TUTTOSCIENZE 23 aprile 97


Il rebus della popolazione mondiale QUANTO CONTINUERA' A CRESCERE?
Autore: V_M_CA

ARGOMENTI: DEMOGRAFIA E STATISTICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. TAB., G. POPOLAZIONE MONDIALE (Le cifre sono espresse in milioni di unità) ====================================================== 10. 000 A.C 10 ----------- 1 ANNO DOMINI 300 ----------- 1650 510 ----------- 1800 910 ----------- 1900 1600 ----------- 1960 3049 ----------- 1970 3721 ----------- 1980 4473 ----------- 1990 5320 ----------- 1996 5478 ----------- 2043 12.000 ? ======================================================

L'INVENTORE del microscopio, Von Leeuwenhoek, il 25 aprile del 1679 annunciò di aver calcolato che il massimo numero di abitanti del nostro pianeta è di 13,4 miliardi. A metà del 1996, eravamo 5,77 miliardi. Dal 1975 al 1990 siamo aumentati a un tasso globale del 1, 72% mentre dal 1990 al 1995 il tasso è sceso allo 1,48%. Nelle regioni meno sviluppate, il tasso nel periodo 1990-95 è stato del 1, 77%, mentre nelle regioni più sviluppate è stato dello 0,4%. Consideriamo un tasso intermedio fra 1,77 e 1,48%: 1,6%. A prima vista, sembra poco. Non lo è affatto. Se tale tasso fosse sempre esistito, quando nacquero Adamo ed Eva? Nel 625 dopo Cristo, 1372 anni fa. Qualcosa non torna. Facciamo nascere Adamo ed Eva al termine dell'ultima era glaciale, una cortesia che mi sembra doverosa. Quanti saremmo oggi? Un numero illeggibile: uno seguito da 82 zeri] E' bene ricordare che in tutto l'universo il numero dei protoni è uno seguito da 80 zeri: manca quindi il 99% della materia prima] Dulcis in fundo: con tale tasso di crescita ci raddoppieremo in 47 anni, nel 2043 saremo circa dodici miliardi. Dal 1970, il tasso è sceso non per un aumento della mortalità, ma per un decremento di fertilità, specialmente in Thailandia, Cina, Corea, India, Messico, Brasile, Egitto ed Indonesia. Il demografo americano J. E. Cohen ha coniato il termine «fertility evolution» per sottolineare che si tratta di un fenomeno di importanza mondiale che rappresenta un importante passo avanti nella coscienza collettiva dell'umanità. Purtroppo però, i demografi non hanno ancora individuato la causa di questo evento e quindi si sentono incapaci di prevedere se sia transitorio o no. In verità, tre demografi americani, Robey, Rutstein e Morris hanno identificato quantomeno il meccanismo di innesco in molti Paesi in via di sviluppo ed è lo stesso che ridusse la fertilità in Usa negli Anni 30: fu cioè la grande depressione. (v.m.ca.)


Crescita zero I complicati calcoli per stabilire in teoria quanti uomini può ospitare e nutrire la Terra
Autore: V_M_CA

ARGOMENTI: DEMOGRAFIA E STATISTICA
LUOGHI: ITALIA

DIECIMILA anni fa eravamo, diciamo, 5,7 milioni, oggi siamo 5,7 miliardi, mille volte tanto. Di questo passo, fra 10.000 anni saremo mille miliardi. Poiché la superficie della Terra è di 510 milioni di km2, ad ognuno spetterà una parcella di 10m2, un risultato che non ha bisogno di ulteriori commenti. Questo ha portato alla convinzione che l'unica alternativa reale è un tasso di crescita zero. Il che significa che il tasso globale delle nascite deve essere uguale a quello della mortalità. In questo caso l'«aspettativa di vita», che è data dal reciproco del tasso di mortalità, diventa uguale al reciproco del tasso di natalità. Ne segue quella che si chiama l'equazione di Matusalemme: vita media = 1/(tasso di natalità) Abbiamo quindi due scelte: basso tasso di natalità e vita media lunga o alto tasso di natalità ma vita media breve. Nei Paesi più poveri, i figli sono considerati un vantaggio economico poiché possono essere mandati a lavorare in giovane età. I figli assicurano altresì che qualcuno si prenderà cura dei genitori in età avanzata. Nelle società più ricche, la prima scelta, nota anche come «transizione demografica» è operativa da anni. L'educazione dei figli, che si prolunga ben dopo i vent'anni, significa che essi consumano invece di produrre, senza contare che l'esistenza di strutture pensionistiche ha alleviato la dipendenza degli anziani dai figli. Nelle società ricche è avvenuto quindi un cambio di paradigma, ci si industria per creare benessere non-biologico (benessere materiale) invece di quello biologico (figli), in apparente contraddizione ai canoni darwiniani. Non si può avere una vita media lunga, un tasso di natalità alto ed una popolazione stazionaria. I tre ingredienti sono incompatibili. La vita richiede energia e la fonte primaria è il Sole che attraverso la fotosintesi incanala energia nelle piante (zuccheri) le quali poi la forniscono agli animali ed infine all'uomo. E' quindi logico chiedersi quale sia il massimo numero di persone che il processo fotosintetico può sostenere. Cominciamo con la costante solare: ogni minuto, ogni centimetro quadrato della Terra riceve gratis 1,92 calorie ovvero 2,76 chilocalorie al cm2 al giorno (ricordo che le calorie di cui si parla in dietetica sono chilocalorie). Per coloro che studiano il clima, questo numero è invece 1367 watt per m2. Ora dobbiamo moltiplicare per la superficie della Terra. Qui cominciano i dolori. Tale superficie, includendo tutto, è come già detto, 510 milioni di km2 ma poiché solo circa un quarto è terra, un valore più idoneo è 127 milioni di km2. Ma nemmeno questo è un valore attendibile poiché non tutta la terra è coltivabile e quindi foto-sinteticamente attiva. Qui cominciano le approssimazioni. Adotterò i dati dell'oceanografo americano Revelle, che studiò a lungo il tema, soprattutto come presidente di una commissione presidenziale sul tema popolazione e anche perché, avendolo conosciuto personalmente, ho sviluppato come tanti altri un grande rispetto per la sua cautela e profonda conoscenza scientifica. Nel 1967, egli suggerì il valore di 32 milioni di km2 (3,2 miliardi di ettari). Il che ci dà un totale di 0,88 miliardi di miliardi di chilocalorie al giorno. Poiché un essere umano consuma in media 2500 kcalorie al giorno, 0,35 milioni di miliardi di persone possono in principio sussistere. Poiché però la fotosintesi ha un'efficienza solo dello 0,1%, il totale è di 350 miliardi di persone. Un calcolo simile fu fatto forse per la prima volta dall'olandese C.T. de Wit il cui risultato finale fu di 1000 miliardi di persone, tre volte maggiore del numero che ho ricavato io. Se però de Wit avesse adottato la nostra superficie coltivabile (invece dei suoi 13 miliardi di ettari), il suo valore finale sarebbe stato di 246 miliardi, più simile al nostro risultato. Cosa significa? Che non dovremo preoccuparci, che c'è energia per un mondo estrememente più popolato di quello di oggi? No. Per sussistere, un essere umano ha bisogno non solo di energia ma di spazio; se quest'ultimo è dell'ordine di 1500 m2, il totale crolla a 79 miliardi, cioè 14 volte la popolazione di oggi. La conclusione è che la crescita demografica sarà fortemente limitata da ben altri fattori prima di essere limitata dalla disponibilità di energia fotosintetica. (v.m.ca.)


ENERGIA A Roma primi tetti di silicio
Autore: RAVIZZA ANTONIO

ARGOMENTI: ENERGIA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

L'ENERGIA fotovoltaica - cioè prodotta trasformando direttamente la radiazione solare in elettricità - fa un bel salto di qualità. Dalle piccole superfici sufficienti a produrre l'energia elettrica per un rifugio in alta montagna, per un faro su uno scoglio o per ricaricare le batterie di una barca a vela in mezzo all'oceano, si passa alle grandi superfici, interi tetti di palazzi cittadini. I primi tre «tetti fotovoltaici» saranno installati a Roma, frutto di una collaborazione italo-tedesca, da una parte l'Enel e dall'altra il Ministero federale per la scienza, ricerca e tecnologia (Bmbf). Alla progettazione e costruzione hanno partecipato da parte italiana la Anit (Ansaldo e Agip) e da parte tedesca la Ase (Deutsche Aerospace e Nukem). Il più grande dei tre impianti, ben 380 moduli di silicio, sarà collocato sulle terrazze della Scuola Germanica, un istituto privato frequentato dai giovani di lingua tedesca che vivono nella capitale; ha una potenza di 20 kW e produce circa 28. 000 kWh l'anno, cioè il 10 per cento dell'energia consumata dall'istituto. Un secondo impianto (48 moduli di silicio, potenza di 3 kW e circa 4200 kWh prodotti durante l'anno), sarà installato sul palazzo della direzione generale dell'Enel. Il terzo (2,6 kW per 3200 kWh l'anno) sarà collocato al Centro nazionale di controllo dell'Enel e sarà composto da due impianti distinti di cui il primo, composto da 12 moduli, sarà collocato sulla facciata mentre il secondo troverà posto su vari terrazzi. I «tetti fotovoltaici» rappresentano una svolta perché ad essi viene affidato il compito di dimostrare l'efficienza e l'economicità di impiego di questa tecnologia su scala più vasta di quella finora sperimentata. Già ne sono in progettazione altri 12, oltre a due impianti fotovoltaici-diesel destinati ad alimentare comunità isolate sull'isola di Stromboli e a Tione, in provincia dell'Aquila. L'Enel ha già al suo attivo, tra le altre realizzazioni sperimentali, la centrale fotovoltaica di Serre, nel Salernitano, decisa nel '90; ma in questo caso si tratta di un grande impianto, il più grande del mondo, con una potenza complessiva di 3,3 MW, la cui produzione viene immessa nella rete di media tensione. Con i «tetti», invece, integrati nell'architettura civile o industriale, si punta alla produzione di energia elettrica in maniera diffusa, direttamente «in casa» dell'utente, con consumo diretto dell'elettricità prodotta. Inoltre si utilizzano, con notevoli vantaggi economici, le strutture stesse delle costruzioni, come terrazzi, pensiline, tettoie, facciate. Il processo che genera l'energia fotovoltaica sfrutta la caratteristica propria di alcuni materiali di generare direttamente elettricità quando sono colpiti dalla radiazione solare; i primi passi nello sfruttamento di queste caratteristiche risalgono al 1954, ad opera dei laboratori americani della Bell Telephone. Da allora i laboratori di ricerca hanno dovuto affrontare due problemi principali: trovare il materiale con le migliori caratteristiche fotovoltaiche e accrescere il rendimento degli impianti in modo da renderli economicamente accettabili. Negli ultimi anni, anche grazie alla ricaduta delle esperienze fatte in campo spaziale, la tecnologia ha compiuto progressi notevoli puntando sul silicio cristallino ottenuto come materiale di scarto dell'industria elettronica. Fino ad ora l'elettricità dal Sole ha occupato nicchie estremamente limitate, dove le particolari difficoltà di allacciamento alla rete elettrica generale fanno passare in seconda linea i costi ancora alti del fotovoltaico. I «tetti fotovoltaici» hanno lo scopo di allargarne gli spazi di applicazione; questa tecnologia assolutamente ecologica potrà infatti decollare solo quando il suo utilizzo avrà raggiunto dimensioni tali da giustificare ingenti spese di ricerca da parte di grandi imprese, e sufficienti dimensioni industriali nella produzione dei pannelli. Vittorio Ravizza


Il diritto alla felicità Le prospettive per le generazioni future
Autore: CANUTO VITTORIO

ARGOMENTI: DEMOGRAFIA E STATISTICA
LUOGHI: ITALIA

L'ESPLOSIONE demografica che stiamo vivendo è una discontinuità nella storia. Ci vollero 4 milioni di anni per arrivare al primo miliardo di persone, attorno al 1800; ci volle però solo un secolo per arrivare a due miliardi; e 33 anni per arrivare al terzo miliardo, 14 anni per il quarto e 13 per arrivare a 5 miliardi. Il fenonemo di base è stato un rapido calo del tasso di mortalità, specialmente infantile, in molti Paesi. Nei Paesi sviluppati, ci sono tre fasi. La prima avvenne prima del 1850, quando i tassi di nascita e di mortalità erano quasi in equilibrio. In una seconda fase, il tasso di mortalità diminuì considerevolmente mentre il tasso di natalità rimase inalterato; questo portò ad uno sbilancio e quindi ad un aumento temporaneo della popolazione; la terza fase cominciò a fine secolo con un decremento considerevole della natalità, riportando quindi le due curve in quasi equilibrio. Nei Paesi in via di sviluppo, la terza fase non è ancora avvenuta. Questo, in essenza, è il nocciolo della temuta esplosione demografica. Oggi l'umanità cresce al tasso di 10.000 persone l'ora. Come dobbiamo reagire? Con trepidazione o speranza? Dobbiamo credere alle cassandre (demografi, biologi ed ambientalisti) o ai Dr. Pangloss (l'eterno ottimista del «Candide» di Voltaire), in questo caso specifico i solari economisti? O dobbiamo piuttosto prestar fede a K. Boulding secondo cui «chiunque crede che un aumento esponenziale della popolazione possa continuare per sempre è o un folle o un economista»? E' l'esplosione demografica un problema senza soluzione, o un evento di cui rallegrarsi perché ci regalerà tanti Einstein? E' vero che una soluzione esiste, ma mancano le risorse per attuarla? Il successo della pianificazione familiare in Thailandia e Bangladesh, dove in alcuni casi si è raggiunto il livello di «replacement fertility» (due figli per coppia), viene spesso addotto come esempio di una soluzione pianificata. La trappola malthusiana è ancora con noi. L'abbiamo sinora ingannata con la «rivoluzione verde», che ha fatto dell'India un Paese autosufficiente, ma tale rivoluzione sembra aver esaurito il suo potenziale, come lo dimostra il fatto che proprio l'India nel 1992 fu costretta a importare del grano. Malthus non era, come dicono ingiustamente alcuni dei suoi critici, il profeta della disperazione, il nemico della popolazione, al contrario: egli non propugnò la limitazione della popolazione per sè, ma perché era «nemico della miseria umana». Se è vero che dal tempo dell'invenzione dell'agricoltura 10.000 anni fa, la genialità dell'uomo ha saputo moltiplicare la produzione di cibo di molte centinaia di volte, è altrettanto vero che la fame è rimasta con noi, dramma quotidiano per un troppo grande settore dell'umanità. Crescita perpetua è il credo delle cellule del cancro, non dell'umanità. Tutti i demografi sono d'accordo che l'esplosione demografica è destinata a finire. Finirà in modo umano, con un abbassamento naturale del tasso di natalità o in modo tragico, con aumento del tasso di mortalità? Tendenza non vuol dire destino, e qualcosa può e deve essere fatto. Nessuno purtroppo ha una formula magica. Non si tratta solo di procreare nuovi esseri umani, ma nuovi esseri umani «felici». Come ha notato Keyfitz, «i genitori hanno il diritto di avere quanti figli desiderano. Ciò è giusto ma c'è anche da considerare che ogni figlio ha diritto a un nutrimento adeguato». In quale mondo vivranno le future generazioni? Le risorse naturali come acqua e foreste non sono illimitate, l'atmosfera sta diventando un pernicioso cocktail di gas ostili alla presente e alle future generazioni e la diversità biologica, da cui dipende il 50% dei farmaci, sparisce al tasso di 27.000 specie l'anno. In ultima analisi, il problema demografico non è da intendersi come la somma degli abitanti della Terra ma piuttosto come la somma delle loro necessità. Si tratta di una difficile scelta fra i diritti a riprodursi della presente generazione ed i diritti alla sopravvivenza delle generazioni future. Dobbiamo proteggere le opzioni di coloro che non sono ancora nati e che quindi non sono in grado di difendersi. Vittorio M. Canuto


SCIENZE FISICHE. TELEFONINI IN AUTO Mi senti? Dove sei? E' micidiale parlare al volante
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: TRASPORTI, COMUNICAZIONI
ORGANIZZAZIONI: NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE
LUOGHI: ITALIA

L'INCIDENTE d'auto coinvolge generalmente un individuo in buona salute. E' pure noto che la causa dell'incidente per il 90% è dovuta ai guidatori. Non è tanto la mancanza di destrezza nel guidare quanto il fattore attenzione e concentrazione sulla guida, la mancata prudenza e la velocità troppo alta a determinare il cocktail più pericoloso per un incidente. Sulla base di studi che dimostrano che l'uso di un telefono durante la guida può contribuire a un incidente distraendo il guidatore, molti Stati, tra i primi l'Australia, Israele e il Brasile, hanno introdotto una legge che proibisce l'uso dei telefoni cellulari mentre si guida. Ricerche con simulatori condotte in Svezia, Inghilterra, Olanda e Usa hanno convalidato tali sospetti. Ovviamente i fabbricanti di telefoni hanno negato tale rischio. In Italia il codice della strada (art.173) entrato in vigore nel '93, proibisce l'uso di telefoni guidando, come pure l'ascolto di musica o altro in cuffia. Lo studio più completo e convincente svolto finora su questa questione è apparso sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine a febbraio. Due epidemiologi clinici canadesi dell'Università di Toronto hanno condotto in tale città un'inchiesta che ha coinvolto 6000 automobilisti, 700 dei quali avevano subito un incidente ed avevano usato contemporaneamente il telefonino dall'auto. Allo scopo di stabilire o no una relazione tra uso del telefono ed incidente vennero analizzate ben 27.000 telefonate compiute dai 700 automobilisti nel periodo dei 14 mesi precedenti l'incidente. Venne così stabilito un rischio relativo in cinque condizioni diverse come il compiere una telefonata immediatamente prima dell'incidente e usando come controllo nel giorno precedente l'incidente, un giorno di lavoro qualsiasi, il periodo del giorno più utilizzato per telefonate. In base ai dati raccolti gli autori dell'articolo (Redelmeier e Tibshirani) riportano che il rischio di uno scontro era massimo per le telefonate compiute nel periodo di tempo prossimo all'incidente mentre tale relazione non era più statisticamente dimostrabile per telefonate compiute ad esempio 15 minuti prima. La conclusione principale dello studio è che il rischio di un incidente automobilistico aumenti di quattro volte quando si usa un telefono cellulare mentre si guida. E' interessante notare come tale rischio non sia correlato al fattore età o esperienza (anni di guida) del guidatore. Statisticamente, si può dire che più la telefonata è vicina all'incidente è più risulta esser pericolosa (raggiungendo un fattore di rischio di quasi 5 volte). Altra osservazione importante è che non vi sia differenza alcuna tra l'uso dei telefoni viva voce, e quelli che invece obbligano il guidatore ad impegnare una mano e a guidare con una mano sola. Tale osservazione sembra sostenere i dati rivelati dal simulatore che suggeriscono che il grado di attenzione sulla guida e la concentrazione del guidatore siano cruciali nell'evitare l'incidente. Come possiamo giudicare il fattore di rischio telefonico paragonandolo ad altri? Gli autori rispondono anche a questo quesito. Il rischio relativo di usare il telefonino sarebbe simile a quello di guidare sotto l'influenza di un tasso alcolico nel sangue al limite concesso dalla legge. Si pone quindi il quesito (cui lo studio non risponde) del rischio dovuto alla combinazione dei due. Possiamo facilmente immaginarci lo scenario di un giovane che un sabato sera dopo aver consumato qualche bicchiere di birra si intrattenga a telefonare mentre guida. Il consumo di droga o di farmaci ad azione sul sistema nervoso centrale avrebbe il medesimo effetto dell'alcol. Sarebbe anche qui interessante analizzare i dati di tali combinazioni in rapporto ad incidenti gravi o mortali. Come al solito è importante tener presente il costo per la società dell'uso del telefono in macchina. Se in modo molto conservatore facciamo l'ipotesi che il rischio di un incidente sia solo raddoppiato (invece che quadruplicato come dimostra lo studio) il 10% circa cioè 70 dei 700 incidenti esaminati a Toronto sarebbe causato dall'uso del telefono in macchina. E' pure facile calcolarne il numero anche per l'Italia che ha raggiunto ormai un numero di possessori di cellulari del 7,5% (in percentuale della popolazione). Se poniamo che anche solo un telefono su dieci venga usato in macchina, a parità di rischio per tale autoveicolo, si potrebbe stimare che circa l'1% di tutti gli incidenti sia attribuibile all'uso del telefono. Negli Stati Uniti ciò corrisponde ad un costo per la comunità che va dai 2 ai 4 miliardi di dollari l'anno (30 milioni di guidatori in Nord America]). Anche qui è facile, tenendo conto del numero degli autoveicoli ed il numero annuale di incidenti fare il medesimo calcolo per l'Italia. Lasciamo tale calcolo ai lettori che si stupiranno dell'entità del prezzo teorico. Ultima questione. Esistono anche dei vantaggi per la sicurezza degli automobilisti muniti di telefono in macchina? Parrebbe di sì. Nello studio canadese, il 40% circa dei guidatori coinvolti nell'incidente durante una telefonata fu in grado di usare il telefono per chiamare l'ambulanza o la polizia sul luogo dello scontro. Ezio Giacobini


SCIENZE FISICHE. ENEA C'è Sosia il sole artificiale
Autore: FERRANTE ANNALINA

ARGOMENTI: ENERGIA
ORGANIZZAZIONI: ENEA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Sosia (Solar Simulator Apparatus)

UN piccolo hangar, un grande Sole artificiale, una gigantesca ventola che riproduce l'effetto del vento. Non è il set cinematografico di un film ma il laboratorio dove è installato Sosia (Solar Simulator Apparatus) un impianto sperimentale che riproduce fedelmente, in ambiente chiuso, le condizioni atmosferiche normali di irraggiamento del Sole, velocità del vento e temperatura. Questo impianto, situato presso il centro ricerche Enea della Casaccia, Dipartimento energia, è stato realizzato per valutare e misurare il comportamento dei materiali trasparenti innovativi che si stanno ormai affacciando su molti mercati. Le aperture trasparenti rappresentano uno dei mezzi principali con cui un edificio, o un'automobile, scambia calore e luce con l'ambiente circostante. L'uso di nuovi tipi di vetrature, in particolare quelle definite «intelligenti», permette di ottimizzare l'apporto di luce naturale per l'illuminazione degli ambienti e ridurre contemporaneamente la dispersione di energia termica impiegata per la climatizzazione. E' importante, quindi, che lo scambio di energia termica e di luce tra interno ed esterno sia opportunamente controllato, a seconda del tipo di applicazione e del clima, in modo da garantire le migliori condizioni interne, sia visive sia termiche. A questo punto entra in campo il simulatore Sosia, composto da una sorgente luminosa di elevatissima potenza (125 kW), la cui luce viene collimata da un sistema di specchi in modo da ottenere un irraggiamento piuttosto unifome sul piano di prova; da un ventilatore con un diametro di 2 m che riproduce l'effetto del vento e che si può far ruotare a velocità differenti in modo da riprodurre un vento con velocità da 0 fino a 7 m al secondo e da un sistema di condizionamento che mantiene la temperatura sotto controllo in modo da riprodurre una situazione termica stazionaria per componenti diversi. Il suo compito è quello di valutare, con una serie di prove, tutta l'energia trasmessa, ottica e termica. L'intensità di radiazione emessa dalla lampada può essere variata da un minimo di 300 W ad un massimo di 1350 W per metro quadrato (un tipo di radiazione presente oltre la corte dell'atmosfera) e questa sua capacità permette anche di condurre test su collettori solari, vernici, rivestimenti o materiali sottoposti ad invecchiamento accelerato. La prova energetica viene affiancata anche da una prova ottica con un insieme di dispositivi e apparecchiature, il banco ottico Catram (Characterization of Advanced Transparent Materials) con i quali vengono misurate le proprietà ottiche spettrali dei materiali trasparenti innovativi, cioè la capacità di trasmettere, assorbire o riflettere in grandezze diverse le radiazioni luminose. Il banco ottico è caratterizzatp da una sfera cosiddetta «integratrice», una sfera dal diametro di un metro, bianca al suo interno, che integra spazialmente le radiazioni che vengono trasmesse al suo interno dopo l'interazione con il campione di vetro. I materiali trasparenti innovativi allo studio o già in diffusione sono di vario tipo: da quelli particolarmente indicati ai climi freddi e rigidi, nei quali si cerca di massimizzare gli apporti solari e ridurre le perdite termiche (aerogel, finestre sottovuoto, Tim) a quelli cosiddetti «intelligenti» o cromogenici. Questi ultimi hanno la particolarità di avere al loro interno materiali che reagiscono alle variazioni di temperatura e intensità della luce e riescono ad adattarsi alle condizioni ambientali e di uso quotidiano o passivamente o comandati da un opportuno sistema elettronico. Il risparmio energetico, in prospettiva, è considerevole: si stima che la riduzione delle dispersioni termiche che si possono ottenere dall'installazione di questi nuovi tipi di vetri consenta un risparmio del consumo energetico per l'illuminazione fino al 30% sul consumo nazionale annuo, che attualmente si aggira sulla cifra di 40 miliardi di chilowattore. Annalina Ferrante


SCIENZE FISICHE. AGRICOLTURA Terra e Luna Le credenze popolari
Autore: MARITANO SILVANA, MARCHESINI AUGUSTO

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

IL grande Isaac Newton, uomo di profondissima fede, a chi gli chiedeva se la forza gravitazionale fosse la presenza di Dio nell'universo rispondeva: «Non chiedetemi di dirvi che cosa sia questa forza; io posso solo dirvi come agisce». La scienza, infatti, risponde al co me ma non al perché. Eppure sono tuttora in molti a credere all'influsso della Luna sul mondo biologico e a pensare che certi fenomeni avvengano «perché» causati dalle fasi lunari. Per esempio secondo alcuni la semina degli ortaggi dev'essere fatta con Luna calante; secondo altri con Luna crescente. A questo proposito non esiste un accordo sul periodo propizio di semina: le date variano secondo le persone interpellate. E' strano che la Luna possa influire sulle semine secondo la soggettività degli interlocutori... Il travaso del vino in primavera, secondo alcuni, dovrebbe essere compiuto nei giorni di Luna calante, perché altrimenti il vino rimane torbido o si altera. Gli innesti dovrebbero essere fatti con Luna piena perché diversamente non attecchiranno. Il legname deve essere tagliato in tempo di Luna calante perché altrimenti i legni si tarlano. E gli esempi della presunta influenza di Selene sul mondo vegetale potrebbero seguitare. Una volta era di moda indicare nei calendari l'influenza della Luna sul tempo meteorico; oggi, con la rilevazione dei satelliti, non si crede più all'influsso lunare sul clima. Le persone interrogate circa gli influssi lunari portano esempi concreti, spiegano con dei perché e portano come prova esperienze personali. Nessuna delle persone che credono all'influsso della Luna prende in considerazione il ricorso al termometro, all'igrometro e al barometro. Eppure nel caso delle semine bisogna prima di tutto fare riferimento all'umidità del terreno, che favorisce la germinazione, e poi alla temperatura che stimola la germinazione stessa. Gli innesti devono essere compiuti esclusivamente quando le piante sono «in succo», periodo nel quale la cicatrizzazione dei tessuti avviene facilmente e i risultati sono sicuri. Il legname d'opera deve essere secco e quindi tagliato in stagioni fredde e deve essere lasciato in cataste ad asciugare per acquisire le caratteristiche tecnologiche ideali. Non deve essere lasciato all'umido al fine di evitare la deposizione delle uova del tarlo, le cui larve, in questo caso, risulteranno molto attive. Il vino deve essere travasato in condizioni di alta pressione per evitare il sollevamento della feccia nel vino nuovo. L'uomo primitivo non aveva calendari scritti e la Luna serviva come segnatempo per stabilire i periodi di caccia, di raccolta dei frutti, eccetera. Ciò è stato verificato su alcuni coltelli da caccia utilizzati da uomini primitivi: i coltelli riportavano sul manico d'osso la sequenza delle lune; durante e in coincidenza con alcune fasi, si trovano tacche utili per scegliere il periodo propizio per cacciare o per raccogliere i frutti. Silvana Maritano Augusto Marchesini Istituto sperimentale per la nutrizione delle piante, Torino


SCIENZE FISICHE. CRISTALLOGRAFIA Un fratello tecnologico del quarzo Come nascono materiali inesistenti in natura
Autore: DALL'AGLIO GIANNI

ARGOMENTI: CHIMICA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

GLI alchimisti dei secoli passati cercavano di trasformare i metalli vili in oro; era un progetto ambizioso, destinato a fallire. I chimici e i fisici moderni cercano invece di creare sostanze nuove, qualcosa che la natura da sola non riesce a produrre. Solo che ora non si parla più di alchimia ma di ricerca sui «materiali nuovi». Si fa questo tipo di ricerca per ottenere cristalli, leghe metalliche o composti organici che abbiano proprietà fisico-chimiche insolite o semplicemente migliori di quelle possedute dai materiali naturali. Un materiale nuovo con proprietà interessanti è l'ortofosfato di gallio GaPO4; non si trova in natura, e per farlo crescere bisogna partire da acido fosforico H3PO4 e idrossido di gallio GaO(OH) o da gallio metallico Ga e acido fosforico in ambiente di acido nitrico HNO3. Si è detto che questo materiale è il «fratello tecnologico» del quarzo SiO2; cristallograficamente gli è infatti molto simile: anch'esso cristallizza nel sistema trigonale, classe trapezoedrica (32), con la stessa struttura destrorsa o sinistrorsa del quarzo, sostituendo gli atomi di silicio alternativamente con gallio e fosforo; però, mentre nel quarzo esiste una transizione a 573oC per cui dall'alfa-SiO2, trigonale, si passa al beta-SiO2, esagonale, con proprietà fisiche un po' diverse, il GaPO4 non si modifica fino ai 930oC. Inoltre le sue proprietà fisiche e chimiche sono generalmente migliori di quelle del quarzo: oltre all'alta stabilità termica, resiste bene alle radiazioni, presenta un'elevata resistenza elettrica fino alle alte temperature e soprattutto ha un effetto piezoelettrico doppio rispetto al quarzo. Si dicono piezoelettrici i cristalli in grado di produrre deboli correnti elettriche sulla loro superficie quando vengono sottoposti a deformazioni meccaniche; vengono molto utilizzati nelle telecomunicazioni e come sensori di temperatura, di tensioni meccaniche, di usura nei rivestimenti di superficie. Uno dei numerosi settori interessati alla ricerca sui materiali nuovi è quello dei sensori che lavorano ad alte temperature: molte applicazioni industriali richiedono strumenti che operino tra i 400o e gli 800oC; in questo intervallo molte sostanze, semplici o composte, cambiano anche notevolmente le loro proprieté fisiche e chimiche. E' quindi particolarmente importante che gli apparecchi di misura che devono lavorare a queste temperature siano fatti di materiali termicamente molto stabili. E spesso il funzionamento di tali apparecchiature si basa sull'effetto piezoelettrico. Crescere monocristalli di fosfato di gallio privi di difetti (che ne degraderebbero le proprietà) è però assai difficile, cosicché questo materiale ha trovato finora impieghi limitati: serve solo come sensore di pressione in motori a combustione. Se però si trovasse un metodo semplice e poco costoso per ottenere cristalli di buona qualità, il fosfato di gallio potrebbe venire utilizzato anche per quegli usi elettronici ed elettromeccanici dove attualmente si impiega il quarzo: sensori di pressione, di forza, di temperatura, accelerometri, microbilance, sensori elettroacustici. Tra i progetti internazionali di ricerca finanziati ogni anno dalla Comunità Europea alcuni si propongono proprio di creare nuovi materiali o di migliorare la conoscenza e le proprietà di materiali artificiali ancora poco noti. Uno di questi progetti «fin de siecle» (1997-2000), riguarda il GaPO4. Si vuole sviluppare, in tre anni, la tecnologia necessaria per la crescita di monocristalli di GaPO4 di alta qualità. La crescita avverrà in condizioni definite «idrotermali», cioè in soluzione ad alta temperatura (circa 200oC). Non si pensi però all'acqua che si beve nelle terme: in questo caso si tratterà di una soluzione di acidi solforici e fosforici; di idrotermale, in fondo, c'è solo il nome. Questo progetto sarà guidato da un'industria austriaca che nella sua sede di Graz ha accumulato una pluriennale esperienza nella crescita di questo materiale, l'Avl; vi parteciperanno anche cristallografi e fisici dell'Università di Genova, insieme con ricercatori di altre università e industrie francesi e tedesche. Finora i cristalli di GaPO4 vengono fatti crescere in un autoclave dentro cui non è possibile compiere alcuna misurazione: occorre aspettare che la crescita termini, estrarre il cristallo e vedere com'è venuto, se ha impurezze, difetti, geminazioni. Il compito dei ricercatori italiani in questo progetto sarà quello di «inventare» un'apparecchiatura che permetta di osservare la crescita mentre avviene (in tempo reale), all'interno dell'autoclave. Si useranno probabilmente tecniche interferometriche, che hanno il vantaggio di non essere invasive, ovvero di non richiedere strumentazioni a contatto con la soluzione o con il cristallo; basta che il fluido possa essere attraversato da un raggio laser. Quindi occorrerà aprire una finestra nella parete dell'autoclave, dalla quale sarà possibile gettare un'occhiata su un ambiente molto simile alle Malebolge infernali della Commedia dantesca. Gianni Dall'Aglio Università di Genova


SCIENZE FISICHE La guerra dei tessuti Una corsa alle nuove microfibre
Autore: M_FR

ARGOMENTI: CHIMICA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: Lycra

INTORNO agli Anni 60 l'americano DuPont de Nemours si impose sul mercato con l'invenzione che lo rese miliardario: la Lycra, in cui le fibre elastiche dell'elastam si alternano a fibre rigide che consentono al tessuto di riprendere la sua forma originaria senza deformarsi. Resistente a cloro ed acidi, la lycra si è affermata soprattutto nella moda sportiva, ma con collant e biancheria intima ha conquistato anche il cuore delle donne. Il suo regno è durato circa 20 anni, e oggi per molte applicazioni è stata sostituita dalle stoffe tessute in microfibra, che consentono una migliore traspirazione della pelle e, soprattutto, sono molto più leggere. Basti pensare che 10 chilometri di microfibra pesano meno di un grammo, misura che arriva a un millesimo di grammo per le microfibre prodotte a partire dal poliestere. Questi sottilissimi fili sono estremamente versatili, perché è sufficiente variare la loro forma geometrica per dare al tessuto l'aspetto desiderato. Così, se agli abiti da sera si addicono le stoffe luminose ottenute con una microfibra a sezione trilobata, il tessuto opaco e morbido dei giubbotti primaverili viene confezionato a partire da un filo di forma cilindrica. Infine, per i capi più sofisticati, le microfibre a sezione quadrata donano alla stoffa l'aspetto della porcellana. In cellulosa o cotone, poliestere o poliamide, e le microfibre oggi hanno un impiego vastissimo nell'industria dell'abbigliamento, ma la ricerca non si ferma. Mentre c'è già chi pensa di rubare al baco da seta il segreto del suo pregiato prodotto, e di migliorarlo rendendolo più uniforme e sottile con tecniche di ingegneria genetica, con il filo della tela di ragno, resistente all'acqua e all'impatto degli insetti in volo, è già stato ordito un tessuto che un proiettile da 6,35 millimetri, sparato da 5 metri di distanza, non ha potuto trapassare. Nella guerra dei tessuti c'è persino chi ha trovato il modo di filare la ceramica e i cristalli, ottenendo una sorta di lana di vetro morbida e anallergica... per le pelli più sensibili.(m. fr.)


SCIENZE DELLA VITA. PELLICANI Buffi, instancabili viaggiatori e grandi mangiatori di pesce
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

A vederli camminare sul terreno, dondolando goffamente il corpo massiccio sorretto dai larghi piedi e dalle corte zampe, i pellicani sembrano proprio dei buffi clown che diano spettacolo. Ma non appena distendono le ali che nel Pellicano crespo (Pelecanus crispus), raggiungono i tre metri di apertura, ecco che si trasformano in superbi veleggiatori, padroni dello spazio, stupendi a vedersi, incolonnati in fila indiana oppure raggruppati in immensi, stormi. Volano a più di quaranta chilometri all'ora su lunghe distanze e, alla maniera delle aquile e degli avvoltoi, utilizzano le correnti ascendenti per salire in quota. Dall'alto avvistano i banchi di pesci di cui sono ghiotti e allora scendono volteggiando in direzione della preda. Tuffarsi non possono quando scendono dolcemente, perché il corpo, ricco di sacchi aerei, li fa galleggiare come sugheri. Ma basta che immergano sott'acqua il grosso becco lungo quasi mezzo metro per acchiappare infallibilmente un pesce. Di solito la pesca viene praticata in gruppo. I grandi uccelli si allineano in due file un po' distanti l'una dall'altra, che man mano si avvicinano come ballerini di quadriglie, costringendo i pesci in uno spazio sempre più angusto. Oppure si dispongono a semicerchio, procedendo dalle acque più fonde a quelle più basse. Avanzano verso la riva agitando con forza le ali per smuovere l'acqua. I banchi di pesce, si ritirano sempre più, fino a che si ritrovano in poche dita d'acqua dove non hanno più scampo. Fra le otto specie appartenenti al genere Pelecanus, l'unica che si comporta da pescatore solitario è il pellicano bruno del Nuovo Mondo (Pelecanus occidentalis), la sola specie spiccatamente marina. Il bellissimo uccello, più piccolo di quello comune, compie picchiate prodigiose, lanciandosi a capofitto nell'acqua da una ventina di metri d'altezza e scompare in un vortice di schiuma. Se altri compagni lo seguono, l'acqua sembra crivellata da una raffica di mitraglia. Di lì a poco i pelicani ricompaiono, ciascuno col suo pesce nel becco. Non lo mangiano subito. Riempiono il «carniere», quella grossa sacca di pelle che pende dalla mandibola, una sacca dilatabile che può contenere alcuni chili di pesce. Quando la misura è colma, l'uccello galleggia per un po' sull'acqua, poi, appena trova un angolino tranquillo, comprime la sacca col becco per rigurgitare il bottino e mangia. Ma se ha i piccoli da nutrire, non perde tempo. Appena fatto il pieno, vola difilato al nido. E qui rigurgita per loro parte del pesce, imbeccandoli, badando a nutrirli con le parti più tenere. Se invece sono più grandicelli, i pellicanini si servono da soli. Vanno a frugare loro stessi nel becco spalancato di papà e mammà per arraffare il più possibile. E, a furia di spingersi sempre più in profondità, quasi scompaiono nella bocca dei genitori, lasciando sporgere all'esterno solo le zampette che scalciano. Un pellicano adulto consuma giornalmente una quantità di pesce pari al venti per cento del suo peso, che va dai sette ai quattordici chili, secondo la specie e l'età. Per allevare un figlio, dal momento in cui nasce a quello in cui lascia il nido, dopo ll-l2 settimane, occorrono circa settanta chili di pesce. In genere la femmina depone due uova. Genitori straordinariamente premurosi, i pellicani si dividono i compiti della cova. Le riscaldano tenendole tra i grandi piedi palmati e, quando fa troppo caldo, le rinfrescano con vigorosi colpi d'ala oppure fanno loro ombra con il corpo. Quando una delle due uova incomincia a schiudersi, si sentono gli striduli pigolii del pulcino che sembra invocare aiuto. E la fuoriuscita dal guscio non è facile, visto che il piccoletto impiega anche alcuni giorni prima di riuscire nell'impresa. Poi finalmente viene al mondo. E' piccolo, bruttino, cieco e implume. Solo verso gli otto giorni di età si riveste di un piumino bianco o grigiastro. Il successo riproduttivo dei pellicani dipende dalle condizioni climatiche. Con una saggezza innata il pellicano bruno, ad esempio, si sposa e mette su famiglia soltanto quando le condizioni climatiche sono tali che gli promettono cibo in abbondanza per i nascituri. Nelle annate buone, quando nel mese di gennaio (è l'epoca riproduttiva) incominciano a soffiare forti venti che portano in superficie le acque fredde di profondità ricche di cibo, i maschi iniziano subito le parate amorose. Le penne del capo si fanno di un bel giallo brillante, quelle del collo diventano di un intenso rosso ruggine e gli uccelli fanno un sacco di moine e di giravolte per metterle in mostra. Sono il loro richiamo sessuale. Le femmine non si mostrano insensibili allo spettacolo, e immediatamente si formano le coppie. Ciascuna sceglie il ramo di un albero e lo considera proprio territorio. Se un intruso intende accampare diritti su quella zona, gli sposi lo accolgono col viso delle armi e si mettono a schioccare il becco con aria minacciosa, finché l'altro, non sloggia. Indole molto più vagabonda del Pellicano bruno americano ha l'eurasiatico Pellicano comune (Pelecanus onocrotalus), un vero gigante con la sua apertura d'ali di oltre due metri e mezzo. Splendido nel candore del piumaggio che si tinge di un pallido rosa dopo la muta. Solo le ali sono ampiamente marginate di nero. Il pellicano comune pesca nelle acque dolci, lungo i fiumi e i laghi, ma la sua diffusione si è molto ridotta, specialmente in Europa. Un secolo fa milioni di individui nidificavano sul Danubio. Oggi sono soltanto poche migliaia. Quando giunge l'inverno, i grandi uccelli bianchi migrano verso l'Africa, le coste del Mar Rosso e quelle del Golfo Persico. Capita ogni tanto che se ne avvisti qualcuno di passo nelle nostre regioni. Ma è un evento sempre più raro. Ormai l'Italia non è più una terra ospitale per i migratori, sensibilissimi a qualunque azione di disturbo. Al minimo segnale di presenza estranea o di sospetto pericolo, abbandonano nido e piccoli. Isabella Lattes Coifmann


SCIENZE DELLA VITA. NUOVI FARMACI Per ritrovare la memoria
Autore: BETTI LEDA

ARGOMENTI: CHIMICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: ROSE STEVE, EDWARDSON JIM
ORGANIZZAZIONI: CIBA FOUNDATION
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, LONDRA

NELLA Grecia antica gli studenti dell'Accademia si presentavano agli esami con il collo ornato da un ramo di rosmarino. Si pensava infatti che la pianta odorosa avesse la proprietà di fortificare la memoria. Questo rafforzamento rimane anche oggi un obiettivo della farmacologia e sul tema ha discusso di recente la comunità scientifica in una conferenza di due giorni svoltasi alla Ciba Foundation di Londra. Da un lato si pensa di poter intervenire sulla perdita delle capacità mnemoniche che caratterizza l'invecchiamento fisiologico o le condizioni di stress prolungato (tipico è il caso dello studente sotto esame); dall'altro si vuole intervenire sul fenomeno in quanto parte della sintomatologia di gravi malattie degenerative del sistema nervoso tra cui alcune demenze e il morbo di Alzheimer. Il primo aspetto è stato sollevato recentemente dalla diffusione, su scala industriale, delle cosiddette «smart drugs», cioè farmaci che migliorerebbero le prestazioni cognitive. Ma nonostante il successo di mercato, «la maggior parte di questi 150 o più composti non producono nemmeno lontanamente il risultato desiderato», dice Steve Rose, ricercatore nel dipartimento di Biologia alla Open University di Milton Keynes, in Gran Bretagna. D'altro canto Rose è ottimista sul futuro della ricerca: «Test clinici su un nuovo farmaco, la Tacrina, non hanno condotto a risultati di rilievo, tuttavia è in via di sperimentazione una seconda generazione di composti, simili alla Tacrina ma con minori effetti collaterali e di maggiore efficacia. Diamo praticamente per certo che nel giro di cinque anni saremo in grado di iniziare le prove cliniche di queste sostanze». La Tacrina appartiene a una delle classi di farmaci usati nel trattamento dei sintomi del morbo di Alzheimer. «Questo tipo di patologia è caratterizzato dalla carenza fin dalle prime fasi della malattia di uno dei mediatori chimici fondamentali del sistema nervoso centrale, l'acetilcolina», spiega Jim Edwardson, che lavora all'ospedale britannico di Newcastle. I mediatori chimici sono molecole che intervengono tra cellula e cellula come messaggeri dell'impulso nervoso. La mancanza anche parziale di questi composti interferisce con la trasmissione nervosa a livello cerebrale. «La prima classe di farmaci impiegati nella cura dell'Alzheimer è proprio quella a cui appartiene la Tacrina, di inibitori dell'acetilcolinesterasi, l'enzima che degrada l'acetilcolina. Oltre al fatto che si tratta di un prodotto, come è il caso di tutti gli altri usati nell'Alzheimer, che combatte i sintomi senza curare la malattia vera e propria, c'è da rilevare che è dannoso per il fegato». Un'altra è la classe di ormoni di tipo estrogeno, la cui efficacia sembra anche spiegare alcuni tratti dell'epidemiologia dell'Alzheimer. «Se ci chiediamo perché le donne si ammalino con maggior frequenza degli uomini, forse possiamo trovare una risposta nella carenza estrogenica a cui va incontro il soggetto femminile dopo la menopausa. Un altro elemento che può suffragare questa tesi è il fatto che le donne di estrazione medio-alta oltre ad ammalarsi con minor frequenza, sono anche quelle che più facilmente si sottopongono a terapia con estrogeni». C'è inoltre un certo sospetto, ma anche sottile curiosità, nei confronti di un tipo di sostanze chimiche dal nome strano, le Ampachine, su cui si stanno convogliando gli sforzi di alcuni gruppi di ricerca statunitensi. Dai laboratori dell'Università della California e del Mit arrivano notizie di come le Ampachine possano rappresentare il rimedio migliore nei casi di deficit della memoria. Le Ampachine agiscono legandosi a un recettore cellulare che normalmente interagisce con un altro messaggero, il glutammato. Un sottotipo del recettore diviene così specifico per le Ampachine, dando luogo a una serie di effetti che hanno come esito finale quello di aumentare la forza del segnale elettrico nel neurone. L'affidabilità di queste nuove sostanze è molto discussa: nessuno ne parla in termini denigratori, alcuni si esprimono con cautela, molti sono pronti a scommettere che saranno la chiave d'accesso a diversi problemi cognitivi. Tutti sono d'accordo sul fatto che tra pochi anni avremo ottimi farmaci, non importa di quale tipo, per la memoria. Un appunto che non va tralasciato tocca la questione etica. Vari interrogativi morali hanno fatto da sfondo alla conferenza: ad esempio se abbia senso agire sulla memoria dei pazienti nell'incapacità di risalire alle cause, o se non si debba riflettere sui rischi legati alla manipolazione dei centri della memoria. Alla questione dell'oblio non si può dare una risposta puramente farmacologica; il «dimenticare» ha spesso una sua coloritura emotiva e una propria ragione simbolica. Leda Betti


SCIENZE DELLA VITA. CAUSE E TERAPIE Il mistero del singhiozzo I più colpiti sono i bambini
Autore: LEONCINI ANTONELLA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: BROGI AMRIGO
LUOGHI: ITALIA

UN pacemaker è la più avanzata risposta della ricerca medica contro il singhiozzo, soprattutto, nei casi più gravi. Infatti, se l'atteggiamento prevalente è considerare il singhiozzo un fastidio momentaneo, questo disturbo può essere, invece, il sintomo di varie patologie, tanto che se ne può anche morire. Il singhiozzo può manifestarsi anche prima della nascita, durante la gravidanza; i bambini sono, inoltre, colpiti oltre tremila volte più degli adulti. Il singhiozzo è causato dalla contrazione spasmodica del diaframma, e dei muscoli della glottide, la parte superiore della laringe: l'interruzione dell'aria nei polmoni provoca il tipico sgradevole rumore. Può essere imputato a pasti frettolosi e bolo alimentare voluminoso, sovradistensione o irritazione gastrica per cibi abbondanti, gassati, liquidi gassati o alcol. Se generalmente scompare dopo pochi minuti, in alcune situazioni può proseguire delle ore. «Il singhiozzo può anche essere associato - spiega Amerigo Brogi, specialista in terapia del dolore al policlinico di Siena - a squilibri cronici dell'apparato digerente, come aerofagia, meteorismo intestinale, ernia iatale, gastrectasia, esofagite, pancreatite, occlusione intestinale; a scompensi toracici: pleuriti e polmoniti con irritazione diaframmica; può essere determinato da problemi del sistema nervoso centrale, addirittura da meningiti, encefalie, emorragie, neoplasie». Può essere provocato da intossicazioni endogene, da diabete o insufficienze renali in fase uremica; o da disturbi psicosomatici. Il singhiozzo è diventato oggetto di studio di una particolare disciplina, tanto che in Francia, sono nati centri specializzati: alla clinica della Salpetriere (tel. 00331/45.70.21.74) a Parigi. In alcuni casi, sono sufficienti degli accorgimenti: inspirare profondamente e poi trattenere il respiro, bere acqua fredda senza respirare, comprimere gli occhi con le dita, chiudere le orecchie o bere aceto e limone; si può anche mangiare una mollica di pane, un biscotto, del pane secco e forzare la lingua con la mano oppure il torace all'altezza del diaframma per stimolare lo starnuto o il vomito. Ma nelle situazioni più preoccupanti, è indispensabile la presenza del medico; fra le «terapie», respirare dentro un sacchetto, limitando i riflessi nervosi attraverso i bulbi oculari, il glomo carotideo o i punti frenici; oppure la compressione dei polpi radiali, con inspirazione profonda e brusco rilascio, che permette di aumentare concentrazione di CO2 nel sangue; fra le altre possibilità, la somministrazione orale di piccole quantità ripetute di un anestetico locale. Alcuni interventi implicano il ricorso alla chirurgia, come l'applicazione di un sondino nasogastrico per svuotare lo stomaco, o ricorrendo, con uno stimolatore elettrico, per indirizzare l'ago, al blocco anestetico del nervo frenico, che innerva il diaframma. Infine, nei casi ostinati, un pacemaker diaframmatico esterno, che agisce interferendo con le contrazioni del muscolo. Antonella Leoncini


SCIENZE DELLA VITA. GENETICA Dal Dna una conferma: Eva era africana L'evoluzione umana secondo l'antropologo molecolare Wilson
Autore: ROBINO CARLO

ARGOMENTI: GENETICA, ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
NOMI: WILSON ALLAN
ORGANIZZAZIONI: NATURE
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Confronto fra il cranio dell'uomo di Neandertal e quello dell'uomo attuale

IMMAGINATE, rincasando, di trovare nella buca delle lettere uno strano telegramma: «Parente esotico et dimenticato lasciatavi favolosa eredità». Qualcosa di simile accadde, proprio dieci anni fa, ai lettori della prestigiosa rivista Nature. In questo caso, il telegramma aveva l'aspetto di un lavoro scientifico a firma dell'antropologo molecolare Allan Wilson. L'eredità annunciata non era di natura economica, bensì genetica e il suo beneficiario non un singolo individuo, ma l'intera umanità: tutti noi, si diceva in quello studio, discenderemmo da una comune antenata africana vissuta circa 200.000 anni fa. Wilson era giunto a formulare la sua ipotesi, ribattezzata «dell'Eva africana», studiando il Dna contenuto nei mitocondri, gli organelli citoplasmatici che trasformano l'ossigeno in energia utile alle funzioni cellulari. Il Dna mitocondriale (mtDna) vanta alcune curiose proprietà: a differenza del Dna nucleare, che ogni individuo eredita in proporzioni uguali da entrambi i genitori, esso viene trasmesso ai figli esclusivamente dalla madre; in più, la sequenza con cui le quattro unità fondamentali del Dna - i nucleotidi adenina, timina, citosina e guanina - si alternano a formare la sua catena è diversa da persona a persona, come una sorta di impronta digitale genetica condivisa solo da chi è imparentato per via materna. Come si concilia, dunque, l'idea di una singola progenitrice con l'enorme numero di sequenze mitocondriali oggi osservabile? Bisogna tener conto del fenomeno della mutazione, ossia dell'eventualità che nella sintesi del mtDna materno incorrano minuscoli errori, come la sostituzione di un nucleotide con un altro, che vengono poi ereditati dai figli. L'accumularsi di tali errori nel corso di centinaia di migliaia di anni d'evoluzione umana ha fatto sì che da un unico mtDna originario, si sia giunti all'attuale variabilità, o per dirla con i genetisti, «polimorfismo», mitocondriale. L'Eva di Wilson è la donna portatrice di questo mtDna ancestrale e non ha nulla a che vedere con la figura descritta nella Bibbia. Per ricostruire la storia di Eva, resa intricata dalla mutazione, Wilson raccolse e analizzò 147 campioni di mtDna provenienti da Africa, Asia, Europa ed Oceania. In nessun continente le sequenze mitocondriali studiate, se confrontate tra loro, presentavano tante differenze quanto in Africa. Questo spiccato polimorfismo suggeriva che gli africani avevano avuto a disposizione un tempo evolutivo più lungo per differenziarsi e dunque costituivano la più antica popolazione della Terra. Wilson creò anche un albero genealogico delle 147 sequenze in esame. Nell'albero ciascun mtDna era raffigurato come un ramo, i singoli rami confluivano progressivamente attraverso «nodi», ognuno dei quali rappresentava una mutazione, sino ad una radice comune corrispondente all'ipotetica progenitrice mitocondriale. Con l'aiuto del computer furono generati migliaia di alberi e tra questi fu selezionato il più parsimonioso, ovvero quello che richiedeva il minor numero di nodi per collegare la radice ai mtDna moderni. La posizione e la profondità della radice fornivano informazioni sul luogo e sull'epoca d'origine di Eva. Poiché essa separava un ramo contenente soltanto alcune sequenze africane da un altro che conduceva a tutti i restanti mtDna, Wilson concluse che Eva doveva essere vissuta in Africa, attorno ai duecentomila anni fa, e che dall'Africa, in epoca successiva, i suoi discendenti si erano mossi a popolare il mondo. Questa interpretazione genetica degli albori dell'umanità scatenò un'inevitabile ondata di polemiche. Accolta con favore da numerosi paleoantropologi che, sulla base dei reperti fossili lasciati dai nostri antenati, avevano già delineato uno scenario preistorico simile, essa fu altrettanto duramente osteggiata. Wilson venne criticato per le tecniche di laboratorio utilizzate, la scelta dei campioni da analizzare, i criteri su cui si fondavano la costruzione dell'albero e la collocazione della radice. Oggi sempre nuovi dati genetici e fossili indicano nell'Africa la culla dell'Homo sapiens moderno e in oltre centomila anni fa l'epoca della sua comparsa. L'ipotesi di una comune antenata africana, pur riveduta e corretta in certi suoi aspetti, ha dunque trovato conferma e con essa l'idea rivoluzionaria di cercare nel Dna le tracce del nostro passato evolutivo. A quanto pare, non solo Eva è in ottima salute, ma anche in buona compagnia: recenti studi del polimorfismo del cromosoma Y, il cromosoma sessuale maschile, suggeriscono che il progenitore di tutti noi (maschietti), chiamiamolo Adamo, sia vissuto circa duecentomila anni fa. Una data ricorrente, che visti i protagonisti si sarebbe tentati di ribattezzare «Il tempo delle mele...». Carlo Robino


SCIENZE A SCUOLA. MOSTRA A ROMA Fisica nucleare a Quark 2000
Autore: M_CA

ARGOMENTI: FISICA, DIDATTICA, MOSTRE
ORGANIZZAZIONI: INFN
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
NOTE: «Quark 2000»

IL grande pallone trasparente di «Borexino» accoglie i visitatori nella sala centrale. Enormi pannelli neri con le tracce delle particelle elementari tappezzano i muri. Grandi strumenti con cui è possibile interagire, grappoli di computer collegati in rete locale e a Internet consentono di visitare i siti Web dei principali laboratori di ricerca. Stiamo parlando della mostra «Quark 2000» che al Palazzo delle Esposizioni a Roma, mostra gli esperimenti, le scoperte e le applicazioni tecnologiche della fisica nucleare e subnucleare. L'Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare), che insieme al Comune di Roma ha organizzato la manifestazione, non ha risparmiato per avvicinare il grande pubblico a un campo troppo spesso oggetto di una divulgazione superficiale, che induce la gente a considerarlo affascinante ma incomprensibile. Stavolta invece strumenti, apparecchiature e computer, trasportati dai centri di ricerca o costruiti ex novo per l'occasione, descritti nel dettaglio, ipertesti e sussidi multimediali, possono essere avvicinati e studiati con calma, sotto la guida di studenti e laureati in fisica. Molti sono in funzione in tempo reale, dalla camera di Wilson che rileva l'arrivo dei raggi cosmici fino allo spettrometro che analizza la composizione chimica di leghe e pigmenti. Viene dato spazio anche alla realtà virtuale, di cui viene spiegata l'applicazione nella progettazione dell'acceleratore Lhc del Cern. L'ultima sala è dedicata alle applicazioni tecnologiche in settori apparentemente distanti dalla fisica fondamentale come la medicina (diagnosi precoce di tumori con tecniche scintigrafiche), la storia dell'arte (datazione non distruttiva di campioni, valutazione di opere d'arte) o il monitoraggio ambientale. «Quark 2000» è aperta fino al 9 giugno, tutti i giorni dalle 10 alle 21 tranne il martedì. Visite guidate venerdì, sabato e domenica, talvolta dedicate ai bambini. Per informazioni: tel. 06/474.59.03. In margine è stata organizzata una serie di incontri con scienziati, giornalisti e politici. Per informazioni: tel. 06-855.47.48. Un sito Web dedicato alla mostra si trova all'indirizzo http://wwwdb.Inf.infn. it/Q2000/ingresso.html. Presso l'esposizione è in vendita il volume «Quark 2000», che raccoglie gli interventi di scienziati italiani sui risultati ottenuti dalla ricerca in fisica fondamentale. (m. ca. )


SCIENZE A SCUOLA Strafalcioni...
Autore: CAGNOTTI MARCO

ARGOMENTI: FISICA, DIDATTICA, MOSTRE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA
NOTE: «Quark 2000»

ALCUNI mesi fa, durante un talk show televisivo a tarda ora, un famoso romanziere, noto per la sua simpatia e il suo interesse nei confronti dell'esoterismo e dei fenomeni paranormali, disse che «la scienza ha dimostrato che nell'Universo esistono miliardi di particelle che viaggiano a velocità superiore a quella della luce». La frase fu seguita dagli applausi del pubblico, colpito da tanta cultura ed erudizione. Il nostro è uno strano Paese, nel quale confessare di non sapere chi fosse Alessandro Manzoni porta alla inevitabile (e giusta) accusa di ignoranza, ma dire le peggiori stupidaggini sulla scienza non comporta neppure un rimprovero da parte dell'intervistatore di turno. Mentre molti continuano ad avere le idee confuse e a dare credito all'irrazionalismo più becero, la ricerca scientifica va avanti. E va lontano. Così il divario fra la cultura generale della gente e lo stato delle conoscenze scientifiche continua ad allargarsi. Si crea un'elite che ha assimilato i temi e i metodi della scienza, e una grande maggioranza priva degli strumenti concettuali per comprenderne le scoperte. Conseguenza di ciò, oltre alla diffusione di superstizioni e atteggiamenti antiscientifici, è l'esclusione di molti cittadini dalla possibilità di giudicare e decidere con cognizione di causa su temi attuali e di forte impatto sociale, dall'energia nucleare alle biotecnologie. Scopo della divulgazione scientifica non è pertanto solo quello di rispondere a una domanda crescente di cultura scientifica di pochi, ma anche riavvicinare alla scienza larghi strati della popolazione. «Quark 2000» è stata allestita con questo spirito, e non ambisce a essere esaustiva nè a rispondere a tutte le possibili domande che possano sorgere al visitatore. Gli organizzatori hanno voluto fornire stimoli e spunti per approfondimenti successivi lungo percorsi individuali. E, soprattutto, hanno inteso mostrare alla gente che la scienza non è appannaggio di una casta gelosa dei propri segreti, ma è un insieme di conoscenze che può diventare patrimonio di tutti perché, almeno a grandi linee, è comprensibile a tutti. Cosicché in futuro, di fronte all'ignoranza scientifica dello scrittore di moda, la gente riconosca errori e strafalcioni. E, invece di applaudirlo, lo fischi. Marco Cagnotti


SCIENZE A SCUOLA. EXPLORATORIUM Dalle bolle di sapone al motore elettrico
Autore: PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, PRESENTAZIONE, LIBRI
NOMI: RATHJEN DON, DOHERTY PAUL
ORGANIZZAZIONI: ZANICHELLI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come costruire in casa un motorino elettrico
NOTE: «Gli esperimenti dell'Exploratorium»

PER fare bolle di sapone più grandi e più belle è sufficiente aggiungere un cucchiaino di glicerina all'acqua saponata. Per amplificare un suono di debole intensità basta interporre un palloncino pieno di anidride carbonica gassosa fra il nostro orecchio e la sorgente sonora. Il calore di una stufetta elettrica può essere concentrato in un punto usando uno specchio concavo. Questi sono alcuni dei suggerimenti che si possono trovare nel libro, pubblicato in questi giorni da Zanichelli, «Gli esperimenti dell'Exploratorium» di Paul Doherty e Don Rathjen (254 pagine, 29. 500 lire). Sono un centinaio di esperimenti scientifici, nati dall'esperienza diretta di un gruppo di insegnanti e raccolti dalla commissione didattica del celebre Museo della Scienza di San Francisco. E' un libro prezioso perché può permettere una facile verifica sperimentale di un discorso scientifico che la nostra scuola lascia sovente a un livello puramente teorico, con grave danno degli allievi. Le schede di presentazione, chiare e molto semplici, forniscono tutti gli elemeni utili per montare ogni esperienza e per capire come «funzioni», attraverso una sintetica spiegazione teorica. E' un libro, come sottolineano gli autori, che può essere utilizzato a tutti i livelli scolastici, «dall'asilo infantile alle superiori», ovviamente con approfondimenti diversi. La scelta degli esperimenti vuole mettere in evidenza anche gli aspetti estetici della scienza. Si veda, ad esempio, come si può arrivare alla scoperta dell'infinito partendo dall'osservazione di due specchi posti l'uno di fronte all'altro oppure si osservi il «mosaico colorato di riflessioni» creato da una scatola piena di palline dell'albero di Natale, ognuna delle quali riflette un'immagine diversa dell'ambiente circostante. Gli esperimenti possono essere realizzati direttamente dagli studenti, con materiali facilmente reperibili in cartoleria, in negozi di ferramenta o di materiale elettrico. Alcuni però richiedono strumenti particolari, disponibili comunque nella maggior parte delle scuole, come filtri polarizzatori, specchi concavi, voltmetri o pompe per il vuoto. Il libro riporta in appendice una serie di indicazioni sul modo di procurarsi i materiali necessari per gli esperimenti e un elenco di libri, riviste e centri specializzati nella didattica della scienza, con alcuni indirizzi Internet, il primo dei quali, assolutamente da visitare per la ricchezza dei materiali disponibili, è quello dell'Exploratorium, di cui abbiamo già parlato (TuttoScienze, 26 giugno 1996): http://www.exploratorium.edu/ Federico Peiretti


SCIENZE A SCUOLA. A LINZ IN AUSTRIA Multimedia e cyberspazio Il museo del futuro «dove non si posa mai la polvere»
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: DIDATTICA, ELETTRONICA
ORGANIZZAZIONI: ARS ELECTRONICA CENTER
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, AUSTRIA, LINZ

DUEMILA metri quadrati di futuro: li ospita l'Ars Electronica Center di Linz, in Austria, il grande «museo del domani», crocevia di arte, scienza e nuove tecnologie. Inaugurato l'anno scorso in coincidenza con l'apertura dell'Ars Electronica Festival (l'annuale rassegna di cui è il logico sviluppo), il centro di Linz ideato da Hannes Leopoldseder si propone come punto di incontro tra le arti, l'industria, il mondo universitario e la società. Ma l'Ars Electronica Center è anche un museo particolare, «in progress», dove non si posa mai la polvere. Le sue attrazioni vengono sempre aggiornate, ospitando via via le ultime novità di realtà virtuale, multimedia e cyberspazio. Un posto dove è possibile provare oggi la tecnologia di domani, toccandola con mano, all'insegna della totale interattività. I quattro passi nel futuro cominciano all'ingresso, con la consegna di una «chipcard», una carta a microprocessore che accompagna il visitatore lungo tutto il percorso del museo, seguendone i progressi. Nel piano superiore si entra subito nel mondo della realtà virtuale, con un classico simulatore di volo e un Cave, il primo installato in Europa. Cave è un acronimo che sta per «Cave Automatic Virtual Environment» ma che significa anche caverna, alludendo al mito della caverna raccontato nella «Repubblica» di Platone. Visto dall'esterno, sembra solo un grosso cubo di un paio di metri di lato. All'interno, si ha la perfetta illusione di trovarsi in un altro mondo. Le tre pareti del cubo e il pavimento sono giganteschi schermi collegati a supercomputer che ricreano l'ambiente grafico: enormi strutture molecolari, frattali, città aliene. Negli Stati Uniti, il Cave viene usato da medici (per visualizzare modelli tridimensionali del cervello ottenuti con la risonanza magnetica), matematici e meteorologi. A differenza di altri sistemi di realtà virtuale (come il classico elmetto), ci si può muovere fisicamente nel cubo per esplorare l'ambiente sintetico, senza perdere il contatto con la realtà e, prima di tutto, con il corpo. Cyber City, al piano superiore, offre un panorama completo degli strumenti di realtà virtuale disponibili per progetti architettonici e urbanistici. Ovviamente, tutti da provare: il visitatore può modificare la città di Linz, seguendone la storia e gli sviluppi. Può aggiungere una superstrada qui e un parco là, per vedere come si vivrebbe meglio. Al secondo piano si passa alla multimedialità con Knowledge Net, una sorta di aula elettronica (accessibile anche alle scuole), dotata di strutture per telelavoro, insegnamento a distanza e conferenze multimedia. L'ultimo dei livelli del centro è Sky - Media Loft, un «media cafè» con una splendida vista (questa volta vera) su Linz, al di là del Danubio. E' questo il cuore degli incontri del centro: può ospitare installazioni ed eventi serali, presentazioni e conferenze. All'informale Sky si aggiungono le 75 postazioni hi-tech (tutte connesse in rete) dell'aula dei seminari. Il centro è aperto dal mercoledì al sabato dalle 11 alle 19. Informazioni, sito Internet: http://www.aec.at, oppure telefonare allo 0043- 732-715200. Il biglietto per entrare nel futuro (e provarlo) costa 80 scellini, meno di 12 mila lire. Giovanni Valerio


SCIENZE A SCUOLA. LA PIASTRINA ANTI TACCHEGGIO Un microprocessore contro i furti Se non è disattivata alla cassa scatta l'allarme
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Funzionamento della targhetta anti-furto

E' molto comune vedere, applicata agli indumenti in vendita nei grandi magazzini, una targhetta di plastica bianca. Essa fa parte del sistema antifurto del negozio. In effetti non è un semplice pezzo di plastica ma un allarme elettronico che lancia un acuto fischio a 75 decibel se qualcuno tenta di romperla o di rimuoverla con la forza. Il fischio è avvertito da un apparecchio chiamato con una sigla inglese ATD (acoustic tone detector) sintonizzato sulla specifica frequenza della targhetta, ed amplificato in modo che chiunque nel negozio lo possa sentire. Se qualcuno tenta di portare un indumento provvisto di targhetta fuori dal negozio scatta un altro allarme. Nei pressi dell'uscita è infatti situata un'antenna radio collegata a una trasmittente a bassa potenza; l'antenna, in genere nascosta, trasmette segnali a una specifica frequenza (superiore alla banda delle onde lunghe della radio), in maniera da creare un'areà protettà tutto intorno all'uscita. Se una targhetta entra nell'area protetta il suo microprocessore capta le onde radio dell'antenna e risponde con un segnale analogo. Questo a sua volta fa scattare l'allarme principale e nello stesso momento mette in funzione l'allarme interno della piastrina che, in questo modo, segnala il ladro in maniera inequivocabile. Le targhette anti-taccheggio sono disattivate alle casse, anch'esse circondate da un'area di sorveglianza; qui, dove il capo provvisto di targhetta deve essere pagato e impacchettato, un'apposita macchina emette un discreto avvertimento sonoro e una luce lampeggiante per ricordare alla commessa di rimuovere la targhetta dopo il pagamento. Se la commessa, nonostante l'avvertimento, dimentica di farlo la targhetta stessa emette una serie di segnali sonori al momento in cui il cliente con il capo si allontana dalla cassa. In tal modo può essere richiamato indietro e la targhetta viene tolta. La targhetta, che riceve l'energia da una piccola batteria, viene passata sotto un interruttore sensibile al movimento: se non c'è movimento la targhetta viene disattivata. 1. La targhetta anti-furto posta sui capi di abbigliamento nei negozi si attiva quando il vestito viene portato via senza pagarlo; essa fa funzionare un allarme che suona fino a quando la targhetta non viene rimossa alla cassa. 2. Microprocessore. E' il cervello della targhetta; riceve, interpreta e invia informazioni 3. Interruttore dell'allarme. Attiva la targhetta quando questa viene mossa 4. Allarme. Emette un segnale sonoro a 72-75 decibell 5. Batteria alcalina. Fornisce l'energia alla targhetta 6. Gli impulsi acustici della targhetta sono captati dall'ATD (acoustic tone detector) che li amplifica 7. Onde sonore 8. Una volta che l'ATD ha captato i segnali audio della targhetta entra in funzione l'allarme fino a quando il segnale della targhetta non cessa oppure questa non esce dal suo raggio d'azione 9. Merce dotata di targhetta anti-furto 10. Taccheggiatore 11. ATD. Ritrasmette l'allarme 11 BIS. Se la targhetta viene rotta o strappata scatta l'allarme 12. La targhetta non disattivata entra nel campo di sorveglianza all'uscita: scatta l'allarme sia della targhetta sia dell'ATD 13. Per disattivare le targhette anti-furto le commesse sono dotate di uno strumento speciale sensibile al movimento 14. Quando la targhetta entra nel campo sorvegliato della cassa scatta l'avvertimento sonoro che ricorda alla commessa di staccarla 15. Cassa 16. L'antenna radio ricevente-trasmittente crea un campo protetto vicino all'uscita 17. Pagamento regolare: nessun allarme 18. Uscita




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