TUTTOSCIENZE 6 novembre 96


TRE LANCI IN DUE MESI Marte, inizia la scalata Oggi parte la prima di una serie di sonde
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: NASA, MARS SURVEYOR, CNES, PATHFINDER, LOCKHEED-MARTIN, JET PROPULSION LABORATORY
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, FLORIDA, CAPE CANAVERAL

E' una «finestra di lancio» istantanea, della durata di appena un secondo, quella che dovrà consentire alla sonda automatica «Mars Surveyor» di salpare oggi 6 novembre, nel pomeriggio, alla volta di Marte. La «finestra» è l'intervallo di tempo dedotto dalle posizioni della Terra e di Marte, entro il quale la sonda dev'essere inviata sulla propria rotta interplanetaria di 70 milioni di chilometri. Esiste tuttavia anche la possibilità che il razzo «Delta 2» si stacchi dalla piattaforma L7 di Cape Canaveral un'ora e mezzo dopo il momento-flash, alle 12 e 11 ora locale, le 18 e 12 in Italia. Alla Nasa hanno calcolato inoltre la possibilità, in caso di inconvenienti, di lanciare con 30 secondi di anticipo sul momento prestabilito. Ma 30 secondi, per le leggi della meccanica celeste e delle traiettorie interplanetarie, sono un'infinità, e la missione verrebbe ridimensionata nelle osservazioni previste in orbita attorno al pianeta. «Mars Surveyor» inaugura una serie di tre sonde che partiranno entro fine anno, prima di una serie ben più lunga che dovrà effettuare nei prossimi anni un'esplorazione completa del pianeta per raccogliere tutte le informazioni utili in vista di uno sbarco umano: il vero obiettivo rimane questo, benché Clinton abbia raffreddato le speranze concentrando il progetto americano su veicoli-robot fino al 2005. Nulla di nuovo: si sapeva già che sbarchi di astronauti su Marte non potranno avvenire prima del 2010, sia per ragioni di costi sia per problemi tecnologici ancora da risolvere. E' certo comunque che la scoperta di possibili tracce di semplici organismi fossili in una meteorite di probabile origine marziana - annuncio dato con grande clamore in agosto da ricercatori della Nasa - ha di nuovo fatto salire l'interesse per Marte sia tra gli scienziati sia nel pubblico (per non parlare di un film come «Independence day»: meglio sorvolare sulle sue assurdità e cadute di gusto). «Surveyor» significa «topografo», e così come capitò negli Anni Sessanta con l'omonima serie di sonde lunari, il compito di questo genere di veicoli spaziali è di realizzare una mappa cartografica del pianeta con particolari di un metro e mezzo, insieme a rilevazioni del sottosuolo, della superficie e sulla densità atmosferica. «Mars Surveyor» entrerà in orbita polare attorno a Marte con un metodo particolare. Per frenare la corsa e stabilizzarsi attorno al pianeta risparmierà la metà del propellente dei serbatoi tramite il metodo di «aerobreaking», sfruttando gli strati superiori dell'atmosfera marziana che la terrà «a galla». Da questa posizione di «sentinella», sarà un vero e proprio supporto scientifico e informatico per entrambe le sonde che verranno lanciate fra poco, la russa «Mars 96» e la «Mars-Pathfinder», sempre della Nasa. Con la «Mars 96» comunicherà tramite un'antenna realizzata dall'ente spaziale francese Cnes, mentre con la «Pathfinder» userà le sue stesse antenne di bordo. La «Pathfinder» è già pronta a Cape Canaveral in cima a un altro «Delta 2». Il lancio è previsto per il 2 dicembre, la discesa nell'Area Vallis di Marte per il 4 luglio '97; sbarcherà un mini-rover a sei ruote che si sposterà in un raggio di 500 metri dal punto di discesa. «Mars Surveyor», è la prima di una serie di sonde gemelle tutte simili fra loro, che anticiperanno ogni volte altre sonde inviate verso Marte previste per i prossimi anni. La Lockheed-Martin l'ha realizzata, per risparmiare sui costi, recuperando molte componenti già fabbricate della «Mars Observer» che fu lanciata nel 1992 per poi esplodere nell'agosto '93 mentre si trovava in prossimità di Marte. Quando l'ultimo stadio del Delta 2 si riaccenderà per sospingerla sulla traiettoria Terra-Marte, la sonda inizierà il suo lungo viaggio carica di 170 chilogrammi di strumentazione: spettrometri a raggi gamma e all'infrarosso misureranno la quantità di minerali presenti nel suolo e valuteranno le concentrazioni atmosferiche di acqua e anidride carbonica. Le rilevazioni della superficie di Marte dovranno chiarire (almeno in una prima fase di studio) l'eventuale presenza di ghiacci, mentre una telecamera effettuerà ricognizioni dell'ambiente marziano in base ai mutamenti climatici. Marte infatti è un pianeta caratterizzato da forti sbalzi di temperatura e da temporali e tempeste violentissimi. Uno speciale radar traccerà la mappa dei rilievi montuosi e di altre strutture. «Mars Surveyor» è anche il nome del programma gestito dal Jet Propulsion Laboratory della Nasa, a Pasadena, in California; esso si prefigge nell'arco di sei anni uno studio sistematico di Marte e prevede il lancio di sonde a intervalli regolari, una ogni due anni. Si tratta, come nel caso della «Mars Surveyor», di veicoli relativamente piccoli o poco costosi, ma tecnologicamente avanzati, che forniranno elementi di conoscenza su Marte in misura e quantità rilevanti; la risoluzione delle immagini sarà ben superiore a quelle delle sonde «Viking» giunte a Marte nel 1976, che non consentivano di distinguere oggetti di lunghezza inferiore ai 5 metri. Antonio Lo Campo


SULLO SHUTTLE Un record: va in orbita a 61 anni
Autore: A_L_C

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, RECORD, MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: MUSGRAVE STORY, BRAND VANCE, HOFFMAN JEFF
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA

SPAZIO ai vecchietti... dello spazio. Lo slogan è per Story Musgrave, che fa parte dell'equipaggio della navetta «Columbia», il cui lancio è previsto per dopodomani 8 novembre (salvo imprevisti nel lancio di «Mars Surveyor»), alle 20 e 47 ora italiana. Story Musgrave è l'ultimo rimasto in servizio attivo come specialista di missione degli astronauti Nasa scelti nel periodo d'oro degli Anni 60. Con questo volo batterà due record: quello di astronauta più anziano con i suoi 61 anni (due in più di Vance Brand che vantava il record dal 1990), e quello della sesta missione spaziale personale, record finora vantato solo da John Young, il mitico veterano dei voli «Gemini» e «Apollo», che andò anche sulla Luna, dove pilotò la «rover». Story Musgrave, che ha cinque lauree in varie discipline, volò per la prima volta nel 1983 e fece una «passeggiata spaziale» di 4 ore: una bazzecola rispetto alle tre escursioni del 1993, una delle quali durò più di otto ore, per riparare insieme a Jeff Hoffman il telescopio spaziale «Hubble». La prossima missione del «Columbia» sembra davvero dedicata a risolvere alcuni dei problemi che si verificano in età avanzata. Il più interessante riguarda i campioni di un osso sintetico messo a punto da ricercatori francesi, frutto di ricerche durate un anno e mezzo con la speranza di aprire nuove prospettive nel campo dei trapianti di ossa. Ha le stesse qualità biologiche e meccaniche di quello naturale e può anche favorire lo sviluppo di cellule ossee. Queste ricerche sono state condotte finora soltanto su animali. I test in orbita dovrebbero secondo i ricercatori della facoltà di Medicina di Angers, fornire risposte importanti su come la microgravità influisce sulla calcificazione; i risultati aiuteranno i medici a comprendere le perdite ossee subite dai malati costretti a letto per lungo tempo, o dai paraplegici. L'immobilità crea infatti condizioni di vita simili a quelle indotte da lunghe permanenze nello spazio, poiché in orbita si ha una lenta decalcificazione. Finora i trapianti vengono fatti prelevando parti di ossa dallo stesso paziente o da un'altra persona, con ossa di origine animale o con protesi di metallo. Ma queste operazioni possono portare a infezioni o alla trasmissioni di virus. Problemi che l'osso sintetico, come quello che sarà sperimentato sullo shuttle «Columbia», dovrebbe evitare.(a. l. c.)


TREMILA PAGINE, 28 VOLUMI, 3 CD-ROM «Tuttoscienze» ha 15 anni
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, EDITORIA, SCIENZA, DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: TUTTOSCIENZE, LA STAMPA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

TUTTOSCIENZE ha compiuto 15 anni e con questo numero - il 743 - entra nel suo sedicesimo anno, un'età che ai ragazzi tedeschi consente già di votare. Il lungo percorso si misura in 2972 pagine, 28 volumi che le raccolgono, 50 mila articoli di oltre 200 collaboratori e tre Cd-Rom. In piccolo, siamo stati anche un laboratorio dell'informazione del futuro: «Tuttoscienze» è sbarcato per primo su Internet e per primo ha sperimentato le tecnologie multimediali, inizialmente raccogliendo 12 annate in due Cd-Rom e poi affiancando ai propri testi i filmati del Tg scientifico della Rai «Leonardo» in un Cd-Rom più ampiamente interattivo. Quest'ultimo è andato in edicola poche settimane fa ed è praticamente esaurito. In tutti questi anni abbiamo cercato di far crescere l'interesse per la scienza e la tecnologia, convinti che si tratti di temi ricchi di fascino e di suggestioni, e che quindi possano vincere la lotta darwiniana per la sopravvivenza, conquistando un po' di spazio sul giornale anche in competizione con le notizie riguardanti il ruolo delle anguille nel film di Valeria Marini, gli amori di Alba Parietti e le dichiarazioni dell'on. Buttiglione. Di buono le notizie scientifiche hanno la lunga durata: mentre le anguille di Valeria, i fidanzati di Alba e il pensiero di Buttiglione resistono nella memoria collettiva da qualche ora a qualche minuto, le scoperte scientifiche durano decenni. Le particelle nucleari scoperte da Rubbia 13 anni fa hanno modificato i libri di scuola in modo definitivo. Certo non si può dire altrettanto di nessun gesto dei nostri uomini politici compiuto nello stesso arco di tempo... Questo fatto può essere verificato proprio andando a rivedere i temi trattati nel primo numero di «Tuttoscienze», datato 28 ottobre 1981: la diversa funzione dei due emisferi cerebrali scoperta da Sperry, le proiezioni sul Duemila del Club di Roma, il radiotelescopio Vla allora appena inaugurato nel Nuovo Messico, il Wwf e la tutela dell'ambiente, le fibre ottiche, la crisi dell'insegnamento scientifico in Italia. Bene: l'esplorazione del cervello è tuttora la grande sfida degli Anni 90, del Duemila tutti ci stiamo occupando e preoccupando, il radiotelescopio Vla nel frattempo ha dato straordinari contributi alla conoscenza dell'universo, la questione ambientale ha acquisito un'importanza primaria, le fibre ottiche stanno arrivando nelle nostre case per cambiarci la vita. E ancora attualissimo, purtroppo, è anche l'articolo sulla marginalità della cultura scientifica in Italia. Quanto alla presenza di questa cultura sui nostri giornali, ci sono segnali contraddittori. In positivo, sono nati corsi di giornalismo scientifico come quelli della Scuola internazionale di studi avanzati (Sissa) di Trieste e dell'Istituto Mario Negri Sud; c'è una maggior disponibilità dei ricercatori a praticare la divulgazione; la notizia scientifica è definitivamente entrata nell'orizzonte del giornale. In negativo, nei quotidiani la scienza è ancora testardamente respinta dalle pagine che si autodefiniscono «culturali»; c'è un salto di attendibilità tra le notizie pubblicate nei supplementi scientifici e quelle che appaiono nelle altre pagine del giornale (inclusa la prima); emotività e spettacolarità spesso prevalgono sul valore reale della notizia. Alcuni fenomeni, a questo proposito, meriterebbero uno studio attento. Il caso più recente e clamoroso è quello dell'encefalopatia spongiforme che ha colpito i bovini inglesi (e svizzeri). Benché tuttora non sia dimostrata la trasmissione all'uomo di questa malattia e gli articoli pubblicati sostanzialmente siano stati corretti, al grosso pubblico è arrivato il messaggio di un pericolo gravissimo e generalizzato. Angela Gallone, una ricercatrice della Facoltà di medicina di Torino, analizzando centinaia di articoli sui maggiori quotidiani italiani, è giunta a concludere che l'espressione giornalistica «mucca pazza», facendo vibrare corde psicologicamente molto sensibili (la paura oscura della follia, i ricordi materni e infantili legati alla parola mucca), ha avuto devastanti effetti disinformativi. Uno slogan vale più di un trattato. Lezione che noi giornalisti scientifici dovremmo imparare. Piero Bianucci


NEUROSCIENZE Cervelli in forma Come comunicano i neuroni
Autore: CALISSANO PIETRO

ARGOMENTI: BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

OGNI giorno di più la ricerca neurobiologica dimostra che computer e cervello sono lontani anni luce l'uno dall'altro. In questi anni si va lentamente ma inesorabilmente cancellando anche l'unico baluardo sul quale poggiava l'analogia di funzionamento di questi due formidabili strumenti di elaborazione e di memorizzazione delle informazioni. Questa analogia riguarda la natura dei segnali impiegati dagli elementi che compongono computer e cervelli. In entrambi i casi questi segnali si basano su correnti elettriche che circolano in circuiti altamente organizzati e specifici formati dai microchip nel caso dei computer e dai neuroni nel caso del nostro cervello. Questi ultimi sono dotati, nelle loro propaggini terminali, di strutture particolari - le sinapsi - attraverso le quali i neuroni si scambiano tutte le informazioni in arrivo e in partenza e stabilizzano, per un determinato tempo, quelle degne di essere trattenute come memoria. Questo tipo di trasmissione «classica» viene definita sinaptica. Ciò che sta emergendo dalle ricerche di questi anni è che il cervello non usa soltanto questo sofisticato sistema di comunicazione per inviare e ricevere messaggi. Ve ne è un secondo, forse più primordiale di questo, che è di continuo all'opera nel nostro cervello e rappresenterà un osso molto duro da imitare per i progettisti di calcolatori o per gli studiosi di intelligenza artificiale che sono impegnati a simulare l'attività del cervello animale. Poiché questo secondo sistema di comunicazione fra cellule nervose non usa le sinapsi, viene definito trasmissione diffusiva non-sinaptica. Vediamo alcuni esempi per spiegare a che cosa ci riferiamo. Un pianista che esegue un pezzo al pianoforte, un giocatore di tennis che concentra tutta la propria attenzione nel colpire la palla, un cacciatore che mira alla sua preda, per effettuare il proprio lavoro utilizza il sistema di trasmissione sinaptica: veloce, preciso e finalizzato a uno specifico scopo. Ma i circuiti che presiedono alle attività nervose dei tre soggetti che abbiamo descritto e che, per qualche aspetto, possono essere omologati a quelli di un computer, sono spesso integrati e modulati nelle loro funzioni da un insieme di molecole che circolano negli spazi cerebrali fra neurone e neurone e che, agendo per via non-sinaptica, hanno la funzione di modulare il funzionamento di quei circuiti affinché essi possano operare al meglio. La stessa attività di suonare il piano, di colpire una palla o una preda può essere effettuata con minore o maggiore passione, precisione o velocità se chi la esegue è in una condizione normale o, ad esempio, sotto stress. Questa differente possibilità di rendimento da parte dello stesso individuo è ben nota a tutti noi quando, nelle nostre prestazioni da dilettanti o da professionisti, ci riferiamo a «uno stato di forma» più o meno buono che sappiamo non dipendere esclusivamente dal nostro stato fisico o muscolare. Ora, questa condizione di forma non dipende tanto dall'efficacia vera e propria dei circuiti sinaptici - che in ciascuno di noi è relativamente costante in un determinato periodo della vita - quanto da quelle molecole che costituiscono, appunto, il sistema di trasmissione non sinaptica. Queste molecole, liberate da altri neuroni o da cellule accessorie, diffondendosi fra un neurone e l'altro possono potenziare o diminuire l'efficienza del sistema di trasmissione sinaptico. La nozione di questo sistema di modulazione era nota da tempo e le molecole che ne facevano parte erano classificate e denominate in vario modo. Più di recente, a questa categoria di sostanze, a metà fra gli ormoni e i neurotrasmettitori classici, si sono unite due molecole di natura gassosa che neppure una mente dotata di fervida immaginazione avrebbe potuto ipotizzare essere coinvolte nell'attività nervosa. Anche perché i due gas in questione sono, ad alte dosi, piuttosto tossici per il nostro organismo essendo l'ossido di azoto o NO e l'ossido di carbonio o CO. Che interesse può avere per ciascuno di noi l'approfondimento delle conoscenze in questo campo di indagini, oltre alla nozione che questo modo di comunicare dei neuroni è un sistema molto peculiare del cervello animale rispetto ai cervelli artificiali? Per rispondere è sufficiente elencare qualche funzione cerebrale che si ritiene utilizzare in vario modo questo sistema. Innanzitutto numerosi comportamenti animali quali l'accoppiamento, la ricerca del cibo, i ritmi sonno-veglia, il comportamento di aggressione o di fuga. In secondo luogo, i meccanismi di apprendimento e di memorizzazione e in generale tutte le proprietà che conferiscono al cervello quella formidabile caratteristica denominata plasticità. Insomma, è come se, nel corso dell'evoluzione, un sistema di elaborazione elettronica (il sistema di comunicazione sinaptica) si fosse trovato a operare immerso in un «bagno» ripieno di sostanze chimicamente attive, costituito dal sistema di trasmissione non-sinaptica. Il miracolo è che da questa commistione di funzioni «elettriche» e di funzioni «chimiche e gassose» sia scaturito un modo molto sofisticato di regolazione dell'attività nervosa. Pietro Calissano II Università di Roma a Tor Vergata


IN BREVE Test ecologico di «Profondo blu»
ARGOMENTI: ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: CIRCOLO SUBACQUEO PROFONDO BLU
LUOGHI: ITALIA

Come stanno i mari italiani? Una risposta viene dal mondo dei sommozzatori: il 28 settembre 120 appassionati provenienti da tutta Italia si sono immersi nelle acque delle isole Tremiti per controllare l'ambiente marino dell'arcipelago. I volontari, grazie all'appoggio dei mezzi della Guardia di Finanza e della Marina Militare, hanno potuto esaminare 400 mila metri quadrati di fondale, misurando gli effetti dell'inquinamento e facendo un censimento della flora e della fauna. L'operazione è stata organizzata dal circolo subacqueo «Profondo blu» di Villar Perosa (Torino), con la collaborazione dell'Istituto di medicina iperbarica dell'Università di Chieti. Sono risultate chiare le gravi conseguenze della pesca indiscriminata che sta impoverendo un tratto di mare di straordinario interesse naturalistico. Lo studio verrà ripetuto tra 5 anni per osservare i cambiamenti prodotti dai fenomeni naturali e dall'azione dell'uomo in questo intervallo di tempo. Il circolo «Profondo blu» prepara un'iniziativa analoga nella prossima primavera per i fondali dell'isola di Capri. E intanto lancia la proposta di un grande programma di osservazione ambientale del Mediterraneo, da compiere con l'aiuto volontario dei subacquei italiani e degli altri Paesi rivieraschi.


IN BREVE Utet: il mare per le scuole
ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: UTET, ACQUARIO DI GENOVA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

In collaborazione con la casa editrice Utet di Torino, l'Acquario di Genova raggiunge le scuole elementari e medie: fino a febbraio un biologo del Dipartimento didattico del Parco marino sarà a disposizione degli istituti scolastici in Emilia, Lombardia, Piemonte e Toscana per spiegare il Mediterraneo. Le scuole possono chiedere il servizio (gratuito) telefonando alla Utet: 011-65.29.247.


IN BREVE Anemia di Fanconi scoperto il gene
ARGOMENTI: GENETICA
NOMI: SAVOIA ANNA
ORGANIZZAZIONI: TELETHON
LUOGHI: ITALIA

Un gruppo di ricercatori italiani finanziati da Telethon e guidati da Anna Savoia ha individuato il gene dell'anemia di Fanconi, una malattia ereditaria che richiede continue trasfusioni.


IN BREVE Città della scienza aperta a Napoli
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, NAPOLI (NA)

Una «Città della Scienza», primo science center italiano, è da qualche settimana in attività a Napoli per iniziativa della Fondazione Idis. Ne riparleremo. Informazioni: 081-230.1019.


MAPPATURA DEL SUOLO Scopriamo la scienza che studia i terreni Si chiama pedologia, è essenziale per l'agricoltura
Autore: PETRELLA FABIO, PIAZZI MAURO, SALANDIN ROBERTO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA
ORGANIZZAZIONI: IPLA
LUOGHI: ITALIA

LA pedologia: una scienza giovane al servizio del territorio. L'adozionze di tecniche produttive sostenibili, in campo agronomico, è ormai indispensabile, specie da quando l'Italia punta a entrare in Europa con le carte in regola. Oggi più che mai l'agricoltura italiana si trova di fronte alla necessità di conciliare le esigenze produttive con il rispetto dell'ambiente. Questo significa introdurre metodi di coltivazione che riducano gli effetti inquinanti connessi con la produzione. Ci si deve allora necessariamente avvalere di una maggiore conoscenza dei fattori ambientali coinvolti, di cui il suolo è una componente determinante. Riconoscere e inventariare questa fondamentale risorsa è compito della pedologia: una scienza da noi ancora largamente sconosciuta, anche se la sua nascita risale al secolo scorso negli Stati Uniti e in Russia. L'Italia scopre tardivamente, solo qualche decennio fa, l'importanza di conoscere il suolo e cerca di porvi rimedio, a partire dalle università. L'iniziale sordità delle istituzioni e dei politici va nel frattempo, seppur lentamente, attenuandosi; si gettano le basi per intraprendere i primi progetti di largo respiro. La FAO nel 1976 produce un Atlante dei suoli a scala mondiale; poi la Cee realizza per l'Europa una banca dati pedologica, regolarmente aggiornata. Anche l'Italia prepara una prima cartografia nazionale a piccola scala negli Anni 60. Per la pianificazione regionale occorrono però ben altre scale cartografiche e grandi masse di dati. Alcune regioni italiane provvedono a dotarsi di una propria organizzazione per acquisire documentazione. Tra queste c'è chi ha istituito un apposito «Servizio dei suoli» (Emilia-Romagna, Lombardia, Campania). Il Piemonte ancora non vi provvede, anche se la Regione affida dal 1975 il rilevamento di questa risorsa al Settore Suolo dell'Ipla di Torino (Istituto per le Piante da Legno e l'Ambiente). Nel 1982 si pubblica uno dei primi esempi italiani di cartografia pedologica a scala regionale: la «Carta della capacità d'uso dei suoli del Piemonte ai fini agricoli e forestali», con una esauriente memoria illustrativa. Poi le pubblicazioni si interrompono, ma continuano negli anni, senza interruzioni, le campagne di rilevamento dei dati. Gli strumenti che vengono utilizzati per lo studio del suolo vanno da immagini riprese da satelliti e fotografie aeree, utili al riconoscimento di molti aspetti territoriali, fino allo scavo nel terreno di buche pedologiche (profili). E' questa la fase fondamentale del rilevamento dei suoli, che consente di riconoscere le diversità (orizzonti) che caratterizzano un suolo dalla superficie fino ai substrati litologici da cui si è formato. Sono così descritti e campionati, per gli approfondimenti analitici, gli elementi più significativi che caratterizzano il suo comportamento nei riguardi della produzione primaria. Ma non basta conoscere le possibilità produttive o come si comporta un certo tipo di suolo nelle pratiche agrarie, occorre riconoscerne anche l'estensione nel territorio. Le informazioni pedologiche si trasferiscono quindi sulle basi topografiche; nascono così le «carte dei suoli». Da queste, tramite l'elaborazione dei numerosi dati ad esse associati, deriveranno molte applicazioni cartografiche utili alla pianificazione agraria o forestale: tra queste, carte di attitudine dei suoli alle diverse specie colturali, carte di vulnerabilità ambientale, carte di rischio di inquinamento, carte di capacità d'uso dei suoli, per citarne solo alcune. In Piemonte le conoscenze pedologiche di base trovano applicazione in campo produttivo (agrario e forestale) e ambientale da più di un decennio. Un esempio di valorizzazione delle risorse agrarie è l'applicazione della pedologia in un progetto che mira alla caratterizzazione e alla riqualificazione del Barbera d'Asti. Si vuole in pratica verificare se esistono sostanziali differenze fra i vini Barbera d'Asti prodotti nelle diverse zone dell'area a DOC, riconducibili anche a influenze pedologiche. Un secondo esempio nel campo della vulnerabilità ambientale è la «Carta del rischio di inquinamento del suolo e delle acque derivante dall'uso di fitofarmaci in agricoltura». Il lavoro è frutto di una collaborazione internazionale con la Cranfield University (Gran Bretagna), che ha messo a punto una metodologia per la valutazione delle aree vulnerabili, già applicata a scala nazionale in Inghilterra e Galles. Il modello che è servito per la redazione della carta è basato sulla valutazione delle caratteristiche protettive del suolo nei confronti delle falde acquifere profonde e delle acque superficiali. La pedologia si muove nell'ottica di fornire il suo prezioso contributo nella sempre maggiore integrazione delle discipline ambientali. Ma questo fermento di lavoro da noi in Piemonte è sconosciuto, nonostante il suolo abbia assunto ormai grande rilevanza a livello europeo. Lo comprova la recente costituzione, in ambito comunitario, dell'Ufficio Europeo del Suolo con sede proprio in Italia, presso il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea a Ispra (Varese) sul Lago Maggiore. Fabio Petrella, Mauro Piazzi, Roberto Salandin Settore Suolo, Ipla, Torino


UN ALLIEVO RICORDA IL MAESTRO E' stato il genio della congettura Gli informatici orfani del matematico Pal Erdos
Autore: LOVASZ LASZLO

ARGOMENTI: MATEMATICA
PERSONE: ERDOS PAL
NOMI: FACHINI EMANUELA, KOMER JANOS (TRADUTTORI), ERDOS PAL
ORGANIZZAZIONI: YALE UNIVERSITY, NEPSZABADSAG
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, UNGHERIA

Ringraziamo Laszlo Lovasz per averci concesso di pubblicare questo suo articolo sul Matema tico Pal Erdos, apparso in origi nale sul quotidiano ungherese «Nepszabadsag». Lovasz, allievo di Erdos, insegna alla Yale Uni versity (Usa); nei giorni scorsi ha tenuto una serie di conferenze a Roma, ospite del Dipartimento di scienze dell'informazione del l'Università «La Sapienza». _______ QUALCHE settimana fa, a 83 anni, è morto Pal Erdos, un grande della matematica non solo ungherese ma internazionale. Qui non è possibile dar conto nemmeno per cenni del suo lavoro. Mi limito dunque a un solo aspetto, forse più di ogni altro legato al suo nome: l'arte di proporre problemi, ossia l'arte della congettura matematica. Una congettura è un'affermazione che non siamo in grado di dimostrare e che quindi potrebbe essere sia vera che falsa, ma di cui siamo indotti ad accettare la validità sulla base di esempi, casi speciali e analogie. Se riusciamo a trovare una di mostrazione per una congettura, questa viene promossa a teore ma. Da sempre le grandi congetture sono state motori propulsivi della matematica e spesso gli strumenti elaborati per risolverle sono stati poi usati nei contesti più inaspettati. Ci sono congetture irrisolte da più di due millenni. Questo è il caso del problema dei primi gemelli: si tratta di sapere se c'è un numero infinito di numeri primi p per cui anche ppiù2 è un numero primo (come per esempio 3 e 5, 5 e 7, 11 e 13, 17 e 19, eccetera). Altre sono state dimostrate dopo un assedio di diversi secoli, come la celebre congettura di Fermat ad opera di Wiles due anni fa. L'impossibilità di risolvere alcune congetture in molti casi costituisce un serio ostacolo al progresso, per altre vorremmo conoscere la verità solo perché ci pare assurdo di non essere in grado di trovare la risposta a un quesito talmente semplice. Erdos ha mostrato che si possono proporre problemi nuovi e difficili che riguardano i concetti più elementari e classici della matematica. A titolo di illustrazione vorrei presentare un suo problema giovanile (che nel frattempo è stato risolto). Immaginiamo un numero finito di punti nel piano, diciamo mille, e supponiamo che non tutti si trovino sulla stessa retta. E' vero che essi determinano almeno mille rette diverse? (se di questi 999 si trovano sulla stessa retta e uno rimane fuori allora questi punti determinano esattamente mille rette. Si vuole sapere se si possono disporre i punti in modo che determinino meno di mille rette). Questo problema è talmente elementare che chiunque dal tempo di Talete ci avrebbe potuto pensare, e forse ci hanno pensato in tanti: ma è stato Erdos a provare e a trasmettere la costernazione di non conoscere la risposta nemmeno a una domanda talmente semplice. Erdos era molto affezionato ai problemi semplici e belli; ha stabilito dei premi in dollari per la soluzione dei suoi problemi preferiti. E' tra i miei ricordi più preziosi la sua reazione a un mio problema: «Non invidio i teoremi di nessuno, ma ti invidio questa congettura». Si discute molto quali problemi occorre porsi, quali sono le domande che fanno progredire o deragliare la scienza. Ci sono matematici eccellenti che deducono le loro domande e congetture dalla loro filosofia della matematica. Pal Erdos rappresentava l'altro estremo: riteneva valide tutte le domande facili da formulare ma di difficile risposta. Sono passati ormai trentadue anni da quando, studente di liceo, incontrai Erdos per la prima volta. All'epoca viveva all'estero, ma spesso tornava in Ungheria. Seduto nella hall dell'albergo Royal, accoglieva tutto il giorno matematici giovani e meno giovani per discutere di dozzine di problemi appena emersi dappertutto nel mondo, per vedere se fosse possibile modificarli in modo da renderli più interessanti o più facili. La maggior parte delle domande era comprensibile perfino a uno studente di liceo. Con alcuni miei compagni di scuola passavamo intere giornate ad ascoltare la conversazione tentando di riflettere sui problemi. E se qualcuno riusciva a trovare una soluzione ci volevano solo un paio di settimane perché Erdos facesse conoscere al mondo intero il nuovo risultato e il nome del suo autore. La diffusione dei calcolatori ha avuto grande influenza anche sulla matematica. Erdos non si è occupato direttamente di informatica, ma i metodi da lui sviluppati hanno un ruolo importante in quasi tutti i settori significativi della scienza dei calcolatori, ed è per questo che molti suoi discepoli lavorano attualmente in informatica. Come maestro e amico, lo «zio Pali» continuerà a vivere nella nostra memoria. Come grande «scopritore» di problemi sarà presente nel lavoro di ricerca non solo dei suoi amici e collaboratori di oggi, ma anche in quello di molte generazioni a venire. Laszlo Lovasz Yale University, Usa (Traduzione dall'ungherese di Emanuela Fachini e Janos Korner)


TEMPO DI CRISANTEMI Il fiore dei mandarini Importato in Europa dagli olandesi
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

IL crisantemo è il re dei fiori asiatici: prediletto dai mandarini, è stato coltivato per duemila anni in Cina, e nel quinto secolo il paese originario di un coltivatore particolarmente abile venne denominato Chu-Hsein, città dei crisantemi. Il fiore era anche l'ornamento classico dei templi, dipinto su porcellana e su stoffe, su paraventi, intagliato nel legno e nell'avorio e utilizzato come modello nei lavori di metallo. In Giappone vi sono giardini in cui crescono soltanto crisantemi; i giapponesi, forse per il fatto di vivere in un paese di dimensione molto ridotta, sono favorevoli a miniaturizzare tutto, così è avvenuto anche per i crisantemi. Da quando il primo crisantemo è giunto in Europa importato dagli olandesi, questo fiore ha percorso una strada lunghissima ed è stato profondamente modificato e manipolato rispetto alle forme originarie grazie alla ricerca scientifica che gli ha dedicato (in realtà come in tutte le Asteracee il fiore, il capolino, è una infiorescenza in quanto ogni petalo è un fiore) una attenzione particolare. Chrysanthemum indicum (che non proviene dall'India come il nome potrebbe fare pensare, ma dalla Cina e dal Giappone) e il C. sinense sono stati le prime specie di crisantemi introdotte. E' una pianta a giorno corto, fiorisce quando le ore di buio superano quelle di luce per un periodo di almeno sette giorni; in seguito a tale prerogativa ed alla vasta gamma di varietà esistenti attualmente è possibile produrla in tutte le stagioni programmandola purché si disponga, però, delle necessarie conoscenze tecnologiche. Le principali tappe del miglioramento genetico del crisantemo in Italia risalgono agli Anni Venti quando sono stati effettuati incroci tra C. sibiricum e Dendrathema grandiflora (un crisantemo comune così chiamato in seguito ad una nuova classificazione) ottenendo il crisantemo a fiore piccolo con diametro di 3-5 cm (conosciuto come coreano). Utilizzando questo materiale in seguito ad incroci e selezioni si è costituito un gruppo di crisantemi con piante di taglia bassa, molto fiorifere, dotate di facile coltura. A partire dal 1988 tre ricercatori, Verga, Frangi e Conti, hanno avviato un programma di sperimentazione basato su incroci spontanei e predeterminati, autofecondazione, mutazione con raggi gamma, volto all'ottenimento di nuove varietà. Ne sono state ottenute una trentina da vaso, da aiuola, striscianti e tappezzanti. L'interesse di queste ricerche è notevole se si considera che in autunno le fioriture sono alquanto scarse e che le piante con infiorescenze a margherita, come appunto possiedono i crisantemi, sono molto decorative. Inoltre con le nuove varietà si è voluto diversificare i portamenti, e i periodi di fioritura coprendo lassi di tempo sempre più lunghi, cercare la rusticità e la tolleranza ai diversi parassiti. A quest'ultimo riguardo si sta lavorando all'Università di Torino utilizzando tecniche di risanamento mediante la coltura in vitro con esami al microscopio a fluorescenza e con la messa a punto di fungicidi specifici per garantire al produttore materiale sicuramente sano. I funghi patogeni che possono attaccare il crisantemo sono molti: da quelli che attaccano le radici come la Phoma, a quelli che colpiscono le foglie come le ruggini, a quelli che colpiscono il fiore come la Botrytis. Non solo funghi, ma anche batteri causano la comparsa di tumori tra cui l'Agrobacte rium tumefaciens che può sopravvivere nel terreno per due anni in assenza dell'ospite. Durante questo periodo il batterio rimane virulento e funge da sorgente di inoculo per nuove infezioni. I tumori sono visibili ad occhio nudo. Il batterio patogeno produce una sostanza detta Tip (principio induttore del tumore) che determina la trasformazione delle cellule normali in cellule tumorali condizionate dalla presenza di una ferita (come tagli, cimature, ferite causate da insetti). Una volta avvenuta questa trasformazione non è più necessaria la presenza del patogeno: la moltiplicazione delle cellule tumorali avviene autonomamente. A proposito del crisantemo pare, infine, molto promettente una ricerca che da alcuni anni si sta svolgendo presso l'Università del Nevada in cui nella composizione del terriccio da usare nel vaso di coltivazione viene saggiata la possibilità di impiegare pneumatici e gomme di automobile di scarto di cui c'è abbondanza in ogni nazione. Le gomme macinate finemente sostituiscono parzialmente materiali naturali come la torba, di cui c'è sempre maggiore scarsità nel mondo, e sembrano fornire risultati davvero promettenti contribuendo ad eliminare prodotti difficilmente usabili per altri impieghi. Elena Accati Università di Torino


PREVENZIONE In aumento i tumori al colon
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, STATISTICHE, CONGRESSO, PRESENTAZIONE
ORGANIZZAZIONI: CANCER RESEARCH
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

I tumori dell'intestino colon e del retto hanno a tutt'oggi una frequenza elevata e con tendenza ad aumentare. I problemi di diagnosi, di terapia e di prevenzione che li riguardano sono dunque particolarmente importanti. Nella lotta contro i tumori, per vari motivi, la terapia è ancora privilegiata rispetto alla prevenzione. Ma proprio alle recenti prospettive di prevenzione sono state dedicate numerose comunicazioni del congresso nazionale di colon-proctologia svoltosi nei giorni scorsi a Torino, con la partecipazione anche di molti importanti relatori stranieri. Attuali indagini fanno pensare che circa la metà dei tumori colon-rettali sarebbe evitabile con una dieta adatta, per esempio ricca di fibre (verdure) e povera di grassi. La dimostrazione sperimentale è stata fornita ora da Risio e Rossini (Torino), con Lipkin di New York, mediante ricerche in corso di pubblicazione sull'autorevole rivista americana Cancer Research. In gruppi di topi nutriti con una dieta corrispondente al regime dei Paesi occidentali, («western style diet» ), ricca di grassi e povera di calcio e vitamine, è stato osservato lo sviluppo nell'intestino di lesioni precancerose in numero significativo. Si può dunque pensare, in un prossimo futuro, a manipolazioni dietetiche e a farmaci in grado di svolgere un'azione preventiva. Altro punto essenziale: oggi assistiamo all'esplosione della genetica applicata ai tumori. Intendiamoci: i tumori, salvo qualche eccezione, non sono legati all'ereditarietà nel senso delle tradizionali malattie ereditarie con trasmissione di tipo mendeliano. Troppe sono le circostanze che devono concorrere al formarsi d'un tumore per poter parlare di ereditarietà nel significato classico del termine. Tuttavia si stima che il 10 per cento dei tumori colon-rettali compaia in persone geneticamente predisposte. E al congresso di Torino sono stati presentati i risultati del progetto speciale Airc (Associazione Italiana Ricerca Cancro), che si avvale di parecchi centri di studio sul territorio nazionale. Ormai la genetica prende un posto sempre più importante nella cancerologia, si conoscono numerosi geni implicati nell'origine dei tumori, ed è giustificata la creazione di consultori di genetica oncologica nei centri di diagnosi e terapia dei tumori. E' appunto in fase di organizzazione a Torino un ambulatorio dei tumori colon-rettali ereditari presso il Dipartimento oncologico (ospedale San Giovanni Antica Sede). Coloro che sono considerati predisposti verranno sottoposti a frequenti controlli, il che renderà possibile l'identificazione precoce d'un eventuale tumore. Ulrico di Aichelburg


VITA SEGRETA DELLA DONNOLA Una piccola grande cacciatrice I Greci la tenevano in casa come un gatto
Autore: FABRIS FRANCA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

GLI antichi greci tenevano una donnola nelle loro case perché desse la caccia ai topi. Proprio come noi teniamo il gatto. Oggi è molto difficile addomesticare una donnola adulta. Non più libera di correre tra i prati e i terreni incolti, morirebbe presto. Se invece, appena nata, la si affida alle cure di una gatta che sta ancora allattando i suoi piccoli, si riesce ad addomesticarla e farla vivere in casa, dove svolgerà il grato ruolo di divertire tutti, essendo affettuosa, curiosissima, e, soprattutto, sempre di buon umore. Non ama però troppo farsi osservare, vuole essere libera di infilare il suo musetto negli angoli più remoti, esplorandoli con grande meticolosità e, se si accorge che qualcuno la segue in questi suoi sopralluoghi, immediatamente si accuccia a dormire: riprenderà il suo gioco al risveglio e senza intrusi d'attorno. Altrettanto insopportabile per lei è venire rinchiusa in gabbia e quando ciò dovesse accadere fa sentire la sua vibrata protesta con brevi, caratteristici mormorii. Se libera, può vivere dai 7 ai 10 anni; tra le mura domestiche raggiunge al massimo i 4 o 5 anni. Un tempo alcune parti del suo corpo venivano impropriamente usate a scopo curativo. L'animale era oggetto di strane superstizioni popolari, mentre i contadini ritenevano che portasse fortuna e lo consideravano di grande utilità perché dava la caccia agli animali dannosi. La donnola comune (Mustela nivalis) è uno dei carnivori diffusi in tutto il mondo con diverse specie, variabili per la forma. In Italia è presente sia in montagna sia in pianura. E' il più piccolo dei carnivori europei. Più slanciata e agile della martora, simile all'ermellino dal quale differisce per la coda bruna, la parte superiore di colore bruno-rossiccio e quella inferiore bianca con una linea irregolare bianca che le separa. A differenza dell'ermellino, conserva la sua pelliccia estiva anche durante i mesi freddi, limitandosi ad alcuni piccoli tocchi di colore, variabile da un individuo all'altro. Misura dai 20 ai 30 centimetri, ha un corpo lungo e sottile sorretto da zampe corte e minute. Vive nelle cavità del terreno, nelle gallerie abbandonate dalle talpe, fra le macerie o sotto i vecchi muri, nelle baite o all'interno di alberi cavi e, talvolta, si addentra anche negli abitati di paese alla ricerca di cibo o all'inseguimento di qualche preda. La donnola è una predatrice violenta e audace, sempre a caccia di roditori che insegue anche dentro le loro tane. Con i topi, nemici naturali, ingaggia lotte violente; non disdegna, però, talpe, lepri, conigli, polli, uccelli, di cui saccheggia i nidi costruiti sul terreno e porta i suoi attacchi alle serpi e agli anfibi, che distrugge in grandi quantità. E' dotata di un'ottima vista, con abitudini prevalentemente notturne, ma può essere attiva anche di giorno. A volte compie vere e proprie stragi nelle colombaie, mal custodite, nei pollai o negli allevamenti di fagiani. Le uova degli uccelli costituiscono una leccornia per la donnola, che si avvale di una particolare tecnica per forarle e succhiarne tutto il contenuto senza perderne nemmeno una goccia. Particolarmente apprezzati, come dessert, gli insetti croccanti. Ricerche recenti hanno messo in evidenza come la donnola sia in grado di distinguere alcune lettere dell'alfabeto in base alla forma, ed è probabile che riesca a percepire i colori, dal momento che la retina del suo occhio possiede numerosi coni. Anche se l'accoppiamento può avvenire in qualsiasi periodo dell'anno, il periodo degli amori più favorevole per la procreazione è quello fra marzo e aprile. Le femmine, dopo cinque settimane di gestazione, partoriscono dai tre agli otto piccoli, che nascono con gli occhi chiusi e vengono curati con estrema attenzione dalla madre, difesi strenuamente in caso di pericolo, addirittura trasportati, presi con i denti per la collottola, in un posto più sicuro. Solo quando dimostreranno di essere veramente indipendenti e capaci di sopravvivere da soli si allontaneranno dalla madre. Franca Fabris


MALATTIE CORONARICHE Con la pravastatina contro il colesterolo di troppo Incoraggianti risultati di lunghe sperimentazioni in Usa, Canada e Gran Bretagna
Autore: TRIPODINA ANTONIO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: THE NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE
LUOGHI: ITALIA

E' ormai un dato acquisito che un alto livello di colesterolo nel sangue (e più precisamente di colesterolo-LDL) è un importante fattore di rischio per l'insorgenza di malattia coronarica e che interventi, dietetici e farmacologici, per diminuirlo sono in grado di rallentare e addirittura di fare regredire processi già avanzati (prevenzione secondaria). Questa possibilità è stata dimostrata per la prima volta in modo inconfutabile dallo studio «4S» (Scandinavian Simvastatin Survival Study), pubblicato nel 1994, che ha indicato come in pazienti con alti livelli di colesterolo e con malattia coronarica già manifesta (per angina pectoris o per precedente infarto) un trattamento farmacologico ipo-colesterolemizzante con simvastatina abbia ridotto del 37 per cento il rischio di ulteriori problemi coronarici. Questo studio è ormai una pietra miliare nella strategia della prevenzione secondaria della coronaropatia ischemica. I suoi risultati non giunsero tuttavia inattesi, poiché era già da tempo sospettata la forte correlazione fra malattia coronarica e ipercolesterolemia. Sorprendenti appaiono, invece, i risultati di un nuovo studio, pubblicati recentemente (3 ottobre 1996) sul «The New England Journal of Medicine», che, è facile prevedere, costituirà anch'esso un importante punto di riferimento per strategie di prevenzione secondaria ancora più avanzate. Questo studio, denominato «Care» (Cholesterol and Recurrent Events), condotto da numerose università statunitensi, canadesi e inglesi, si è posto come principale obbiettivo la valutazione degli effetti sull'insorgenza di nuovi eventi coronarici di un trattamento con un farmaco in grado di ridurre il colesterolo (la pravastatina) in soggetti che avevano già superato un infarto, «ma che presentavano valori di colesterolo totale e di colesterolo-LDL considerati nella norma». Lo studio, durato cinque anni (dal dicembre 1991 al febbraio 1996), è stato condotto in «doppio cieco» (metà pazienti trattati con placebo e metà con pravastatina, senza che fosse noto il gruppo di appartenenza nè ai pazienti nè ai ricercatori) e ha coinvolto 4159 soggetti (3583 maschi e 576 femmine), che avevano già subito un infarto del miocardio e che presentavano valori plasmatici di colesterolo totale al di sotto dei 240 mg/dl (in media 209 mg/dl) e di colesterolo-LDL da 115 a 174 mg/dl (in media 139 mg/dl), comunemente considerati nei limiti della norma. I dati raccolti alla fine dello studio hanno messo in evidenza che nel gruppo trattato con pravastatina si era verificato, rispetto al gruppo di controllo trattato con placebo, una diminuzione del colesterolo- LDL del 28 per cento, del colesterolo totale del 20 per cento, dei trigliceridi del 14 per cento e un aumento del colesterolo- HDL (il colesterolo «buono») del 5 per cento. Ma il riscontro più sorprendente e interessante è stato che il gruppo trattato ha avuto, rispetto al gruppo placebo, una riduzione di nuovi infarti del 24%, una riduzione di interventi di by-pass e di angioplastica rispettivamente del 26% e del 23%, una riduzione di ictus cerebrali del 31% (studi ecografici della parete della carotide hanno dimostrato un rallentamento della progressione delle placche aterosclerotiche a quel livello). I risultati migliori si sono avuti fra le donne e fra coloro che all'inizio dello studio avevano valori di colesterolo LDL più alti. Non vi è stata, invece, alcuna differenza fra i due gruppi per quanto riguarda la mortalità per cause non cardiovascolari, smentendo le «voci» che bassi livelli di colesterolo siano un fattore rischio per altre patologie. Lo studio «Care» aggiunge ulteriore importanza al ruolo del colesterolo nell'insorgenza e nello sviluppo dell'aterosclerosi e soprattutto dimostra che valori di lipidi considerati «normali» sono invece ancora troppo alti per pazienti coronaropatici e che questi possono beneficiare in modo significativo di un trattamento ipo- colesterolemizzante più aggressivo di quanto usualmente non venga effettuato. Antonio Tripodina


TUTTOSCIENZE SCUOLA. STORIA DELLA MEDICINA Dentro l'uomo L'anatomia del Mascagni
Autore: COHEN ESTER

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: MASCAGNI PAOLO
LUOGHI: ITALIA

IL sistema linfatico, che produce e organizza gli anticorpi per difenderci dalle malattie, era quasi sconosciuto agli antichi. Solo nel XIII secolo, quando papa Bonifacio VIII abolì il divieto di sezionare i cadaveri, gli anatomisti poterono osservare la fitta rete di cordoni biancastri interrotti da grappoli di linfonodi che percorre il corpo umano abbarbicata ai vasi sanguigni, oggi al centro di molte ricerche e speranze della medicina. La descrizione definitiva dell'intero apparato si deve a Paolo Mascagni da Volterra cui la città di Siena, dove lavorò, dedica ora una mostra aperta al pubblico fino al 7 gennaio 1997 nelle sale dell'Antico Spedale di Santa Maria della Scala. Ancora studente di medicina, nel 1777 cominciò a osservare il decorso dei linfatici. Fino a quel momento per visualizzare i vasi usava iniettarvi cera o vischio liquefatti ad alta temperatura. Il calore però dilatava i vasi falsando i risultati. Mascagni adottò il mercurio liquido freddo. Lo introduceva anche nei condotti più minuti con un sistema di cannule di vetro ramificate così sottili e acuminate che per i rilievi doveva servirsi del microscopio. Nei dieci anni di duro lavoro che gli costarono anche il patrimonio familiare, per riprodurre le sue scoperte, si impegnarono con lui (e dicono le carte, lamentandosi per la magra retribuzione) due dei maggiori artisti dell'epoca: Ciro Santi, pittore e incisore bolognese, e Felice Fontana di Firenze che realizzò modelli in cera esposti nella mostra senese e conservati anche a Vienna. Nel 1787 Mascagni pubblicò il «Va sorum lymphaticorum corporis humani historia et hicnogra phia» testo corredato da 27 tavole illustrative e 14 «controtavole» con le spiegazioni. «Tante sono infatti e di sì gran peso le parti e le funzioni di questo sistema di vasi nell'economia animale, che con ogni ragione reputo doverli uguagliare agli stessi vasi sanguigni nella dignità e importanza». L'intuizione del Mascagni annotata nei «Vasorum» è stata confermata dalla fisiologia. Il sistema linfatico svolge infatti una importante funzione regolatrice della pressione dei liquidi nel corpo: del sangue che parte dal cuore e attraverso le arterie arriva ai tessuti per nutrirli, solo una parte torna al punto di partenza con le vene. Un'altra parte viene drenata dai linfatici che la reimmettono nel torrente sanguigno tramite il loro collettore principale che si innesta nelle vene alla base del collo. Quando questo meccanismo si incrina, si formano edemi, ossia gonfiori patologici, come avviene dopo un trauma o in malattie croniche come l'insufficienza cardiaca, la nefrite o la cirrosi epatica. L'altra fondamentale funzione dell'apparato linfatico è svolta dalle stazioni linfonodali dove nascono i linfociti, cellule che in condizioni di emergenza modulano in modo straordinariamente flessibile la risposta immunologica del corpo, producendo anticorpi di qualità e quantità differente a seconda dell'attacco subito. Oggi non c'è diagnosi di tumore, di malattia virale o immunoendocrina che non si basi sulle modificazioni dei linfonodi. Mascagni lavorò poi per il resto della sua vita a un'altra opera mai tentata: un atlante globale di anatomia umana. La sua «Anatomia Universa» uscita postuma in nove fascicoli dal 1823 al 1831 dopo un tentativo di plagio da parte di un suo allievo, Francesco Antonmarchi, medico personale di Napoleone, è composta da riproduzioni a colori a grandezza naturale di vari strati del corpo umano. Figlio del suo tempo, vissuto a cavallo dell'epoca di grandi trasformazioni che seguì in Europa alla Rivoluzione francese, Mascagni era un illuminista nel senso più ampio: si occupo' di chimica e mineralogia scoprendo l'acido borico allo stato solido; come agronomo amatoriale introdusse la coltivazione della patata, del trifoglio e dell'erba medica; entrò anche in politica finendo in prigione per un anno con l'accusa di giacobinismo. Da Mascagni alle prime linfografie in esseri viventi devono passare oltre 150 anni. Negli ultimi decenni sono state applicate allo studio dei linfatici molte nuove tecniche diagnostiche: la linfoscintigrafia con mezzi di contrasto radioattivi, la tomografia computerizzata, quella a emissione di positroni (Pet), l'ecografia, l'ecodoppler e la risonanza magnetica. Per tutte, il riferimento anatomico è il lavoro paziente e meticoloso di chi per primo il sistema linfatico ha descritto. Lo conferma una curiosità: le prime indagini con i raggi X dei vasi linfatici, nel 1930, furono condotte proprio radiografando i preparati anatomici del Mascagni. «La scienza illuminata: Paolo Mascagni nel suo tem po», Siena, Ospedale di Santa Maria della Scala. Mostra aperta fino al 7 gennaio 1997, ingresso 5 mila lire. Per informazioni e prenotazioni: Acca demia dei Fisiocriti ci, Siena, tel. 0577- 47.002. Ester Cohen


TUTTOSCIENZE SCUOLA. SI USAVA L'ETERE L'anestesia ha 150 anni
Autore: BUONCRISTIANI ANNA

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: DAVY HUMPHREY, FARADAY MICHAEL, GIOVANNI DALLE BANDE NERE, MORTON WILLIAM, WARREN JOHN, HOLMES OLIVER WENDELL, JACKSON CHARLES, LONG CRAWFORD
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA

CHI se la sentirebbe di reggere la candela al chirurgo intento a tagliargli una gamba minacciata dalla cancrena, come si racconta di Giovanni dalle Bande Nere, famoso capitano di ventura del sedicesimo secolo? Ben pochi sarebbero capaci di tanto sangue freddo, e per questo motivo da tempo immemorabile si è cercato il modo di non far sentire dolore durante le operazioni. Ma soltanto da 150 anni esistono sistemi efficaci. Gli antichi, vista l'inutilità di talismani e formule magiche, ricorsero a estratti di piante. Gli egiziani usavano giusquiamo e papavero, i cinesi l'hashish. Nel primo secolo dopo Cristo, gli scritti del famoso medico greco Dioscoride riportano la ricetta per una pozione da assumere prima di un intervento chirurgico. Un uso mediovale consisteva nell'immergere uno straccio in una mistura di polvere d'oppio, mandragora e giusquiamo, e nel metterlo poi alle narici del paziente per farlo addormentare. Purtroppo, per ottenere una narcosi adeguata con intrugli del genere, si rischiava di intossicare il paziente. In alternativa non rimaneva altro che una buona sbronza. Tutti sistemi poco efficaci: le pene per secoli rimasero atroci, tanto che la qualità principale di un bravo chirurgo finì con l'essere la velocità] Celebre è rimasto per questa dote un medico al seguito delle truppe napoleoniche. I vari tentativi di ricercare sostanze che alleviassero i dolori delle operazioni si erano a lungo scontrati con l'opposizione religiosa, fuorviata dalla somiglianza con pratiche della stregoneria. In effetti l'inizio di veri studi scientifici sul problema si può datare al 1799, quando il chimico inglese Humphrey Davy si accorse che, se respirava protossido di azoto, provava sollievo al suo mal di denti. Dopo averlo sperimentato anche sui suoi amici poeti Word sworth e Coleridge, affermò che sarebbe stato sicuramente utile in chirurgia, ma la sua intuizione non fu seguita. L'uso del protossido di azoto, noto come gas esilarante, si diffuse invece tra gli studenti, che in gruppi lo respiravano per godersi i suoi effetti eccitanti. Michael Faraday, allievo di Davy, nel 1818 descrisse una brutta esperienza capitata a un gentiluomo: un'imprudente inspirazione di etere lo aveva stordito per più di trenta ore. Nel 1842 un medico statunitense, Crawford Long, dopo aver fatto respirare intenzionalmente etere a uno studente, gli rimosse una ciste dal collo; il paziente sostenne di non aver sofferto minimamente per l'intervento, se non per la costosa parcella. Long eseguì nove operazioni usando l'etere, ma poi dovette smettere, perché, ancora a quel tempo, tacciato di stregoneria e minacciato di linciaggio dai suoi concittadini ignoranti. Nel frattempo Horace Wells, dentista americano, cercava di applicare l'uso del protossido di azoto agli interventi che eseguiva. Nel 1844, durante una fiera, per dimostrazione lo inalò e si fece estrarre un dente. Sull'onda del successo, mise in scena un'operazione odontoiatrica al Massachusetts General Hospital, ma il paziente urlò durante tutto l'intervento e Wells fu coperto di ridicolo. Poco dopo, nel 1846, un suo ex collaboratore, William Morton, usò felicemente l'etere in un intervento dentario, e riuscì a convincere anche il chirurgo John Warren a usare quella sostanza. Questi rimase entusiasta. In una lettera datata 21 novembre 1846 e indirizzata al Morton da un certo Oliver Wendell Holmes, apparve il termine anestesia, che in campo medico si impose da allora in poi. Morton e Wells si contesero con tanto accanimento l'attribuzione della scoperta della narcosi, che la loro vita ne fu sconvolta: il primo fu colpito da apoplessia, il secondo si uccise dopo essere stato rinchiuso in carcere per aver ferito, ubriaco, un uomo. Forse il merito della scoperta è da attribuire addirittura a una terza persona, Charles Jackson, che otto giorni prima di quella lettera, depositò all'Accademia delle Scienze di Parigi un plico sigillato, dove sosteneva d'avere dato lui l'idea al Morton. Comunque sia, possiamo celebrare in questi tempi il centocinquantesimo anniversario della nascita dell'anestesia. Anna Buoncristiani


TUTTOSCIENZE SCUOLA. ANTICHI OSPEDALI Le autopsie al tempo dei Savoia Tutto su come ci curavamo in 55 nosocomi piemontesi
Autore: BODINI ERNESTO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, AUTOPSIA
NOMI: ZINA VIGNOTTO FULVIA, GALLONI MARCO, POISAT JACQUES
LUOGHI: ITALIA

UNA interessante indagine in ambiente medico per individuare, catalogare, conservare e valorizzare beni culturali conservati in 55 ospedali piemontesi, è stata compiuta da Fulvia Zina Vignotto e Marco Galloni, e pubblicata sul «Giornale dell'Accademia di Medicina di Torino» con il contributo della Regione Piemonte. Sono stati individuati 141 ospedali in funzione alla fine del '700; nel 1868 erano 149 per un totale di circa 6200 posti letto. La schedatura riguarda circa un terzo dei nosocomi nella prima metà del '900 (metà dei quali ancora attivi), in parte molto antichi (edificati e rinnovati nel XVII e XIX secolo) e importanti soprattutto per le strutture architettoniche degli edifici e i reperti scientifici in essi contenuti. Particolarmente suggestive le storiche corsie a crociera dell'ospedale San Giovanni Vecchio di Torino, il complesso dell'ex manicomio di Collegno e la sede antica dell'ospedale S. Andrea di Vercelli, la cui tipologia edilizia era caratterizzata dalle infermerie disposte linearmente e collegate ad altari o cappelle. Oltre alla mirata definizione data da Jacques Poisat di «quoti dien hospitalier» per indicare l'insieme degli oggetti che hanno caratterizzato la vita di un luogo di cura nelle varie epoche, l'attività chirurgica è documentata dal ricco strumentario ritrovato e in gran parte ben conservato. Alcuni di questo «ferri» usati nei secoli sono stati inventati in Piemonte, come la pinza osteotoma di Margary, la pinza per isterectomia di Carle, la clamp doppia per anastomosi vascolari e gli anelli per commisurotomia mitralica di Dogliotti. La ricerca, realizzata nel 1992-1993 con la collaborazione dei medici Marina Caponi, Susanna Cisternino, Federica Fissore e Massimo Norgia, rileva tra l'altro l'evoluzione scientifica della medicina che si affermò nel XVIII secolo con l'esigenza di eseguire le autopsie (le istruzioni erano impartite da re Carlo Emanuele III nel 1739), con particolare coinvolgimento dell'ospedale San Giovanni Battista per l'allestimento della sala settoria che fungeva da scuola chirurgica, e l'ospedale Mauriziano per l'adozione delle cartelle cliniche, spesso con referto autoptico. Molti di questi ospedali potrebbero divenire meta di scolaresche e di un turismo colto, sull'esempio della Francia, che vanta musei dedicati alla medicina in generale o agli ospedali, le cui caratteristiche espositive e didattiche sono tema di riflessione nel volume di Jacques Poisat. Testimonianze che trovano riscontro in analoghe iniziative come la mostra «La memoria della salute» a Venezia nel 1985. Ernesto Bodini




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