TUTTOSCIENZE 19 marzo 97


SCIENZE A SCUOLA. COME FUNZIONANO GLI STABILIZZATORI Due pinne contro le tempeste Producono oscillazioni uguali e contrarie al rollio della nave
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D.T. TAB. Come funzionano le pinne stabilizzatrici di una nave = ==================================================================== Due pinne ripiegabili situate sotto la linea di galleggiamento delle due fiancate dello scafo possono essere manovrate in modo da influenzare il movimento della nave con una spinta verso l'alto o una verso il basso. Se si orienta una pinna in modo da dare una spinta verso l'alto mentre l'altra da una spinta verso il basso la nave rolla, cioè oscilla intorno al proprio asse longitudinale. Quando il mare è grosso l'oscillazione artificiale prodotta dalle pinne, uguale ma opposta a quella prodotta dalle onde cancella gli effetti del moto ondoso. Come avviene per le parti mobili delle ali di un aereo (flap, diruttori, aerofreni) le pinne stabilizzatrici delle navi funzionano solo quando l'imbarcazione è in movimento e quando le condizioni del mare lo consigliano; quando il mare è calmo o quando la nave manovra per entrare in porto vengono ripiegate per evitare l'inutile attrito con l'acqua o urti contro la banchina. - -------------------------------------------------------------------- Il sensore che misura lo sbandamento cioè l'ampiezza delle inclinazioni laterali, è situato in corrispondenza dell'asse di rollio dello scafo; quando il mare si alza e l'imbarcazione comincia a sbandare da un lato e dell'altro esso comincia a trasmettere con continuità istante per istante una serie di segnali a un computer collocato nella sala comando; questo a sua volta invia una corrispondente serie di impulsi all'apparato idraulico degli stabilizzatori affinché siano messe in funzione le pinne. Un pannello luminoso in sala comando dice al capitano se le pinne sono estese e lo informa circa il loro orientamento. Un allarme di bassa velocità fa accendere una lampadina per avvertire quando la nave procede troppo lentamente per consentire alle pinne di lavorare efficacemente. - -------------------------------------------------------------------- IL SENSORE. Il sensore che registra il rollio si basa su un prisma metallico che viene fatto vibrare da dispositivi piezoelettrici collocati su ciascuna delle due facce. La rotazione del prisma sul proprio asse altera le forze che agiscono su ciascuno dei dipositivi piezoelettrici, forze che si manifestano come cambiamenti nei segnali elettrici prodotti dai dispositivi stessi. Questi segnali sono processati, in pratica interpretati, in modo da ottenere la misura dell'angolo di sbandamento e dell'accelerazione.

QUANDO il mare è grosso e la nave balla le pinne stabilizzatrici raggiungono lo scopo di ridurre il rollio, cioè il continuo e fastidioso movimento oscillatorio dell'imbarcazione lungo il suo asse longitudinale, alternativamente su un fianco e sull'altro. Sulle navi passeggeri e sui traghetti questo apparato è ormai largamente applicato perché è essenziale per il benessere dei viaggiatori, ma si va diffondendo anche sulle navi mercantili perché contribuisce alla stabilità del carico; infatti lo spostamento dei pesi nella stiva durante le tempeste - sia che si tratti di merci accatastate sia che si tratti di veicoli - può causare lo sbandamento o addirittura il rovesciamento della nave.


LA MODA DEL FUTURO Vestite di tecnologia In laboratorio tessuti eccezionali
AUTORE: FRONTE MARGHERITA
ARGOMENTI: TECNOLOGIA, MODA, ABBIGLIAMENTO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

AVREMO tutti una linea perfetta, saremo in forma, belli e magri, almeno fino a che resteremo vestiti. Un po' come il Wonderbra, il reggiseno che da qualche anno rende formose tutte le donne, i vestiti del futuro modelleranno il corpo, e nello stesso tempo saranno morbidi e «naturali» come una seconda pelle. Mentre a Parigi sta concludendosi la maratona delle sfilate di primavera, con le solite modelle più o meno anoressiche e le trovate più o meno stucchevoli degli stilisti, proviamo a lanciare un colpo di sonda nei tessuti e nella moda del futuro. Nei laboratori delle industrie tessili, sempre alla ricerca di nuove soluzioni per esaudire ogni desiderio, la guerra dei tessuti è già cominciata da un pezzo, e le prime novità non tarderanno a comparire sul mercato. Ecco qualche esempio: soffrite di insonnia? Il pigiama massaggiatore concilia-sonno, che controlla anche l'elettricità statica del corpo, è quello che fa per voi (non vi affollate, non è ancora in commercio). Siete allergici agli acari che si annidano nella polvere? Presto arriverà il tessuto scaccia acari. Progettate un viaggio in Amazzonia ma odiate le formiche? La stoffa contro gli insetti vi sarà certamente utile. Se invece volete trascorrere qualche giorno fra le dune del Sahara potrete mettere in valigia un abito confezionato con la stessa stoffa delle divise che i Marines americani hanno utilizzato nella Guerra del Golfo: da -5oC a più 45oC non avrete nè freddo nè caldo, e sarete anche protetti da eventuali aggressioni chimiche. Non si sa mai... Ma è soprattutto nel campo dell'abbigliamento sportivo che si attendono le maggiori innovazioni. Già da qualche anno il tennista Andre Agassi ha sostituito i poco pratici jeans tagliati al ginocchio con dei pantaloncini, molto più utili per uno sportivo, progettati per massaggiare la muscolatura in modo da prevenire i crampi. Un costume da bagno contenente microsfere idrofobiche, cioè che respingono l'acqua, è invece indossato dalle campionesse di nuoto. Brevettato da un'industria italo-francese il costume crea un sottilissimo cuscino d'aria che si interpone fra il corpo della nuotatrice e l'acqua della piscina, facendo aumentare la velocità dell'atleta. Pare che verrà presto commercializzato, non tanto per assicurare a tutti prestazioni olimpioniche nella piscina comunale, ma perché è comodo e si asciuga subito una volta usciti dall'acqua. Dalla spiaggia alla montagna: anche il maglione da sci potrebbe passare di moda, ed essere sostituito da una comoda giacca di cotone. Un cotone un po' speciale però contenente microgranuli di plastica che trattengono il calore, ed ottenuto recentemente con tecniche di ingegneria genetica nei laboratori della compagnia americana Agracetus. Nel Dna della pianta di cotone sono stati inseriti due geni che nel batterio «Alcaligenes eutrophus» servono a produrre poli-idrossibutirrato, una sostanza plastica utilizzata come riserva energetica dal microorganismo. Risultato: il cotone per la tuta da sci. Una tuta biotecnologica che, per ora, non è ancora stata lanciata sul mercato. E, a dire il vero, la maggioranza di queste innovazioni è ancora chiusa nei laboratori, oppure viene utilizzata solo in particolari settori, come ad esempio nello sport agonistico ad alti livelli. Ma a giudicare dall'intensa attività di ricerca in questo campo, sembra proprio che la rivoluzione del tessuto sia dietro l'angolo. E le industrie tessili sono davvero pronte a inventare qualunque stoffa pur di soddisfare le richieste più esigenti, ed avere la meglio sulla concorrenza. Persino il tessuto snellente anti-stress è già stato progettato. Si tratta di una fibra sintetica che modella la figura e al cui interno sono incorporate delle palline microscopiche, del diametro di un millesimo di millimetro, che massaggiando costantemente la pelle procurano una sensazione di sollievo e di benessere. Le microcapsule possono anche essere utilizzate per somministrare sostanze che favoriscano la circolazione alleviando la sensazione di gonfiore alle gambe. Per snellire la figura sono allo studio anche dei tessuti, leggeri come la seta, ma rinforzati con nikel-titanio, o fra le cui maglie appaiano degli ologrammi - immagini in tre dimensioni - che contribuiscano a creare l'effetto curve mozzafiato. E in attesa che la tecnica si perfezioni, in Giappone, ad Osaka, una boutique già confeziona i collant davanti alle clienti in funzione dei difetti delle loro gambe. Massaggianti, snellenti, morbidi, leggeri, gli abiti del futuro aboliranno le diete e le faticose ore di palestra. Una sola controindicazione: prima di sfilarseli bisogna spegnere la luce. Margherita Fronte


CLONAZIONE Sarà difficile dare regole agli scienziati
Autore: CAROTENUTO ALDO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, GENETICA, BIOLOGIA, ETICA, REGOLAMENTO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

ERA inevitabile che le questioni poste dal primo esperimento di clonazione su un mammifero suscitassero polemiche fondate più sulle emozioni che non su un lucido esame dei fatti. Diciamo subito che personalmente sono favorevole all'aprirsi di queste nuove prospettive e che i divieti avanzati da più parti mi paiono avere un aspetto quasi grottesco. E' ovvio che tutto dipenderà dall'uso che si farà di queste realizzazioni ma non si dimentichi che l'uomo ha già fatto la sua scelta da millenni: i miti fondanti nella nostra cultura ci dicono che la vicende terrana dell'uomo nasce dal bisogno di conoscere. E' una colpa che la divinità punisce, ma la punizione è esattamente il nostro destino di creature mortali, e finché rimarremo tali vorrà dire che quel debito non è stato saldato, e che l'umanità continua a «mangiare dei frutti dell'albero della conoscenza». Voler conoscere è il nostro destino di esseri condannati a morire, e non si può chiedere all'uomo di rinunciare ai suoi tentativi di carpire alla natura i suoi segreti. Si potrebbe allora pensare di limitare il campo d'azione a quella che sommariamente viene definita come «scienza applicata». Ma anche questa è una aspirazione velleitaria. Il confine tra ricerca pura e ricerca applicata diventa sempre più labile. Certo, oggi lo scienziato interviene sull'oggetto della sua ricerca in modo molto più invasivo: pensiamo al fisico che per studiare una particella la bombarda provocandone la scissione. Quanto alla biologia in generale, e alla biologia genetica in particolare, la ricerca è ormai così costosa che a finanziarla, se non sono i governi nazionali (e lo sono sempre meno) provvedono le istituzioni private: che ovviamente promuovono soprattutto quelle ricerche che promettono applicazioni pratiche nei campi più disparati, dalla medicina alla produzione alimentare, dovunque si prospetti un profitto. Regolamentare la ricerca applicata significa in pratica regolamentare tout-court la ricerca. Inoltre, non va ignorata quella che, a mio parere, sarebbe una conseguenza inevitabile di un atteggiamento proibizionista in questo campo, come lo è già in altri del resto: il proliferare di queste pratiche nella clandestinità. Assodata questa dolorosa ma inevitabile prospettiva, va aggiunto che se una regolamentazione sarà comunque necessaria, questa dovrà rispondere a valori il più possibile universali; la regolamentazione dovrà, insomma, esprimere un'etica inevitabilmente «altra» rispetto a quelle tradizionali, religiose o laiche che siano, le quali non possono esserci di grande aiuto in queste tematiche - anche se spesso vengono invocate a sostegno di un'accusa o di una assoluzione. Non ci aiutano molto nè la Bibbia nè il giuramento di Ippocrate, nè il diritto positivo nè la Dichiarazione dei diritti dell'uomo. Un'etica ispirata esclusivamente a criteri religiosi avrebbe presa solo su singoli scienziati obbedienti a quel credo; gli altri, tutti gli altri, non si sentirebbero in colpa a trasgredire, magari in segreto, a una convenzione. Come psicologo mi preme chiarire, però, un equivoco di fondo riguardo all'ipotesi della clonazione umana, ovvero l'eventuale duplicarsi di una identità psichica. Questa evenienza, che appare come uno degli aspetti più inquietanti di tutta la questione, non ha alcun fondamento reale, semplicemente perché la psiche si forma e muta continuamente con gli stimoli della realtà, le emozioni, le infomazioni, le esperienze anche apparentemente irrilevanti. Essere clonati con le cellule di un santo o di un genio non significa proprio niente se non si tiene conto dell'ambiente che accoglierà queste particolari nascite. Anche gli esempi dei gemelli omozigoti, separati dalla nascita e allevati in ambienti diversi, dimostrano ampiamente l'importanza del fattore ambientale rispetto all'eredità genetica. E' altrettanto vero però che abbiano il diritto (e il dovere) di mettere nel conto gli eventuali disturbi psichici che potrebbe soffrire una persona che venisse a sapere di essere il prodotto di una clonazione, «un replicante». Aldo Carotenuto Università di Roma


IPOTESI DI STUDIOSI AUSTRIACI Una cometa causò il diluvio? Sarebbe precipitata sulla Terra 9600 anni fa
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, METEOROLOGIA
NOMI: TOLLMANN ALEXANDER
ORGANIZZAZIONI: UNIVERSITA' DI VIENNA
LUOGHI: ITALIA

QUANDO alcuni ricercatori di varie discipline, coordinati da Alexander Tollmann dell'Università di Vienna, approfondirono lo studio comparato delle grandi tradizioni sul Diluvio Universale, dal mito di Veda fino alle culture degli Indiani d'America e degli aborigeni australiani, certo non si aspettavano di scoprire centinaia di testimonianze coerenti tra loro di una sequenza ben precisa di fenomeni come terremoti, incendi e clima torrido, onde del mare gigantesche, piogge torrenziali, oscurità e freddo, seguiti da un'estinzione in massa di animali. Comparando questa sequenza con le conseguenze causate dall'impatto di una cometa, l'analogia risultò sorprendente. Per affrontare in modo scientifico questa singolare spiegazione del Diluvio Universale, i ricercatori hanno studiato migliaia di relazioni sugli effetti tipici prodotti dall'impatto di meteoriti cadute sulla Terra in epoche geologiche lontane: per esempio l'impatto che causò l'estinzione dei dinosauri. I ricercatori hanno inoltre raccolto tutti i dati che permettono di datare con sicurezza l'ultima catastrofe che ha sconvolto il nostro mondo, e che dovrebbe corrispondere al Diluvio Universale, anche tramite metodi geologici basati sullo studio degli effetti nei depositi di migliaia di anni fa. Infine hanno comparato tutto ciò con un'analisi dei processi fisici individuabili nelle centinaia di miti e tradizioni di tutto il mondo sul Diluvio Universale. Miti peruviani, persiani, indiani ed ebraici, indicano che, prima del Diluvio, sette stelle principali e numerose minori caddero sulla Terra. Questo coincide con le moderne osservazioni sulla frammentazione delle comete in prossimità del campo gravitazionale di un pianeta. Per esempio, nel '94 la cometa Shoemaker-Levy 9 si è frantumata passando vicino a Giove e vi è precipitata. Esistono prove geologiche che sette frammenti principali di una cometa sono caduti sulla Terra circa diecimila anni fa. I ritrovamenti sono stati fatti in Australia, in Vietnam e, tra i tanti, anche nella vicina valle di Otz in Tirolo austriaco. L'ordine degli impatti segue una direzione preferenziale, così come si è osservato su Giove. Le tradizioni dicono poi che «le rocce e gli alberi iniziarono a danzare mentre le montagne crollavano e tutto veniva sconvolto». Non è difficile individuare in questo gli effetti dei terremoti che tipicamente avvengono in seguito all'esplosione da impatto di corpi extraterrestri. E' stato calcolato che l'impatto che ha portato all'estinzione i dinosauri ha rilasciato un'energia equivalente a cinque miliardi di bombe atomiche di Hiroshima. Da vari miti e tradizioni di tutto il mondo, emergono inoltre testimonianze di incendi e di un grande calore dell'aria. Gli aborigeni australiani tramandano che il calore proveniente dal cielo tinto di rosso era talmente insopportabile che obbligò i padri a uccidere i figli, le mogli e infine se stessi. La scienza moderna ci dice che l'impatto di frammenti di comete vaporizza le rocce circostanti creando una specie di fungo atomico le cui particelle, con temperature di centinaia di gradi, ricadono causando incendi e un surriscaldamento dell'aria. E ora arriviamo al diluvio in senso stretto. Frammenti della cometa caduti in mare hanno sicuramente indotto alte ondate - tipo quelle dei maremoti - che si sono propagate verso l'interno dei continenti. Contemporaneamente, le grandi masse di polveri e particelle di combustione disperse nell'atmosfera dall'impatto e dai numerosi conseguenti incendi, hanno filtrato i raggi solari oscurando e raffreddando la Terra. Centinaia di miti di tutto il mondo raccontano, infatti, che il sole, le stelle e la luna vennero divorati da un demone terribile. La notte durò una settimana intera, mentre l'inverno continuò per tre anni. Questa improvvisa e perdurante variazione climatica può rapidamente aver portato all'estinzione di molti animali, come i mammuth, appunto intorno a diecimila anni fa. Giungiamo così alla datazione del Diluvio Universale. I ricercatori hanno comparato i risultati di decine di metodi di datazione diversi. Questi vanno dalla datazione dei depositi geologici contenenti i frammenti delle meteoriti, all'analisi radioattiva degli alberi uccisi dagli impatti, all'individuazione di un improvviso abbassamento della temperatura mondiale attraverso lo studio di depositi fossili di pollini, di campioni di ghiaccio estratti nelle parti profonde delle calotte glaciali e del tasso di accrescimento di alberi fossili. Tutti i risultati convergono nell'indicare che la catastrofe avvenne circa 9600 anni fa. Ma attraverso studi letterari e geologici è stato possibile fare un passo successivo. Citando tre esempi, la tradizione degli Indiani canadesi Chippewa indica che una grande nevicata, quasi ininterrotta per più di un anno, iniziò nel mese che oggi denominiamo settembre. Una tradizione trascritta dal prete Berosus di Babilonia indica che il grande Diluvio iniziò nel mese «Daisos», corrispondente al nostro equinozio di autunno (21 settembre). Infine, i villaggi costieri della popolazione Yamana della Terra del Fuoco, in Sudamerica, vennero improvvisamente sommersi, mentre le terre ancora emerse vennero ricoperte dai ghiacci per numerosi anni di seguito. Questo avvenne all'inizio di una loro primavera di molte, molte centinaia di anni fa, che corrisponde quindi all'inizio di un tremendo autunno nel nostro emisfero. Alessandro Tibaldi Università di Milano


SCIENZE FISICHE. IN PROGETTO AL CERN Una fabbrica di anti-atomi Chiarirà questioni fondamentali per la fisica
Autore: MACRI' MARIO

ARGOMENTI: FISICA
ORGANIZZAZIONI: CERN, FARMILAB
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA, AMERICA, USA, ILLINOIS, CHICAGO

FIN dalla scoperta del positrone, l'antiparticella dell'elettrone ipotizzata da Dirac nel 1928 e rivelata nel 1932 da Anderson negli Usa e da Blackett e Occhialini in Europa, i fisici si sono interrogati sull'esistenza di antimateria. L'avventura sperimentale è continuata alla ricerca dell'antiprotone e dell'antineutrone. L'antiprotone fu scoperto nel 1955 e l'antineutrone l'anno dopo. Poiché i protoni, gli elettroni e i neutroni sono i costituenti degli atomi, era lecito chiedersi se ci fossero degli antiatomi, formati da antiprotoni antielettroni e antineutroni. Il primo antinucleo (antideuterio) fu scoperto nel 1965: non si riuscì però a formare un atomo completo. Molti metodi sono stati proposti ma fino ad oggi l'antiatomo esisteva solo in teoria. Gli interrogativi dei teorici hanno finalmente oggi trovato una risposta con i risultati di due esperimenti che usano la stessa tecnica: il primo, condotto nel laboratorio del Cern di Ginevra ha consentito nell'autunno del 1995 l'osservazione di atomi di antiidrogeno (l'atomo formato da un antiprotone e un antielettrone), il secondo è attualmente in corso nel laboratorio intitolato a Fermi, vicino a Chicago. Dai primi 9 del Cern, siamo oggi arrivati alla produzione giornaliera di atomi di antiidrogeno. Dall'autunno 1996 al laboratorio di Chicago un esperimento osserva la sorgente dove viene prodotto l'antiidrogeno e lo rileva. Rifacciamo in breve la storia. La tecnica di produzione che ha permesso di conseguire questo risultato è frutto dell'ingegnosità di ricercatori e tecnici dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) di Genova. All'inizio degli Anni 80 proponemmo un esperimento che usava un nuovo strumento (nuovo per la fisica delle particelle): un fascio molecolare «clusterizzato» (agglomerati di un grande numero di molecole) che abbiamo trasformato in un bersaglio interno a una macchina acceleratrice di particelle. L'esperimento dette ben presto splendidi risultati, tanto da spingere i colleghi americani a chiedere di impiantare lo stesso strumento, in una configurazione migliorata, nell'accumulatore di antiprotoni a Fermilab: cosa che fu realizzata nel gennaio 1988. Alcuni fisici teorici, viste le potenzialità di questa nostra tecnica calcolarono anche la probabilità di formare su questo bersaglio antiatomi di H cioè antiidrogeno. Ma Fermilab cercava il top quark: l'esperimento fu quindi penalizzato da un altro obiettivo che appariva allora prioritario. La sua realizzazione fu rinviata alla conclusione della prima fase della ricerca del quark top. Nel frattempo (1991) avevamo installato un fascio molecolare dello stesso tipo al Cern. Sulla macchina Lear. Era giusto del resto che la scoperta avvenisse al Cern al cui bilancio l'Italia contribuisce con un importante finanziamento. Alla fine del 1994 il gruppo Infn di Genova decise che il momento per tentare l'avventura era venuto. In collaborazione con gruppi tedeschi fu lanciato il progetto PS210, nell'ambito del quale il nostro gruppo ha messo a punto il getto di gas xenon, senza il quale non si sarebbero potuti ottenere i risultati in cui speravamo. Oggi l'esperimento al Fermilab è finalmente iniziato e la produzione di atomi di antiidrogeno è una realtà giornaliera. Non passa giorno senza che alcuni atomi vengano rivelati. Il procedimento è semplice: c'è un fascio di antiprotoni che viaggia in un acceleratore quasi circolare. Ad ogni giro il fascio urta contro il bersaglio: in seguito a questo urto vengono prodotte coppie di elettroni e positroni. Se l'antiprotone e il positrone si muovono nella stessa direzione e viaggiano alla stessa velocità, c'è una certa probabilità che le due particelle si leghino insieme, formando un atomo di antiidrogeno. Confezionare un certo numero di antiatomi è un risultato raggiunto grazie alle caratteristiche del gas impiegato ma anche alla opportuna scelta della sua densità: se il getto fosse molto più denso, l'anti-idrogeno si formerebbe ugualmente, ma si dissocerebbe troppo presto. Il bersaglio è un getto di gas ad alta pressione e bassa temperatura, che viene fatto espandere attraverso un foro molto piccolo. In questo modo si crea un flusso molto ben «collimato» (dai contorni cioè ben definiti) che può procedere in linea retta per una lunghezza considerevole. Ciò permette di recuperare il gas senza farlo disperdere nella macchina acceleratrice. Questa tecnologia usata già in altri tipi di esperimenti, si è rivelata decisiva. Per altro verso nella macchina utilizzata a Fermilab circola un fascio di antiprotoni costituito da più di 500 miliardi di particelle che attraversa il bersaglio di idrogeno oltre 500 mila volte in un secondo. Anche questa condizione si rivela essenziale per il successo dell'esperimento. L'antiidrogeno e il suo fascio di antiprotoni continuano dunque a viaggiare nella stessa direzione all'interno della macchina; poi incontrano un magnete che deflette le particelle cariche (antiprotoni), mentre lascia passare le particelle neutre (antiidrogeno) in un foglio molto sottile, sempre all'interno del vuoto dell'accumulatore di antiprotoni. Qui l'atomo è separato nei suoi due componenti, l'antiprotone e il positrone. Il positrone viene registrato da uno spettrometro magnetico che ne misura l'energia in un contatore a scintillazione, dove il positrone si annichila con un elettrone della materia producendo energia sotto forma di raggi gamma. Essi vengono osservati da appositi contatori. L'antiprotone viene registrato da uno spettrometro magnetico che misura la traiettoria, dopo il tempo di volo (cioè la percorrenza), la massa e la carica. La coincidenza tra i due eventi è la prova che l'evento osservato è quello della dissociazione di un atomo di antiidrogeno. Possiamo ora dare una prima risposta sperimentale a molte domande che i fisici si sono poste fin dal 1933. In quell'anno Dirac in una relazione sulla teoria degli elettroni e positroni avanzò l'ipotesi che l'antimateria stabile dovesse esistere. Egli pensava a galassie di materia e antimateria separate per evitare le annichilazioni. Ma i fisici pensano oggi che il Big-Bang abbia avuto una fase durante la quale gli anti quark (i costituenti degli antiprotoni) sono stati annichilati. L'antiidrogeno è quindi assente dall'universo di oggi. Aver trovato una «fabbrica» di antiidrogeno ci permetterà di studiare l'antimateria stabile. Si cercherà dunque di determinare se la luce emessa dall'idrogeno è la stessa di quella emessa dall'antiidrogeno (se i livelli energetici sono uguali) come previsto da un teorema fondamentale della fisica delle particelle secondo cui i fenomeni che avvengono in un mondo costituito da materia sono indistinguibili da quelli di un mondo di antimateria. Un'altra domanda cui si cercherà di trovare risposta è se, come per la materia, la massa inerziale e la massa gravitazionale dell'antimateria sono proporzionali: questo principio di equivalenza è alla base della formulazione e della comprensione della gravitazione universale. Per migliorare la precisione di queste misure si lavora a una nuova tecnica di formazione di atomi di antiidrogeno, che dovrebbe beneficiare di una nuova installazione che sarà costruita al Cern: il deceleratore di antiprotoni, che fornirà fasci di antiprotoni di bassissima energia. Questi fasci dovrebbero consentire di formare atomi di antiidrogeno che possano essere osservati durante lunghi periodi con conseguente aumento della precisione di misura. La chiave per ottenere questo risultato consiste nella possibilità di intrappolare atomi di bassa energia in opportune strutture magnetiche come già avviene con atomi di idrogeno. La nuova tecnica dovrebbe darci i primi risultati sperimentali all'inizio del 2000. Mario Macrì Cern, Ginevra


SCIENZE FISICHE. BIOCHIMICA La vita da una stella morente? Il mistero delle cellule sinistrorse
Autore: BONANNI AMERICO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, CHIMICA
NOMI: BONNER WILLIAM, CRONIN JOHN, PIZZARELLO SANDRA
LUOGHI: ITALIA

LA luce di una stella morente avrebbe guidato, quasi come un faro, la nascita della vita sulla terra, orientando la disposizione delle molecole organiche fondamentali. L'ipotesi, avanzata da William Bonner dell'Università di Stanford, avrebbe trovato una prima conferma grazie allo studio di un meteorite caduto in Australia nel 1969. La ricerca si deve a John Cronin e Sandra Pizzarello, chimici dell'università dell'Arizona, ed è comparsa il 14 febbraio sulla rivista «Science». Gli studi si sono indirizzati verso un aspetto particolare della biochimica terrestre: la struttura molecolare degli aminoacidi, gli elementi di base delle proteine. Come avviene anche per altri composti, ciascun aminoacido può esistere in due forme differenti definite stereoisomeri. Sono molecole identiche in tutto tranne in un dettaglio: l'una è esattamente l'immagine riflessa dell'altra. In altre parole gli atomi possono disporsi in modo da creare una molecola «sinistra» oppure una «destra» dello stesso aminoacido (i termini chimici sono levogiro e destrogiro). «Il modo migliore per spiegare questo fenomeno - dice Cronin - è immaginare che le due forme molecolari siano come le nostre mani: mettetele una sull'altra e vedrete che non coincidono, eppure sono del tutto identiche». La particolarità della biologia terrestre è che tutti gli aminoacidi delle forme viventi sono orientati a sinistra (tranne uno, che non ha stereoisomeri). Diversi studi hanno dimostrato che questa uniformità di orientamento è indispensabile alla vita, altrimenti sarebbe stato impossibile creare grandi molecole, come le proteine, in grado di essere riprodotte dal codice genetico. Però in laboratorio le cose non funzionano così: quando si crea un aminoacido artificialmente le molecole ottenute sono sempre metà sinistre e metà destre, e non sembra esistere alcuna preferenza per una delle due forme. Così gli scienziati sono alle prese con un vero paradosso: al momento della comparsa della vita sulla Terra qualcosa ha fatto scegliere le forme sinistre, ma non sembra esistere alcun meccanismo che possa spiegare questa preferenza. Secondo l'ipotesi di Bonner, ripresa da Cronin e Pizzarello, la risposta si trova nello spazio: a indirizzare gli aminoacidi sarebbe stata la radiazione emessa da una stella di neutroni. Questi corpi celesti sono quel che resta alla fine della vita delle stelle di grande massa. Inizialmente passano attraverso lo stadio di supernova, una violenta esplosione che in 10 giorni disperde la stessa energia prodotta dal nostro Sole in diecimila anni. Poi la materia stellare collassa e si condensa in un oggetto non più largo di 30 chilometri: appunto una stella di neutroni. Tra le caratteristiche delle stelle di neutroni c'è il fatto che emettono luce polarizzata circolarmente. Può essere utile una analogia tra il raggio luminoso e la corda di una chitarra: se guardiamo la corda da uno dei due capi la vediamo oscillare in tutte le direzioni a 360 gradi. Lo stesso avviene per la luce normale. Se fosse luce polarizzata, invece, la vedremmo oscillare in una direzione ben precisa (definita piano di polarizzazione). Quella circolare è ancora diversa: in essa le oscillazioni avvengono tutte sullo stesso piano, ma questo piano ruota continuamente. Il risultato concreto è che le onde luminose partite dalla stella di neutroni descrivono una specie di spirale mentre viaggiano nello spazio. Gli stereoisomeri sono sensibili alla luce polarizzata, e infatti la definizione di isomero destro o sinistro si riferisce proprio alla capacità della molecola di ruotare il piano di polarizzazione quando viene colpita da un raggio luminoso. Nel caso della polarizzazione circolare, poi, i due isomeri degli aminoacidi la assorbono in modo differente a seconda che la spirale sia orientata verso sinistra o verso destra. Con queste premesse l'ipotesi dei ricercatori americani è che la radiazione di una vicina stella di neutroni possa aver influito sull'evoluzione dei primi aminoacidi. Le molecole sarebbero state bombardate mentre si stavano formando nello spazio, dentro la nube di gas e polvere dalla quale è poi originato il Sistema solare. «La luce polarizzata - spiega Cronin - potrebbe aver agito in modo da degradare una delle due forme molecolari degli aminoacidi, lasciando intatta l'altra». L'unico sistema per provare questa affermazione è studiare gli aminoacidi presenti nelle meteoriti o nelle comete. Una prevalenza di molecole sinistre sarebbe una prova decisiva, visto che le meteoriti sono rimaste intatte dalla formazione del sistema solare ad oggi. Purtroppo i meteoriti che cadono sul nostro pianeta vengono rapidamente contaminati dalle molecole terrestri, e ciò rende difficile distinguere le sostanze originarie. Cronin e Pizzarello hanno aggirato il problema studiando solo alcuni aminoacidi che sulla Terra non esistono e la cui origine interplanetaria è quindi sicura. Secondo la ricerca pubblicata da «Science», tra gli aminoacidi contenuti nel meteorite è stato effettivamente riscontrato un eccesso di forme sinistre che va dal 2 al 9 per cento. E' un notevole passo avanti nella affascinante ipotesi di un «faro» interstellare che possa guidare la nascita della vita nei suoi dintorni. Ma la prova più importante per questa teoria arriverà nel 2003, quando la sonda spaziale «Rosetta» si incontrerà con la cometa Wirtanen. Uno degli esperimenti previsti è proprio lo studio degli aminoacidi contenuti nel corpo celeste e la ricerca di eventuali disparità nel rapporto tra forme sinistre e destre. Americo Bonanni


SCIENZE FISICHE. NUOVA ARMA USA Un cannone laser abbatterà i missili
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: ARMI
LUOGHI: ITALIA

A sei anni dalla Guerra del Golfo, il Pentagono non ha dimenticato l'incubo dei razzi Scud lanciati da Saddam Hussein contro Israele e contro le basi americane in Arabia Saudita. C'è preoccupazione, anzi, per il crescente numero di Paesi in possesso di missili balistici: oggi sono una ventina, con diecimila vettori e un arsenale di testate convenzionali, chimiche, batteriologiche. E alcuni hanno la tecnologia per costruire bombe atomiche. Come fronteggiare la minaccia? Abbandonato con la fine della guerra fredda il progetto di «scudo spaziale», gli Stati Uniti hanno dato il via allo sviluppo e alla costruzione di un'arma rivoluzionaria che, sia pure con obiettivi meno ambiziosi, ne ricalca le orme: un potente cannone laser. Montato su uno speciale Boeing 747, permetterà di distruggere i missili subito dopo il lancio. Il sistema, chiamato ABL (sigla di Airborne Laser, cioè laser volante), verrà realizzato per conto dell'Air Force da un team composto da Boeing, Lockheed Martin e Twr, con un investimento di un miliardo 100 mila dollari, 1700 miliardi di lire. Nella decisione ha pesato non poco l'esperienza della Guerra del Golfo. Allora, per difendersi dagli attacchi degli Scud, vennero impiegate batterie di missili Patriot: presentati come quasi infallibili, ottennero in realtà risultati modesti. Il Patriot, d'altronde, è nato come sistema antiaereo e colpire missili balistici è un'altra cosa. Secondo i programmi, l'Air Force riceverà sette Boeing 747 ABL. Grazie all'autonomia intercontinentale, potranno raggiungere in poche ore l'area di una crisi internazionale, stendendo un ombrello a protezione dei possibili obiettivi di un attacco. Volando in circolo a 12 mila metri di quota, questi aerei potranno scoprire il lancio di missili a centinaia di chilometri di distanza e seguire la traiettoria con un sensore a infrarossi realizzato dalla Lockheed Martin. Il sistema di puntamento, sempre della Lockheed, indirizzerà con precisione sul bersaglio il raggio del laser ad alta energia, distruggendo il missile durante l'ascesa, nella fase del volo in cui è più vulnerabile, mentre si trova ancora sul territorio del Paese aggressore e - in caso di testate multiple - prima che queste si separino. La costruzione del laser è affidata alla Trw di Cleveland, azienda che studia da anni la possibilità di impiegare fasci di luce ad alta energia per la difesa antimissile. Il prototipo risale addirittura al 1972 e venne sperimentato con successo sei anni più tardi contro un bersaglio in volo. In tempi più recenti, la Trw ha realizzato due laser chimici da più di un megawatt di potenza: l'Alpha, costruito per l'Air Force con i finanziamenti stanziati per lo scudo spaziale, e il Miracl, commissionato dalla Marina. Quest'ultimo è stato collaudato in un poligono del Nuovo Messico. E' riuscito a colpire e a distruggere una serie di missili lanciati da terra. Giancarlo Riolfo


SCIENZE DELLA VITA. ARMI CHIMICHE IN NATURA Gli insetti bombardieri Almeno 500 specie si difendono con gas letali
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: EISNER THOMAS
ORGANIZZAZIONI: CORNELL UNIVERSITY
LUOGHI: ITALIA

UNO spray tossico e bollente è un'arma di tutto rispetto contro le aggressioni. Lo possiede lo Stenaptinus del Kenya, un insetto tropicale lungo due centimetri e mezzo che è senza dubbio uno dei «bombardieri» più singolari della natura. Il funzionamento della sua arma di difesa è stato svelato dall'entomologo Thomas Eisner della Cornell University di New York. Bisogna convenire che si rimane stupefatti di fronte alla straordinaria varietà di armi chimiche in possesso non solo di molti insetti, ma di parecchie specie degli altri artropodi (con questo termine si indicano tutti quegli animali che hanno «i piedi articolati», come insetti, ragni, scorpioni, crostacei e miriapodi). Eisner ha scoperto che lo Stenaptinus mediante ghiandole separate fabbrica idrochinone e acqua ossigenata. Quando viene aggredito, combina queste sostanze in presenza di un catalizzatore. La reazione è esotermica, cioè sviluppa calore e produce ossigeno e benzochinone, sostanza tossica dall'odore assai penetrante. La tecnica è praticamente identica a quella usata dall'uomo per le più moderne e micidiali armi chimiche: due sostanze di per sè innocue vengono immagazzinate separatamente e combinate al momento giusto, in modo da provocare l'emissione di gas letali. Ed esistono nientemeno che cinquecento specie di insetti bombardieri che in modi diversi ottengono lo stesso risultato. Tra le varietà nostrane il più noto è il Brachynus crepitans. E' un insettino lillipuziano, lungo meno di un centimetro, con testa e zampe di un color fulvo intenso e le elitre (le ali anteriori coriacee) di un bel verde a riflessi bluastri. Trovarlo non è facile, perché ama nascondersi sotto le pietre o i detriti vegetali nei luoghi più umidi e freschi. E' raro che sia isolato, di solito un bel gruppetto di individui condivide lo stesso habitat. Anche il Brachynus, come lo Stenaptinus, tiene le sue armi ben separate in due vescichette vicine all'apertura anale, divise da una specie di sportello ribaltabile. Nemico in vista? Immediatamente lo sportello si solleva e le due secrezioni si mescolano in presenza di un'enzima che attiva una reazione esplosiva. Il gas che si sviluppa viene proiettato con violenza attraverso una lamina bucherellata che crea un effetto spray. Se la prima scarica non sortisce l'effetto desiderato, il Brachynus ne lancia una seconda e poi una terza, sino a che le vescichette non abbiano completamente svuotato il loro contenuto. In meno di un giorno il bombardiere è in grado di rifabbricare la sua scorta di esplosivo. In genere una così massiccia azione difensiva messa in opera da tutto il clan dei Brachynus raggiunge lo scopo. Ma anche quando un solo bombardiere capita nella bocca di un rettile o nel becco di un uccello, gli basta un'energica spruzzata, perché il vertebrato sputi immediatamente la preda lasciandola fuggire. L'Eleodes longicollis, un altro insetto studiato da Eisner, avverte il nemico quando sta per attaccarlo. Si mette a testa in giù con l'addome puntato verso l'alto. Come se gli dicesse «o te ne vai o sparo». Se il nemico non demorde, l'Eleodes gli lancia contro un liquido bruno gialliccio dall'odore acre che emana vapori corrosivi, pericolosi soprattutto per le mucose e per gli occhi. Un atteggiamento difensivo paragonabile a quello dell'Eleodes l'assume anche il Mastigoprocteus giganteus, lungo una decina di centimetri, che appartiene ad uno dei gruppi più antichi di aracnidi. Avvistato il nemico, anche lui fa un brusco dietrofront e gli punta contro l'estremità dell'addome. Ma la violenza dello spruzzo e soprattutto la precisione della mira sono nel suo caso incomparabilmente superiori. La secrezione corrosiva viene sparata anche a sessanta centimetri di distanza, sei volte la lunghezza dell'animale. La cosa più straordinaria del Mastigoprocteus è che il suo getto è orientabile. Il foro di uscita del liquido si trova infatti all'estremità posteriore dell'addome su un pomello rotante che può essere rivolto in tutte le direzioni. Se diretto contro uccelli o mammiferi lo spruzzo viene orientato di preferenza verso gli occhi per accecare l'avversario. Quegli artropodi che noi chiamiamo impropriamente «millepiedi» (in realtà di piedi ne hanno al massimo centoventi paia) sono anche loro bocconcini appetitosi per una quantità di predatori. Per difendersi in caso di aggressione, trasudano sostanze repulsive e irritanti. Le formiche, appena sentono l'odore mefitico delle goccioline difensive, desistono dall'attacco e battono in ritirata. Una specie che vive nella Nuova Guinea è capace di spruzzare la secrezione con un getto finissimo che arriva a ottanta centimetri di distanza. Se colpisce la pelle umana o quella degli animali domestici, la parte colpita si annerisce, poi la pelle si desquama e viene a formarsi una piaga dolorosa che guarisce con estrema lentezza. Se il getto colpisce gli occhi si rischia la cecità. Nei Paesi tropicali è abbastanza frequente il caso di galline accecate dai millepiedi.Tattica diversa quella della Romalea microptera, un ortottero americano che l'equipe di Eisner ha accuratamente studiato. E' una locusta lunga otto centimetri che non sa volare per via delle alette minuscole. Appena un ragno o una formica le si avvicinano con intenzioni ostili, questa locusta si mette a stridere, cacciando fuori dai fianchi una schiuma di migliaia e migliaia di bollicine che scoppiano l'una dopo l'altra liberando vapori irritanti. Se l'aggressore non se ne va, la locusta ricorre a mezzi ancora più energici. Gli vomita addosso il contenuto dello stomaco che è particolarmente disgustoso perché quest'insetto si ciba di vegetali oltremodo maleodoranti. Ma ci sono, fra gli uccelli, i predatori furbi che sanno aggirare l'ostacolo. Le ghiandaie, che sono molto ghiotte di questi ortotteri, che cosa fanno per renderli inoffensivi? Con rapida mossa li decapitano e insieme con la testa strappano via anche il tubo digerente. Dopo di che divorano tranquillamente il resto del corpo che diventa perfettamente commestibile. Isabella Lattes Coifmann


SCIENZE DELLA VITA. METEOROLOGIA Il 23 marzo «giornata» del clima
ORGANIZZAZIONI: OMM ORGANIZZAZIONE METEOROLOGICA MONDIALE, SOCIETA' ITALIANA DI METEOROLOGIA APPLICATA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA, ITALIA, ROMA
NOTE: «Giornata Meteorologiaca Mondiale»

FRA tante ricorrenze e celebrazioni, ne esiste anche una dedicata alla meteorologia. E' la «Giornata Meteorologica Mondiale», che viene celebrata ogni anno il 23 di marzo per ricordare l'entrata in vigore della Convenzione dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale, approvata nel 1950. Domenica prossima, quindi, la scienza del tempo e del clima vivrà la sua «giornata». L'Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) è una agenzia speciale delle Nazioni Unite, con sede a Ginevra, in uno dei tanti palazzi di vetro sulle rive del lago Lemano. Svolge un ruolo di primo piano, in quanto garantisce il funzionamento della complessa e capillare rete di scambio dei dati meteorologici che ogni tre ore fluiscono nel Global Telecommunications System, una sorta di sistema nervoso che consente ad oltre 170 nazioni (pressoché la totalità di quelle esistenti) di disporre delle previsioni meteorologiche. Quasi cinquant'anni di lavoro scientifico e di piena operatività fanno dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale un eccezionale esempio di stabilità e coesione che supera ogni tipo di barriera politica, nella consapevolezza che il fluido atmosferico può essere controllato e compreso solo con un grande, unico sforzo congiunto. E poi c'è il supporto alla didattica, la formulazione delle normative, il coordinamento dei programmi internazionali di ricerca sul clima, il sostegno ai Paesi in via di sviluppo... Vale la pena fare un viaggio nelle pagine Internet (http://www.wmo.ch), per scoprire quanto è vasto e poliedrico questo settore in costante evoluzione. Tornando alla Giornata Meteorologica Mondiale, ogni anno le si associa un tema. Quello del 1997 è «Meteorologia e risorse idriche nelle zone urbane». Un argomento quanto mai attuale, visto l'enorme impatto che il rapido tasso di crescita della popolazione urbana sta producendo sull'ambiente e sull'uso delle risorse naturali. Pochi numeri a conferma di ciò: nel 1950 la popolazione mondiale ammontava a 2,5 miliardi di persone, dei quali un terzo localizzate nelle città; entro il 2000, oltre la metà della popolazione prevista, pari a 6,2 miliardi di persone, vivrà in grandi agglomerati urbani. L'alta densità di popolazione espone dunque le città a un rischio amplificato nei confronti dei disastri naturali, della cui totalità il 70 per cento deriva da eventi meteorologici estremi. La presenza degli edifici, l'impermeabilizzazione delle superfici e il forte consumo di energia creano inoltre un particolare clima urbano, a volte molto differente dalle zone rurali adiacenti. La temperatura è generalmente più elevata (effetto «isola di calore», i temporali più intensi, la circolazione del vento disturbata, l'accumulo degli inquinanti favorito, tutti aspetti che interagiscono con i consumi energetici, il benessere, la salute e la sicurezza degli abitanti. Il clima urbano, sebbene artificialmente modificato, diviene di giorno in giorno più importante in quanto influenza direttamente la vita e l'economia della maggior parte degli abitanti della Terra. In linea con questa riflessione, due giorni dopo la data ufficiale della ricorrenza Omm, si terrà a Roma l'incontro «Meteorologia ed Aree Metropolitane», voluto dal Dipartimento di Fisica dell'Università «La Sapienza» di Roma, dalla Società Italiana di Meteorologia Applicata e dalla Società Meteorologica Subalpina. Sarà un momento importante per fare il punto su alcuni aspetti dell'atmosfera che circonda le nostre grandi città, Roma, Milano, Torino, Venezia, solo per citarne alcune, e fornire elementi quantitativi che non dovrebbero essere trascurati dagli amministratori locali. Luca Mercalli Direttore di Nimbus


SCIENZE DELLA VITA. MORTE PROGRAMMATA Le cellulle suicide Il più efficace antitumorale
Autore: MAESTRONI GEORGES

ARGOMENTI: BIOLOGIA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Una cellula con i suoi vari costituenti disegnati ad ingrandimenti diversi secondo l'interpretazione strutturale basata sulla microscopia elettronica

LA vita si nutre della morte. Questa verità biologica è ovvia ed evidente quando si parla di ecologia e di catene alimentari. Tutti sanno che gli erbivori si nutrono dei produttori primari, cioè i vegetali, e che a loro volta servono da cibo per altri animali, i carnivori e così via. E' chiaro cioè che la morte di alcuni esseri viventi è necessaria per la vita degli altri e l'equilibrio ambientale si basa proprio sulla varietà e proporzione delle specie viventi. Meno nota è forse l'esistenza di un simile equilibrio tra le cellule che compongono qualsiasi organismo pluricellulare e quindi anche l'organismo umano. Nel patrimonio genetico di ogni cellula è scritto un programma di morte. Al momento giusto il programma attiva una serie di eventi che portano al suicidio della cellula. Il meccanismo, che viene anche chiamato «apoptosi», conduce in qualche ora alla denaturazione del Dna e quindi alla morte cellulare. Le proteine enzimatiche in grado di degradare i Dna o endonucleasi vengono sintetizzate di nuovo o attivate. La cromatina del nucleo che contiene il Dna si condensa e la cellula raggrinzisce, muore e viene rapidamente eliminata dagli spazzini dell'organismo, i macrofagi. Non si tratta, attenzione, di fenomeni di senescenza o del fenomeno di necrosi che interviene in mancanza di ossigeno, come nel caso dell'ischemia miocardica che porta all'infarto. La morte cellulare programmata o apoptosi scatta nel momento in cui alla cellula arriva un segnale specifico. L'informazione può essere costituita dalla presenza o mancanza di ormoni, fattori di crescita o data dai linfociti killer ed è di vitale importanza poiché sta alla base del rinnovamento tissutale, delle difese immunitarie e quindi del mantenimento dell'integrità biologica dell'organismo stesso. Per fare un esempio, il complesso fenomeno dell'emopoiesi, e cioè della formazione delle cellule sanguigne, avviene grazie ad una continua serie di moltiplicazione e differenziazione cellulare a partire da un ristretto numero di cellule madri o staminali che risiedono nel midollo osseo. Ora, sia la proliferazione sia la differenziazione vengono guidate da fattori di crescita o chitochine che hanno il compito di mantenere la giusta proporzione di linfociti, granulociti, piastrine e globuli rossi. Il meccanismo chiave attraverso il quale vengono selezionate le cellule che devono proliferare e quindi il meccanismo che mantiene la giusta proporzione tra le cellule del sangue è proprio l'apoptosi. Un altro chiaro esempio è dato dalle cellule della pelle, che si rinnovano continuamente grazie alla morte programmata. Ma tutte le cellule dell'organismo possiedono il programma di morte e grazie a questo tutti gli organi vengono continuamente rinnovati, con l'eccezione del sistema nervoso, le cui cellule hanno una limitatissima capacità di rinnovamento, nonostante la presenza del programma. Si può ben dire che nel corso della nostra vita moriamo e rinasciamo diverse volte. Oltre che di un raffinato sistema di rinnovamento e mantenimento della funzionalità organica, il programma di morte costituisce anche un'efficace prevenzione contro la possibilità di mutazione cellulare. Infatti, normalmente le mutazioni cellulari, che peraltro avvengono con una certa frequenza, inducono proprio l'attivazione del programma di morte. Questo previene la possibilità che le cellule mutate possano sopravvivere e quindi sfuggire ai normali meccanismi di controllo e dare origine a processi patologici tra cui la malattia neoplastica. Le cellule in cui l'apoptosi è più facilmente attivabile sono infatti le cellule che mantengono la capacità di proliferazione. I linfociti, per esempio, dopo aver indotto l'apoptosi nelle cellule bersaglio, attivano in loro stessi il programma di morte e ciò previene una pericolosa espansione di cellule linfatiche che potrebbe accrescere il rischio di linfomi o malattie autoimmunitarie. Si tratta della famosa opzione «better dead than wrong» (meglio morte che sbagliate) che cellule importanti come i linfociti mettono in essere per salvaguardare l'integrità dell'organismo. La morte programmata delle cellule costituisce quindi il maggiore meccanismo antitumorale che l'organismo possieda. Quando per una qualsiasi ragione la mutazione va a incidere direttamente sulla capacità della cellula di «suicidarsi» e cioè sul programma dell'apoptosi ecco che può scattare il pericolo di cancro. Di conseguenza uno degli orientamenti e una speranza della ricerca contro il cancro sta nello sviluppo di strategie farmacologiche o genetiche in grado di indurre l'apoptosi o di ridare alle cellule cancerose il programma di morte. Paradossalmente, ciò che rende mortale il cancro è la mancanza del programma di morte. Georges Maestroni Istituto di patologia, Locarno


SCIENZE DELLA VITA. EMICRANIA Responsabile è anche un gene
Autore: PINESSI LORENZO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, GENETICA
ORGANIZZAZIONI: CELL
LUOGHI: ITALIA

L'emicrania è una delle più frequenti malattie neurologiche. Il 24 per cento delle donne e il 10 per cento degli uomini può subire, nel corso della vita, le lunghe e fastidiose crisi di cefalea pulsante, spesso associata a vomito. I costi sociali dell'emicrania sono enormi: uno studio condotto nel Regno Unito dal Mi graine Trust dice che il 40 per cento dei lavoratori si assenta dal lavoro per almeno due giorni all'anno per emicrania. Nonostante la rilevanza sociale del mal di testa, finora i ricercatori hanno dedicato scarsa attenzione al problema. I pazienti sono curati, spesso, in modo inadeguato e non sempre sono seguiti da strutture assistenziali competenti. L'emicrania si presenta, clinicamente, in modo eterogeneo: la frequenza, la durata e la gravità degli attacchi varia notevolmente da paziente a paziente, risultando talora addirittura invalidante. Spesso la malattia è «di famiglia». Diversi studi indicano che i fattori genetici svolgono un ruolo di primo piano in tale patologia. Il rapido sviluppo delle tecniche di genetica molecolare ha permesso, in questi ultimi anni, di isolare i geni responsabili di diverse malattie neurologiche, stimolando, anche nel settore della patologia cefalalgica, indagini di neurogenetica. Di recente sono stati pubblicati su «Cell», una importante rivista scientifica, i risultati di uno studio genetico-molecolare condotto da un gruppo di neurologi olandesi in collaborazione con il Lawrence Livermore National Laboratory in California. Lo studio di alcune famiglie che presentavano una rara forma di emicrania associata a deficit motori transitori (Familial Hemiplegic Migraine - Fhm) ha portato all'isolamento del gene responsabile di una delle varianti di questa malattia. Il gene dell'Fhm è stato mappato sul cromosoma 19 (19p13) e, con grande interesse per i ricercatori, è risultato essere responsabile della sintesi di un canale del calcio presente in modo selettivo a livello cerebrale. Il movimento del calcio all'interno dei neuroni regola il rilascio di neurotrasmettitori che risultano essere elementi critici nella comunicazione cellulare. Questa scoperta sembra porre fine alle lunghe discussioni sulle cause dell'emicrania tra i sostenitori di una origine periferica della malattia (teoria vascolare) e coloro che avevano ipotizzato una alterazione dei meccanismi centrali di regolazione vascolare (l'alterazione del sistema trigemino-vascolare). E' verosimile che anche nelle forme più comuni di emicrania, con aura e senza aura, siano presenti alterazioni nei canali che trasportano ioni all'interno delle cellule del sistema nervoso (canalopatie). Questa scoperta apre interessanti prospettive per una terapia farmacologica più selettiva e invita a proseguire le ricerche in questa direzione. Lorenzo Pinessi Direttore Centro Cefalee Università di Torino


SCIENZE A SCUOLA. INTERNET Explorer: c'era un baco clandestino Scoperto da uno studente ed eliminato da Microsoft
Autore: MEO ANGELO RAFFAELE

ARGOMENTI: INFORMATICA
NOMI: GREENE PAUL
ORGANIZZAZIONI: INTERNET, MICROSOFT, WORCESTER POLYTECHNIC INSTITUTE
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA, MASSACHUSETTS

UNO studente del Worcester Polytechnic Institute nel Massachusetts, Paul Greene, ha pubblicato nella sua «home page» su Internet una notizia clamorosa, che ha turbato gli operatori di Borsa e i ricercatori della leggendaria Microsoft. Il navigatore o «browser» diffuso dalla Microsoft con il nome di «Internet Explorer» contiene un baco che potrebbe compromettere la sicurezza del calcolatore del navigante. Il browser è uno strumento fondamentale per navigare su Internet. Chi è interessato a informazioni su un certo argomento si collega a un calcolatore della rete. Il calcolatore interrogato, o «www server», invia al calcolatore interrogante un primo documento contenente informazioni varie, testi, dati numerici, immagini. Lo stesso documento può contenere parole o frasi sottolineate o icone particolari funzionanti come riferimenti ad altri documenti posti nello stesso calcolatore o anche su altri calcolatori della rete. Per esempio, fate questo esperimento. Attivate il browser del vostro calcolatore e collegatevi all'indirizzo «www.altavista.com», dove risiede un «motore di ricerca» contenente un immenso indice universale. Gli chiedete di ricercare tutti i documenti disponibili in rete ove si parli di «Meo». Altavista vi risponde con il seguente messaggio: «Sono disponibili più di 30.000 documenti ove si parla di Meo. Vuoi vedere i primi 10?». Rispondete di sì e compare un elenco di 10 documenti. Qua e là compaiono parole sottolineate o icone funzionanti come riferimento ad altri documenti. Ad esempio, in prima posizione compare l'informazione relativa ad un articolo del sottoscritto che risale al 1962. Il nome dell'autore è sottolineato così come il titolo dell'articolo. Se, muovendo il mouse, spostaste il cursone sul nome, vi comparirebbe probabilmente il suo curriculum, mentre se vi spostaste sul titolo ricevereste il testo dell'articolo stesso. Non fate nè una cosa, nè l'altra, sia perché autore e titolo non hanno alcuna rilevanza scientifica, sia perché il documento N. 6 presenta altri spunti di interesse. Infatti il documento N. 6 contiene l'invito di una signorina orientale di nome Meo, che offre immagini non molto castigate di sè. «Cliccate» sul nome Meo del documento N. 6 e compaiono sul video le immagini promesse. Soffermiamoci su quest'ultimo passaggio. Il vostro calcolatore era collegato ad una delle sedi americane della Digital Equipment Corporation ove risiede Altavista, e il calcolatore di Altavista vi aveva inviato un particolare documento contenente l'elenco dei primi dieci documenti ove si parla di Meo. Quel documento era accompagnato dagli indirizzi di altri calcolatori della rete, uno per ogni parola sottolineata o altro riferimento; quegli indirizzi non comparivano sul vostro video ma erano noti al vostro programma di navigazione. Così, quando avete «cliccato» sulla parola Meo del documento N. 6, in modo interamente automatico il vostro calcolatore si è collegato ad un calcolatore molto lontano dal vostro e da quello di Altavista e il nuovo calcolatore ha trasferito al vostro le fotografie della citata signorina (che non appartiene alla famiglia del sottoscritto). Con un analogo meccanismo un «www server», ossia un calcolatore come quello di Altavista, avrebbe potuto trasmettere al vostro calcolatore un programma ed ordinarne l'esecuzione. Ad esempio, avrebbe potuto trasmettere al vostro calcolatore un programma che cancellasse tutto il vostro hard disk. Ma il vostro «browser» non lo avrebbe probabilmente permesso, perché di norma si predispongono meccanismi protettivi che non consentono la ricezione e l'esecuzione di programmi. Proprio in questi meccanismi protettivi risiedeva il baco scoperto da Paul Greene nel brow ser della Microsoft. Questo era stato arricchito da alcune funzionalità nuove ed interessanti che avevano però aperto la porta ad intrusioni non desiderate. Lavorando alacremente i tecnici della Microsoft hanno rimediato al baco e forniscono gratuitamente (e ci mancherebbe...) la «patch» relativa all'indirizzo «www.microsoft.com». Pare che nessun utente di Internet Explorer abbia subito alcuna intrusione, ma l'inconveniente è stato sottolineato con malcelata soddisfazione dai concorrenti di Microsoft. La scoperta di Paul Greene ripropone la questione della sicurezza di Internet, ma non deve allarmare. Negli ultimi mesi si sono sviluppati molti strumenti che consentiranno livelli molto elevati di sicurezza nei confronti delle intrusioni e degli errori nei processi di autenticazione. La firma elettronica è già ora più sicura di quella manuale e presto tutti gli aspetti della sicurezza saranno completamente risolti in modo da consentire nuove importanti aree applicative come la banca ed il commercio elettronici. Angelo Raffaele Meo Politecnico di Torino


SCIENZE A SCUOLA. SETTIMANA DELLA SCIENZA Centri di ricerca a porte aperte
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO ELETTROTECNICO NAZIONALE GALILEO FERRARIS
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
NOTE: «Settimana della cultura scientifica e tecnologica»

QUELLA che stiamo vivendo è la «Settimana della cultura scientifica e tecnologica», una iniziativa del ministero della Ricerca che si propone di diffondere tra i cittadini, e specialmente tra gli studenti, una informazione adeguata sui centri di ricerca, gli istituti e i musei scientifici, pubblici e privati, sparsi nel nostro Paese. Dalle Alpi alla Sicilia sono circa 1200 le manifestazioni organizzate tra il 17 e il 22 marzo, quasi tutte sostenute da uno spirito di volontariato. Siamo alla settima edizione di questa iniziativa: la «Settimana della scienza» dovrebbe ormai essere consolidata. Purtroppo però consolidata è anche l'inefficienza ministeriale nel farla conoscere. Si sono avvicendati ministri e governi di tendenza opposta, ma in questo le cose non sono cambiate. Anzi, sono peggiorate. Negli anni scorsi il catalogo delle manifestazioni in programma giungeva in redazione sempre a «Settimana» conclusa: avevamo quindi molte difficoltà a informare i lettori. Nel 1996 il catalogo non è neppure arrivato. Quest'anno, infine, non abbiamo ricevuto neanche un generico comunicato stampa. Ci auguriamo, a questo punto, che catalogo e comunicati siano almeno giunti nelle scuole. Eventualmente, fatecelo sapere. Tra le 1200 iniziative, segnaliamo le celebrazioni che l'Istituto elettrotecnico nazionale ha organizzato in ricordo di «Galileo Ferraris», lo scienziato a cui l'istituto stesso è intitolato. Dal 17 al 21 marzo, il «Galileo Ferraris» (Torino, corso Massimo d'Azeglio 42 e Strada delle Cacce 91, tel. 011 39.19.727) si apre alle scuole e propone visite guidate ai laboratori di misure elettromagnetiche, di tempo e di frequenza. Una buona occasione per vedere da vicino gli orologi atomici che ci danno il segnale orario. Sono così precisi che in un milione di anni avrebbero uno scarto inferiore a un secondo! Piero Bianucci


SCIENZE DELLA VITA. METEOROLOGIA Il 23 marzo «giornata» del clima
Autore: MERCALLI LUCA

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
ORGANIZZAZIONI: OMM ORGANIZZAZIONE METEOROLOGICA MONDIALE, SOCIETA' ITALIANA DI METEOROLOGIA APPLICATA
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, GINEVRA, ITALIA, ROMA
NOTE: «Giornata Meteorologiaca Mondiale»

FRA tante ricorrenze e celebrazioni, ne esiste anche una dedicata alla meteorologia. E' la «Giornata Meteorologica Mondiale», che viene celebrata ogni anno il 23 di marzo per ricordare l'entrata in vigore della Convenzione dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale, approvata nel 1950. Domenica prossima, quindi, la scienza del tempo e del clima vivrà la sua «giornata». L'Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) è una agenzia speciale delle Nazioni Unite, con sede a Ginevra, in uno dei tanti palazzi di vetro sulle rive del lago Lemano. Svolge un ruolo di primo piano, in quanto garantisce il funzionamento della complessa e capillare rete di scambio dei dati meteorologici che ogni tre ore fluiscono nel Global Telecommunications System, una sorta di sistema nervoso che consente ad oltre 170 nazioni (pressoché la totalità di quelle esistenti) di disporre delle previsioni meteorologiche. Quasi cinquant'anni di lavoro scientifico e di piena operatività fanno dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale un eccezionale esempio di stabilità e coesione che supera ogni tipo di barriera politica, nella consapevolezza che il fluido atmosferico può essere controllato e compreso solo con un grande, unico sforzo congiunto. E poi c'è il supporto alla didattica, la formulazione delle normative, il coordinamento dei programmi internazionali di ricerca sul clima, il sostegno ai Paesi in via di sviluppo... Vale la pena fare un viaggio nelle pagine Internet (http://www.wmo.ch), per scoprire quanto è vasto e poliedrico questo settore in costante evoluzione. Tornando alla Giornata Meteorologica Mondiale, ogni anno le si associa un tema. Quello del 1997 è «Meteorologia e risorse idriche nelle zone urbane». Un argomento quanto mai attuale, visto l'enorme impatto che il rapido tasso di crescita della popolazione urbana sta producendo sull'ambiente e sull'uso delle risorse naturali. Pochi numeri a conferma di ciò: nel 1950 la popolazione mondiale ammontava a 2,5 miliardi di persone, dei quali un terzo localizzate nelle città; entro il 2000, oltre la metà della popolazione prevista, pari a 6,2 miliardi di persone, vivrà in grandi agglomerati urbani. L'alta densità di popolazione espone dunque le città a un rischio amplificato nei confronti dei disastri naturali, della cui totalità il 70 per cento deriva da eventi meteorologici estremi. La presenza degli edifici, l'impermeabilizzazione delle superfici e il forte consumo di energia creano inoltre un particolare clima urbano, a volte molto differente dalle zone rurali adiacenti. La temperatura è generalmente più elevata (effetto «isola di calore», i temporali più intensi, la circolazione del vento disturbata, l'accumulo degli inquinanti favorito, tutti aspetti che interagiscono con i consumi energetici, il benessere, la salute e la sicurezza degli abitanti. Il clima urbano, sebbene artificialmente modificato, diviene di giorno in giorno più importante in quanto influenza direttamente la vita e l'economia della maggior parte degli abitanti della Terra. In linea con questa riflessione, due giorni dopo la data ufficiale della ricorrenza Omm, si terrà a Roma l'incontro «Meteorologia ed Aree Metropolitane», voluto dal Dipartimento di Fisica dell'Università «La Sapienza» di Roma, dalla Società Italiana di Meteorologia Applicata e dalla Società Meteorologica Subalpina. Sarà un momento importante per fare il punto su alcuni aspetti dell'atmosfera che circonda le nostre grandi città, Roma, Milano, Torino, Venezia, solo per citarne alcune, e fornire elementi quantitativi che non dovrebbero essere trascurati dagli amministratori locali. Luca Mercalli Direttore di Nimbus




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