazione, non appena esso si diffonde, per poi recedere a mano a mano che diventa più maturo». (Time, Special Issue: Welcome to Cyberspace, Spring 1995). La seconda è la recente polemica legata alla chiusura, attuata in Germania su Compuserve, di newsgroup esplicitamente dedicati all'erotismo spinto. Nonostante il mio personale disinteresse per il materiale pornografico, in questo secondo caso ho sentito il pericoloso affermarsi di un principio censorio, contrario ai miei ideali e allo spirito di Internet. Ma il bello della rete - cioè dell'intricata ricchezza dell'esistenza umana - è proprio la sua complessità. Che dire, per esempio, della richiesta, da parte di ambienti della cultura ebraica, di interdire l'attività di un sito canadese che pubblica appelli antisemiti? O di quella di vari gruppi del moderatismo Usa di proibire quella di un sito americano che incita alla guerriglia armata nei ghetti? Voi che ne pensate? Silvio A. Merciai


PROGETTO AMERICANO Copia l'ala degli uccelli il jet che volerà nel futuro
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: ARPA AGENZIA USA RICERCA PROGETTI AVANZATI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Variazione automatica del profilo dell'ala intelligente in funzione delle diverse fasi del volo

L'ALA degli uccelli è dotata di una grande variabilità di forma e di superficie. Tutti gli elementi che la compongono contribuiscono a una plasticità continua e infinita di configurazioni, ciascuna delle quali è la più adatta a particolari fasi del volo. Ciò consente di ridurre al minimo sollecitazioni, peso e consumi. L'ala meccanica, resa variabile con la rotazione e la retrazione locale di alcuni limitati elementi (alettoni, ipersostentatori, diruttori), resta pur sempre una rudimentale copia della soluzione naturale. Per accorciare le distanze tra queste due realtà, l'Arpa (Agenzia Usa Ricerca Progetti Avanzati) ha assegnato a un gruppo di industrie e Università degli Stati Uniti un contratto biennale di 3,4 milioni di dollari. Il programma è finalizzato allo studio di un'ala intelligente e autovariante: un'ala capace di sentire le variazioni di velocità e di pressione dell'aria sulle proprie superfici e quindi di cambiare forma al variare delle condizioni di volo. Scopo della ricerca: aumentare il carico pagante, il rendimento aerodinamico, l'autonomia e, in definitiva, ridurre i costi operativi. L'obiettivo non è nuovo, essendo già stato perseguito in passato per via analitica e attraverso programmi sperimentali. Sta di fatto che in quelle ricerche furono utilizzati martinetti idraulici, attuatori rotanti e freni di tecnologia datata: il vantaggio aerodinamico ottenuto dalla variazione di forma dell'ala risultava vanificato da un eccesso di complicazione strutturale e di peso. Ora si cerca di ottenere il risultato utilizzando attuatori di tipo avanzato, basati su meteriali «intelligenti», in grado di cambiare forma in risposta a stimoli termici, elettrici, magnetici. Questi stimoli vengono forniti tramite sensori incorporati nelle ali per rilevare lo stato del flusso aerodinamico e comandare le opportune variazioni di forma. La realizzazione di materiali intelligenti è oggi perseguita attraverso lo sforzo di progettare i materiali a livello dei singoli atomi costituenti. Ciò permette di utilizzare in modo non casuale le leggi della meccanica quantistica, che regolano la risposta di un materiale alle sollecitazioni esterne, leggi non dissipative che consentono di ottenere prestazioni molto maggiori di quelle ottenute con l'approccio classico. I materiali «intelligenti» studiati nell'ambito del programma per variare la forma dei profili alari appartengono sostanzialmente a tre famiglie: 1) Leghe a memoria di forma; ne è un esempio la lega Nikel-Titanio. I componenti realizzati con questa lega assumono a caldo una forma assai diversa da quella presentata a freddo. Una lega di questo tipo è già stata sviluppata dalla Lockheed-Martin. 2) Materiali magnetorestrittivi: cambiano forma quando vengono sottoposti a un campo magnetico: nell'ambito del programma li sviluppa la Etrema Products dello Iowa. 3) Materiali piezoelettrici: si deformano per applicazione di correnti elettriche. Lo sviluppo di materiali di questo tipo è affidato alle Università della California e del Texas. Dal quadro generale del programma emergono due specifici obiettivi: 1) aumento della portanza (per accrescere il carico massimo e ridurre la velocità di decollo e atterraggio); 2) ottimizzazione del rendimento aerodinamico e riduzione dei consumi in regime transonico (è questa la condizione aerodinamica associata alla velocità massima di crociera degli aerei commerciali e militari). Per dimostrare l'aumento della portanza, la Northrop Grumman - capocommessa del programma - realizzerà, per prove in galleria del vento, un modello in scala 1:6 dell'ala del caccia FA18. Il profilo di questo modello alare sarà in grado di inarcarsi per effetto di tubi di torsione in materiale intelligente sistemati al suo interno. Al posto delle normali superfici di controllo rigide, il modello dell'ala FA18 avrà i bordi anteriori e posteriori realizzati con materiali «intelligenti». Essi si infletteranno plasticamente verso il basso e verso l'alto, riducendo al minimo il distacco della vena nel configurarsi automaticamente per la massima portanza in presenza di sovraccarichi ed alle basse velocità di decollo e di atterraggio. Per dimostrare l'ottimizzazione della configurazione alare in regime transonico, la Northrop Grumman realizzerà un modello in vera grandezza dell'ala del Gulfstream G II: un sistema di attuatori «intelligenti» sarà in grado di modellare la forma dei profili per ottimizzarne il rendimento ad una velocità transonica predeterminata. I vantaggi attesi da questa ricerca sono considerevoli: da stime preliminari si ritiene che un «wide body», un aereo da trasporto a fusoliera larga, utilizzando un'ala intelligente potrà trasportare da Parigi a Washington 30 passeggeri in più senza aumento di consumo e un caccia imbarcato potrà decollare da una portaerei con un sovraccarico del 20 per cento. Mario Bernardi


IN BREVE Distanza record per una galassia
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: RIVISTA DI ASTROFISICA
LUOGHI: ITALIA

La galassia più lontana (e più antica) mai osservata è stata scoperta nella costellazione della Vergine dagli astronomi che usano il nuovo telescopio Keck da 10 metri di apertura, attualmente il più grande del mondo, nelle isole Hawaii: la distanza è stata calcolata in 14 miliardi di anni luce. E' una distanza vertiginosa, considerando che l'età presunta del nostro universo viene collocata fra i 15 ed i 20 miliardi di anni. Nell'ultimo numero della «Rivista di Astrofisica», gli scopritori spiegano di non aver avvistato la galassia direttamente, ma di averne individuato la traccia nella luce di un quasar lontanissimo. Poiché la luce di quella galassia impiega 14 miliardi di anni per arrivare fino a noi, da essa ci arrivano informazioni che risalgono a un'epoca molto vicina al Big Bang.


IN BREVE Donne e macchine ad Agape
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, DONNE, CONGRESSO
ORGANIZZAZIONI: CENTRO ECUMENICO DI AGAPE
LUOGHI: ITALIA

Il rapporto tra donne e macchine è stato il tema di un seminario svoltosi al Centro ecumenico di Agape, nelle valli valdesi. L'obiettivo era discutere le preferenze, le aspettative e gli interessi delle donne verso le tecnologie che usano partendo dalle loro esperienze quotidiane. In un laboratorio le partecipanti hanno anche smontato apparecchi, costruito radioricevitori e affrontato questioni di sicurezza e di facilità di uso delle nuove tecnologie. Il prossimo seminario affronterà l'impatto sul mondo femminile dell'informatica e delle telecomunicazioni.


IN BREVE Energetica un corso a Torino
ARGOMENTI: ENERGIA, DIDATTICA
NOMI: PANELLA BRUNO
ORGANIZZAZIONI: POLITECNICO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

Sono aperte le iscrizioni al nuovo corso di perfezionamento in energetica «G. Agnelli» che si terrà presso il Politecnico di Torino dal 4 marzo al 30 giugno sotto la direzione di Bruno Panella. Per ulteriori informazioni: 011-564.44.99.


ESPOSTO AL MUSEO DELLA SCIENZA DI MILANO L'orologio che si fa sentire dagli aerei In caso d'emergenza invia segnali sulla frequenza riservata ai soccorsi
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: MUSEO DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA DI MILANO, BREITLING
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, MILANO (MI)

UN'EMERGENZA. Valanga, incidente aereo, naufragio, perdita dell'orientamento nel deserto o in alta montagna, sequestro di persona. Situazioni disperate. Ma tra qualche mese potremmo avere una via d'uscita. Nell'orologio da polso c'è una microtrasmittente che emette un segnale sulla frequenza usata in aeronautica per le richieste di soccorso: 121,5 megahertz. Si estrae un'antenna lunga 43 centimetri e automaticamente si accende la radiotrasmittente. Da quel momento, per almeno 48 ore, nell'etere viaggerà un grido elettromagnetico, una invocazione di aiuto. Naturalmente bisogna sperare che un aereo passi nelle vicinanze, ma le probabilità sono buone: sui 121,5 megahertz in tutto il mondo sono continuamente sintonizzate migliaia di radio. L'orologio salvavita rimarrà esposto fino a marzo al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano nella sezione temporanea dedicata alle innovazioni tecnologiche. Il brevetto svizzero risale all'8 aprile 1988, del 20 dicembre 1994 è il brevetto applicativo, forse entro quest'anno verrà approvata la vendita. Non è un iter facile. Dovrebbe essere già chiaro che non si sta parlando del prossimo gadget alla moda, dello status symbol che rimpiazzerà il logoro e massificato telefonino. Qui il discorso è serio. Ci sono di mezzo vite umane e i servizi di soccorso internazionali. Non si può correre il rischio di intasare la frequenza con segnali che non siano assolutamente necessari. Per questo l'orologio salvavita è stato concepito con le dovute precauzioni. Prima di tutto, se entrerà in commercio, costerà caro. Ma questo non è ancora un deterrente. Quindi sono state previste altre limitazioni che non dipendono dal conto in banca: l'allarme può essere lanciato una volta sola, poi bisognerà rimandare l'apparecchio al produttore, il solo abilitato a «ricaricare» la radiotrasmittente; inoltre ci sarà un severo regolamento, che prevederà dure sanzioni nel caso di un uso non realmente giustificato dalla gravità dell'emergenza; la polizia dovrà ogni volta accertare che l'uso è stato corretto: solo a questa condizione il produttore provvederà a riabilitare la trasmittente. I particolari tecnici. La potenza di trasmissione è di 30 milliwatt in antenna. Minima, se si ricorda che i normali radiotelefoni emettono alcuni watt. Ma efficientissima su quella frequenza riservata e protetta. In condizioni ideali, trasmettendo da una montagna senza ostacoli intorno, il segnale è stato captato a 360 chilometri di distanza da un aereo che volava a 7500 metri di quota; in mare aperto un nuotatore è riuscito a segnalare la propria presenza a un elicottero che si trovava a 25 chilometri; da un battello l'allarme è giunto a un aereo a 200 chilometri; sotto due metri di neve la trasmittente è riuscita a farsi sentire a 10 chilometri. Il segnale è pulsato, modulato in ampiezza: un bip di 0, 75 secondi ogni 2,25 secondi, a cui si aggiunge ogni minuto la trasmissione in alfabeto Morse della lettera B (iniziale di Breitling, l'azienda svizzera che produce l'orologio, associata all'industria aerospaziale francese Dassault, responsabile dell'apparecchio radiotrasmittente). Il funzionamento è assicurato in condizioni estreme: da 10 gradi sotto zero a più85, con umidità al 95 per cento. Con la speranza di non dover mai fare la verifica. Piero Bianucci


POLITICI INDIFFERENTI ALLA SCIENZA Ricerca in miseria Al bivio tra pubblico e privato
Autore: STRATA PIERGIORGIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, FINANZIAMENTO, STATO, PROPOSTA, STATISTICHE
NOMI: MELDOLESI JACOPO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. TAB. FINANZIAMENTI DESTINATI ALLA RICERCA (Percentuale sul prodotto interno lordo) ============================================= ITALIA 1,3% --------- EUROPA 2% --------- STATI UNITI 2,7% --------- GIAPPONE 2,8% =============================================

DAI dati 1994 risulta che Giappone, Stati Uniti ed Europa investono in ricerca rispettivamente il 2,8, il 2,7 e il 2% del prodotto interno lordo (Pil). La ricaduta economica di questo impegno finanziario è in attivo di 150.000 miliardi di lire per i primi due Paesi, mentre per l'Europa si è avuta una perdita di 30.000 miliardi. L'Italia ha investito l'1,3 per cento del Pil a fronte di valori circa doppi di Francia e Germania. Il raffronto diventa ancora più serio considerando che l'investimento in ricerca dell'Italia rappresenta soltanto l'1,39% della spesa pubblica, contro il 6% e il 4,3%, rispettivamente di Francia e Germania. Questi dati si ripercuotono sulle esportazioni. Infatti quelle di materiale ad alta tecnologia rappresentano per l'Italia il 15%, mentre per gli altri più importanti Paesi il 23- 38 per cento. In un recente articolo su «Nature», Jacopo Meldolesi, farmacologo e direttore del prestigioso Dibit, il Dipartimento di ricerca dell'Istituto privato S. Raffaele di Milano, affronta il problema nell'ambito della ricerca biomedica e dello stato comatoso della ricerca finanziata dalle strutture pubbliche, anche se non manca qualche eccezione. I finanziamenti pubblici dell'Università e del Cnr, soprattutto per la ricerca di base, sono diminuiti in questi ultimi anni in termini di valore reale e quindi sono praticamente inesistenti e distribuiti male. L'industria farmaceutica è stata rasa al suolo dalle inchieste giudiziarie ed è rappresentata da pochi esempi di efficienza da parte di qualche multinazionale. Il numero di ricercatori italiani che appaiono sulle più qualificate riviste internazionali e che attingono fondi da programmi internazionali è esiguo. L'interesse dell'articolo, tuttavia, sta in una nota di ottimismo. Secondo Meldolesi, in mezzo a queste macerie esistono alcune iniziative positive che sono un incoraggiamento e un modello da imitare per iniziare la ricostruzione. L'Istituto Superiore di Sanità ha varato recentemente alcuni progetti adottando metodi meritocratici. Altrettanto bene funzionano iniziative tutte private: il Dibit, in cui opera lo stesso Meldolesi, il Telethon, che fra l'altro finanzia il nuovo centro per le malattie genetiche (Tigem) presso l'istituto S. Raffaele di Milano, l'associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), l'istituto Mario Negri e l'associazione italiana per la sclerosi multipla (Aism). In tali istituzioni, che finanziano anche centinaia di progetti presso università ed enti di ricerca, le risorse vengono distribuite secondo le regole del merito scientifico e il reclutamento di ricercatori avviene senza veri e propri concorsi, ma per cooptazione su base squisitamente di alta competenza. Esistono dunque alcune strutture che funzionano e producono buona scienza e che sono in grado di attingere anche fondi stranieri e soprattutto dall'industria con cui spesso collaborano. I suggerimenti per il cambiamento sono di tre ordini. Primo, le Università, con la loro autonomia, dovrebbero capire l'importanza di attrarre ricercatori capaci di portare fondi da sorgenti esterne e provvedere a creare condizioni di lavoro idonee per la ricerca. Secondo, chiudere i laboratori improduttivi e potenziare i centri di eccellenza. Terzo, la classe politica, in tutt'altre faccende affacendata e «indifferente alla scienza ed al suo futuro», secondo Meldolesi, deve imporre nuove regole per assicurare flessibilità nell'amministrazione, controllo della produzione e riduzione dei costi burocratici. Detto in altre parole le università dovrebbero «americanizzarsi» al più presto. Condivido queste note positive che indicano come anche il nostro Paese possieda energie vigorose che attendono solo di essere meglio utilizzate. Tuttavia, l'«americanizzazione» delle nostre università, se è facile nelle strutture private, appare difficile in quelle pubbliche, attualmente dominate da docenti difficilmente recuperabili sul piano scientifico ai quali mancano gli incentivi per uscire dalla loro tranquilla miseria. La chiusura dei laboratori improduttivi deve affrontare il problema del destino di chi vi lavora che talvolta è stato sacrificato dall'anossia cronica in cui è vissuto. Concentrare le risorse su pochi centri di eccellenza è un'ottima idea, magari anche attraverso consorzi o istituti nazionali, ma vedrei con preoccupazione la sterilizzazione completa di quasi l'intero territorio nazionale, nel quale molte piccole unità sopravvivono decorosamente anche se con mezzi irrisori. Per quanto riguarda l'intervento del mondo politico, è di fondamentale importanza una mediazione con le forze sindacali e le parti sociali che non induce all'ottimismo. Credo che le proposte di Meldolesi siano condivise da molti e debbano essere prese in seria considerazione. La strada sarà lunga ma prima o poi dovremo pure iniziare. Alcuni cambiamenti sono a costo zero e darebbero qualche piccolo effetto immediato, come ad esempio provvedere a cambiare il sistema di distribuzione delle risorse. Tuttavia, ci dobbiamo rendere conto che senza un aumento dell'investimento verso i livelli dei nostri partner europei più qualificati non si avranno effetti degni di nota. La realtà attuale è che degli 11.000 miliardi stanziati dallo Stato per la ricerca, gran parte è destinata a stipendi oppure va all'industria, per cui la cifra realmente disponibile consente delle nozze senza neppure i fichi secchi. Il Cnr, ad esempio, il più grande ente di ricerca, spende l'85% del suo bilancio statale di 1000 miliardi per stipendi e spese di funzionamento. Per le università la cifra si aggira sul 98%. Altro punto urgente è agire con convizione verso la creazione di un libero mercato di cervelli. Sul piano politico, una cosa è certa: il governo targato 1995 ha proceduto in direzione contraria. L'attuale disegno di legge sui concorsi approvato dal Senato l'11 gennaio scorso prevede un listone di idoneità nazionale senza limiti di numero, anticamera pericolosa per un'altra, ope legis, che chiuderebbe ancora di più l'ingresso ai giovani e quindi al rinnovamento. Possiamo ancora sperare? Piergiorgio Strata Università di Torino


UCCELLI IN CITTA' Malattie che volano con i piccioni Il problema investe anche storni e gabbiani
Autore: VALPREDA MARIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IL piccione di città è l'indiziato ma i veri colpevoli sono pappagalli e tacchini: il delitto è la possibile trasmissione all'uomo di Chlamydia psittaci, causa della psittacosi-ornitosi. E' una delle più pericolose tra le oltre 300 zoonosi, le malattie trasmesse dagli animali all'uomo che rappresentano una delle insidie dell'ambiente urbano, uno scenario particolare nel rapporto uomo-animale. Il potenziale rischio sanitario per la popolazione è uno degli argomenti di chi vuole controllare la crescita indisturbata, talora vere e proprie esplosioni demografiche, dei sinantropi, come sono definiti gli animali che vivono (graditi o appena tollerati) nelle città. Nel caso delle clamidie, i ricercatori hanno visto che i ceppi che infettano i piccioni sono a bassa virulenza, poco pericolosi per l'uomo. Discorso analogo anche per le salmonelle: nella maggior parte dei casi il sierotipo che colpisce i piccioni è S. typhimurium varietà Copenaghen, che possiede una patogenicità trascurabile per l'uomo. Fondati dubbi sussistono anche sul ruolo del piccione come diffusore, attraverso le zecche che lo parassitano, della Borrelia burgdorferi, agente della malattia di Lyme. Infatti, se è vero che borrelia è stata isolata (anche in Italia) da zecche tipiche del piccione (Argas reflexus) non è mai stato dimostrato che in questo parassita si verifichi la moltiplicazione del patogeno dopo il pasto di sangue ed il suo passaggio alle ghiandole salivari, come invece avviene in Ixodes ricinus, altra zecca trasmettitrice. E' sbagliato quindi definire, com'è stato fatto in passato, il piccione urbano una pericolosa «bomba biologica»? In realtà qualche motivo di preoccupazione esiste, in particolare per la trasmissione di miceti patogeni. I piccioni hanno un ruolo dimostrato nella diffusione della candidiasi, della blastomicosi e della criptococcosi. Per quest'ultima micosi, che colpisce l'uomo ai polmoni ma si diffonde anche alle ossa, alle articolazioni ed alle meningi, il problema è complicato dal fatto che il fungo, Criptococcus neoformans, presente abbondantemente nell'apparato gastroenterico dei piccioni, si sviluppa anche nelle feci già emesse, sfruttando la creatina di cui le deiezioni sono ricche. Con l'essiccamento i funghi si disperdono nell'aria e la loro inalazione, pericolosa per tutti, è micidiale per gli immunodepressi, come gli ammalati di Aids. Ricerche sulla presenza del micete nelle feci di piccione, eseguite anche a Torino, hanno dimostrato elevati tassi di positività. Ma i piccioni non rappresentano l'unico esempio di possibili guai sanitari connessi con l'aumento di volatili negli ambienti urbani: anche la presenza crescente di storni e gabbiani crea problemi analoghi. Certo, la questione sanitaria non va enfatizzata, ma non vanno nemmeno sottovalutate le conseguenze igieniche: accumuli di piume e animali morti nelle strade e nelle grondaie, quintali di guano a forte potere corrosivo scaricati su edifici, monumenti ed ignari passanti. Intervenire non è semplice, perché per controllare le popolazioni di uccelli urbani il rimedio risolutivo non esiste, ma occorrono più interventi integrati: impedire la nidificazione negli edifici vecchi e degradati, applicare dissuasori di appoggio su monumenti e costruzioni di particolare pregio, usare ultrasuoni per l'allontanamento, somministrare anticoncezionali, effettuare catture mirate. E' poi fondamentale una corretta informazione alla popolazione, senza inutili allarmismi, ma censurando comportamenti irrazionali. Come quello di somministrare ai piccioni alimenti impropri che, provocando turbe digestive, aggravano la contaminazione ambientale. Mario Valpreda


BUCANEVE Il primo fiore saluta l'inverno
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

E' ancora inverno: ma le giornate iniziano ad allungarsi, le gemme sono turgide in quanto riprende l'attività dei meristemi apicali dopo un lungo periodo di stasi grazie all'aumento di alcuni fitoregolatori, nei boschi e nei prati da monte a valle si assiste ad un'esplosione di bucaneve. Questa pare improvvisa, però, in effetti, non lo è in quanto le gemme florali e gli abbozzi delle foglie si erano già formati in autunno, pronti ad allungarsi e ad uscire dal terreno ai primi tepori. Perce-neige è chiamato in Francia, come pure Gallant d'hiver (ossia amante dell'inverno), mentre nella Svizzera tedesca è denominato Anselblume, fiore del merlo, perché sembra che alla sua apparizione anche il merlo inizi a zirlire, mentre gli inglesi lo chiamano Goccia di neve, Snowdrop. In questa nazione fu introdotto dall'Italia dal famoso botanico Gerarde alla fine del '500 per volere della Regina Elisabetta a cui aveva raccontato come «l'avesse visto fiorito allo stato spontaneo nell'Italia alpina». Il Galanthus nivalis (la cui etimologia dal greco del nome del genere sta a significare dai fiori di colore bianco latteo opaco), compare quando la natura è in riposo vegetativo, non da solo ma in compagnia del Leucojum vernum (la viola bianca, o campanellino), con cui potrebbe facilmente confondersi in quanto entrambi sono piccole piante con un bulbo sormontato da uno stelo terminante con un solo fiore candido e pendulo che differisce soltanto per il numero dei petali dei fiori. Al Pascoli, attento conoscitore delle piante, la differenza non era sfuggita, infatti così scriveva: «Ed Egli fu il leucojo, Ella il galanto, il fior campanellino e il bucaneve, e questo aveva tre petali soltanto e quello sei, candidi entrambi, a capo chino entrambi». Le mode vanno e vengono anche tra i fiori: infatti i bucaneve stanno attualmente ricevendo a livello di studio e di impiego la stessa attenzione che hanno avuto negli Anni Trenta prima di cadere nel dimenticatoio. Un gruppo di studio sorto in Inghilterra, il National Collection Group of Galanthus, che ha pure curato una mostra in cui sono state presentate tutte le 14 specie e le cultivar esistenti, (oltre seicento), ha richiamato l'interesse dei galantofili e ha fatto comprendere la necessità di proteggere questa pianta evitando di raccoglierla nei boschi. Non solo, ma in Inghilterra chi acquista un bulbo di bucaneve è invitato a rivolgersi alla Flora and Fauna Preservation, Ente in grado di dichiarare l'origine dei bulbi stessi. Quando si pensa ai bucaneve si ha in mente il G. nivalis, uno dei più piccoli, alto soltanto 8 cm, originario dell'Italia e si ritiene che il periodo di fioritura sia soltanto quello invernale, mentre esistono specie e varietà in grado di fiorire dall'inizio dell'autunno fino alla primavera inoltrata. Ad esempio G. reginae olgae originario della Sicilia e di Corfù fiorisce già a settembre, mentre il G. ikariae dei pascoli montani del Caucaso e del Sud-Ovest della Russia ha un lungo ciclo di fioritura dall'inverno alla primavera, in gennaio fioriscono il G. plicatus dell'Europa dell'Est (Bulgaria, Romania fino alla Crimea) e il G. caucasicus, seguiti a febbraio dal G. elwesii dei Balcani. E' assai difficile identificare le specie e le varietà di bucaneve: occorre essere specialisti in quanto la classificazione si basa sul differente modo in cui le foglie emergono dal suolo, sulla differenza e dimensione di una macchia verde all'interno dei petali. L'interesse attuale di questa specie è dovuto al fatto di essere piante che fioriscono all'aperto anche in presenza di temperature molto rigide, di essere molto frugali, adattandosi a difficili situazioni di terreno, a condizioni di ombra, quindi di potere essere piantati anche sotto alberi ed arbusti dove altre specie non sopravvivrebbero. Quindi preziose per fornire germoplasma che potrebbe essere utilizzato e manipolato e venire impiegato per fornire nuove piante arricchendo il settore del florovivaismo, contribuendo ad ampliare la gamma delle piante disponibili. Elena Accati Università di Torino


PRO & CONTRO Tumori al seno, i dubbi sul tamoxifene Solo una ricerca su vasta scala potrà dire la parola definitiva
Autore: SACCHINI VIRGILIO, NICOLUCCI ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA

NELL'ARTICOLO «Tamoxifene, più prudenza» uscito su «Tuttoscienze» il 3 gennaio si sottolineava che questo farmaco per il cancro del seno, finora ritenuto miracoloso, perderebbe efficacia se somministrato per più di 5 anni e potrebbe addirittura essere dannoso se assunto a tempo indefinito. Ciò si basa sui risultati di uno studio condotto dal professor Fisher che ha indotto il National Cancer Institute a diramare a 22 mila medici una circolare che sconsiglia l'uso del tamoxifene per più di 5 anni e ha portato all'interruzione di una sperimentazione in corso negli Stati Uniti su questa terapia a lungo termine. Le decisioni prese negli Stati Uniti a seguito dei risultati dello studio sono state fortemente criticate da molti esperti del settore. In primo luogo i dati della sperimentazione non sono ancora stati pubblicati e quindi non sono stati formalmente valutati dalla comunità scientifica internazionale riguardo alla loro validità e alla correttezza delle conclusioni. In secondo luogo, si è stimato che per valutare in modo scientificamente attendibile i benefici e i possibili rischi di una terapia con tamoxifene prolungata oltre i 5 anni, sarà necessario studiare più di 20.000 pazienti. Uno studio di tali dimensioni è in corso di attivazione a livello internazionale, e vede un'ampia partecipazione anche dei ricercatori italiani. Lo studio americano includeva invece solo poco più di 1000 donne, un numero assolutamente insufficiente per trarre qualsiasi conclusione riguardo l'efficacia del tamoxifene a lungo termine. Va infine sottolineato che le raccomandazioni del National Cancer Institute si riferiscono solo alle pazienti con linfonodi negativi e recettori estrogenici positivi, (le sole incluse nello studio di Fisher), e che non riguardano in alcun modo altre categorie di pazienti e tantomeno l'uso del tamoxifene per la prevenzione del tumore al seno. In conclusione, i dati finora disponibili dimostrano che il tamoxifene è un farmaco estremamente efficace nella cura dei tumori al seno, e potrebbe inoltre avere un effetto positivo sul sistema cardiovascolare e sulla densità ossea, a scapito di un aumento molto piccolo del rischio di sviluppare tumori dell'endometrio. Tale effetto negativo è controbilanciato da una sostanziale riduzione del rischio di sviluppare un secondo tumore nell'altra mammella. Allo stato attuale delle conoscenze non è possibile trarre conclusioni riguardo l'efficacia del trattamento somministrato per tempo indefinito e l'uso del farmaco oltre i 5 anni andrebbe quindi limitato all'interno di sperimentazioni cliniche. La partecipazione di medici e pazienti a tali sperimentazioni andrebbe sempre più incoraggiata, perché solo in questo modo è possibile dare risposte concrete a quesiti clinici così importanti, evitando facili entusiasmi e allarmismi ingiustificati. Virgilio Sacchini Istituto Europeo di Oncologia Milano Antonio Nicolucci Dipartimento di Farmacologia Consorzio Mario Negri Sud Abbiamo riferito tempestiva mente, come è buon costume giornalistico, notizie pubblica te dall'autorevole rivista ame ricana «Science». I prossimi studi diranno su questo tema una parola più definitiva.


COME SI FORMANO GLI ICEBERG Ghiacciai alla deriva I più grandi si formano in Antartide
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D., C. Come si formano gli iceberg. La deriva degli iceberg

OGNI anno l'Artico e l'Antartico «partoriscono» decine di migliaia di enormi blocchi di ghiaccio che si distaccano dai ghiacciai o dai tavolati che si affacciano sul mare e si allontanano galleggiando sull'acqua. Alcuni iceberg hanno dimensioni gigantesche, come quelli individuati al largo dell'Antartide l'anno scorso, isole galleggianti di circa 200 chilometri quadrati, grandi cioè quanto il Lussemburgo. Gli iceberg più grandi sono quelli che hanno origine nel continente Antartico; essi infatti si formano per la rottura della parte frontale delle cosiddette barriere, gli enormi tavolati di ghiaccio alti 30 e più metri che si protendono sul mare (barriera di Ross, barriera di Filcner, di Ronne, di Larsen). I tavolati, spinti dai ghiacci sovrastanti che formano la calotta, avanzano con una velocità che può raggiungere i 2 metri e mezzo il giorno. Gli iceberg, un pericolo per la navigazione, sono sorvegliati per mezzo di aerei e di satelliti. Con questo sistema negli ultimi anni sono stati contati nell'oceano antartico circa 300. 000 iceberg alla deriva. Alcuni sono arrivati fino in Nuova Zelanda e Sud Africa.


MATEMATICA Umanesimo nascosto nei numeri
Autore: ODIFREDDI PIERGIORGIO

ARGOMENTI: MATEMATICA
LUOGHI: ITALIA

IL Museo dell'Automobile di Torino ospita fino al 18 febbraio tre mostre di matematica dal titolo «Dal compasso al computer». Queste mostre non hanno interesse solo per gli addetti ai lavori (matematici di professione, insegnanti, studenti). Nonostante l'impressione diffusa che la considera come una (astrusa) parte della scienza, si può infatti sostenere che la matematica è un umanesimo. Benché anche nella dizione universitaria si parli di Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, tra matematica e scienze esiste soprattutto una opposizione metodologica: mentre la prima si sviluppa dedutti vamente, partendo da assunzioni (dette assiomi) e raggiungendo conclusioni (dette teoremi), le seconde procedono induttivamen te, partendo dalle conclusioni (i dati sperimentali) e andando alla ricerca di possibili spiegazioni (sotto forma di teorie). Naturalmente esistono aspetti scientifici nella matematica, quando gli assiomi vengono astratti dall'esperienza del mondo fisico, e svolgono quindi una funzione analoga a quella dei dati sperimentali. Ad esempio, fino all'Ottocento la geometria euclidea veniva considerata come una descrizione delle proprietà astratte dello spazio fisico, a causa della supposta «evidente» verità dei suoi assiomi. Analogamente esistono aspetti matematici nella scienza, quando le teorie vengono fondate su assunzioni ideologiche riguardo alla natura del mondo, e si sottopongono poi le conclusioni a verifiche sperimentali, spesso nella forma di un experimentum cru cis che decide della verità scientifica (non di quella matematica]) della teoria. Ad esempio, la fisica matematica riscrive (e a volte anticipa) le teorie correnti in termini puramente astratti, il cui significato fisico è spesso completamente nascosto. Mentre si può dunque tracciare una linea di demarcazione metodologica abbastanza netta tra matematica e scienza, la cosa è invece impossibile tra matematica e letteratura. Entrambe descrivono infatti mondi immaginari, a partire da assunzioni che possono essere sia concrete (nel caso della matematica classica e della letteratura realistica) che astratte (nel caso della matematica moderna e della letteratura fantastica), senza altre richieste che una coerenza interna del racconto. Il valore letterario delle descrizioni matematiche, o di quelle scientifiche di natura matematica, è riconosciuto anche dagli addetti ai lavori. Ad esempio John Bell, fisico matematico autore di un famoso teorema che mette in dubbio la nozione comune di realtà, scrisse che i mondi della fisica sono «finzioni letterarie» il cui scopo è di «estendere in maniera matematicamente consistente il mondo visibile nell'invisibile». E Primo Levi, nel Dialogo con Tullio Regge, sosteneva che «la fantascienza vera è quella che corre nella repubblica dei fisici», mentre «quella che va in commercio è marginale, un cascame». Simmetricamente, l'ispirazione matematica nella letteratura può creare opere memorabili. Per fare solo alcuni esempi, scelti fra i grandi nomi: matematici sono i protagonisti dell'Uomo senza qualità di Robert Musil e dell'Incognita di Hermann Broch; matematico è il contenuto delle opere di Lewis Carroll e Jorge Luis Borges; matematica è la struttura de La vita: istruzioni per l'uso di Georges Perec, dei Centomila miliardi di poemi di Raymond Queneau, de L'incen dio della casa abominevole di Italo Calvino. Neppure la dedizione assidua e lo sforzo intellettuale che essa richiede sono sufficienti a distinguere la matematica dall'arte. Studiare, capire e godere le grandi opere-mondo, dall'Arte della fuga di Johann Sebastian Bach ai Cantos di Ezra Pound, richiedono lo stesso sforzo e danno la stessa soddisfazione che studiare, capire e godere le grandi opere matematiche, dagli Elementi di Euclide ai Fondamenti della geometria di David Hilbert. E' dunque con lo spirito di avvicinarsi ad una forma d'arte come si va ad un museo o ad un concerto, che suggeriamo di visitare le tre mostre, nella speranza che l'esperienza possa per qualcuno significare il primo passo verso la scoperta di una delle espressioni dell'umanesimo. Piergiorgio Odifreddi Università di Torino


STRIZZACERVELLO Un trapezio fatto
LUOGHI: ITALIA

Dividere il trapezio della figura in 4 parti uguali aventi ancora la stessa forma del trapezio di partenza (un trapezio rettangolo con un angolo di 45o). Stefano Bena e Massimiliano Gaggino di Sordevolo (Biella) ci hanno inviato un bellissimo numero sferico, cioè un numero che, al quadrato, termina con le stesse cifre del numero dato (presentato alcune settimane fa nello Strizzacervello). Tre pagine fitte di numeri per un numero sferico inedito di 5000 cifre e per il suo quadrato. Gli autori allegano anche il listato C usato per l'indagine. Giovanni Bosticco di Torino ha invece elaborato un elegante metodo matematico per la ricerca dei numeri sferici.


UNA MOSTRA DA ESPORTARE L'altra metà della scienza Dalla moglie di Einstein alla Levi Montalcini
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, DONNE, MOSTRE
NOMI: MARIC MILEVA, NORTH MARIANNE, HERSCHEL CAROLINE, CURIE MARIE, CURIE IRENE, SUSSMAN YALOW ROSALYN, LEVI MONTALCINI RITA, GOEPPERT MAYER MARIA
ORGANIZZAZIONI: FONDAZIONE IDIS
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, NAPOLI (NA)

DALLE lettere che Albert Einstein scrisse alla prima moglie, Mileva Maric, si scopre che, quando i due erano ancora fidanzati (1901), Mileva ebbe un ruolo non marginale nelle discussioni «preparatorie» della teoria della relatività. La Maric era brillantemente laureata in fisica e discuteva spesso con Einstein sulla realtà fisica dell'etere, questioni che fecero da premessa all'elaborazione della teoria della relatività ristretta. Anzi, alcuni storici affermano che le copie originali dei primi tre articoli sulla relatività sono stati firmati Einstein-Maric. Ma i doveri di donna, la nascita della primogenita Lieserl (1902), il matrimonio (1903) e l'arrivo del secondo figlio Hans Albert (1904), chiusero bruscamente la carriera accademica di Mileva. Albert continuò le sue ricerche da solo: la moglie non era più un interlocutore interessante. E poi doveva occuparsi della gestione della casa. Questo è solo uno dei tanti aneddoti storici che impongono all'attuale comunità scientifica internazionale di rivalutare l'apporto delle donne al progresso della scienza. Nella storia della cultura le scienziate sono state poche, ma hanno sempre dato contributi più che validi. Se nel recente passato la loro emarginazione si spiega in termini storici, oggi questo malcostume dovrebbe essere finito: eppure le donne nei laboratori sono in minoranza, e sopportate malvolentieri se non addirittura osteggiate nella carriera dai colleghi uomini. E' quanto emerge dalla mostra «L'altra metà della scienza», realizzata dalla fondazione Idis di Napoli. Presentata prima di Natale in occasione della terza Settimana della cultura scientifica, la mostra è stata pensata con l'obiettivo di far riflettere sul rapporto donna-ricerca scientifica e per raggiungere un pubblico il più vasto possibile. Marianne North, Caroline Herschel, Marie Curie, Irene Curie, Rosalyn Sussman Yalow, Rita Levi Montalcini, Maria Goeppert Mayer..., sono tutte donne che hanno svolto studi di prima grandezza. La mostra consiste in una quindicina di pannelli (il ruolo della donna nella storia della scienza, l'approccio femminile alla ricerca e i vantaggi della «diversità» del cervello femminile impegnato nella soluzione di problemi tecnici; dati statistici sulle donne scienziato) e in un video prodotto della Rai. Disponibile in italiano e nelle principali lingue europee, le immagini propongono una carrellata di testimonianze di scienziate e filosofe che raccontano come è nato il loro amore per la ricerca e quali difficoltà hanno incontrato nella loro carriera. Questa struttura leggera e flessibile fa sì che la mostra sia gestibile in ogni tipo di spazio o di occasione. Istituzioni e scuole che desiderano portarla nella propria città, possono richiederla alla Fondazione Idis, Istituto per la diffusione della cultura scientifica, via Coroglio 104, 80124 Napoli, tel. (081) 230.10.40. Andrea Vico




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