TUTTOSCIENZE 11 marzo 98


SCIENZE A SCUOLA. A BRESCIA In mostra i disastri ambientali
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: MUSEO DI SCIENZE NATURALI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, BRESCIA (BS)

SI chiamano tectiti. Secondo molti astronomi sono pietre che vengono dalla Luna. Circa un milione di anni fa un piccolo asteroide si sarebbe schiantato sul nostro satellite e nell'impatto avrebbe proiettato nello spazio rocce lunari ad altissima velocità. Una parte di queste rocce, avendo superato la velocità di fuga della Luna, sarebbero sfuggite all'attrazione gravitazionale del nostro satellite e sarebbero precipitate sulla Terra. In effetti in vari continenti (Africa, Asia, Europa, America) si trovano strane meteoriti dalla forma a goccia, di aspetto vetroso. Le tectiti, appunto. E benché non tutti gli studiosi siano d'accordo sulla loro origine extraterrestre, la teoria della provenienza lunare ha buone radici. Bene: una eccezionale collezione di ben 35 tectiti fa parte del patrimonio del Museo di Scienze Naturali di Brescia. Non foss'altro che per questo, varrebbe la pena di mettere in programma una visita. Di colore scuro, grandi come un torsolo di mela, con una spiccata forma aerodinamica, queste tectiti, che sono state raccolte in Thailandia, Cambogia e Vietnam, le potete ammirare nella prima sala, all'inizio di un itinerario che vi porterà poi nel mondo dei minerali (molto curiosi quelli che diventano fluorescenti se illuminati con raggi ultravioletti: autunnite del Portogallo, aragonite della Sicilia, scopolite del Canada e franklinite del New Jersey) e successivamente in una serie di sale dedicate alla paleoantropologia, alla zoologia e a varie nicchie ecologiche, spesso legate al Bresciano, o tutt'al più all'ambiente alpino e mediterraneo. Nelle vetrine potrete ammirare, tra l'altro, alcune specie estinte che un tempo era possibile incontrare sul nostro territorio, come il gatto selvatico o come la lince (il cui ultimo esemplare è documentato nel 1915). Sotto l'aspetto didattico- espositivo il museo civico di scienze naturali di Brescia è del tipo più tradizionale. Nulla di interattivo per coinvolgere il visitatore, brevi testi illustrativi, puntuali ma convenzionali, concepiti come didascalie, percorso senza un preciso filo conduttore. Ci sono sale e aule per conferenze, c'è una buona biblioteca scientifica. Ma l'insieme è alquanto datato rispetto alle più moderne idee museali. Questo quadro però è in piena evoluzione per iniziativa del nuovo direttore, Marco Tonon, giunto pochi mesi fa. Le vetrine scompariranno, i reperti troveranno una nuova collocazione, si adotteranno tecniche inter attive e moderni sistemi di comunicazione per incuriosire il visitatore e rendere più divertente il processo di apprendimento. "Questo museo - spiega Tonon - è ancora concepito come un libro tridimensionale: le illustrazioni dei libri di storia naturale qui sono oggetti, ma la sostanza non cambia. Oggi invece un museo si distingue soprattutto per la sua tecnica di comunicazione. E anche per la sua scelta di campo: il discorso di un museo non deve, e forse non può, essere neutrale. Il museo deve interpellare il suo visitatore, divertirlo, ma anche porgli dei problemi. Indurlo in qualche modo a rifare il cammino della ricerca scientifica di cui presenta i risultati". Un primo segnale di rinnovamento ce lo dà una mostra temporanea intitolata "3001 La nuova Odissea". Importata dalla Valle d'Aosta, consiste in un percorso fotografico curato da Patrizia Nuvolari per documentare i grandi disastri ambientali del nostro tempo: la Guerra del Golfo con i pozzi di petrolio in fiamme e un cielo nero di fumi che oscurano il Sole, inquinamento atmosferico in Siberia, contaminazione radioattiva a Cernobil, intossicazione da mercurio in Giappone, piogge acide in Germania, distruzione atomica a Hiroshima. Museo civico di scienze na turali, Brescia, via Ozanam 4, orario 9-12 e 14-16 dal lunedì al venerdì, ingresso libero. Telefono 030-297.86.72. Mostra "3001 La nuova Odissea", immagini e parole tessute da Patrizia Nuvolari, inaugurata il 6 marzo, aperta fino al 5 aprile tutti i giorni dalle 10 alle 18. Piero Bianucci


SCIENZE DELLA VITA. LO SFENISCO SUDAFRICANO A rischio il pinguino-somaro Deve il nome ai suoi curiosi ragli da asino
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: VAN HEEZICK YOLANDA, SEDON PHILIP
LUOGHI: ESTERO, AFRICA, SUDAFRICA

SIAMO abituati ad associare l'immagine del pinguino a quella delle distese ghiacciate del Polo Sud. Infatti la maggior parte delle specie si trovano nella calotta antartica. Ma vi sono anche le eccezioni. Specie che hanno scelto Paesi temperati e persino Paesi tropicali. In una zona equatoriale vive infatti il pinguino delle Galapagos (Spheniscus mendiculus), mentre in una zona temperata e lungo le coste occidentali del Sud Africa vive lo sfenisco demerso (Spheniscus demersus). I pinguini del genere Spheniscus hanno in comune un comportamento singolare: si salutano con grande effusione strofinandosi il collo e il becco. Ma è del pinguino sudafricano che oggi voglio parlare. Lo chiamano anche "pinguino-somaro", perché la sua voce assomiglia stranamente a quella dell'asino. E quando il maschio cerca moglie, leva al cielo una serenata tutta a base di ragli. Non è detto però che lei si lasci intenerire da quella esplicita domanda di matrimonio. Può anche rispondere di no. In questo caso, prende semplicemente a schiaffi lo sfortunato spasimante. Ma come fa a schiaffeggiarlo se non ha le mani? Usando quei moncherini di ali che si ritrova. E' un modo energico ed eloquente per rifiutare la profferta amorosa. Se invece l'accetta, raglia anche lei all'unisono con il maschio. E quel duetto di ragli informa l'intera colonia, formata anche da centomila coppie, che l'intesa è stata raggiunta. Per studiare le curiose usanze matrimoniali e riproduttive della specie, una coppia di ricercatori, la neozelandese Yolanda van Heezick e suo marito, l'inglese Philip Sedom, ha trascorso cinque mesi sull'isola Dassen, che si trova a circa sei chilometri dalla costa sudafricana. Tutta la regione costiera, dalla Namibia al Sud Africa sudoccidentale, è popolata da molti predatori. Ragion per cui almeno un milione di pinguini è sempre venuto a nidificare in quest'isola, che è stata per loro in passato un vero paradiso. Oggi secondo i ricercatori ne sono sopravvissuti sì e no seimila. I pinguini trascorrono la maggior parte della loro vita in mare, dove sono preda degli squali e delle foche. Si trovano infatti spesso sulle spiagge carcasse di pinguini letteralmente squarciate da questi carnivori marini. Ma squali e foche uccidono un piccolo numero di pinguini all'anno. Sono le attività umane le vere responsabili del drastico crollo della popolazione di sfenischi. Sebbene siano ormai secoli che i pinguini-somaro di Dassen vengono cacciati dall'uomo per la carne e per le uova, il vero sfruttamento su larga scala della specie è incominciato all'inizio del ventesimo secolo. Impressionante la razzia delle uova: tra il 1900 e il 1930 ne sono state prelevate dai nidi 13 milioni. Ancora negli Anni 60 c'era un prelievo annuale di 35 mila uova. Finalmente nel 1967 ci si è accorti dell'allarmante declino numerico della specie ed è stato ufficialmente proibito il prelievo delle uova. Ha contribuito notevolmente all'assottigliamento della popolazione anche la raccolta in grande stile del guano, formato dall'accumularsi nei secoli degli escrementi degli uccelli. Il cosiddetto "oro bianco" è un eccellente fertilizzante per i campi. Ma per i pinguini è un materiale insostituibile. Serve alla costruzione dei nidi. E' proprio nel guano infatti che l'uccello scava un fresco rifugio dove ripararsi dal caldo sole africano e dove deporre le uova, di solito due, a tre giorni di distanza l'uno dall'altro. Siccome il pinguino incomincia a covare appena ha deposto il primo uovo, questo schiude due o tre giorni prima del secondo. E, come avviene anche nelle aquile, nelle egrette e in altri uccelli, il primogenito, più robusto del secondogenito, si accaparra quasi tutti i bocconcini che i genitori portano nel nido. Sicché il secondo nato stenta a nutrirsi e il più delle volte muore. Non sarebbe più logico avere due uova che schiudano contemporaneamente o quasi e di conseguenza due pulcini delle stesse dimensioni che possano riprodurre la specie? Per capire quale vantaggio derivi ai pinguini dall'avere due pulcini di dimensione diversa, gli studiosi hanno fatto un esperimento. Sono riusciti a creare un centinaio di nidi contenenti ciascuno due pulcini della stessa dimensione. I due piccoli estranei venivano accettati perché non avevano ancora due settimane di vita. Solo a quest'età infatti gli adulti riconoscono dalla voce i propri figli. Per quattro mesi gli studiosi hanno controllato la crescita dei pulcini in questi nidi, e contemporaneamente in altrettanti nidi che fungevano da controlli e contenevano i soliti due pulcini disuguali. Ed ecco il risultato della loro ricerca. Nei nidi naturali dove c'erano due pulcini di grandezza diversa, il più grosso, come da copione, arraffava per primo il cibo portato dai genitori. L'altro cercava in tutti i modi di afferrarne qualche pezzettino, ma non sempre ci riusciva. Per cui i pulcini più piccoli, magri e affamati, andavano spesso a elemosinare il cibo in altri nidi. Ma appena venivano riconosciuti come estranei, venivano cacciati a furia di beccate. E finivano per lo più per morire d'inedia. Nei nidi creati artificialmente invece, con due pulcini di uguale dimensione, paradossalmente nessuno dei due fratellini, in accesa competizione tra loro per la cattura del cibo, riusciva a mangiare a sazietà. Sicché entrambi venivano su magri e malnutriti e diventavano indipendenti solo due settimane più tardi rispetto al primogenito dei nidi naturali. Al momento dell'involo, quando il pulcino deve lasciare il nido per condurre vita indipendente, il suo peso corporeo ha la massima importanza. Nel suo primo anno di vita in mare, quando deve imparare a procurarsi il cibo da solo, il pinguino ha meno del dieci per cento di probabilità di sopravvivere. Quindi ce la può fare solo il primogenito dei nidi naturali che è forte, ben pasciuto, vigoroso e può garantire la continuità della specie. Non ce la farebbero invece i pinguini-somaro se avessero due pulcini della stessa dimensione. Dove si dimostra che la natura sceglie sempre la soluzione migliore, anche se ai nostri occhi, a prima vista, non appare tale. Isabella Lattes Coifmann


SCIENZE FISICHE. NUOVO ANNUNCIO NASA Conferma: ghiaccio sulla Luna Una sonda lo aveva già individuato nel '94
Autore: DI MARTINO MARIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: NASA, LUNAR PROSPECTOR
LUOGHI: ITALIA

I primi sospetti che in certe regioni della Luna esistessero "sacche" di ghiaccio d'acqua vennero dall'analisi delle osservazioni radar effettuate dalla sonda americana "Clementine", che nel 1994 orbitò attorno al nostro satellite per 70 giorni. I segnali radar riflessi da alcune zone della regione polare meridionale della Luna mostravano infatti le caratteristiche tipiche della riflessione prodotta da una superficie ricoperta di ghiaccio d'acqua. Non pochi addetti ai lavori si mostrarono allora scettici, ma le recentissime osservazioni fatte dalla sonda della Nasa "Lunar Prospector" sembrano aver eliminato ogni possibile dubbio al riguardo. Lunar Prospector è in orbita attorno alla Luna ad un'altezza di circa 100 chilometri dalla metà di gennaio e con i suoi sofisticati strumenti ha il compito di tracciare una mappa completa della composizione chimica della superficie lunare, rilevare eventuali segni di attività tettonica e vulcanica, misurare con precisione il campo magnetico e confermare o meno la sospetta presenza di ghiaccio d'acqua segnalata da "Clementine". Secondo le notizie date dai responsabili della missione in una conferenza stampa pochi giorni fa, quest'ultimo obiettivo è già stato raggiunto. Lo strumento cui è affidato questo compito, uno spettrometro a neutroni, ha infatti rilevato i segni inequivocabili della presenza di ghiaccio d'acqua nelle regioni polari per una quantità compresa tra 10 e 300 milioni di tonnellate. Il ghiaccio non è stato soltanto trovato, come atteso, in corrispondenza del polo Sud, sul fondo del grande bacino da impatto Aitken, la più grande struttura di questo tipo del sistema solare, ma anche in alcuni crateri vicini al polo Nord, dove l'abbondanza di ghiaccio sembra essere superiore del 50 per cento rispetto a quella presente nel polo opposto. Lo spettrometro a neutroni può rilevare il ghiaccio d'acqua fino a una profondità di circa 2 metri, misurando la velocità di queste particelle che vengono emesse a causa del continuo bombardamento della superficie lunare da parte dei raggi cosmici. Questi neutroni vengono rallentati dall'interazione con atomi di idrogeno, per cui confrontando la quantità di neutroni veloci con quella di neutroni lenti è possibile valutare la quantità di idrogeno sulla superficie del nostro satellite. In corrispondenza delle regioni polari è stato osservato un eccesso di idrogeno, ciò che sta quindi a significare che deve esservi dell'acqua, naturalmente sotto forma di ghiaccio (queste regioni sono sempre in ombra in quanto i rilievi montuosi le proteggono dal Sole). L'area in cui sono stati rilevati i depositi di ghiaccio è compresa tra 8000 e 20.000 chilometri quadrati al polo Sud e tra 10.000 e 50.000 chilometri quadrati al polo Nord, ma purtroppo non è stato possibile determinare con esattezza la loro posizione. Ciò si potrà fare entro poco tempo grazie alle osservazioni di un altro strumento, lo spettrometro a raggi gamma, e specialmente verso la fine della missione, quando l'orbita di Lunar Prospector verrà abbassata fino a una quota di soli 10 chilometri dalla superficie lunare (l'altezza a cui vola un aereo di linea). Da questa posizione privilegiata sarà possibile rilevare con esattezza l'abbondanza e la distribuzione del ghiaccio. Nonostante sia il corpo celeste più studiato e l'unico su cui l'uomo abbia messo piede, la Luna è un oggetto ancora molto poco conosciuto, soprattutto dal punto di vista della sua struttura e composizione, elementi chiave per poter capire quale sia stata la sua origine. La teoria al riguardo più accettata è quella secondo cui quando la Terra, circa quattro miliardi di anni fa, aveva quasi concluso il suo processo di formazione, subì l'impatto di un corpo planetario con dimensioni e massa paragonabili a quelle di Marte. In seguito a questa spaventosa collisione fu eiettata nello spazio una enorme quantità di materiale silicaceo (principale costituente delle rocce), che si dispose in un anello in orbita attorno alla Terra per poi aggregarsi e formare quello che sarebbe diventato il nostro satellite, la Luna. Naturalmente la scoperta del ghiaccio d'acqua nelle regioni lunari intorno ai poli rende più rosee le prospettive di una eventuale futura colonizzazione. L'acqua, infatti, oltre ad essere fondamentale per la vita, può essere utilizzata per estrarre idrogeno e ossigeno, elementi cruciali per la produzione di energia e per la quasi autonoma sopravvivenza di una forse non tanto remota colonia di pionieri spaziali: la Luna sarebbe infatti un'ottima base per collocarvi telescopi, radiotelescopi e laboratori scientifici di vario tipo. Mario Di Martino Osservatorio astronomico di Torino


SCIENZE FISICHE. ASTRONOMIA Ecco il Sole nero alle Antille Due spedizioni italiane per l'eclisse totale
Autore: PRESTINENZA LUIGI

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: LAMBERTI CORRADO, FERRERI WALTER, REGGE TULLIO, ROMANO GIULIANO
LUOGHI: ITALIA

LA splendida eclissi solare del 26 febbraio è stata osservata, alle Piccole Antille, da due gruppi di appassionati italiani: uno organizzato dalla rivista "l'astronomia" e dal suo direttore Corrado Lamberti, e uno della Scuola di Astronomia Zagar di Torino, condotto da Walter Ferreri, direttore della rivista "Orione". Nell'insieme più di 200 astrofili, compresi quelli che si trovavano già sull'isola di Antigua, scelta da tutti come base: anche da tre astronomi professionisti, Cecchini e Serra dell'Osservatorio di Bologna e il romeno Popa, impegnati in una ricerca sperimentale sul flusso dei neutrini solari. C'erano pure il fisico Tullio Regge, l'archeoastronomo Giuliano Romano, l'attrezzatissimo gruppo di Tradate, con Guaita e Crippa. La lunga e sottile "pennellata" dell'ombra lunare sulla superficie terrestre correva dall'Oceano Pacifico all'Atlantico, la durata massima della totalità si aggirava sui 4 minuti, ma alle Antille era già minore, senza contare che la linea centrale passava per l'ampio braccio di mare tra Antigua e Guadalupa. Cielo sereno e limpido, pur con nubi vicine; e come sempre eccezionale lo spettacolo della totalità, preceduta dalle "ombre volanti", colte al volo da Roberto Cogliati e dall'onbra cupa della Luna, filmata da Piermario Ardizio. Due minuti e 40 secondi per ammirare i "grani di Baily", il lembo della fotosfera, la piumosa "corona". Accanto al Sole eclissato, nella notte caduta sul radioso paesaggio dei Tropici, due astri brillanti: i pianeti Mercurio (sopra) e Giove (sotto). Nel corso dell'eclisse la temperatura è scesa di ben 7 gradi. Il prossimo appuntamento è per l'11 agosto 1999, in una striscia di Europa, dalla Cornovaglia al Mar Nero. Luigi Prestinenza


SCIENZE FISICHE. PER L'UOMO DI SIMILAUN Fibre ottiche e luce fredda Adottate nel nuovo museo archeologico di Bolzano
Autore: RAVIZZA ANTONIO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, ARCHEOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, BOLZANO (BZ)

AL nuovo museo archeologico di Bolzano è di scena l'uomo di Similaun. La preziosa mummia, sigillata in una cella supertecnologica nella quale sono state riprodotte le condizioni del ghiacciaio in cui il corpo del nostro antenato ha dormito per oltre 5000 anni (6 gradi sottozero, umidità 100 per 100), può essere osservata attraverso un piccolo oblò. La decisione di esporre al pubblico l'uomo di Similaun, piuttosto che consentirne la visione ai soli studiosi, non è stata facile. Uno dei più ardui problemi che si sono dovuti affrontare è stato quello dell'illuminazione. Qualsiasi lampada avrebbe prodotto calore che avrebbe rapidamente deteriorato le condizioni della mummia. La soluzione è stata fornita dalle fibre ottiche. Le fibre ottiche in vetro, biossido di silicio puro, trasportano la luce ma non i raggi infrarossi (quelli che percepiamo come calore) nè i raggi ultravioletti, dannosi per i tessuti del corpo umano. Sono costituite da una sottilissima "anima" di vetro ad altissimo rendimento all'interno di una guaina anch'essa di vetro ma con un indice di rifrazione più alto di quello del filo interno. Per questo motivo la luce non si disperde lateralmente ma percorre tutta la lunghezza dell'anima fino a uscire all'altro capo. Raggruppando più fibre ottiche è possibile ottenere veri e propri " condotti" di luce. In un cavo della misura minima, 1,3 millimetri, sono contenute 400 fibre ottiche da 50 micron immerse in una speciale resina; quello della misura massima, 6 millimetri, ne contiene 10 mila. E si tratta di luce purissima proprio perché priva di radiazioni estranee con un "indice di resa cromatica" del cento per cento. La luce trasportata dalle fibre ottiche viene prodotta da un apparecchio chiamato illuminatore costituito essenzialmente da una lampada dicroica munita di una parabola che concentra la luce sul cavo (o su un fascio di cavi) di fibre ottiche mentre il calore viene scaricato all'indietro (un ventilatore si incarica di disperderlo). La luce che esce all'altro capo del cavo è assolutamente fredda; infatti non è generata direttamente da una lampadina ma è la stessa luce prodotta dalla lontana lampadina dell'illuminatore che scaturisce come per magia dall'estremità del cavo. Fino al 1986 le fibre ottiche erano utilizzate esclusivamente nelle telecomunicazioni e nelle apparecchiature medicali. L'idea di utilizzarle per l'illuminazione nacque in occasione dell'inaugurazione del rinnovato museo archeologico di Torino quando l'allora direttrice decise di tenere nelle cantine alcuni degli oggetti più delicati per timore che potessero essere danneggiati dalla luce e dal calore delle lampade. Fu allora che Carlo Albano e Pier Enrico Gurlino, titolari dell'azienda incaricata dell'illuminazione del museo, cominciarono a pensare a un sistema alternativo. Acquistato "a prezzo folle" un apparecchio medico a fibre ottiche, del tipo usato per esplorare l'interno del corpo, lo smontarono e ne ricavarono il prototipo di quello che hanno poi chiamato F.O.M. ossia Fiber Optic Museum, primi in Europa "e probabilmente nel mondo" a usare le fibre ottiche in questo nuovo campo. Nell'87 furono attrezzate con il nuovo sistema alcune parti del Museo Egizio di Torino e da allora la Ilti Luce, creata da Gurlino e Albano, è stata chiamata a illuminare tutte le più preziose opere d'arte e di antiquariato esposte in Italia e all'estero: dal "codice Hammer" di Leonardo quando fu presentato qualche anno fa a Venezia dopo che era stato acquistato da Bill Gates, alla teca della Sindone poi andata distrutta nell'incendio della cappella del Guarini, dai disegni di Gaudenzio Ferrari all'Accademia Albertina di Torino all'importante museo diocesano di Trento, ai tesori del Vaticano esposti a Denver, ai Tintoretto dell'Accademia di Venezia. L'impianto per l'uomo di Similaun era particolarmente delicato; per due anni è stato sperimentato nei sotterranei dell'ospedale di Merano dove, nel prototipo di cella che sarebbe poi stata costruita al nuovo museo archeologico di Bolzano, è stata posta una mummia-cavia (quella di un cittadino austriaco che, morendo, aveva lasciato il proprio corpo a disposizione della scienza, pratica sconosciuta da noi ma abbastanza frequente in alcuni Paesi europei). La cella definitiva è dotata di cinque punti luce costituiti da altrettanti cavi di fibre da 6 millimetri che non illuminano la mummia con luce diretta ma sono rivolti verso il soffitto in acciaio inossidabile dal quale la luce è riflessa verso il basso; un identico impianto è stato montato in una attigua cella "di soccorso" del tutto identica costruita per ricoverarvi la mummia nel caso in cui vi fosse un'avaria pericolosa in quella principale. Vittorio Ravizza


SCAFFALE Foniz Cinzia, Franceschetti Cecilia: "L'isola di Ustica e la sua riserva marina", Franco Muzzio Editore
AUTORE: R_SCA
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Per andare in vacanza informati, una guida ai parchi dell'isola di Ustica, compresi quelli sottomarini, con ricchi fondali, grotte costiere, acque pulite, con itinerari a piedi, subacquei di superficie e con bombole, percorsi in barca. Unico esempio di isola interamente protetta, fino a tre miglia dalle coste. L'isola al centro del Tirreno meridionale - che fu una colonia penale dal tempo dei Borboni fino al 1961 - si trova 36 miglia a Nord della costa siciliana, è estesa per poco meno di nove chilometri quadrati ed ha la costa meridionale ornata dai tipici basalti colonnari; nell'interno, macchia mediterranea, il fortino della Falconiera, resti di abitazioni preistoriche, una necropoli tardo romana. Si raggiunge solo via mare da Napoli, Palermo e Trapani.


CHECK-UP DA 70 MILIONI DI DOLLARI Gli shuttle fanno il tagliando Tutta la loro tecnologia verrà ringiovanita
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA
TABELLE: D. Il «VentureStar»

A 17 anni dal primo lancio, lo Space Shuttle mostra i segni dell'età. Il problema non è l'usura, ma l'invecchiamento tecnologico di alcuni sistemi di bordo, progettati nei primi Anni 70 e ormai superati. Anche se un po' datate, le quattro navette della Nasa godono di buona salute. E hanno ancora tutta una vita davanti. Costruite per svolgere più di cento missioni, sono lontane da questo traguardo: Columbia, la veterana della flotta, è appena a quota 24. Nessuno sa dire al momento per quanti anni ancora gli Shuttle resteranno in servizio. E' in progetto una navetta di nuova generazione: VentureStar. Il prototipo in scala compirà alcuni voli suborbitali a partire dal prossimo anno. Ma questa fantascientifica astronave, pilotata interamente dai computer e perciò capace di volare indifferentemente con o senza uomini a bordo, non sarà disponibile prima del 2005. Salvo intoppi. In attesa del VentureStar, la Nasa ha dato così il via a un importante programma di aggiornamento degli Shuttle. A novembre la navetta Atlantis è tornata nello stesso stabilimento di Palmdale, in California, da cui era uscita 12 anni prima. In nove mesi i tecnici della Boeing la sottoporranno a una revisione completa. Un esame approfondito alla ricerca delle più piccole tracce di fatica del metallo dopo venti missioni nello spazio e più di 96 milioni di chilometri percorsi in qualcosa come 2400 orbite attorno alla Terra. In occasione di questo check- up, del costo di 70 milioni di dollari, Atlantis subirà più di cento modifiche. Molti miglioramenti riguardano l'avionica, cioè l'elettronica di bordo, ormai obsoleta. Dalla cabina di pilotaggio sono stati tolti gli strumenti, ancora di tipo tradizionale: verranno sostituiti da schermi a colori multifunzione. Saranno adottati data bus a fibre ottiche, mentre per la navigazione alle piattaforme inerziali si affiancherà il Gps, che impiega una costellazione di satelliti in orbita a 20 mila chilometri dalla Terra. Altri interventi riguardano il rivestimento che protegge lo Shuttle dal calore durante il rientro nell'atmosfera, gli impianti idraulici e i generatori di potenza. Il sistema di raffreddamento e il bordo d'attacco delle ali verranno resi più resistenti: una misura precauzionale legata al rischio di collisione con detriti in orbita. Le stesse modifiche verranno poi estese agli altri tre Shuttle: Columbia, Discovery, Endeavour. Proprio quest'ultima navetta ha tenuto a battesimo lo scorso gennaio una nuova e più avanzata versione dei motori principali a idrogeno e ossigeno liquidi. Grazie a numerose modifiche a pompe, iniettori, valvole e sistema di controllo, è aumentata l'affidabilità e si sono ridotti i costi di manutenzione. Anche il grande serbatoio esterno del propellente è stato completamente riprogettato. Ricorrendo a una nuova lega alluminio-litio, il peso è diminuito di 3,7 tonnellate: un risparmio che permetterà di aumentare il carico utile della navetta. Il primo lancio con questo serbatoio ultraleggero è previsto a maggio con la missione STS-91. Questo è il futuro immediato. Ma per dare una nuova giovinezza allo Shuttle, c'è chi pensa a una soluzione quanto meno rivoluzionaria. La Nasa ha commissionato a Boeing e Lockheed Martin lo studio di razzi a combustibile liquido, muniti di ali, che dovrebbero prendere il posto dei due booster a propellente solido. Una volta esaurita la spinta, scenderebbero in volo planato per atterrare automaticamente sulla pista del Kennedy Space Center, guidati da terra o da un computer a bordo. Al vantaggio di essere riutilizzabili, si aggiungerebbe quello di poter regolare la spinta dei motori durante l'ascesa, cosa impossibile con i razzi a propellente solido. Secondo la Nasa questi nuovi booster permetterebbero di risparmiare circa 500 milioni di dollari l'anno. Per realizzarli, però, occorrono investimenti ingenti e una decisione definitiva non verrà presa probabilmente prima del 2002. Allora si dovrebbero avere indicazioni più precise sul futuro del progetto VentureStar. Anche se per la Nasa si tratta di due programmi diversi e indipendenti, la sensazione è che una scelta a favore dei booster riutilizzabili a propellente liquido potrebbe venire proprio da eventuali ritardi o problemi del VentureStar. Viceversa, se questa navetta dovesse nascere nei tempi previsti e centrare l'obiettivo di tagliare del 90 per cento gli attuali costi di lancio, per lo Shuttle potrebbe profilarsi il pensionamento anticipato. Giancarlo Riolfo


SCIENZE A SCUOLA. A BRESCIA In mostra i disastri ambientali
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, DIDATTICA
ORGANIZZAZIONI: MUSEO DI SCIENZE NATURALI
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, BRESCIA (BS)

SI chiamano tectiti. Secondo molti astronomi sono pietre che vengono dalla Luna. Circa un milione di anni fa un piccolo asteroide si sarebbe schiantato sul nostro satellite e nell'impatto avrebbe proiettato nello spazio rocce lunari ad altissima velocità. Una parte di queste rocce, avendo superato la velocità di fuga della Luna, sarebbero sfuggite all'attrazione gravitazionale del nostro satellite e sarebbero precipitate sulla Terra. In effetti in vari continenti (Africa, Asia, Europa, America) si trovano strane meteoriti dalla forma a goccia, di aspetto vetroso. Le tectiti, appunto. E benché non tutti gli studiosi siano d'accordo sulla loro origine extraterrestre, la teoria della provenienza lunare ha buone radici. Bene: una eccezionale collezione di ben 35 tectiti fa parte del patrimonio del Museo di Scienze Naturali di Brescia. Non foss'altro che per questo, varrebbe la pena di mettere in programma una visita. Di colore scuro, grandi come un torsolo di mela, con una spiccata forma aerodinamica, queste tectiti, che sono state raccolte in Thailandia, Cambogia e Vietnam, le potete ammirare nella prima sala, all'inizio di un itinerario che vi porterà poi nel mondo dei minerali (molto curiosi quelli che diventano fluorescenti se illuminati con raggi ultravioletti: autunnite del Portogallo, aragonite della Sicilia, scopolite del Canada e franklinite del New Jersey) e successivamente in una serie di sale dedicate alla paleoantropologia, alla zoologia e a varie nicchie ecologiche, spesso legate al Bresciano, o tutt'al più all'ambiente alpino e mediterraneo. Nelle vetrine potrete ammirare, tra l'altro, alcune specie estinte che un tempo era possibile incontrare sul nostro territorio, come il gatto selvatico o come la lince (il cui ultimo esemplare è documentato nel 1915). Sotto l'aspetto didattico- espositivo il museo civico di scienze naturali di Brescia è del tipo più tradizionale. Nulla di interattivo per coinvolgere il visitatore, brevi testi illustrativi, puntuali ma convenzionali, concepiti come didascalie, percorso senza un preciso filo conduttore. Ci sono sale e aule per conferenze, c'è una buona biblioteca scientifica. Ma l'insieme è alquanto datato rispetto alle più moderne idee museali. Questo quadro però è in piena evoluzione per iniziativa del nuovo direttore, Marco Tonon, giunto pochi mesi fa. Le vetrine scompariranno, i reperti troveranno una nuova collocazione, si adotteranno tecniche inter attive e moderni sistemi di comunicazione per incuriosire il visitatore e rendere più divertente il processo di apprendimento. "Questo museo - spiega Tonon - è ancora concepito come un libro tridimensionale: le illustrazioni dei libri di storia naturale qui sono oggetti, ma la sostanza non cambia. Oggi invece un museo si distingue soprattutto per la sua tecnica di comunicazione. E anche per la sua scelta di campo: il discorso di un museo non deve, e forse non può, essere neutrale. Il museo deve interpellare il suo visitatore, divertirlo, ma anche porgli dei problemi. Indurlo in qualche modo a rifare il cammino della ricerca scientifica di cui presenta i risultati". Un primo segnale di rinnovamento ce lo dà una mostra temporanea intitolata "3001 La nuova Odissea". Importata dalla Valle d'Aosta, consiste in un percorso fotografico curato da Patrizia Nuvolari per documentare i grandi disastri ambientali del nostro tempo: la Guerra del Golfo con i pozzi di petrolio in fiamme e un cielo nero di fumi che oscurano il Sole, inquinamento atmosferico in Siberia, contaminazione radioattiva a Cernobil, intossicazione da mercurio in Giappone, piogge acide in Germania, distruzione atomica a Hiroshima. Museo civico di scienze na turali, Brescia, via Ozanam 4, orario 9-12 e 14-16 dal lunedì al venerdì, ingresso libero. Telefono 030-297.86.72. Mostra "3001 La nuova Odissea", immagini e parole tessute da Patrizia Nuvolari, inaugurata il 6 marzo, aperta fino al 5 aprile tutti i giorni dalle 10 alle 18. Piero Bianucci


INQUINAMENTO LUMINOSO Lampi in cielo Non sono Ufo...
Autore: BARONI SANDRO

ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

DA qualche tempo si osservano in cielo dei flash luminosi, prevedibili con estrema precisione nel tempo e nel luogo di comparsa, che possono essere confusi con bellissime stelle cadenti (meteore) o con dei bolidi. Che cosa sono in realtà questi lampi misteriosi? La loro origine è artificiale: i flash sono causati dai pannelli molto riflettenti di una costellazione di 66 satelliti chiamati Iridium, che girano tra i 500 e i 780 chilometri di altezza e che tra breve permetteranno il servizio di telefonia cellulare su scala planetaria. I satelliti Iridium sono invisibili anche quando sono colpiti dalla luce del Sole, ma se ad essere illuminati sono i pannelli-antenna, coperti da uno strato di plastica molto riflettente, allora abbiamo il flash, in quanto il satellite è in rotazione continua e riflette il Sole sulla Terra in punti diversi e in modalità diversa in relazione all'angolo che il pannello presenta con la superficie terrestre. Così ad un tratto il nostro occhio viene "chiamato" dall'apparire di una luce, proprio come fanno le stelle cadenti; ma nel caso degli Iridium, dal momento che appare, la luce aumenta velocemente, raggiunge il massimo e poi sparisce nell'arco di una decina di secondi. La magnitudine visuale può essere eccezionale: sino o più di -9, la luminosità della Luna al primo quarto; mediamente i flash sono luminosi quanto Sirio o tanto quanto Venere alle sue massime elongazioni. Abbiamo dunque un nuovo inquinamento luminoso, seppure contenuto e di brevissima durata. Un programma astronomico, d'ora in poi, deve tenere conto degli "Iridium Flash": altrimenti una foto o uno spettro verrebbero distrutti se colpiti da questi lampi di luce. I passaggi dei satelliti Iridium sono prevedibili con estrema precisione: basta vedere il sito Internet: http://www2.plasma.mpe-garching.mpg. de/sat/vsohp/satintro.html. Sandro Baroni


SCAFFALE Leigheb Maurizio: "Lo sguardo del viaggiatore, Vita e opere di Guido Boggiani", Interlinea Edizioni Novara
AUTORE: R_SCA
ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

DUE storie in una: l'avventurosa vicenda dell'esploratore, etnologo e pittore novarese Guido Boggiani (1861-1901), ucciso nel Chaco in Paraguay, al confine con la Bolivia, da una tribù di Chamacoco, e un ritratto degli indios Caduvei, celebri già cent'anni fa per le pitture corporali, portate ad un estremo livello di raffinatezza. Leigheb, giornalista e scrittore pure novarese, in giro per il mondo da oltre trent'anni, ha riscostruito puntigliosamente le vicende del conterraneo (che fu anche amico di D'Annunzio), e le cui collezioni sono sparse in musei di mezza Europa. "In linea con i più attuali orientamenti antropologici e museografici - scrive Leigheb - la ricerca si inserisce anche nel contesto di un'operazione culturale volta alla "rempatriation", cioè alla restituzione agli indigeni della loro memoria storica e culturale, usurpata e in buona parte perduta... Per questo nell'85 un giovane indio Caduveo è venuto in Italia per conoscere le opere e le collezioni di Boggiani e quindi il proprio passato".


SCAFFALE Lolli Alberto, Zocchetta Mauro, Peretti Renzo: "Struttura uomo, Manuale di anatomia artistica", Neri Pozza Editore
AUTORE: R_SCA
ARGOMENTI: BIOLOGIA, DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

La straordinaria architettura del corpo umano, ossa e muscoli, è oggetto di una meticolosa ricostruzione grafica, per uso artistico e didattico. Opera insolita e molto accurata, realizzata da due docenti di anatomia artistica e da un pittore scultore, con sezioni e viste d'insieme, descrizioni delle sollecitazioni cui sono sottoposte le diverse articolazioni e come siano legate e incernierate le diverse parti che le compongono. "E anche l'analisi - scrivono gli autori - dei valori plastici del corpo e su come la contrazione di un gruppo di fasce muscolari modifichi nella forma e nel volume la regione interessata".


SCAFFALE Lorenz Konrad: "Vorrei diventare un'oca", autobiografia e la conferenza del Nobel, a cura di Elena e Enrico Alleva, e "Konrad Lorenz e il nazismo", di Gianni Moriani. Muzzio Ed.
AUTORE: R_SCA
ARGOMENTI: ETOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Ancora notizie su Lorenz (1903-1989), padre dell'etologia, premio Nobel per la medicina nel 1973, che cominciò a interessarsi di animali ancor prima di imparare a leggere, quando, da bambino, gli fu regalata dal padre una salamandra maculata. Dopo che ebbe finalmente alcune anatre scoprì il processo di imprinting. (r. sca. )


SCAFFALE Luvino Alfredo: "Il dono del Nilo", introduzione alla civiltà dei faraoni, Ananke Editore Torino
AUTORE: R_SCA
ARGOMENTI: ARCHEOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA

Sulla scia dell'interesse per l'antico Egitto, un saggio divulgativo su storia, letteratura, scrittura, religione, arte e vita quotidiana, scritto da Alfredo Luvino, già allievo di Silvio Curto, ex direttore del Museo Egizio di Torino. Un testo chiaro e documentato, su una delle più affascinanti storie di tutti i tempi, lunga tre millenni, con una chiara cronologia e una ricca bibliografia.


SCIENZE DELLA VITA. PIANTE MANGIAMETALLI Metabolizzano piombo e cadmio
Autore: BOCCALETTI MASSIMO

ARGOMENTI: BOTANICA
ORGANIZZAZIONI: INRA INSTITUT NATIONAL DE LA RECHERCHE AGRICOLE, ECOLOGIA DELLA SALUTE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

ESISTE il Doc. Ma in futuro esisterà forse anche il Dac, ossia la " Denominazione di ambiente controllato", ambito marchio di qualità che verrà attribuito alle aree bonificate da inquinanti come gas, metalli pesanti e fumi di scarico. E non finisce qui. Con il "Dac" verranno etichettati anche i prodotti agro-alimentari che nell'area hanno origine e contribuiscono a darle lustro e ricchezza. Il pensiero corre immediatamente a zone vitivinicole come il Chianti e il Roero, a quelle autentiche miniere d'oro che sono le zone di produzione del Grana Padano o del prosciutto di San Daniele Ad accentuare la qualità dell'area e del più o meno celebre prodotto, sia vino, formaggio, salume, o più semplicemente, della vita di chi abita in tali zone, sarà probabilmente un sistema di piante " metalchelanti" capaci cioè di metabolizzare metalli pesanti (Hm) come piombo, cadmio, nichel, presenti nelle zone inquinate. A questo proposito, l'Institut National de la Recherche Agricole (Inra) francese ha effettuato un'indagine che non può lasciare indifferenti, soprattutto se si considera che gli Hm interagiscono con l'informazione genetica producendo mutazioni (leggi cancro) ed alterazioni cromosomiche. Esaminando il contenuto di piombo di una serie di vini (tra cui il celebre "Chateauneuf-du-Pape") attorno a Montpellier, l'Inra ha infatti osservato che esso era tanto maggiore quanto più vicine le vigne ai grandi sistemi viari, agli svincoli autostradali e agli agglomerati produttivi. Il Sistema di guardie verdi (Green guard system) basato sulla diffusione delle piante " mangiametalli" e messo a punto da "Biologie Tecnoambientali", società operante in collegamento con l'Università di Parma in un progetto pilota del ministero dell'Ambiente, ha preso le mosse dal comportamento di alcune piante che, vivendo nei pressi delle miniere, si sono, per così dire, "attrezzate per sopravvivere". "In esse i metalli non vengono semplicemente assorbiti dalla superficie fogliare - spiegano alla Biotecnologie Tecnoambientali - ma segregati nelle cellule tramite associazione alle fitochelatine, polipeptidi capaci di formare complessi molecolari con ioni di Hm senza interferire nei processi metabolici o enzimatici. Noi non facciamo che eccitare questa risposta con una procedura di fitostimolazione che imita quella naturale". "E quanto essenziale sia che tali piante si diffondano, basta considerare che la contaminazione da Hm ha ormai reso le città, i sistemi viari, i poli industriali ed artigianali sempre di più simili a miniere" sottolineano al Circolo "Ecologia della salute" di Luserna S. Giovanni (tel. 0121/954.003) che si batte per la loro adozione. Attualmente il "Green guard system" è già in funzione a Parma e a Salsomaggiore, mentre altre celebri località termali stanno studiando la possibilità di creare giardini di piante " metalchelanti" (tra le altre specie utilizzabili ricordiamo le azalee, le camelie, i gerani, i giacinti, gli oleandri e i rododendri), per offrire alla clientela, oltre alle solite cure e alle bellezze del panorama, la possibilità di "respirare veramente un'altra aria". Massimo Boccaletti


SCIENZE DELLA VITA. RICERCHE A TORINO Monitorati i colpi di tosse Tanti tipi, tante malattie diverse
Autore: DALMASSO FILIPPO, RIGHINI GIUSEPPE

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LO STUDIO DELLA TOSSE
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
TABELLE: T. Diversi colpi di tosse monitorari

IN due recenti incontri, il congresso dell'Associazione italiana per lo studio della tosse (Bologna, 6-7 febbraio) e il Corso di acustica respiratoria tenutosi presso la Divisione di pneumologia dell'ospedale Mauriziano di Torino (13-14 febbraio), la tosse è stata al centro dell'attenzione. La tosse è un meccanismo fondamentale nella difesa delle vie aeree ed è un importante sintomo di molte malattie polmonari e delle vie aeree superiori. Essa inizia con un atto inspiratorio profondo, chiusura della glottide, rapida esplosione dell'aria con brusca apertura della glottide ad opera della contrazione dei muscoli toracici e addominali; le differenze pressorie determinano una brusca espulsione di aria e la generazione del rumore. Le cause principali di tosse cronica, segno del mutato tipo di malattia, sono: la sindrome rino-sinuso-bronchiale (41%), l'asma (24%), il reflusso gastro-esofageo (21%), la bronchite cronica (5%), le bronchiectasie (4%). Inoltre la tosse è il solo segno evidente di asma nel 28% dei casi e di reflusso gastro-esofageo nel 43%. Eppure ancora oggi la tosse è etichettata nei testi di semiologia con termini qualitativi, imprecisi, non quantitativi. Ma la tosse può essere misurata e monitorata? Indubbiamente sì. Questo concetto è stato ribadito dalla Scuola di acustica respiratoria dell'ospedale Mauriziano " Umberto I" di Torino con tecniche di registrazione e di elaborazione del segnale. Ai tanti attributi usati per caratterizzare la tosse corrispondono delle caratteristiche acustiche in parte legate al soggetto, in parte intrinseche al tipo di tosse e quindi potenzialmente significative della patologia. L'approccio metodologico è derivato da quello usato per il riconoscimento del parlato e del parlatore. Le possibilità offerte dalle nuove tecniche d'analisi, basate sull'uso del computer e su programmi dedicati con "card-audio" per l'acquisizione e la riproduzione del segnale in contemporanea, hanno trovato interessanti applicazioni in campo medico, e in particolare nel Laboratorio di fisiopatologia respiratoria. La predilezione deriva dal fatto che è implicato lo stesso apparato preposto alla fonazione, a partire dalle vie aeree periferiche, centrali e attraverso le vie aeree superiori fino al condotto vocale; anche le metodologie sviluppate per lo studio della parola sono trasferibili in campo clinico. Nelle figure sono riportati i risultati dell'analisi dei colpi di tosse di pazienti con diverse patologie. Nella figura 1 vediamo la tosse di un paziente affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva; nella figura 2 da fibrosi interstiziale criptogenica; nella figura 3 di tosse dovuta all'uso di farmaci antiipertensivi (Ace inibitori). In ognuna delle figure la traccia superiore rappresenta l'andamento nel tempo dell'intensità sonora del colpo di tosse; l'ampia traccia intermedia rappresenta la corrispondente evoluzione dello spettro di frequenza; le due tracce inferiori sono relative rispettivamente alla forma d'onda (a sinistra) e allo spettro in un istante ben determinato (a destra). Le differenze rilevabili anche all'ascolto sono molto evidenti, meno immediata è l'interpretazione, specie dal punto di vista clinico. I tracciati risultano, ad un tempo, caratteristici del paziente e della patologia in atto. Lo studio trasversale risulta per questa ragione più arduo e richiede un " Data Base" di riferimento molto allargato e anche molto preciso nei confronti delle patologie di riferimento. Lo studio longitudinale, dell'evoluzione della patologia in un determinato paziente, è molto più agevole e foriero di dati e di maggiore interesse clinico; questo costituisce il monitoraggio a lungo termine (8-24 h). Esso trova numerose applicazioni in campo clinico consentendo di valutare: l'effetto di un farmaco antitosse; l'intensità della tosse durante la notte; la tosse come mezzo diagnostico dell'asma; la tosse come mezzo diagnostico del reflusso gastroesofageo; la tosse come indice di infettività. Il computer analizza la registrazione della tosse fatta al letto del paziente con microfono in miniatura posto a 50-60 cm dal soggetto, utilizzando un apposito trigger acustico. L'analisi effettuata sulla tosse rilevata in laboratorio, o durante il monitoraggio si avvale di parametri importanti per la sua quantizzazione, in gran parte standardizzati: nel dominio del tempo, il pattern globale del colpo di tosse (a 2 o 3 fasi), il numero dei colpi di tosse, la durata totale del colpo di tosse o delle singole componenti; nel dominio delle frequenze, l'andamento del pattern spettrale e i valori percentuali del contenuto energetico dello spettro. Filiberto Dalmasso Giuseppe Righini


SCIENZE FISICHE. LANCIATO "HOT BIRD 4" Tv dallo spazio cresce Eutelsat
Autore: A_VI

ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TELEVISIONE
ORGANIZZAZIONI: HOT BIRD 4, EUTELSAT
LUOGHI: ITALIA

A fine febbraio, dalla base spaziale di Kourou, Guyana francese, è stato lanciato con successo "Hot Bird 4", il nuovo satellite per televisione del consorzio Eutelsat. Il vettore Ariane V106 è partito in perfetto orario (generalmente c'è sempre qualche ritardo per motivi tecnici o meteorologici) e il satellite è già sotto il controllo del Centro nazionale di studi spaziali di Tolosa. Qualche giorno per perfezionare la collocazione sull'orbita geostazionaria a 13o Est e per dispiegare i pannelli solari, quindi le prove tecniche di trasmissione. Il satellite sarà pienamente operativo a fine marzo. Hot Bird 4 è l'undicesimo satellite della flotta Eutelsat che, nella posizione 13o Est conta già 4 Eutelsat II e 3 Eutelsat I (utilizzati soprattutto per servizi di telefonia, trasmissione dati e comunicazioni per mezzi mobili) nonché i 3 satelliti Hot Bird 1, 2 e 3 (incaricati delle trasmissioni televisive e radiofoniche). Hot Bird 4 possiede 20 transponder che vanno ad aggiungersi ai 72 già in funzione su questo polo, per un totale di 240 canali televisivi e 120 radiofonici. Dai satelliti Hot Bird trasmettono anche i canali italiani Rai, Raisat, Mediaset, Telepiù con il suo bouquet di canali tematici e Telemontecarlo. Le trasmissioni avvengono per l'80% in digitale e il resto in analogico (cioè gratuitamente). L'utenza raggiunta è di 65 milioni di famiglie in tutta Europa, delle quali oltre un milione in Italia. Entro il 1998 Eutelsat ha in programma il lancio di altri 4 satelliti (con un investimento di circa 1400 miliardi di lire) che farà salire a 228 il totale dei ripetitori in funzione. I nuovi 108 ripetitori verranno utilizzati per l'espanzione dei servizi satellitari di televisione digitale e business communications e per l'avvio di nuove applicazioni nella multimedialtà e nella telefonia. La copertura dei satelliti Eutelsat verrà estesa a nuovi mercati come la Russia, l'Africa e l'Asia. (a. vi.)


SCIENZE A SCUOLA. ANNIVERSARI: CAMILLO GOLGI Uno scienziato a lume di candela Ebbe il premio Nobel per la medicina nel 1906
AUTORE: PATERLINI MARTA
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, MEDICINA E FISIOLOGIA
PERSONE: GOGLI CAMILLO
NOMI: GOGLI CAMILLO
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA

SONO felice di avere trovato una nuova reazione per dimostrare anche agli orbi le strutture dello stroma interstiziale della corteccia cerebrale". Così Camillo Golgi commentava nel 1873 la scoperta della rea zione nera, che gli permise di evidenziare in tutta la sua complessità la morfologia della cellula nervosa e l'architettura del tessuto cerebrale. Per questo il giovane medico delle "Pie Case degli Incurabili" di Abbiategrasso, nato a Corteno, un piccolo paese della Valle Camonica, avrebbe vinto il premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1906. Un premio che, a differenza di quelli successivi di Luria, Dulbecco e Levi Montalcini, è nato e cresciuto unicamente in Italia. A soli 16 anni Golgi intraprende gli studi di medicina, seguendo le orme paterne, e già allora comincia a delinearsi il suo forte orientamento verso la biologia sotto la supervisione di Cesare Lombroso. La Patologia Cellulare (1858) di Virchow e l'eccellente livello culturale dell'Università di Pavia, dove Spallanzani aveva gettato le fondamenta della microbiologia, ispirarono il lavoro di Golgi, già introdotto alla istologia e alla biologia cellulare da Bizzozzero. Eppure pochi conoscono Camillo Golgi, nonostante i numerosi riconoscimenti di prestigio che raccolse e l'indubbio apporto che diede alla scienza. Sua è anche l'individuazione dell'organello cellulare che ne porta il nome - l'apparato di Golgi - e che rappresenta una tappa fondamentale nella vita delle proteine e di conseguenza degli organismi viventi. Durante gli innumerevoli tentativi di colorare le cellule nervose, egli notò una struttura che circondava il nucleo cellulare. La prima pubblicazione su questa scoperta risale esattamente a 100 anni fa, 1898, quando per la prima volta Golgi parlò di ap parato reticolare interno: una struttura che innescò 50 anni di accese discussioni, forse non ancora del tutto concluse: si tratta effettivamente di un organello cellulare in piena regola o piuttosto di un artefatto? La diatriba nasceva dal fatto che il Golgi non era visibile nelle cellule vive e la sua individuazione dipendeva dal capriccioso metodo di colorazione, difficile da riprodurre. Molto spesso le controversie scientifiche si risolvono con l'avvento di nuove tecniche che si sviluppano via via, come in questo caso prima con la microscopia elettronica, e poi con l'enzimologia, l'autoradiografia e il Dna ricombinante. Per sedare la disputa, infatti, si è dovuto aspettare l'introduzione del microscopio elettronico a partire dagli Anni 60, quando effettivamente si comincia a fare chiarezza sul Golgi, una struttura costituita da una sorta di cisterne disposte in una o più pile e circondate da una frotta di vescicole. L'apparato è organizzato in una serie di distinti e sequenziali compartimenti: una parte cis, da cui entrano proteine e lipidi, e una parte trans da cui escono selettivamente per varie destinazioni attraverso vescicole fino alla superficie cellulare o attraverso i lisosomi, che degradano le macromolecole. Un fine reticolato intracellulare che detiene il controllo della funzione secretoria e del processo di glicosilazione proteica (l'addizione di zuccheri), passaggi alquanto delicati all'interno della cellula. La storia di Camillo Golgi è una sorta di specchio di quello che accade spesso nella scienza italiana; veniva descritto come l'introverso scienziato che avrebbe messo a frutto gli studi nella buia cucina dell'ospedale in cui era di servizio e, per puro caso, sarebbe incappato nelle sue scoperte. In realtà questa è una storia fuorviante, che cela l'ignoranza diffusa in Italia in ambito scientifico e la marginalizzazione cui Golgi fu costretto. Lo scienziato lavorava in una cucina convertita in laboratorio - che egli stesso definiva "neanche l'embrione di un laboratorio" - lontano dai grandi centri di ricerca, con una strumentazione minima e la maggior parte del lavoro svolto di notte al lume di candela; ma furono la passione e la competenza scientifica a condurre Golgi verso il traguardo. Si smise di considerarlo un pioniere casuale e sprovveduto solo quando il collega Kolliker, principe dell'anatomia di fine '800, fece tradurre in tedesco le pubblicazioni dello scienziato italiano avvicinandolo alla conquista del premio svedese per la fisiologia e la medicina condiviso con lo spagnolo Santiago Ramon y Cajal, suo acerrimo rivale. Ma, anche una volta divenuto senatore del Regno e direttore dell'Università di Pavia, non avrà mai il giusto riconoscimento intellettuale. Interessarsi a Golgi significa scoprire uno squarcio quasi inedito di storia della scienza. Marta Paterlini


AERONAUTICA DEL 2000 Voleremo di nuovo a vista Ma 24 satelliti faranno da bussola ai piloti
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Progetto di controllo satellitare per il «volo libero» degli aerei

PER volare dentro le nubi e atterrare nella nebbia, nell'immediato dopoguerra l'aviazione passava dal volo a vista al volo strumentale. Il trasporto aereo, in cambio di regolarità e puntualità di servizio, rinunciava alla tridimensionale libertà di movimento accettando i percorsi obbligati delle aerovie - le autostrade del cielo tracciate dai radiofari - instradato sui sentieri di discesa e protetto dalle collisioni dai radar di terra. La capienza del sistema, saturata negli anni dagli incrementi di velocità e del numero dei movimenti, rischia oggi il collasso per la straordinaria accelerazione di un traffico di cui si prospetta il raddoppio entro il 2000. L'incubo di aerovie sovraffollate, di piste e piazzali congestionati, e di costosi ritardi in volo e a terra è giustificato dalle cifre: in Europa nel 1996 il 18 per cento di voli in ritardo, oltre al disagio per i passeggeri, ha provocato 3600 miliardi di perdite alle compagnie; ad essi vanno sommati 2800 miliardi di danni per instradamenti a zig-zag lungo una rete aeroviaria disegnata sulle tecnologie degli Anni 50. Per risolvere questo problema il "sistema aviazione" - compagnie di navigazione ed enti di sviluppo del traffico - sta cercando il passaggio dalla rete aeroviaria basata sui radiofari e i controlli di terra - peraltro carenti su alcune regioni oceaniche e desertiche - ad una architettura spaziale, globale e planetaria, che consenta agli aeromobili di volare lungo archi di cerchio massimo ("via recta, brevissima"), in un sistema caratterizzato da rotte libere, con capacità restituita ai piloti di muoversi alla quota più conveniente per ridurre i consumi e sotto separazione autonoma. In uno scenario del genere, caratterizzato da una più economica gestione dello spazio e dei mezzi, per conservare i livelli di protezione oggi garantiti dalle regole del volo strumentale, serve una sorta di "volo a vista elettronico": esso dovrà consentire il passaggio da una separazione strategica basata sul piano di volo e sulle istruzioni dei controlli di terra ad una separazione tattica basata sulla conoscenza in tempo reale da parte dei piloti della posizione reciproca, velocità e traiettoria di tutti gli aerei che si muovono in un vasto intorno di cielo. Gli elementi base per realizzare questo sistema, sinteticamente denominato "free flight", " volo libero", sono già a portata di mano. Per quanto riguarda l'esatta conoscenza del "punto" di navigazione l'avvento del Gps (sistema di posizionamento globale), basato su 24 satelliti americani (Gnss) e russi (Glonass) consente di definire istante per istante col solo ausilio delle riceventi di bordo, posizione, traiettoria degli aerei con la precisione di 100 metri in rotta; e con la precisione di qualche metro negli avvicinamenti finali e negli atterraggi, quando i dati forniti dai satelliti vengono affinati con l'ausilio di riferimenti a terra. A questo mezzo di navigazione, che assicura una guida precisa su ogni parte del globo, vanno associati opportuni sistemi di separazione del traffico e di protezione dalle collisioni. Si tratta di apparati di bordo in avanzato sviluppo o addirittura già esistenti, identificati rispettivamente dagli acronimi Ads-b e Tcas. L'Ads-b (Sistema di trasmissione automatica dipendente) provvede a diffondere in frequenza radio (Vhf) - mediante sistema di comunicazione digitale dati a pacchetto (datalink) - posizione, quota e velocità forniti dal Gps di ciascun aereo sia a tutti gli altri velivoli dotati dello stesso apparato sia alle stazioni di sorveglianza a terra. La portata della trasmissione, grazie ai satelliti di comunicazione, copre enormi distanze. Protetto da questo sistema ogni aereo viene a muoversi al centro di uno spazio virtuale d'allerta: se gli spazi d'allerta di due vettori non interferiscono non esiste conflitto di traffico. Quando un conflitto si manifesta esso viene risolto dai computers di bordo mediante scambio automatico di dati in base ad algoritmi codificati nel software elettronico, che ottimizza il flusso di traffico stabilendo precedenze, accelerazioni e rallentamenti negli incroci e nei sorpassi. Le informazioni sul traffico circostante vengono presentate ai piloti su uno schermo in sovrapposizione ad una mappa mobile del terreno sorvolato e ad altre informazioni di navigazione quali il piano di volo, cartine aeroportuali e bollettini meteo in tempo reale. Nel contesto sopra descritto che ricolloca a bordo degli aerei gran parte delle responsabilità che oggi gravano sugli enti di terra il compito di questi ultimi si concentrerà sulla gestione strategica dei flussi (Atm - Air Traffic Management) e su interventi correttivi di emergenza nel caso che errori di operatori o dei sistemi - di Comunicazione, Navigazione, Sorveglianza (Cns) - mettano a rischio la sicurezza. All'interno dello spazio d'allerta, l'Ads-B, esiste una regione cilindrica di minor raggio (40 chilometri) che rappresenta per l'aereo lo spazio inviolabile di protezione. Esso è generato da un dispositivo già reso obbligatorio sugli aerei di linea americani e che dal 2000 diverrà obbligatorio anche in Europa: si chiama Tcas (Traffic Allert & Collision Avoidance System - Sistema di Allerta ed Anticollisione). Per realizzarlo ogni aereo è dotato di un dispositivo radar in grado di irradiare e di rispondere a segnali codificati. Quando le onde radar provenienti da un aereo raggiungono un altro velivolo dotato del medesimo apparato, oltre a comunicargli i propri dati ne provoca la risposta automatica in termini di parametri di navigazione (posizione, velocità, direzione del volo). Se i cilindri ideali di protezione dei due velivoli si toccano i calcolatori degli apparati fanno sì che in cabina di pilotaggio si originino segnali di pericolo; questi segnali saranno accompagnati da indicazioni visive e acustiche delle necessarie operazioni di scampo, qualora le rotte convergano oltre i limiti prefissati dai programmi. Al di là dei problemi tecnici, l'introduzione del "volo libero" deve risolvere gravi problemi politici ed organizzativi. Mentre non v'è dubbio che la tecnologia e gli investimenti porteranno a rapida soluzione i problemi di armonizzazione tecnica, le diversità geopolitiche ed economiche ed il diverso livello di saturazione degli spazi aerei tra le varie aree continentali ed all'interno di questo lasciano prevedere un passaggio verso il nuovo sistema e con cadenze diverse: in particolare tra Nord America ed Europa. Negli Stati Uniti la "prova generale" del volo libero si inquadra in un programma biennale da 400 milioni di dollari (700 miliardi di lire) che dovrebbe concludersi il 30 settembre del 2000 con la partecipazione di 2000 aerei di tutti i tonnellaggi e le categorie. Esso verrà condotto tra il continente americano e le Hawaii e in Alaska per dimostrare l'applicabilità del sistema sia in rotta che nell'avvicinamento e nell'atterraggio nonché sui movimenti a terra, dal ponte di imbarco al ponte di sbarco dei passeggeri. In base al favorevole esito dell'esperimento l'ammodernamento del sistema americano è previsto entro il 2005. La linea europea è invece caratterizzata da una introduzione più graduale; il completamento è previsto verso il 2015. Mario Bernardi




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