TUTTOSCIENZE 25 giugno 97


SCIENZE DELLA VITA. COLLOQUIO CON THOMAS STARZL Salvate centinaia di vite umane
AUTORE: FRONTE MARGHERITA
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
PERSONE: STARZL THOMAS
NOMI: STARZL THOMAS
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO DEI TRAPIANTI DI PITTSBURGH
LUOGHI: ITALIA
NOTE: IL FUTURO DEGLI XENOTRAPIANTI TEMA: IL FUTURO DEGLI XENOTRAPIANTI

PIONIERE dei trapianti di fegato e uno dei primi a tentare, nel 1964, uno xenotrapianto da scimmia a uomo, il chirurgo Thomas Starzl ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo delle tecniche per il trapianto di organi. Dal 1990 dirige l'istituto dei trapianti di Pittsburgh che porta il suo nome. Nel 1992 fu a capo del gruppo di medici, fra cui alcuni italiani, che trapiantarono il fegato di un babbuino in un uomo. L'operazione riuscì, ma la pesante terapia immunosoppressiva espose il paziente a una serie di infezioni che lo stroncarono a settanta giorni dall'intervento. Per i meriti scientifici conseguiti nella sua lunga carriera, e per aver salvato attraverso i trapianti di fegato centinaia di vite, a Thomas Starzl è stato conferito lo scorso 27 maggio a Milano, il premio Chirone dell'Accademia Nazionale di Medicina. Professor Starzl, nel 1967 lei portò a termine con successo il primo trapianto di fegato. Negli anni precedenti aveva tentato altre volte, ma le operazioni erano fallite. Cosa era cambiato in quel periodo? «Quando iniziammo, nessuno pensava che avremmo mai avuto successo. Ci ritenevano dei pazzi, ed effettivamente non c'era nessun ragionevole motivo per prevedere il cambiamento che si è verificato grazie allo sviluppo delle tecniche di trapianto. I primi tentativi fallirono, ma ci rendemmo subito conto che le cose da migliorare erano sostanzialmente tre. Per prima cosa dovevamo mettere a punto un'efficace terapia immunosoppressiva, perché non eravamo in grado di controllare la reazione di rigetto. Lavorammo molto su questo punto e sviluppammo un farmaco in grado di bloccare la reazione del sistema immunitario. Infine in quel periodo portammo a termine degli studi che ci permisero di verificare fino a che punto la compatibilità fra donatore e ricevente fosse importante. Non potevamo fare di più». E fu sufficiente? «Sì, nel 1966 iniziammo a trattare i primi pazienti con i nuovi farmaci, e ottenemmo il primo successo all'inizio di luglio del 1967. Gli anni precedenti erano stati fondamentali, e le lezioni che avevamo appreso furono applicate in tutti i tipi di trapianti. Barnard che sei mesi dopo avrebbe tentato il primo trapianto di cuore, venne in visita da noi a imparare la tecnica di immunosoppressione, e fornimmo il farmaco a molti altri». E' come se aveste dato il via. «Esattamente. Quando rompemmo la barriera, che era anche psicologica, con il primo trapianto di fegato nel 1967, i trapianti di altri organi seguirono uno dopo l'altro. Cuore, polmomi, pancreas. Diversi chirurghi, con vicende alterne e utilizzando le tecniche sviluppate nel nostro laboratorio, tentarono gli interventi. E ogni lezione appresa da un gruppo trasformava e migliorava le procedure degli altri». Le prime esperienze sull'uomo sono state determinanti per lo sviluppo della tecnica? «Portammo a termine ogni operazione con il massimo rispetto verso il paziente. Fin dai primi tentativi. Prima di allora era stato tentato solo il trapianto di rene, che tecnicamente era il più semplice. Ci rendevamo conto della difficoltà dell'intervento, avevo compiuto l'operazione centinaia di volte su animali prima di tentare sull'uomo nel 1963. Mi ero esercitato su quell'intervento per più di cinque anni. Sapevo che era difficile». In quel periodo lei tentò anche il primo trapianto da scimmia a uomo. Perché, viste le difficoltà, scelse uno xenotrapianto? «Il motivo è che non c'erano donatori. Non avevamo scelta. In quegli anni era molto difficile ottenere gli organi da trapiantare perché, anche se c'era il permesso del prelievo, riuscivamo ad avere al massimo due o tre donatori all'anno. Inoltre c'erano pochissimi centri per la dialisi. Immagini una stanza con sei letti e decine di migliaia di pazienti che aspettano. Il solo modo per uscire da questa situazione era trovare un donatore». Pensa che la mancanza di organi oggi possa essere sopperita solo col ricorso allo xenotrapianto? «Sì, se funzionasse. Il problema non è diverso da come si presentava nel 1963. Inoltre la situazione degli xenotrapianti oggi è vista esattamente come i trapianti da uomo a uomo erano considerati all'inizio degli Anni Sessanta, quando eravamo davvero in pochi a crederci. Per far fronte alla carenza di organi ci sono solo due possibilità: sviluppare dispositivi artificiali o ricorrere ad animali. La prima ipotesi però è molto difficile da realizzare, vista la complessità di certi organi come il fegato. Gli xenotrapianti devono poter fornire un organo in maniera definitiva, e non solo in attesa di un donatore umano. A cosa serve trapiantare un organo solo per dieci giorni?» Lo xenotrapianto funzionerà? «Ci sono ancora molti aspetti da studiare. Lo sviluppo di animali transgenici e le tecniche che consentono di indurre la tolleranza verso il trapianto attraverso il chimerismo possono determinare una svolta da un momento all'altro. Io sono estremamente fiducioso. Riusciremo a eliminare le due fasi della reazione di rigetto e a ottenere l'indipendenza dai farmaci immunosoppressori». Ma ci sono altri problemi, come la trasmissione dall'animale all'uomo di virus e altre infezioni. «No. Queste voci derivano dai gruppi degli animalisti, che combattono per la difesa dei diritti degli animali con argomenti che fanno presa sull'opinione pubblica. La maggioranza delle persone non sta nè con i medici nè con gli animalisti, ma è nel mezzo, e ascolta le voci che fanno più rumore. Chi si batte per la difesa degli animali usa questo tipo di argomenti per rafforzare le sue posizioni. In realtà le moderne analisi e le tecniche di biologia molecolare consentono di controllare se l'organo è portatore di agenti infettivi. Non dico che il rischio sia da escludere, ma è estremamente ridotto». Quanto tempo ci vorrà perché lo xenotrapianto entri nella pratica chirurgica? «Non si può dire. Nonostante i passi avanti che sono stati compiuti il problema del rigetto non è ancora risolto. Le scoperte nella scienza possono arrivare all'improvviso e cambiare tutto. Nel 1963 capitò proprio così; e quando ci rendemmo conto della necessità di una terapia immunosoppressiva fu come ricomporre un puzzle. Ma la cosa preoccupante della scienza nel 1997 è la mole di informazioni disponibili. Nel 1962 bastava chiudersi in biblioteca per tre giorni e venire a conoscenza di tutto ciò che il mondo sapeva sui trapianti. Oggi non c'è nessuno che abbia una visione così ampia del suo campo di studi. Inoltre la maggioranza dei ricercatori, per pubblicare il maggior numero di lavori possibile, si concentra su un particolare del problema che sta analizzando, e perde la visione globale. Penso che chi sceglie di andare in una direzione diversa non lo fa per ambizione personale, ma per motivazioni più profonde». Margherita Fronte


SCIENZE DELLA VITA. TRA UN ANNO? In arrivo il fegato artificiale
AUTORE: COHEN ESTER
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: CANINO VITTORIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: IL FUTURO DEGLI XENOTRAPIANTI TEMA: IL FUTURO DEGLI XENOTRAPIANTI

ALLA cronica carenza di organi per il trapianto la ricerca tenta da qualche anno di rispondere con organi artificiali, veri e propri gioielli tecnologici che permettono ai malati di vivere il tempo necessario a trovare un donatore. Per il rene e il cuore, organi «di passaggio» esistono già. Per il fegato le cose sono più complicate perché questo svolge molte sofisticate funzioni, dall'eliminazione delle tossine alla produzione di sostanze indispensabili alla vita, come zuccheri, grassi, proteine e ormoni. Finora sono stati realizzati due tipi di fegato artificiale, entrambi - è bene sottolinearlo - ancora sperimentali. Il primo, studiato soprattutto per curare i pazienti che non riescono a smaltire le sostanze tossiche, è una sorta di dialisi che si effettua facendo passare il sangue attraverso filtri di carbonio attivo. Il secondo è invece detto «fegato bioartificiale» in quanto è composto da una parte viva, una colonia di qualche miliardo di cellule epatiche che lavora di concerto con una parte sintetica, la membrana di emodialisi. Questo insieme, bioartificiale appunto, è in grado di svolgere, almeno per un periodo di transizione, le funzioni di un fegato normale. Per costruire uno di questi «organi» bisogna innanzitutto isolare gli epatociti, ovvero cellule epatiche, estraendoli da alcuni tipi di tumori del fegato oppure da animali come il maiale. In questo caso però gli epatociti vengono prima modificati geneticamente per renderli compatibili con il sistema immunitario dell'uomo. Si fa agire poi un enzima, la collagenasi, che corrode e allontana il tessuto di sostegno che normalmente si trova intorno agli epatociti. Resi in questo modo «puri», gli epatociti vengono quindi messi in coltura su un apposito substrato, pronti a lavorare con la membrana, che è fatta di cellulosa o di materiale poliacrilico e possiede una caratteristica fondamentale: è semipermeabile. Da un lato, cioè, permette l'ingresso e lo scambio di sostanze utili al funzionamento del fegato, dall'altro impedisce che entrino in circolo gli anticorpi che l'organismo produce e che sono causa del sempre temuto rigetto. Il fegato bioartificiale, insomma, riesce a eludere la sorveglianza dell'organismo che serve proprio perché opera in uno stato di «isolamento immunitario». Un tipo di fegato artificiale interno, peritoneale, è stato finora impiantato solo negli animali mentre i diversi modelli esterni sono già in fase di sperimentazione anche sull'uomo. Sono soltanto sette in tutto il mondo i centri autorizzati dall'Organizzazione mondiale della sanità a praticare la sperimentazione del fegato artificiale. Da oltre due anni un'equipe di chirurghi torinesi e francesi, coordinati da Vittorio Canino, porta avanti le ricerche in questo campo. E più o meno tra un anno un fegato artificiale sarà disponibile, terzo in Europa e unico in Italia, all'ospedale Molinette di Torino. Ester Cohen


SCIENZE DELLA VITA. DAI LABORATORI DI CAMBRIDGE IL FUTURO DEGLI XENOTRAPIANTI «Fra quanto tempo dottor White?» Il maiale fornirà la maggior parte degli organi da trapiantare
AUTORE: M_FR
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: WHITE DAVID, STARLZ THOMAS
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. Trapianto di fegato (condizioni del paziente al 3o mese e al 12o mese dopo il trapianto); G. Sopravvivenza dei pazienti trapiantati di cuore e fegato dal 1991 al 1996; G. Trapianto di fegato (numero di ingressi in lista di attesa e trapianti); C. Donatori utilizzati per milione di abitanti nelle regioni nel 1996
NOTE: IL FUTURO DEGLI XENOTRAPIANTI TEMA: IL FUTURO DEGLI XENOTRAPIANTI

I numeri parlano chiaro. Ogni anno la richiesta di organi supera l'offerta del 15 per cento, e le liste di attesa per i trapianti concedono pochissime speranze a chi ha bisogno di un organo nuovo in tempi brevi. Si potrebbe investire nella ricerca medica finalizzando gli sforzi, per evitare che si arrivi al punto di aver bisogno di un trapianto; oppure incentivare e migliorare il sistema della donazione di organi umani. Ma la strada degli xenotrapianti, oggi, sembra più promettente e soprattutto in breve, visti i finanziamenti stanziati dalle case farmaceutiche. Le tre grandi religioni dell'Occidente non si oppongono, purché l'animale che «dona» l'organo non soffra, e sul piano etico le uniche lamentele arrivano dai gruppi animalisti, che però hanno poca voce in capitolo perché solitamente nascondono bene le loro ragioni (poche, ma non irrilevanti) con atteggiamenti antiscientifici. «Fra quanto tempo, dottor White?». E' la domanda che ha dominato un convegno sull'argomento tenutosi recentemente alla Sissa di Trieste. «Non molto, pochi anni. Forse due», risponde David White, il medico-ingegnere impegnato nella ricerca sugli xenotrapianti nei laboratori della Imutran Ltd. di Cambridge. Ottimista, e non potrebbe non esserlo annunciando i risultati ottenuti dal suo gruppo e decretando che sarà il maiale, già ampiamente sfruttato dall'uomo per i più diversi usi, a donarci reni, fegato, cuore e tutto ciò di cui dispone, eccetto forse le setole. Il maiale; perché ha organi che assomigliano ai nostri per dimensioni e caratteristiche fisiologiche, perché è facile da allevare, e perché a Cambridge hanno trovato il modo di renderlo compatibile con il nostro sistema immunitario, che di accogliere un organo proveniente da una specie diversa non vuole proprio saperne. La difficoltà maggiore per gli xenotrapianti consiste infatti nel superare le due fasi della reazione di rigetto. La prima si verifica immediatamente; subito dopo il trapianto infatti si attiva il complemento, un insieme di proteine che fanno parte del sistema immunitario. Il complemento riconosce l'estraneità delle strutture presenti sulla membrana delle cellule del nuovo organo e provoca una violenta reazione che porta alla morte in pochissimo tempo. Il problema è stato parzialmente risolto con lo sviluppo di nuovi farmaci immunosoppressori in grado di bloccare la reazione ma che alla lunga rendono l'individuo estremamente vulnerabile all'attacco di virus e batteri. Secondo David White una possibile soluzione per scongiurare il rigetto iperacuto risiede nello speciale patrimonio genetico dei maialini ottenuti nei laboratori della Imutran. Infatti nel Dna degli animali di Cambridge è stato introdotto il gene di una proteina umana chiamata Daf, in grado di bloccare l'azione del sistema del complemento. Gli esperimenti proseguono, e le prove di trapianto di cuore e rene effettuate da maiale a scimmia hanno dato risultati incoraggianti. La reazione di rigetto che si verifica in un secondo tempo è dovuta invece all'attivazione delle cellule sentinella del sistema immunitario, anche loro piuttosto ostili nei confronti del nuovo organo. Tuttavia anche questa difficoltà sembra vicina a una soluzione grazie al chimerismo, un fenomeno osservato per la prima volta da Thomas Starzl nel 1992. Il chirurgo si accorse che dopo un normale trapianto da uomo a uomo alcune cellule provenienti dal nuovo organo invadono i tessuti dell'ospite. Questo fenomeno è alla base dell'accettazione del trapianto da parte del sistema immunitario del paziente, e secondo Starzl può essere indotto anche nei confronti di un organo proveniente da un'altra specie, rendendo possibili gli xenotrapianti.(m. fr.)


SCIENZE DELLA VITA. NEL BENIN Un frutto bello e tossico
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Uno spaccato della capsula della Bighia Sapida

SULLA spiaggia di Ouidah, nell'antico Dahomey, prima di essere stipati nelle navi dei negrieri gli schiavi venivano sottoposti a pratiche magiche e fatti girare tre volte intorno all'albero dell'oblio, affinché perdessero la memoria della loro origine. Oggi il Dahomey si chiama Benin, ma in questo piccolo Paese dell'Africa Occidentale, con cinque milioni di abitanti, un'altra pianta è simbolo infausto per la popolazione: si chiama Blighia sapida, è un albero alto fra gli 8 e i 25 metri e ha causato epidemie gravissime, con decine di morti soprattutto tra i bambini, nei villaggi Wansokou, nel Nord del Paese. La pericolosità dell'albero, che appartiene alla famiglia delle sapindacee ed è coltivato anche nel Nord del Togo, nella Nigeria del Sud, in India e in America tropicale, è stata scoperta solo di recente, per merito di medici italiani. Per mesi molti bambini della zona, fra i quattro e gli otto anni, si sono ammalati senza un motivo apparente. Cadevano in preda a crisi epilettiche, a violentissimi conati di vomito, a dispnea asmatiforme. Molti andavano in coma e morivano. I medici italiani, che fanno capo al torinese Salvatore Saporita, hanno proseguito con maggiore successo le ricerche effettuate da un'equipe di medici olandesi, che a lungo hanno cercato le cause dell'epidemia: hanno scoperto che i bambini erano vittime del veleno contenuto nel frutto della Blighia, una capsula pendente giallo-rossa, ovale, di 6 centimetri per tre. Quand'è matura, la capsula si apre in due valve rotondeggianti, che contengono semi neri e lucidi. Ogni seme è circondato da un arillo carnoso color panna: l'arillo e il seme costituiscono la parte commestibile del frutto, che può essere mangiato fresco, ma normalmente viene cucinato. I problemi provengono dalla membrana rosa che unisce l'arillo al seme: quando il frutto non è maturo contiene un veleno (ipoglicina peptidea, un aminoacido) in dosi altamente tossiche (l'uno per cento di tossina quando il frutto è acerbo, contro lo 0,0012 per cento di quando è maturo). Da febbraio a marzo e nella prima settimana di aprile, inoltre, il frutto può essere mangiato senza pericolo. Gli adulti, comunque, in genere separano con cura la membrana. I medici italiani, dopo aver scoperto la cause della «strage di bambini», hanno messo in guardia le famiglie, invitandole tenere d'occhio i figli nelle loro scorribande alimentari. Hanno inoltre individuato un trattamento farmacologico che dura una decina di giorni: sono così riusciti a rimediare all'avvelenamento, che durante la convalescenza produceva anche, come conseguenza dello stress provocato dalla tossina, il pericolo di malaria. Carlo Grande


SCIENZE DELLA VITA. LA PUZZOLA COMUNE Furba e sanguinaria Mustelide diffuso in tutta l'Europa
Autore: GROMIS DI TRANA CATERINA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

DORMIRE come una puzzola». Questo vecchio detto tedesco si riferisce probabilmente al fatto che durante il giorno il piccolo carnivoro predatore riposa nascosto nella sua tana, ricavata da cavità di vecchi tronchi, o da fessure nelle rocce, da anfratti tra grosse radici, da tane abbandonate o buchi in cascinali diroccati, fienili o granai. Le scorrerie ladresche per cui la bella temeraria è famosa sono segrete avventure della notte, quando esce dal suo nascondiglio per compiere misfatti. Il suo nome, Mustela puto rius, come quelli che le furono attribuiti in passato (Viverra foetens, Putorius foetidus, Puto rius infectus), evoca lo sgradevole odore che emana il secreto delle ghiandole situate in posizione pregenitale, dette «tasche del profumo». Ha un forte odore muschioso con funzione di difesa quando viene spruzzato contro il nemico, o di marcatura del territorio nel periodo degli amori. Da tempo lontanissimo è allevato in cattività il furetto (Mu stela putorius furo), discendente semidomestico della puzzola, docile e giocoso; è utilizzato nel controllo dei roditori e nella caccia ai conigli selvatici per la sua abilità nello stanarli. La puzzola comune, diffusa allo stato selvatico in tutta l'Italia continentale e non nelle isole, è snella ed elegante, come tutti i mustelidi, con corte e robuste zampe adatte a scavare nel terreno più che ad arrampicarsi sugli alberi. La colonna vertebrale flessuosa le permette di penetrare con notevole agilità nei buchi più stretti. Nei suoi nascondigli alleva da 3 a 8 puzzolotti, che nascono all'inizio dell'estate e per breve tempo necessitano del latte e delle amorevoli cure della madre: già a 2 mesi vengono addestrati alla caccia (sembra che la puzzola traslochi i cuccioli non solo in caso di pericolo, ma anche quando scopre una località dove abbonda la selvaggina giovane). In questo periodo hanno grande importanza i giochi tra fratelli: corse, inseguimenti, morsi sulla nuca che ricordano le fasi finali della caccia. Così si irrobustiscono, si preparano alle future attività e ritualizzano un comportamento che serve a inibire il loro forte istinto aggressivo. Prestissimo si rendono indipendenti. Le puzzole sono adulte a 9 mesi di età, quando raggiungono la maturità sessuale e i maschi si azzuffano per il possesso di una femmina. Vivono da 8 a 10 anni. Il mantello, corto e morbido, è formato da peli di lanuggine (borra), più chiari, e da peli di rivestimento (giarra) di un bruno molto intenso, più scuro nelle zampe, coda e parti inferiori. Il ventre è più chiaro del petto; il labbro superiore, il mento, il muso, lo spazio fra gli occhi, le orecchie e la fronte sono fulvi biancastri; le altre parti del muso, compreso il naso, sono scure. Le orecchie, tonde, sono grigie biancastre con un ciuffo di peli bruni scuri in corrispondenza della conca uditiva. La pelliccia è di bellissima qualità anche se meno pregiata di quella di altri mustelidi come la martora o l'ermellino, per il leggero odore di selvatico che mantiene anche dopo la concia. La lunghezza complessiva di una puzzola adulta, è sui 60 centimentri compresa la coda, i cui peli un tempo venivano adoperati per la preparazione di ottimi pennelli. I maschi sono sempre molto più grossi delle femmine. Le cacce notturne della puzzola sono leggendarie carneficine. Agile e silenziosissima, è nemica dichiarata delle talpe, dei topi campagnoli e domestici, dei ratti, persino dei ricci, nonché di anatre e galline. Per le rane dimostra una vera predilezione; è pure abile pescatrice: tende agguati ai pesci dalle sponde dei ruscelli o degli stagni e si tuffa acciuffandoli con sorprendente abilità. In mancanza di meglio si accontenta di chiocciole e cavallette che cattura in quantità e accumula nella sua tana. I residui alimentari, compresi resti di anfibi e rettili che presentano segni di mutilazioni, possono essere un indizio della presenza dell'invisibile predatrice, che oggi in Piemonte è segnalata di certo nelle risaie, mentre altrove le osservazioni sono sporadiche. La puzzola è dotata di straordinario coraggio e non esita in caso di pericolo ad attaccare animali ben più grossi di lei, opponendo una tenace resistenza e infliggendo loro anche gravi ferite. Drizza il pelo in atteggiamento di minaccia per apparire più grossa e in preda alla collera si difende con i denti, le unghie e con il suo sgradevole odore. Dimostra un incredibile sangue freddo davanti alle vipere, che assale e uccide divorandone poi qualche pezzo con predilizione per il capo. Non sembra risentire gran danno dai morsi di questi serpenti dal cui veleno è relativamente immune. Ha fama di crudele e sanguinaria, per l'abitudine di compiere stragi nei pollai e nelle piccionaie, dove, se riesce ad entrare, porta morte e distruzione. Non soddisfatta delle prede che bastano a saziarla, che sceglie tra le più giovani e tenere, decapita le altre, portandone via subito solo la testa, con l'intento di tornare a prendere il resto per farne scorta nei suoi rifugi. Furba e golosa, è ghiotta di miele e sembra capire il momento di saccheggiare i favi, quando sono stracolmi. La puzzola è sempre stata considerata dall'uomo con un misto di simpatia e repulsione: è relativamente facile da addomesticare e un tempo veniva usata per tenere a bada topi e serpenti. La sua indole di spietata cacciatrice però si manifesta prima o poi verso gli animali da cortile. Sono passati secoli di agguati tra uomini e puzzole, con stragi negli allevamenti da parte dell'una e trappole e tagliole da parte dell'altro. L'uomo ha la meglio, di solito, dopo la prima carneficina, perché le puzzole sono abitudinarie e ritornano sui loro passi, e perché entrano senza difficoltà nelle trappole a cassetta, attirate da un'esca o, meglio ancora, dall'odore di altre loro simili già catturate. Oggi la puzzola ha vita dura per la riduzione di stagni, fossi, ruscelli e delle piccole zone coperte a boschetti, ambienti ideali per le sue scorribande, sacrificati alla civiltà. La sua distribuzione copre tutta l'Europa e fino a non molti anni fa, quando aveva fama di animale nocivo e veniva accanitamente perseguitata, era molto comune. Eppure ora i migliori osservatori non la vedono quasi mai, e anche i cacciatori hanno poco di vissuto da raccontare su di lei. Non siamo più abbastanza attenti e pazienti, o la furbastra si nasconde così bene che non sappiamo trovarla? Caterina Gromis di Trana


SCIENZE DELLA VITA. INQUINAMENTO AMBIENTALE Arbusti e licheni per pulire l'aria
Autore: ACCATI ELENA, FERRO LAURA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, BOTANICA
LUOGHI: ITALIA

L'inquinamento dell'aria non riguarda solo le città ma anche le zone agricole e forestali in quanto la composizione dell'atmosfera ha subito un cambiamento nei costituenti minori, come il biossido di carbonio, il metano, gli ossidi di azoto, il biossido di zolfo, l'ozono e i clorofluorocarburi. Per avere informazioni sullo stato di un ecosistema si può ricorrere all'impiego di qualche sua componente sensibile. Largamente utilizzati sono stati e sono i licheni, che vengono ora affiancati da altre specie vegetali che possono agire come un filtro degli inquinanti esercitando un'azione purificante. I meccanismi di deposito delle polveri sulle foglie vengono studiati con ricerche di laboratorio: così ad esempio si è compreso come particelle di dimensioni variabili tra 1 e 50 millimicron possano essere trattenute facilmente sulle superfici a seguito della presenza di umidità, dovuta al processo di traspirazione e all'emissione di sostanze naturali in grado di svolgere un'azione adesivante. La metodologia tradizionale prevede l'impiego di camere di fumigazione, una delle quali funge da controllo ed è ventilata con aria filtrata e le altre ricevono aria addizionata di inquinanti secondo livelli diversi. Nelle camere sono allevate specie vegetali sottoposte a periodici controlli, i danni che si riscontrano consistono in clorosi (ossia ingiallimenti), necrosi (morte delle cellule), ritardi di crescita, riduzioni di sviluppo e disturbi nei processi riproduttivi. In questo modo è possibile giungere a formulare un quadro della sensibilità delle varie specie ai diversi inquinanti. Ad esempio molto sensibili al biossido di zolfo sono l'avena, il cece, l'indivia, il lupino, mentre resistenti risultano il berberis, il mughetto, l'ortensia, il cetriolo e il ligustro. In campo forestale si è assistito a un indebolimento di numerose specie sia in zona montana sia nella regione mediterranea. Il Cnr ha promosso già da alcuni anni un progetto di ricerca a cui partecipano sette Unità operative appartenenti a università di diverse città italiane (tra cui Torino) per valutare la possibilità di utilizzare gli arbusti ornamentali quali indicatori biologici dell'inquinamento atmosferico. La scelta degli arbusti è stata fatta sia in base al notevole impiego nel verde urbano (piazze, viali, strade, crocevia), sia perché possiedono una notevole polifunzionalità, contribuiscono non poco a contenere gli interventi di manutenzione, inoltre valorizzano gli ambienti colpiti da fenomeni di degrado. Spiree che in giugno ricurvano i loro steli ricoperti di minuti fiori bianchi, mahonie dalle foglie cuoiose che d'autunno portano su di sè centinaia di bacche blu indaco, forsizie che con i loro fiori gialli annunciano che l'inverno è ormai lontano, tanti viburni, dall'Opulus (la palla di neve), al Tinus, al Ritidofillum con foglie dalle nervature pronunciate, rose a cespuglio, Cotoneaster e pyracantha hanno come pregio la rapidità di accrescimento, una certa frugalità nei riguardi del terreno, la resistenza alle avversità climatiche e la capacità di esaltare e sottolineare le strutture architettoniche presenti in ambito urbano. La ricerca, che si protrarrà ancora per tre anni, consiste nell'effettuare campionamenti di foglie di differenti arbusti localizzati in siti caratterizzati da livelli diversi di inquinanti rigorosamente misurati ad esempio una piazza situata all'incrocio di quattro arterie stradali a forte traffico, una via con forte transito veicolare, una zona collinare, un parco pubblico. Le foglie sono sottoposte ad analisi chimiche presso il Dipartimento di Chimica analitica per valutare la presenza di metalli pesanti e di polveri, ad analisi della clorofilla, dei carotenoidi, ad osservazioni al microscopio a scansione attraverso la disidratazione su paraffina presso il Dipartimento di Biologia vegetale per valutare la composizione dei tessuti delle foglie e all'analisi del colore per comprendere eventuali variazioni cromatiche delle foglie in relazione alla differente presenza di inquinanti seguendo il metodo della colorimetria tristimolo secondo una tecnica usata per i tessuti e trasferita al mondo vegetale dal professor Barni. Nelle ricerche condotte finora si è verificato un diverso comportamento delle piante in funzione dei siti e in particolare la diversa capacità delle specie a intercettare gli inquinanti a parità di sito e di epoca di campionamento. Il lauroceraso è una specie assai resistente rispetto alle altre saggiate. Dall'esame delle sezioni fogliari è stato possibile notare l'integrità dello strato epidermico e cuticolare nelle foglie di piante presenti in collina (cioè in zona meno inquinata) mentre nelle altre zone sono apparse alterazioni marcate consistenti nel collasso cellulare e nella disgregazione delle membrane delle pareti cellulari e nel sito più inquinato fessurazioni dello strato cuticolare. Elena Accati Laura Ferro


SCIENZE FISICHE. RICERCA D'AVANGUARDIA Silicon Valley in Inghilterra La Microsoft apre un centro europeo
Autore: GALVANO FABIO

ARGOMENTI: INFORMATICA, FISICA, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: GATES BILL, HAWKING STEPHEN
ORGANIZZAZIONI: MICROSOFT
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, REGNO UNITO, GRAN BRETAGNA, LONDRA

UNA Silicon Valley all'ombra delle guglie gotiche di Cambridge? E' un'ipotesi con il sapore della fantascienza; ma tutto, nel mondo dei computer, ha ormai quel gusto. Certo è che l'idea della Microsoft di aprire un centro europeo di ricerca nella celebre cittadina universitaria inglese - il primo fuori degli Stati Uniti - potrebbe favorire la nascita di una redditizia industria locale del software; anche se nessuno dubita che i maggiori vantaggi, cioè le applicazioni più significative, non potranno andare che a beneficio della Microsoft stessa. E' un fatto, comunque, che annunciando nei giorni scorsi un investimento quinquennale di cinquanta milioni di sterline (quasi 140 miliardi di lire) per creare in collaborazione con l'università quel suo nuovo polo scientifico europeo, la Microsoft ha anche avviato un programma da 27 miliardi di lire per lo sviluppo delle aziende specializzate in tecnologia di software nella regione intorno a Cambridge. E' una iniziativa che potrebbe fare dell'Inghilterra il Paese-guida, almeno in campo europeo, nel futuro del computer; anche se il «Guardian» invitava a «non celebrare troppo per il momento l'iniziativa di Bill Gates a Cambridge», dal momento che «gli utili andranno alla Microsoft e non all'università». L'Europa, ormai relegata al ruolo di cenerentola del mondo informatico, non si lascia abbagliare. Perché è vero che il centro di Cambridge - inizialmente venticinque e successivamente quaranta esperti, la crema dei «cervelloni» europei - attingerà a tutti i centri di ricerca e alle strutture industriali già esistenti nell'Unione europea, oltre che alle strutture universitarie di Cambridge e a una serie di gruppi di lavoro sparsi Oltremanica; ma è anche vero che i risultati delle nuove ricerche non alimenteranno che in minima parte - fra dieci o vent'anni - l'industria europea e finiranno invece per dare nuovo impeto e nuova supremazia commerciale alla casa madre americana. Insomma, per dirla con il «Guardian», «non c'è altruismo» nell'iniziativa della Microsoft, che ha già raccolto per strada il professor Derek McAuley dell'Università di Glasgow e Charles Thacker della Digital; anche se l'investimento appare, sulla carta, come un voto di fiducia nella vecchia Europa e soprattutto nell'eccellenza scientifica dell'Università di Cambridge. Ma soprattutto Bill Gates, secondo l'«Independent», voleva catturare un know-how la cui icona risponde al nome di Roger Needham, professore di scienza del computer. «Se fosse stato un calciatore, una star della musica rock o una supermodella - ha scritto il giornale - nessuno si meraviglierebbe che un'azienda internazionale investisse 50 milioni di sterline in cinque anni per svilupparne il talento». Ma Needham, 62 anni, non è da meno. Dal 1956 la sua esistenza è legata al computer: a Nathan Myrhrvold, responsabile della Microsoft per la tecnologia, che lo conobbe a Cambridge quando era allievo di Stephen Hawking, è parso la persona giusta per esplorare le nuove frontiere dell'informatica: «Oggi - ha detto Myrhvold nel corso della presentazione londinese del programma, cui ha partecipato anche il ministro dell'Industria Margaret Beckett portando i crismi del governo Blair - il computer è piuttosto inflessibile. Per farlo evolvere come strumento dobbiamo inventare nuove tecnologie». E Needham è lo scienziato sognatore che ci vuole per questa sfida: «Le cose che oggi sono di uso comune, come il mouse, sono state frutto di una ricerca sviluppata vent'anni fa. Noi ora dobbiamo pensare al futuro: alle cose che dovranno diventare ordinarie fra dieci o vent'anni. Dobbiamo pensare a computer che sappiano parlare, vedere, capire». Sono le nuove frontiere per le quali Bill Gates già investe colossali risorse - due miliardi di dollari l'anno - al centro di ricerche di Redmond, nello Stato di Wash ington. Quella di Cambridge, al confronto, non è che una piccola goccia. Ma almeno è europea. Fabio Galvano


IN BREVE Silicon Graphics a Neuchatel
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, SVIZZERA, NEUCHATEL

A Cortallod, vicino a Neuchatel, in Svizzera, la Silicon Graphics ha aperto il suo più grande stabilimento fuori degli Stati Uniti. Ospita tre laboratori.


IN BREVE I giovani e le scienze
ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: FAST
LUOGHI: ITALIA

La Fast ha annunciato che Marco Pietri, Giulia Testa e Francesco Gualdi del liceo «Fanti» di Carpi sono i vincitori italiani del primo premio «I giovani incontrano le scienze».


IN BREVE Rinuncia alle cavie
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: YAMANOUCHI
LUOGHI: ITALIA

La Yamanouchi americana ha sospeso i suoi programmi di ricerca su un farmaco per la cura dell'osteoporosi che comportano sperimentazioni su cavie.


IN BREVE Centrale solare per le Olimpiadi
ARGOMENTI: ENERGIA
LUOGHI: ITALIA

Se Atene vincerà la gara per l'assegnazione di Giochi olimpici del 2004, una parte del villaggio sarà alimentata da energia solare. La più grande centrale del genere è in progetto nell'isola di Creta: partendo da una potenza iniziale di 5 megawatt, raggiungerà i 50 megawatt, cioè 15 volte la centrale italiana di Serre, quando verrà completata, nel 2003.


IN BREVE Mediterraneo passato e futuro
ARGOMENTI: ARCHEOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

E' iniziata ieri e si concluderà domenica 29 giugno a Oliena su Gologone, in Sardegna, la rassegna «Mediterraneo: passato e futuro», festival del cinema di archeologia affiancato da incontri, tavole rotonde ed escursioni. L'iniziativa è organizzata in collaborazione con la rivista «Archeologia viva», edita da Giunti. Per altre informazioni: 055-667.9303; 0784-33.717.


IN BREVE Scontri cosmici in videocassetta
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: LE SCIENZE
LUOGHI: ITALIA

Con il fascicolo del mensile «Le Scienze» attualmente in edicola viene diffusa la videocassetta «Comete e asteroidi: rischi di impatto con la Terra». E' un filmato della durata di 43 minuti realizzato con l'intervento di tutti i maggior ricercatori del settore a livello mondiale. Tra gli intervistati c'è anche Shoemaker, l'astronomo che scoprì la cometa schiantatasi su Giove nel 1994. Per informazioni e ordinazioni: 02-2900.1753.


SCIENZE FISICHE. DOPODOMANI IL FLY-BY Vedremo da vicino l'asteroide Mathilde
AUTORE: P_BIA
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

Se non ci saranno guai dell'ultimo minuto, la sonda spaziale «Near», lanciata dalla Nasa il 17 febbraio dell'anno scorso, venerdì ci rivelerà l'aspetto di un altro asteroide, chiamato Mathilde. Sarà il terzo pianetino, dopo Gaspra e Ida, che furono avvicinati dalla navicella «Galileo» durante il suo volo verso il pianeta Giove, ad essere fotografato da vicino, mentre da terra sono state ottenute immagini radar di alcuni altri asteroidi che si avvicinano particolarmente a noi. Mathilde misura 50 per 50 per 70 chilometri: è quindi un asteroide piuttosto grande, più di Gaspra e di Ida. Ricco di carbonio, dovrebbe essere uno degli oggetti più primitivi del sistema solare. «Near» proseguirà poi la sua missione verso l'asteroide Eros, che appartiene a una delle famiglie di asteroidi la cui orbita si accosta pericolosamente a quella del nostro pianeta. Mathilde fu scoperto il 12 novembre 1885 da Jan Palisa, grande studioso di asteroidi (ne stanò ben 121), all'Osservatorio di Vienna. Fu battezzato da Lebeuf, che ne calcolò l'orbita, in omaggio alla moglie dell'astronomo Moritz Loewy. L'incontro tra «Near» e Mathilde avverrà a 330 milioni di chilometri dalla Terra, alla velocità relativa di una decina di chilometri al secondo.(p. bia.)


SCIENZE FISICHE. NASCOSTO SOTTO I GHIACCI Un oceano su Europa La Nasa svela il satellite di Giove
Autore: DI MARTINO MARIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA

QUANDO nel 1610 Galileo Galilei scoprì con il suo telescopio i quattro maggiori satelliti di Giove non avrebbe mai immaginato che in un giorno neppure tanto lontano una macchina battezzata con il suo nome li avrebbe avvicinati fino a poche centinaia di chilometri, inviandoci immagini assolutamente spettacolari e di enorme interesse scientifico. La sonda «Galileo» fu lanciata il 18 ottobre 1989 e nel dicembre 1995, poco prima di immettersi in orbita attorno a Giove, sganciò una minisonda, che appesa ad un paracadute penetrò nella spessa atmosfera del pianeta gigante effettuandone l'analisi chimico-fisica. La sua vita fu breve: dopo un'ora l'enorme pressione e l'elevata temperatura incontrate negli strati più bassi la distrussero. Da allora la sonda, oltre a tenere ininterrottamente sotto controllo Giove, si avvicina periodicamente ai satelliti galileiani (Io, Europa, Ganimede e Callisto, in ordine di distanza da Giove), per studiarli da vicino e realizzarne una mappa fotografica completa e ad alta risoluzione. A differenza di Io, satellite roccioso delle stesse dimensioni della Luna su cui è in atto una intensa attività vulcanica, gli altri tre satelliti sono coperti da una crosta di ghiaccio d'acqua di spessore non ben definito, sotto la quale, considerando la loro densità media (circa 3 grammi al centimetro cubo), deve esserci presente un nocciolo costituito da rocce e metalli. Le più recenti immagini trasmesse dalla sonda «Galileo» sono quelle di Europa, la più piccola delle lune galileiane (3138 chilometri di diametro), e la loro analisi preliminare ha fatto subito sorgere il sospetto che sotto la crosta superficiale ghiacciata, forse spessa soltanto 1-2 chilometri, ci sia un profondo oceano probabilmente riscaldato da sorgenti di calore di tipo vulcanico. E dove c'è acqua e calore è possibile che ci sia qualche forma di vita, anche se a livello primordiale. Le immagini inviate dalla sonda «Galileo», in alcune delle quali sono visibili particolari delle dimensioni di soli 20 metri, mostrano una superficie complessa, percorsa da lunghe linee di frattura, in alcune zone dall'aspetto del tutto simile a quello delle regioni artiche terrestri. Inoltre la scarsa presenza di crateri da impatto, che caratterizzano tutti i corpi solidi del Sistema Solare, fa pensare che Europa sia stata notevolmente «risurfacciata», ossia che materiale fluido proveniente dal suo interno abbia ricoperto la superficie preesistente, cancellando le tracce di vecchi impatti. In particolare sono due le immagini che hanno convinto buona parte degli addetti ai lavori che un sottile strato di ghiaccio galleggiante su un oceano di acqua allo stato liquido è praticamente l'unico modo per poter spiegare alcune delle caratteristiche superficiali di Europa. Nella prima sono visibili «iceberg» di dimensioni poco superiori a 10 chilometri, che assomigliano ai tasselli di un enorme «puzzle», prodottisi a causa della frammentazione dello strato di ghiaccio omogeneo preesistente. Sembrano galleggiare su un liquido o su del ghiaccio più fluido e dalla lunghezza delle ombre proiettate è stato possibile calcolare che la loro altezza non supera i 200 metri. Nell'altra immagine è visibile il dettaglio di una delle tante fratture che, come le maglie di una gigantesca rete, ricoprono buona parte della superficie di Europa. Con ogni probabilità si tratta di fenomeni dovuti all'azione delle forze mareali indotte da Giove, le quali, deformando leggermente il satellite, provocano l'insorgere di lunghe fessure sulla sua crosta ghiacciata superficiale. Una volta formatesi, da queste crepe, come accade quando rompiamo ad esempio la crosta ghiacciata di una pozzanghera, fuoriesce lentamente del materiale fluido (acqua o ghiaccio più «caldo» e quindi più duttile di quello superficiale), che esposto alla temperatura esterna di circa 120 gradi centigradi sotto lo zero, con il tempo si accumula ai bordi della frattura generando due crinali paralleli che di solito non superano l'altezza di poche centinaia di metri. Una ulteriore conferma della presenza di acqua al di sotto di una sottile crosta superficiale proviene proprio da questa immagine, in cui all'esterno e parallelamente ai due crinali sono visibili due sottili crepe, che denunciano l'incipiente sprofondamento della nuova formazione sotto il suo peso. Proprio il fatto che la crosta superficiale non ce la faccia a sopportare una struttura così poco massiccia fa appunto pensare che questa non sia spessa più di qualche chilometro. Queste straordinarie immagini e le possibili implicazioni derivanti dall'eventuale presenza di qualche forma di vita sotto la superficie ghiacciata di Europa hanno spinto alcuni planetologi americani a delineare i piani preliminari per due future missioni spaziali con il compito esclusivo dell'esplorazione dettagliata di questo satellite gioviano. La prima dovrebbe misurare lo spessore della crosta ghiacciata, la seconda invece effettuerebbe l'analisi della sua superficie, in modo particolare nelle aree in cui sono presenti crateri da impatto, dove con molta probabilità del materiale proveniente dall'interno potrebbe essere affiorato a causa della rottura della crosta ghiacciata. Dopo le tracce di forme di vita elementare, peraltro ancora molto dubbie, scoperte in un meteorite proveniente da Marte, adesso le immagini della sonda Galileo fanno sorgere il sospetto che anche su una delle sedici lune di Giove potrebbero essere presenti le condizioni per lo sviluppo di uno dei più misteriosi fenomeni del nostro universo. Mario Di Martino Osservatorio Astronomico di Torino


IN EDICOLA CON IL LIBRO «PICCOLO, GRANDE, VIVO» Cinque anni di scoperte da scoprire Un cd-rom con i 5000 articoli di «Tuttoscienze» usciti dal '92 al '96
NOMI: BIANUCCI PIERO
ORGANIZZAZIONI: LA STAMPA, TUTTOSCIENZE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)

CINQUEMILA articoli sulle scoperte più suggestive, importanti o anche semplicemente curiose. Li troverete nel Cd-Rom che raccoglie le ultime cinque annate di «Tuttoscienze», in edicola da qualche giorno. E, insieme, troverete il libro di Piero Bianucci «Piccolo, grande, vivo», un viaggio che parte dalle particelle più piccole, i quark, e raggiunge le frontiere dell'universo, passando per il regno degli organismi viventi. Il tutto a 29.900 lire. Se per caso il vostro edicolante ne fosse sfornito, potete farglielo richiedere al distributore. Oppure chiamare il nostro numero verde: 167.80.2005, al costo di un solo scatto telefonico. Gli anni 1992-1996 sono stati importanti in vari campi della ricerca. Satelliti e sonde spaziali hanno rivelato molti segreti del cosmo: basti pensare alle straordinarie immagini inviate dal telescopio spaziale «Hubble». La biologia ha fatto enormi progressi: si è quasi completata la lettura del patrimonio genetico umano e la tecnica del Dna ricombinante ha permesso di creare piante e animali transgenici. In fisica, è stato individuato il sesto quark, il Top, forse l'ultima particella fondamentale. Grandi passi avanti, inoltre, si sono fatti nella comprensione dei meccanismi ambientali e nelle tecnologie per ridurre gli inquinamenti. Di tutti questi temi, di molti altri, e anche della riflessione etica sulla scienza, i cinquemila articoli raccolti nel Cd-Rom di «Tuttoscienze» danno un resoconto puntuale, con la collaborazione di un centinaio di illustri scienziati. Il Cd-Rom, naturalmente, rende facilissima qualsiasi ricerca: basta inserire la parola-chiave del tema che vi interessa e il computer troverà in pochi istanti tutto ciò che su quel tema è stato scritto in cinque anni, andando a controllare non soltanto le parole usate nei titoli, ma anche quelle dei testi, che sono parecchi milioni] Quanto a «Piccolo, grande, vivo», è una sintesi delle maggiori conquiste della scienza raccontate in modo facile e piacevole. Anche qui l'aggiornamento è massimo: in questa nuova edizione è già riportata l'osservazione, fatta ad Amburgo nel marzo scorso, di fenomeni subnucleari anomali, che potrebbero essere interpretati come particelle elementari interne ai quark. Piero Bianucci, responsabile di «Tuttoscienze», è autore di oltre venti libri di divulgazione scientifica e di narrativa, alcuni dei quali tradotti in varie lingue. L'International Astronomical Union gli ha intitolato il pianetino 4821, in orbita tra Marte e Giove.


METEOROLOGIA Già in atto le variazioni del clima
Autore: TIBALDI ALESSANDRO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA

I modelli di previsione delle variazioni climatiche per i prossimi decenni sono ormai concordi nel descrivere uno scenario a scala globale di graduale aumento della temperatura, come si è già scritto in vari articoli di «TuttoScienze». Questi modelli hanno però un grosso limite: non riescono ancora a prevedere i cambiamenti climatici locali, che, in base ai primi riscontri, sembrano talvolta molto più grandi di quelli in corso sulla scala di un continente o di tutta la Terra. Sappiamo che la temperatura media globale al livello del suolo è salita di mezzo grado negli ultimi decenni: ma che cosa sta accadendo in realtà a livello regionale? Gli scienziati hanno scoperto che l'aumento medio della temperatura sta causando effetti inaspettati e violenti in alcune regioni. Gli studiosi della Divisione ricerca sui cicloni dell'Ente meteorologico americano (Noaa) hanno constatato che l'atmosfera nelle regioni tropicali sta divenendo sempre più instabile a partire dalla fine degli Anni 80. Ne deriva un continuo aumento della frequenza di cicloni, tornadi e trombe d'aria: secondo una previsione presentata recentemente da ricercatori nel Noaa e dell'Università del Colorado, sono destinati a crescere ancora di frequenza e intensità nel 1997. La previsione è basata su numerosissimi dati che tengono conto di diversi fattori in differenti regioni, tra cui per esempio le precipitazioni meteoriche registrate nell'Africa equatoriale e tropicale, la circolazione dei venti, le temperature sulla superficie dell'Oceano Atlantico, le oscillazioni di importanti correnti oceaniche, quale El Ni~no. Tutti questi dati e le conseguenti previsioni possono essere trovati al sito Internet http://tropical.atmos.colostate.edu/forecasts Un'altra importante sorpresa sugli effetti locali delle variazioni climatiche globali è rappresentata dal continuo anticipo con cui avviene la ripresa vegetativa primaverile alle alte latitudini (da 45oN a 70oN, che equivale in Europa alla fascia compresa tra le Alpi e la Scandinavia). Una possibile spiegazione considera che le piante rispondono attivamente agli aumenti continui dei livelli di anidride carbonica dell'atmosfera combinati alle temperature più calde. Ma non solo la ripresa dell'attività vegetativa sta cambiando; anche la crescita totale delle piante a queste latitudini è aumentata del 10 per cento dal 1981 al 1991. Questo dato è stato rilevato con i satelliti artificiali misurando con speciali strumenti, denominati radiometri, un aumento nell'assorbimento del carbonio da parte delle piante e un incremento nell'estensione della copertura fogliare nel mese di agosto, il mese «più verde» dell'anno. Gli aumenti sono più sensibili nell'emisfero Nord, cioè a settentrione di una linea che passa da Portland a Boston negli Usa e da Bordeaux a Vladivostok in Eurasia, mentre a Sud di 45o di Lat. Nord in pratica non ci sono stati cambiamenti della vegetazione. A scala locale i cambiamenti della vegetazione possono essere importanti anche da un punto di vista economico: ne può beneficiare, per esempio, la pianificazione territoriale e l'agricoltura. Sia per gli effetti negativi che per quelli positivi delle variazioni climatiche in atto, rimane fondamentale il continuo e capillare monitoraggio della situazione. Questo è utile per gestire correttamente quanto sta avvenendo, nonché per raffinare sempre meglio i modelli di previsione degli scenari futuri al fine di individuare i mezzi più idonei, sia scientifici sia politici, per limitare lo sviluppo dei cambiamenti climatici, prima che sfuggano totalmente di mano. Alessandro Tibaldi Università di Milano


AGGIORNATA LA TEORIA DI GAIA Il termostato della Terra Perché il nostro è il pianeta della vita
Autore: ZULLINI ALDO

ARGOMENTI: CHIMICA, METEOROLOGIA
NOMI: SAGAN CARL
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. T. Il ciclo dell'anidride carbonica

ANCHE se non ce ne accorgiamo, il Sole sta diventando sempre più luminoso, tanto che, tra un miliardo di anni, la Terra diventerà invivibile. Ciò potrebbe sembrare strano, dato che ogni secondo esso trasforma 4 milioni di tonnellate di materia in energia. Ma il Sole, invece di raffreddarsi, irraggia sempre di più grazie alle reazioni nucleari che avvengono nel suo interno. Circa 3,5 miliardi di anni fa, quando ebbe inizio la vita sulla Terra, il Sole irradiava meno energia di adesso: circa un quarto in meno. Se il Sole dovesse improvvisamente tornare come allora, il nostro pianeta finirebbe sepolto sotto una spessa coltre di ghiaccio e neve. Sappiamo invece che, da quando è apparsa la vita, la Terra ha goduto di una sorprendente stabilità climatica. Anche le glaciazioni, dopotutto, sono scompensi relativamente modesti e passeggeri. Da quando esiste la vita, la temperatura media del pianeta si è sempre mantenuta (globalmente) tra i 10 e i 20oC. Quando, agli inizi degli Anni 70, Carl Sagan e altri scienziati si resero conto di questo paradosso (aumento dell'irraggiamento solare, ma temperatura terrestre relativamente costante) divenne evidente che solo un maggiore effetto serra poteva aver compensato, qualche miliardo di anni fa, la «debolezza» del Sole di allora. L'effetto serra è dovuto principalmente all'anidride carbonica dell'atmosfera. Questo gas ha la proprietà di ingabbiare il calore dei raggi infrarossi impedendone la dispersione nello spazio. Se l'atmosfera non contenesse nemmeno lo 0,03 per cento di anidride carbonica che la caratterizza, non ci sarebbe effetto serra e tutta la Terra sarebbe alla temperatura da freezer di 20 gradi sotto zero. Il nostro pianeta sarebbe una sfera gelata, stabile e morta. Bene: ormai è dimostrato che c'è oggi meno anidride carbonica nell'aria di quanta ce ne fosse tre o più miliardi di anni fa. E' stata la continua diminuzione di questo gas a compensare gli effetti del maggior irraggiamento solare. Tutti sanno che oggi, a causa degli incendi e delle altre combustioni provocate dall'uomo, vi può essere il pericolo di un aumento dell'effetto serra, ma questo è un altro discorso. Più di vent'anni fa il chimico inglese Lovelock provò a immaginare che cosa succederebbe se sulla Terra venisse a cessare ogni forma di vita. In questo caso l'anidride carbonica emessa dai vulcani non verrebbe più riassorbita dalle piante e neppure dalle microscopiche alghe calcaree del plancton che abbondano negli oceani. (Queste alghe «sequestrano» l'anidride carbonica formando carbonato di calcio destinato a sedimentare nei fondali marini). La scomparsa della vita provocherebbe quindi un forte effetto serra che innalzerebbe la temperatura media a circa 100 oC. I mari evaporerebbero creando enormi uragani anche nell'alta atmosfera, dove i fulmini spezzerebbero le molecole d'acqua liberando atomi di ossigeno pronti a combinarsi con l'azoto. Gli ossidi di azoto, così creati, si mescolerebbero con la pioggia formando acidi. Ne seguirebbe un diluvio di piogge acide, molto più acide di quelle attuali. Cadendo sulle rocce calcaree, l'acido libera anidride carbonica che andrebbe ad aggiungersi a quella già presente in atmosfera. L'effetto serra, a questo punto, diverrebbe drammatico e la temperatura salirebbe a ben 300oC. L'atmosfera raggiungerebbe allora l'equilibrio chimico risultando composta quasi soltanto di anidride carbonica (circa 99%) e di argon. Questo, del resto, è il tipo di atmosfera del pianeta più vicino a noi: Venere. La vita diverrebbe impossibile non solo per l'alta temperatura, ma anche per l'assenza di ossigeno. L'esistenza degli esseri viventi, conclude Lovelock, è dunque indispensabile per la regolazione del clima. Finora si era sempre detto che la vita esiste sulla Terra grazie al fatto che vi è un clima favorevole. Ma Lovelock aggiunge che è anche vero che il clima terrestre è favorevole alla vita proprio perché esistono gli esseri viventi] In quest'ottica la biosfera (cioè l'insieme di tutti gli esseri viventi) viene paragonata a un superorganismo capace di regolare il clima, e la stessa composizione dell'aria, necessari alla propria esistenza. Lovelock chiamò questo complesso unitario di Terra e vita col termine di Gaia, dal nome greco della dea della Terra. L'ipotesi di Gaia innescò subito polemiche tra gli scienziati e oggi gran parte degli ecologi l'accetta solo in parte perché sembra che essa possa spiegare solo il 20 per cento del ciclo dell'anidride carbonica e, quindi, della stabilità del clima terrestre. Si sono ipotizzati infatti altri importanti meccanismi, di tipo non biologico, capaci di garantire l'equilibrio climatico e atmosferico del nostro pianeta. Una teoria molto suggestiva risolve il paradosso evidenziato da Carl Sagan basandosi sulle particolarità del ciclo geochimico dei carbonati e dei silicati. Secondo questa teoria, l'anidride carbonica emessa dai vulcani viene prima o poi incorporata nell'acqua piovana che finisce su rocce contenenti silicati di calcio. Si formano così ioni carbonato e ioni calcio che ruscellano a valle finendo per accumularsi nei mari. Quando la loro concentrazione nell'acqua supera un certo valore critico, si deposita sul fondale una fanghiglia di carbonato di calcio. Questo, almeno, è quanto accadeva prima di un miliardo di anni fa, quando mancavano microrganismi marini dotati di guscetto calcareo. Oggi questi microrganismi non fanno che facilitare la deposizione del carbonato di calcio in fondo al mare. Comunque sia, questo materiale dei fondali oceanici si inabissa, dopo decine di milioni di anni, sotto la crosta terrestre con un lento processo chiamato subduzione (che significa, appunto, condurre sotto). Quindi, a decine di chilometri di profondità, nelle viscere della Terra, il carbonato di calcio incontra rocce silicee in condizioni di elevata pressione e temperatura. Si riformano così rocce di silicato di calcio unitamente a grandi quantità di anidride carbonica. Questo gas ritorna nell'atmosfera fuoriuscendo dalle dorsali oceaniche o dai vulcani. E così il ciclo si chiude. Ciò che più importa è che il ciclo dei carbonati-silicati è autoregolato. Si supponga infatti che il nostro pianeta subisca un aumento di temperatura (per esempio, per incremento della radiazione solare): gli oceani, più caldi, fornirebbero maggiori quantità di vapore all'atmosfera. Il conseguente aumento di piovosità convoglierebbe a terra, e nei mari, maggiori carichi di anidride carbonica. L'atmosfera, impoverita di questo gas, diverrebbe più fredda controbilanciando il riscaldamento del pianeta. Se però il raffreddamento risultasse eccessivo, avremmo una serie di fenomeni opposti: la diminuita evaporazione dei mari permetterebbe un aumento dell'anidride carbonica atmosferica, dato che questo gas continuerebbe a uscire dalle profondità della Terra. E questo, alla lunga, ristabilirebbe la temperatura normale del nostro pianeta. Tutto ciò, secondo Pollack, Kasting e altri scienziati della Nasa, potrebbe spiegare l'80 per cento dell'equilibrio climatico. Questo, dunque, sarebbe il meccanismo che ha garantito e che garantirà un clima favorevole alla vita. Almeno per un miliardo di anni ancora. Poi la Terra diventerà un pianeta senza acqua e con un'atmosfera infuocata come quella di Venere. Aldo Zullini Università di Milano


SCIENZE FISICHE. IN QUESTI GIORNI LE PROVE DI VOLO Zeppelin torna in cielo Dirigibili al servizio dei turisti
Autore: FILTRI TULLIO

ARGOMENTI: TRASPORTI, AEREI, STORIA
NOMI: VON ZEPPELIN WOLFGANG
ORGANIZZAZIONI: ZEPPELIN NT
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, ROMA

IL primo volo del nuovo dirigibile «Zeppelin NT» («NT» come «nuova tecnologia»), più volte annunciato anche dalle pagine di «Tuttoscienze», avverrà nei prossimi giorni, e comunque entro giugno. Lo ha comunicato il conte Wolfgang von Zeppelin in una conferenza stampa al Palazzo Barberini di Roma, dove era stato invitato dalla Commissione italiana del dirigibile, un ente senza fini di lucro che molto ha contribuito, in campo nazionale e internazionale, allo sviluppo del dirigibile. Lo «Zeppelin NT» proseguirà i voli di collaudo in luglio e a settembre comincerà un servizio regolare di trasporto passeggeri per scopi turistici. A questo provvederà una società, appositamente costituita; i voli sono già stati prenotati da appassionati di questa macchina volante. Partendo dalla base di Friedrichshafen, culla dei dirigibili giganti di tipo rigido del passato, i voli verranno effettuati in regioni che hanno come punto centrale il Lago di Costanza. Vediamo adesso che cosa offre lo «Zeppelin NT» dal punto di vista delle prestazioni aeronautiche. Porta dodici passeggeri alla velocità massima di 140 chilometri orari; ha una autonomia di diciotto ore in condizioni di utlizzazione normali e una autonomia di trentasei ore con un carico ridotto. Ha tre motori, due in posizione centrale ed uno in coda; hanno una particolarità: sono basculanti, ossia possono assumere più posizioni. Con l'asse dell'elica in posizione orizzontale si ottiene la spinta e la velocità; con l'asse verticale si solleva il dirigibile, quando è pesante, o lo si fa scendere quando è leggero. I motori sono lontani dalla cabina e non disturbano i passeggeri col rumore e le vibrazioni. Il dirigibile porta i turisti sul posto per la visita a zone panoramiche o archeologiche: li riprende e continua il giro. Può involarsi e atterrare con un vento che soffia a cinquanta chilometri all'ora. La moderna avionica e il radar meteorologico di bordo consentono di individuare perturbazioni atmosferiche avverse, dando modo di aggirarle. La lunga autonomia del dirigibile lo permette. Anche questa è sicurezza. Lo «Zeppelin NT» è il primo di una serie di dirigibili semirigidi: uno da 17.000 metri cubi e 50 passeggeri, l'altro di 30.000 metri cubi e 84 passeggeri. La fiducia nel marchio Zeppelin è tale che cinque operatori economici hanno acquistato i primi cinque dirigibili della serie, prima ancora del collaudo. Tullio Filtri


IN BREVE Cometa Hale-Bopp su Cd-Rom
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

Con la rivista «Il Cielo» di giugno viene distribuito un Cd- Rom contenente le più belle immagini della cometa Hale-Bopp e una ricca selezione di software utile agli astrofili.




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