TUTTOSCIENZE 30 settembre 98


PSICOLOGIA Labbra, le parole del silenzio Anche tacendo inviamo messaggi di tipo emotivo
Autore: PACORI MARCO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LE ultime battute della famosa romanza "Nessun dorma" della " Turandot": "Ed il mio bacio scioglierà il si lenzio / che ti fa mia" . Che potere quelle labbra] Eppure, è qualcosa che tutti sappiamo: non c'è niente di più intimo, di più coinvolgente, di più profondo di due labbra che si uniscono in un bacio. Per chi la vive, quest'esperienza resterà sempre una magia; ma la scienza ha scoperto almeno in parte l'alchimia misteriosa e affascinante dell'attrattività della bocca umana. Innanzitutto fra le specie animali quella umana è l'unica a possedere labbra estroflesse, nelle quali sporge anche parte della mucosa. Inoltre, questo tessuto, è l'unico lembo di pelle che abbia un colore diverso dal resto dell'epidermide. Il perché è presto spiegato. Per l'uomo, comunicare è un bisogno primario come respirare o mangiare. Possiamo quindi ritenere che la forma e l'estrema mobilità della bocca siano un frutto della selezione naturale: le labbra hanno un colorito rosato e sono estremamente espressive per assolvere ad una funzione sociale. Uno dei messaggi più importanti della bocca è di natura sessuale. E le labbra delle donne sono generalmente più grandi di quelle del maschio. Ora, a differenza di quanto avviene solitamente per l'uomo, negli altri animali, l'accoppiamento avviene sempre da tergo e la femmina mostra la sua disponibilità all'atto esponendo la natiche e parte delle pareti esterne della vagina. La donna allora avrebbe sviluppato labbra grandi e arrossate per inviare, per analogia, un messaggio erotico; infatti si è verificato che, nel momento in cui una donna è eccitata, le sue labbra aumentano di volume, assumono una tonalità rossa ancora più accentuata e vengono bagnate più di frequente con la lingua. La stessa spiegazione è alla base del motivo per cui le donne colorano le labbra con il rossetto o ne aumentano lo spessore con silicone o collagene. Ma le labbra, oltre ad aumentare di dimensione, possono anche rimpicciolire: è quanto accade nella collera; in quella circostanza osserviamo che le labbra si assottigliano; diventano terree e retratte. Tutte le emozioni sono distinguibili dalla posizione o dalla forma delle labbra (il che ne indica l'importante valore espressivo). Nella paura, sono ritirate e tese negli angoli esterni; nella felicità appaiono aperte, con gli angoli tesi e sollevati; nel disgusto sono sollevate e sotto il labbro inferiore si può notare un rigonfiamento. Per riconoscere la tristezza è sufficiente rilevare la presenza di un tremolio di questi lembi. Quando la persona è triste, inoltre, la bocca appare atonica, cadente e gli angoli sono piegati verso il basso. Louis Corman, uno degli attuali esponenti della fisiognomica, la disciplina che studia i rapporti fra fattezze e carattere, partendo da osservazioni come quelle descritte e restringendo il campo di studio agli aspetti immutabili della morfologia del volto, asserisce che labbra strette, sottili e chiuse sono segno di introversione, riservatezza, diffidenza, avarizia e indisponibilità. Labbra grandi e aperte indicherebbero invece generosità, espansività, sensualità. Che queste correlazioni siano fondate è tutto da verificare (dove la mettiamo l'ereditarietà?). Ma sicuramente Corman ha colto quello che è il senso comune: indipendentemente dal fatto che esistano realmente rapporti come quelli illustrati, noi tendiamo ad attribuire a chi mostra quelle caratteristiche gli stessi attributi di personalità indicati dallo studioso. E' provato sperimentalmente, ad esempio, che è più facile che individui sconosciuti che si trovino nello stesso ambiente inizino una conversazione con chi tiene le labbra socchiuse rispetto a chi le tiene serrate. Uno dei gesti più comuni che facciamo coinvolgendo le labbra è leccarle. Ci passiamo la lingua sulle labbra ogni volta che vediamo o sentiamo qualcosa che giudichiamo gradevole. Quest'azione sarebbe la versione adulta, generalizzata, stilizzata e parziale della suzione del capezzolo di quando si era bambini. In effetti, la sensazione della lingua sulle labbra è molto simile a quella sperimentata succhiando il seno. Leccare, ma anche mordere le labbra, equivarrebbe in altre parole sperimentare un piacere nell'ascoltare o nel vedere un qualcosa paragonabile a quello provato durante l'allattamento. Non sempre leccarsi le labbra ha questo significato. Se il movimento della lingua è un guizzo veloce che percorre il labbro inferiore da un angolo all'altro è segno di uno stato d'ansia. La tensione emotiva è accompagnata da una riduzione della secrezione salivare; per cui, ci umettiamo le labbra perché abbiamo la sensazione di sentirle secche (senza però comprenderne il motivo). Spesso tocchiamo le labbra con le dita. Tenere un dito su di esse, specie se la bocca è dischiusa, assume il valore di gradimento. Quando teniamo il pollice in quella zona però può voler dire che ci sentiamo a disagio o tristi e recuperiamo, almeno in parte, il conforto procuratoci dal succhiarci il pollice. Le donne tendono a mettere il dito mignolo sulla bocca più frequentemente delle altre dita. La spiegazione è semplice: si tratta del dito più piccolo, quindi non solo segnalano un'attrazione, ma vogliono inconsapevolmente essere percepite fragili, sottomesse o perlomeno arrendevoli e piccole come un bambino. Poggiare un dito sulle labbra può anche esprimere rifiuto e diffidenza: è questo il senso di quando teniamo il dito trasversalmente sulla bocca chiusa o lo premiamo con forza contro di essa: si tratta di una specie di segnali di "divieto d'accesso". In questa categoria rientra anche lo spingere con l'indice sotto il labbro inferiore: è un comportamento che replica parte dell'espressione di disgusto o disprezzo e lo facciamo quando non siamo in condizione di poterlo manifestare apertamente. Marco Pacori


SCIENZE FISICHE. DUE PARTONO A FINE ANNO Pioggia di sonde su Marte Si prepara lo sbarco, ora previsto entro il 2015
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: NASA, MARS GLOBAL SURVEYOR, MARS POLAR LANDER
LUOGHI: ITALIA

OBIETTIVO Marte. Se verranno superate le difficoltà tecniche e, soprattutto, se si troveranno i fondi necessari, i primi astronauti potrebbero sbarcare entro il 2015. In attesa degli uomini in carne ed ossa, il "pianeta rosso" verrà bersagliato da una pioggia di sonde automatiche. Una vera e propria invasione di robot, per aprire la via alle astronavi abitate. Le avanguardie sono già partite. Dallo scorso novembre una navicella della Nasa, il Mars Global Surveyor, orbita attorno a Marte, inviando agli scienziati del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena la prima mappa dettagliata del corpo celeste. Un altro veicolo, il Planet-B, è stato lanciato dal Giappone a luglio; arriverà a destinazione nell'ottobre del 1999. E' solo l'inizio. Nei prossimi anni la Nasa prevede due nuove missioni ogni 25 mesi, quando la posizione di Marte rispetto alla Terra è ideale per il lancio. La prossima partirà il 10 dicembre: la sonda, denominata Mars Climate Orbiter, dovrà raggiungere l'orbita marziana. Poche settimane più tardi, il 3 gennaio 1999, sarà la volta del Mars Polar Lander, che scenderà in prossimità del Polo Sud del pianeta. Il viaggio dell'Orbiter durerà 10 mesi. Dopo una complessa manovra di correzione dell'orbita, che sfrutta l'attrito con gli strati superiori dell'atmosfera (denominata " aerobraking", è stata provata per la prima volta nei mesi scorsi dal Global Surveyor), la navicella potrà studiare l'atmosfera e la superficie di Marte. Inoltre, servirà da ponte radio tra la Terra e le sonde che opereranno sul pianeta. Quanto al Polar Lander, il suo arrivo è previsto nel dicembre 1999. Il veicolo verrà frenato da un paracadute uguale a quello utilizzato lo scorso anno da Pathfinder. Ma invece di ricorrere agli airbag, utilizzerà dei razzi per rallentare e compiere così un atterraggio morbido. Per tre mesi, la sonda invierà a Terra immagini, dati sul clima e sulla composizione del suolo, grazie a un braccio meccanico che scaverà nel terreno per raccogliere campioni da analizzare. Al primo posto tra gli obiettivi della missione, la ricerca dell'acqua. Le immagini trasmesse dal Pathfinder sembrano confermare che in passato (dai 3 ai 4,5 miliardi di anni fa) su Marte ce n'era in abbondanza. Oggi il pianeta appare come un deserto, ma una certa quantità d'acqua potrebbe ancora trovarsi in forma di ghiaccio al di sotto della superficie. Per scoprirlo, il Polar Lander impiegherà anche due microsonde: espulse prima del tuffo nell'atmosfera marziana, precipiteranno come meteoriti, conficcandosi nel terreno (una parte affiorerà dal suolo, mentre la punta penetrerà sino a due metri). La strumentazione è progettata per resistere alla violenza di un impatto a 6-700 chilometri l'ora, con una decelerazione istantanea di 80 mila G. Mentre ci si prepara a questi lanci, tecnici e scienziati stanno mettendo a punto le prossime missioni. Tra meno di tre anni sarà la volta delle sonde Surveyor Orbiter e Surveyor Lander 2001. Quest'ultimo sbarcherà su Marte un veicolo - intitolato a Marie Curie - identico al robottino Sojourner Rover della sonda Pathfinder. In origine il Lander 2001 avrebbe dovuto portare con sè un nuovo modello, capace di muoversi per decine di chilometri. Poi si è deciso di ridimensionare il programma per rientrare nel bud get previsto. Il Rover a lunga autonomia verrà così impiegato nelle missioni successive, assai più ambiziose. Dietro la sigla Msr (Mars Sample Return) si cela un progetto ardito, che vede la collaborazione tra Nasa, l'Agenzia spaziale europea (Esa) e l'italiana Asi. Si tratta di inviare delle sonde automatiche per raccogliere e portare indietro sulla Terra campioni di rocce e di terreno. A bordo dei due Lander che verranno lanciati nel 2003 e nel 2005, ci saranno, oltre al Rover, un perforatore e un braccio meccanico per prelevare i campioni e collocarli nella capsula del " modulo di ascesa": un piccolo razzo capace di raggiungere l'orbita marziana. La seconda missione prevede, oltre al Lander, una navicella destinata a restare in orbita in attesa di recuperare le due capsule prima di iniziare il viaggio di ritorno verso la Terra. L'arrivo è atteso nel 2008. Molte le analogie con i voli Apollo che permisero all'uomo di raggiungere la Luna. In questo caso, però, tutte le complesse operazioni verranno svolte da robot. Per la riuscita, sarà importante il contributo della sonda europea Mars Express. Lanciata nel 2003, compirà osservazioni del pianeta dall'orbita e servirà come data relay satellite per mantenere i contatti tra la Terra e i veicoli scesi sulla superficie. Più ancora che agli altri scienziati, i campioni di suolo marziano fanno gola agli esobiologi, cioè agli studiosi della vita extraterrestre. La scoperta, annunciata nell'agosto del '96, di possibili tracce di attività batterica su un meteorite proveniente da Marte, ha suscitato un enorme interesse. Oggi il pianeta è inospitale. L'atmosfera è rarefatta e irrespirabile (è composta per il 96 per cento da anidride carbonica), la temperatura va da più20 a -170 gradi. Miliardi di anni fa, però, l'acqua era abbondante, l'atmosfera più densa e il clima più mite. Così, anche se il pianeta sembra sterile, sono in molti a credere che in passato possa essersi sviluppata qualche forma elementare di vita. Per avere una risposta bisognerà attendere di poter studiare in laboratorio i campioni di roccia e di terreno. Ma prima bisognerà riuscire a trovare e a raccogliere i reperti giusti. E questo è un compito che l'uomo può svolgere assai meglio di un robot. Giancarlo Riolfo


TRAPIANTO-CHOC La mano del morto che ci turba i sonni
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: BIOETICA
NOMI: LANZETTA MARCO, HALLAM CLINT, CERN AL, CAILLIAU ROBERT, BERNERS LEE TIM
ORGANIZZAZIONI: OSPEDALE «EDOURAD HERRIOT»
LUOGHI: ESTERO, EUROPA, FRANCIA, LIONE

IL primo trapianto di una mano è la notizia scientifica della settimana. L'intervento, realizzato all'ospedale "Edouard Herriot" di Lione, ha richiesto 13 ore di lavoro a una equipe di quattro chirurghi, tra i quali c'era anche l'italiano Marco Lanzetta. Il paziente, l'australiano di 48 anni Clint Hallam, era mutilato dal 1984. L'intervento è tecnicamente riuscito ma l'esito effettivo si conoscerà soltanto tra 15-18 mesi. In mezzo ci sono ancora parecchi ostacoli: può non funzionare la circolazione sanguigna, può verificarsi un rigetto, la riabilitazione, che richiederà un anno e mezzo, può fallire. Ci sono stati ormai molti trapianti multipli di cuore e polmoni, pancreas e reni; il fegato di un donatore viene talvolta suddiviso per salvare due pazienti. Eppure nessuna acrobazia chirurgica ha destato tanta emozione quanto il primo trapianto di un arto. Ci si è subito interrogati con inquietudine sulla "mano di un morto" che - se tutto andrà bene - tornerà a stringere, ad accarezzare, magari a colpire. Reazione comprensibile, ma irrazionale. Non è ancora chiaro che la persona non è nei suoi organi e neppure nella loro somma? La stessa ammirazione per l'intervento, certo delicatissimo, è forse mal diretta. Nessuno pensa che un'operazione del genere ha a monte qualcosa di più importante: il controllo del sistema immunitario. Questa sì, è una grande conquista. Ma anche un caro prezzo da pagare per il trapiantato, che per tutta la vita dovrà ingollare farmaci immunosoppressori. Notizie come quella giunta da Lione sono anche dei test che ci dicono come la scienza sia percepita in modo parziale e distorto dal pubblico e, prima ancora, da giornali e tv. Questo è un paese dove Dario Fo predica in tema di biotecnologie e Beppe Grillo contesta Murray Gell-Mann, premio Nobel per la scoperta dei quark. Non stupiamoci, quindi, se scarseggia la consapevolezza di ciò che scienza e tecnologia realmente significano nella nostra vita. Del resto questa consapevolezza talvolta non l'hanno neppure gli scienziati. Al Cern, Robert Cailliau e Tim Berners-Lee hanno ideato il World Wide Web di Internet per favorire gli scambi di informazioni tra scienziati. Oggi Internet è un salotto, un mercato, un pornoshop, e persino un tribunale che può far vacillare il Presidente degli Stati Uniti. Al Cern per principio non si vuol brevettare nulla, si lavora per il bene collettivo. Ma Cailliau e Tim Berners- Lee avevano immaginato gli sviluppi commerciali di Internet? Oggi, se ogni volta che si batte www ci fosse anche solo un piccolo diritto d'autore da pagare, il Cern non avrebbe problemi di finanziamenti. Piero Bianucci


SCIENZE DELLA VITA EMOZIONI La gioia, la paura, la rabbia
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, PSICOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ISTITUTO KAROLINSKA
LUOGHI: ITALIA

LO studio delle basi biologiche del nostro piccolo mondo emotivo non è certo una scoperta della neurobiologia moderna. Già Darwin, dopo avere rivolto l'attenzione all'origine delle specie descrisse nel 1872 "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali". Osservando l'espressione imbronciata delle scimmie, quella adirata dei cani ringhiosi, il volto dei malati di mente e l'espressione lamentosa del giovane figlio, giunse alla conclusione che molte specie hanno espressioni emotive comuni, il che rinforza il concetto di discendenza comune. Cent'anni dopo i neurobiologi hanno ripreso lo studio di Darwin. Disponendo di potenti mezzi di indagine essi possono studiare molto di più che l'espressione superficiale delle emozioni: possono addentrarsi nell'interno di esse e descrivere le tracce lasciate da queste nel cervello. Data la limitazione della psicanalisi come metodo di studio scientifico si sta passando ora ad un'analisi dei circuiti nervosi toccati dalle emozioni, dai segnali chimici emessi da esse ed alla definizione delle zone anatomiche cerebrali maggiormente toccate nel corso di reazioni emotive. Man mano che si procede in questo studio viene confermata l'idea che emozioni intense in periodi particolarmente critici della vita possono scatenare non solo reazioni a livello del comportamento ma anche cambiamenti fisici registrabili nel cervello e perduranti per lungo tempo. Da sempre le emozioni sono state considerate territorio degli psicologi, essendo ritenute come "troppo vaghe e difficili da quantificare" dai neurobiologi. Si assiste attualmente ad un'invasione dei neuroscienziati in questo campo. Che cos'è e dove è localizzato il mondo dell'inconscio? Gli psicoterapeuti con i loro limitati mezzi di indagine non hanno mai potuto rispondere a questi quesiti. Utilizzando nuovi metodi tra i quali la risonanza magnetica funzionale e la tomografia a emissione di positroni si riesce per la prima volta a gettare uno sguardo sull'immagine sfuggente dell'inconscio. Un esempio è lo studio condotto all'Istituto Karolinska di Stoccolma. Una successione di immagini di facce esprimenti tipi diversi di emozioni quali gioia, paura e rabbia vennero mostrate a dei soggetti per poche frazioni di secondo. La maggior parte asseriva di "non aver notato" la faccia esprimente terrore o rabbia se questa era immediatamente seguita da una faccia "neutrale" (non esprimente emozioni). Si trattava di una menzogna inconscia. Registrando la reazione di varie aree cerebrali e il loro consumo di ossigeno si osservava che l'osservazione anche rapida di un'espressione di terrore scatenava un aumento dell'attività cerebrale in una zona specifica e circoscritta del cervello chiamata amigda la (per la sua struttura a forma di mandorla). In studi precedenti nel ratto si era potuto dimostrare che l'amigdala fa parte di un circuito cerebrale messo in moto dalla sensazione di paura. Si poté anche identificare nel ratto un gruppo particolare di cellule nervose dell'amigdala che elabora le sensazioni provenienti dall'esterno (come l'osservare il volto impaurito di un soggetto) in messaggi diretti ad altre zone cerebrali come ad esempio alla corteccia frontale dove vengono percepite come "sensazioni di paura". Il segnale registrato nell'a migdala sussiste a lungo in un soggetto anche se questi non è affatto conscio di tale reazione. Procedendo oltre, si è scoperto che l'amigdala di sinistra fa parte di un sistema cosciente mentre quella di destra si mantiene strettamente nell'ambito dell'inconscio. A questo punto ci manca qualsiasi dato per definire quali siano effettivamente i substrati nervosi delle emozioni sia a livello del conscio che dell'inconscio. La neuroscienza delle emozioni è ancora nella sua infanzia. Rimane molto cammino da fare ma forse un giorno si giungerà a distinguere tra aspetti ereditari ed acquisiti delle reazioni passionali. Ezio Giacobini


SCIENZE FISICHE L'Italia esplorerà il deserto rosso A Pantelleria si discute la nostra partecipazione
Autore: G_R

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, ASTRONOMIA
NOMI: DE JULIO SERGIO, GOLDIN DANIEL, DI PIPPO SIMONETTA
ORGANIZZAZIONI: ASI, NASA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PANTELLERIA (TP)

NELLA corsa a Marte l'Italia avrà un ruolo di primo piano. E' quanto emerge dal convegno organizzato dall'Asi, l'agenzia spaziale nazionale, che si sta svolgendo in questi giorni a Pantelleria. Scopo della manifestazione, approfondire le prospettive della partecipazione scientifica e industriale del nostro Paese all'esplorazione del Pianeta Rosso. E fissare delle priorità tra i programmi da portare avanti nel breve, medio e lungo termine. L'Asi è stata chiamata a collaborare ai più importanti progetti internazionali. Alla fine dello scorso anno, il presidente Sergio De Julio e l'amministratore della Nasa, Daniel Goldin, hanno firmato un memorandum d'intesa che prevede la partecipazione italiana alle missioni su Marte con strumenti scientifici a bordo delle sonde e con sistemi di telecomunicazioni. Per la ricerca condotta direttamente sul pianeta, l'Italia dovrebbe fornire un braccio meccanico e un perforatore robotizzato, capace di compiere " carotaggi" fino alla profondità di cinque metri. Gli strumenti verrebbero impiegati per raccogliere i campioni da riportare sulla Terra con la missione Mars Sample Return. L'accordo prevede anche l'impiego come stazione di controllo di un'antenna parabolica di 64 metri di diametro, in costruzione in Sardegna, a 30 chilometri da Cagliari. "L'Asi potrebbe avere anche la responsabilità delle apparecchiature per analizzare i campioni a bordo dei Lander", dice Simonetta Di Pippo, coordinatrice del comitato scientifico. "Fare un po' di scienza a bordo della sonda è importante, sia per evitare un fallimento totale della missione se qualcosa dovesse andare storto nella fase di ritorno, sia per compiere una selezione dei reperti, scegliendo solo quelli di maggiore interesse". Ancora più forte potrebbe essere la presenza italiana a bordo della sonda europea Mars Express, che entrerà in orbita attorno al pianeta. Come noto, la missione è stata decisa per rimediare al fallimento della navicella russa Mars 96, a bordo della quale si trovavano diversi strumenti scientifici dell'Esa. Di fatto, il programma può essere considerato una cooperazione tra l'agenzia europea e l'Asi. Quest'ultima dovrebbe fornire il pacchetto di telecomunicazioni (permetterà alla sonda in orbita attorno a Marte di mantenere i collegamenti tra la Terra e i robot scesi sulla superficie) e buona parte della strumentazione scientifica. Dei due spettrometri previsti a bordo, uno è interamente made in Italy e permetterà di studiare la composizione dell'atmosfera; l'altro, funzionante in luce visibile e infrarossa, è italo-francese. A questi, si deve aggiungere un radar capace di scrutare attraverso il terreno fino a un chilometro di profondità per scoprire la presenza di ghiaccio nel sottosuolo. L'apparecchio è stato ideato dall'equipe di Giovanni Picardi dell'Università di Roma, in collaborazione con la Nasa. (g. r.)


SCIENZE DELLA VITA DIBATTITO Scimpanzè "abusivi" Che farne?
Autore: ARDITO GIUSEPPE

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, ZOOLOGIA
NOMI: MRTIN ROBERT
ORGANIZZAZIONI: ASSOCIAZIONE PRIMATOLOGICA ITALIANA
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, PAVIA (PV)

SI è svolto nei giorni scorsi a Pavia il XIII congresso nazionale dell'Associazione primatologica italiana, istituzione scientifica che raccoglie gran parte dei ricercatori italiani appartenenti all'Università, Cnr, enti di ricerca che si occupano a vario titolo di Primati non umani. Dopo la relazione introduttiva tenuta da Robert Martin, dell'Università di Zurigo, sull'evoluzione dell'encefalo nei Primati, ci sono comunicazioni sui più svariati argomenti, dalla genetica all'evoluzione, dal comportamento agli aspetti di organizzazione sociale dei Primati. Si è inoltre dibattuto un altro argomento di attualità: il problema degli scimpanzè sequestrati in Italia. Il nostro Paese ha aderito da tempo alla normativa internazionale che proibisce l'importazione e la detenzione di tutte le specie di primati. Tuttavia, con preoccupante regolarità, presso studi fotografici, piccoli giardini zoologici privati, semplici cittadini amanti dell'esotico, vengono scoperti dei Primati, spesso cebi o piccoli macachi, ma talvolta anche scimpanzè, che vengono sequestrati. Qui iniziano i guai, in quanto la normativa teoricamente prevista, di fatto si rivela del tutto inefficace. Nonostante l'articolo 4, comma 1 della legge 150/92 stabilisca, oltre alla possibilità di rimpatrio degli animali sequestrati, la necessità di affidare gli stessi a strutture pubbliche o private, ritenute idonee dalla Commissione Cites, in grado di assicurarne il mantenimento, a distanza di sei anni la Commissione non si è ancora espressa ufficialmente per individuare tali strutture. Inoltre esiste, tra gli operatori che lavorano nelle strutture che nel frattempo hanno ricevuto animali sequestrati (Parco Natura Viva di Bussolengo, Giardino Zoologico di Pistoia, Giardino Zoologico di Roma e Centro di Sasso Marconi), un reale rischio sanitario, mancando, all'atto della confisca, mezzi idonei per la cattura e protocolli sanitari che tutelino le parti in causa, anche considerando la provenienza spesso ignota degli esemplari di Primati. E' ancora viva, nei ricercatori, l'eco di quanto avvenne negli Anni 60 in un laboratorio di ricerca di Marburg, in Germania, dove dei cercopitechi importati dall'Africa, diffusero un virus, allora sconosciuto, che causò la morte di numerosi tecnici e veterinari. A tutto questo va aggiunto che le strutture che ospitano gli animali, seppure "obbligate" al loro mantenimento e a garantire loro un minimo di benessere fisico e psicologico, non ricevono alcun supporto materiale dallo Stato. Detto per inciso, per animali come lo scimpanzè, abituati a vivere in gruppi sociali, sarebbe assolutamente necessario prevedere il mantenimento non in singole gabbie, come talvolta avviene ora, ma in spazi adeguati, con altri individui in modo da permettere la vita sociale, come avviene in natura. L'Associazione, dopo aver rilevato come i ministeri competenti, nonostante i solleciti, si siano dimostrati poco sensibili al problema, ha formulato voti perché sia garantito a questi animali un avvenire meno triste. E' opportuno ricordare che lo scimpanzè, una delle specie più frequentemente oggetto di sequestro, è una specie a rischio di estinzione, inclusa nell'Appendice I della Cites e classificata come vulnerabile dall'Iucn. Data l'elevata pressione ambientale alla quale sono sottoposti gli scimpanzè, sia per il bracconaggio sia per l'uso alimentare nei paesi d'origine, si auspica che il ministero promuova un progetto di conservazione che coordini, con gli altri Paesi europei, la gestione degli individui in cattività. Un intervento coordinato dei ministeri dell'Ambiente e della Pubblica istruzione potrebbe ad esempio potenziare, con un costo molto limitato, presso le strutture che ospitano gli animali sequestrati, tutte le attività volte a sensibilizzare la popolazione sui temi della conservazione e del traffico illecito degli animali. Giuseppe Ardito Presidente Associazione Primatologica Italiana


SCIENZE DELLA VITA VENE VARICOSE Se le valvole non funzionano Un malanno che non ha ancora soluzioni definitive
Autore: MERLO MAURIZIO

LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Varici

LE varici o vene varicose delle gambe sono una patologia molto diffusa. Colpiscono prevalentemente le donne, in quanto gli ormoni femminili, cioè gli estrogeni e i progestinici, hanno un effetto di dilatazione sulle vene; inoltre durante ogni ciclo mestruale si ha un aumento del contenuto di sangue nel bacino e una ritenzione più o meno marcata di acqua e sali, condizioni che costituiscono un ostacolo allo scarico delle vene delle gambe. E va ricordata come fattore predisponente la gravidanza, durante la quale, oltre alla presenza degli ormoni citati, si ha anche un effetto meccanico da parte dell'utero gravido che, comprimendo le vene del bacino, può creare una ulteriore difficoltà al ritorno venoso degli arti inferiori. L'importanza di questa patologia è stata ben evidenziata da una ricerca epidemiologica condotta dal direttore della Scuola di specializzazione in chirurgia vascolare dell'Università di Torino, Raso: ne risulta che ogni anno vanno perdute migliaia di giornate lavorative per problemi legati alle vene varicose degli arti inferiori. Per capire i problemi legati a questa patologia è indispensabile fare una premessa anatomica e fisiologica. Le vene sono quei condotti che portano il sangue della periferia al cuore dopo che i tessuti ne hanno estratto le sostanze nutritive e vi hanno immesso le sostanze di scarto derivanti dai vari metabolismi. Il flusso in questi vasi sanguigni è unidirezionale (dalla periferia al centro), ma per conservare questa caratteristica del flusso le vene degli arti inferiori sono dotate di valvole. Inoltre è importante precisare che la maggior parte del flusso venoso delle gambe è supportato dal circolo profondo, cioè dalle vene femorali, e solo una parte ridotta viaggia nel circolo superficiale, cioè nelle vene safene. La presenza di varici, cioè di dilatazioni delle vene superficiali delle gambe, è espressione di un malfunzionamento delle valvole, per cui il flusso non è più unidirezionale (dalla periferia al centro) ma il sangue effettua un movimento di "va e vieni" in quanto la forza di gravità si oppone al suo ritorno al cuore, mentre il camminare ed altri meccanismi lo spingono in tale direzione. Ecco che allora le pareti venose devono sopportare un aumento di pressione e quindi, essendo sottili, contrariamente alle pareti delle arterie, vanno incontro a uno sfiancamento, con la comparsa di quegli inestetici gavoccioli varicosi, cioè di vene varicose. La conseguenza è che il sangue tende a rallentare la sua velocità di ritorno al cuore e compaiono tutti i sintomi tipici delle vene varicose, e cioè senso di peso alle gambe, tendenza al gonfiore serale dei piedi, senso di bruciore e di irrequietezza degli arti inferiori. Sintomi che si accentuano quando il paziente si trova in un ambiente caldo o in estate, perché questa situazione ambientale produce una vasodilatazione e quindi aumenta la già presente dilatazione venosa. Come esame diagnostico, utile soprattutto a fini chirurgici o nei casi dubbi, è molto importante l'ecodoppler con lo studio dei flussi e soprattutto dei reflussi del sangue. Dal punto di vista terapeutico è difficile trattare il problema in poche righe. La chirurgia è la soluzione più radicale in quanto con l'asportazione delle varici si elimina la possibilità di rallentamento del flusso del sangue, per cui scompaiono i sintomi ad esso collegati; ma non sempre la chirurgia è indicata; anzi, in alcuni casi (problemi nel circolo profondo), è controindicata. I farmaci in commercio hanno il solo scopo di eliminare i sintomi (che non è poca cosa), ma non riportano la parete venosa alla normalità. La terapia sclerosante consiste nell'iniettare nella vena varicosa delle sostanze che, danneggiandone la superficie interna della parete, provocano la chiusura della vena; tale terapia però occupa un posto ben preciso nel mosaico terapeutico, non è esente da rischi e non conviene quando la malattia abbia colpito una delle safene (sono le vene superficiali delle gambe). Dunque il quadro generale non è semplice come alle volte viene fatto apparire. La scelta terapeutica deve sempre essere fatta dopo aver esposto al paziente gli aspetti positivi della terapia, ma anche i suoi rischi. Maurizio Merlo


SCIENZE FISICHE. MULTIMEDIA Il mondo non è dei bit ma dei "fit"
Autore: D'AMATA MARINA

ARGOMENTI: INFORMATICA, ELETTRONICA, COMUNICAZIONI
NOMI: VITA VINCENZO
LUOGHI: ITALIA

L'ERA digitale che segna il nostro tempo, fondata sull'intreccio della radio e della televisione con l'editoria elettronica, l'informatica e le telecomunicazioni, è un inderogabile destino, una scelta possibile, o un inganno? La complessa sinergia di tv, computer e telefono, interattivamente connessi ai sistemi comunicativi in rete, che ha annullato comprimendoli il tempo e lo spazio, sta divenendo l'elemento cardine del potere. Ma quanti inganni si nascondono dietro le due parole magiche: globalizzazione e multimedialità? Il dibattito intorno alle possibilità ancora sconosciute della interconnessione dei media fra loro sembra riproporre quello che animò gli apocalittici e gli integrati negli Anni 50 a proposito dell'impatto della televisione. Strumenti del diavolo o finestre sul mondo? Da un lato si ipotizza un pensiero unico, come se il mondo andasse verso l'omologazione assoluta: dall'altro si teorizzano scenari di libertà individuale mai prima esperiti. In rete ognuno esisterà per il proprio sapere; non ci saranno più discriminazioni di status, nè di censo, nè di luogo. Oppure la rete condizionerà tutti nello stesso modo date le sue obbligate vie di accesso? Le risposte a questi dubbi che concernono ormai la nostra vita sono tante; l'ultima di Vincenzo Vita ne " L'inganno multimediale" (ed. Meltemi, 1998) si propone come un superamento della contrapposizione tra i denigratori e gli entusiasti delle possibilità offerte dalla multimedialità e offre una nuova possibile "convergenza". Fuori dalla logica dell'aut-aut, in un pensiero et-et si può individuare una strategia diversa. Sostiene Vita: "Fuori dal circuito vivono o tentano di vivere altri paradigmi e altri potenziali protagonisti, che non hanno voce nella teoria e nella pratica"... La realtà è asimmetrica rispetto all'ideologia corrente, anche se viene propagandata con lo stile della certezza matematica e validata come scienza dagli stessi beneficiari. Vengono così messi sotto processo il liberismo che ostruisce l'internazionalizzazione dei mercati; e i valori che da parole devono divenire opzioni di fondo, anche se contrapposte. I conflitti di interesse che animano il pianeta possono, secondo questa analisi, essere affrontati e risolti con la "convergenza". L'ipotesi è che il mondo non è più dominato dalla materia: l'atomo, ma neanche dal bit: l'informazione, ma piuttosto dal "fit". Un valore fit è una misura tra 0 e 1. Un valore bit è uno 0 o un 1, quindi si rapportano come opposti, mentre l'impostazione fuzzy è polivalente, ed è questa dimensione ibrida che viviamo nella quotidianità tecnologica che una volta compresa ed accettata può consentire la sfida verso la "convergenza", unica possibile soluzione per la comunicazione mondo. Ecco così delineata una nuova soluzione ai quesiti aperti dalla multimedialità in un mondo in cui il potere dei media sta trasformando i media in un sistema. La "convergenza" come una sfida per tutti. Come insieme di tecnologia e forma culturale. Alla fine ciascuno sarà in grado di trarre le proprie conclusioni, per convivere con la globalizzazione multimediale avendo compreso dopo questa analisi che il modello economico liberista che fino ad ora l'ha ispirata e sostenuta sta implodendo. Il crollo delle Borse di tutto il mondo ne è stato una clamorosa manifestazione. Marina D'Amata Università di Roma "La Sapienza"


SCIENZE FISICHE. INTERNET E LA LEGGE La privacy telematica, un gran pasticcio Il traffico internazionale di dati è difficilmente controllabile
Autore: TELMON CLAUDIO

ARGOMENTI: COMUNICAZIONI, INFORMATICA
LUOGHI: ITALIA

DI recente i giornali hanno dedicato ampio spazio ad un'operazione di polizia diretta a bloccare un traffico su Internet di materiale pornografico per pedofili. Episodi analoghi erano già accaduti, ma in questo caso è interessante considerare due aspetti. Il traffico si svolgeva attraverso Paesi di tutto il mondo, tanto che è stata necessaria l'azione coordinata delle polizie di 21 Stati. Gli utenti di Internet sanno bene che i confini nazionali sulla rete diventano totalmente insignificanti, tanto che il traffico tra due siti italiani, ad esempio, può facilmente passare dagli Stati Uniti o dall'Olanda; niente di più facile, quindi, per eludere le leggi di un Paese, che spostare le proprie attività illegali oltre i confini nazionali. Questa è una realtà con la quale si dovranno fare i conti sempre più spesso. Anche le piccole attività, lecite e illecite, possono essere svolte con la stessa facilità fra due città vicine come fra due siti agli antipodi. In effetti, già adesso il poco commercio elettronico praticato in Italia è effettuato in gran parte con siti degli Stati Uniti. Per le leggi di un singolo Stato diventa sempre più difficile controllare fenomeni così poco circoscrivibili geograficamente. Una delle difficoltà è anzi stabilire se e dove viene commesso un reato e quindi quali leggi debbano essere applicate. L'altro aspetto interessante è che la polizia abbia ampiamente illustrato come, per individuare i trafficanti, seguiva i vari gruppi di discussione su Internet. La domanda a questo punto è: con quanta facilità le forze dell'ordine possono seguire le attività su Internet di un individuo, e con quanta facilità lo può fare qualcun altro? Domanda più che legittima, dato che una sempre maggiore quantità di attività si svolge attraverso la rete: quindi controllare le comunicazioni di una persona vorrà sempre più dire avere un'immagine completa delle sue attività, dei suoi interessi e delle sue preferenze. E poi, quanto è facile manomettere o falsificare questo traffico? Anche questo problema è estremamente importante, se si pensa all'home banking, alla riservatezza delle comunicazioni o al documento elettronico come previsto dalla legge Bassanini. Se un utente non prende misure per proteggere i propri dati, la loro lettura, manomissione e falsificazione è molto semplice per un gran numero di soggetti, compresi i numerosi provider attraverso le cui reti passa il traffico e, naturalmente, i pirati. Per garantire la riservatezza del traffico in Rete è indispensabile l'impiego della crittografia, che del resto è ormai di uso comune. C'è chi vorrebbe limitare l'utilizzo di questo strumento in modo da consentire comunque alla polizia di intercettare le comunicazioni quando necessario. Esistono però tecniche crittografiche che permettono di nascondere il fatto stesso che dei dati cifrati vengano scambiati; l'obiezione è quindi che i delinquenti utilizzerebbero questi strumenti più avanzati, mentre l'unico traffico che potrebbe essere esaminato sarebbe quello delle persone oneste. Questi esempi illustrano la complessità dei problemi affrontati da chi deve concepire delle leggi che regolamentino in modo adeguato l'uso delle nuove tecnologie telematiche. A questo si aggiunga che le tecnologie sono in rapidissima evoluzione, tanto che gli stessi specialisti hanno difficoltà a immaginare quale sarà lo sviluppo oltre pochissimi anni. A complicare il problema, oltre al telelavoro, al commercio elettronico e all'home banking, c'è la convergenza in atto fra telefonia, televisione e reti telematiche. In questo quadro diventerà essenziale evitare normative inadeguate o troppo restrittive per la libertà di espressione e di informazione, approvate magari sull'onda di una pur comprensibile paura per nuove forme di criminalità. Un rischio ulteriore è che le leggi si trovino in una perenne rincorsa allo stato reale delle tecnologie. Naturalmente non è un problema solo italiano: gli altri Paesi si trovano più o meno nella stessa situazione. Mancano quindi dei riferimenti la cui validità sia stata verificata nella pratica. E' comunque difficile avere una visione adeguata della situazione senza una comprensione approfondita degli strumenti e delle problematiche tecniche. Di questi problemi hanno discusso giuristi e informatici il 26 e 27 settembre a Pisa nel convegno " Informatica e riservatezza": unendo le competenze degli uni e degli altri si è cercato di dare una soluzione al dilemma riservatezza/tutela della legalità. Claudio Telmon Università di Pisa


SCIENZE DELLA VITA CLIMA Una lunga estate disastrosa Ghiacciai in regresso su tutte le Alpi
Autore: MERCALLI LUCA

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
ORGANIZZAZIONI: AEM
LUOGHI: ITALIA, EUROPA, ITALIA, TORINO (TO)
TABELLE: T. Ghiacciaio Ciardoney (perdita di spessore dal 1992 al 1998)

SU gran parte della regione alpina l'estate 1998 ha conquistato - per durata e continuità - una posizione di spicco nella lista delle stagioni più calde del secolo, prossima a quelle del 1928, 1950 e 1994. Inevitabili le conseguenze negative sui ghiacciai che, già da anni sofferenti per scarsa nevosità e lunghe estati, hanno reagito riducendosi in modo vistoso. Ma, al di là delle semplici misure che da quasi un secolo vengono compiute sul margine frontale dei più importanti ghiacciai, la glaciologia richiede oggi dati più completi e affidabili. In effetti, non è facile correlare gli spostamenti della fronte, che è la parte più bassa di un ghiacciaio, con l'andamento climatico dell'anno in corso. Il trasferimento di massa dalle zone più elevate a quelle inferiori può durare anche 7-10 anni per ghiacciai vallivi di medie dimensioni. Si ricorre allora alla tecnica del bilancio di massa, che tiene conto delle variazioni annuali di spessore su tutta la superficie glaciale, e fornisce risultati in fase con l'andamento climatico dell'annata. In Italia la più lunga serie di misure di bilancio di massa, iniziata nel 1967, appartiene al Ghiacciaio del Careser, nelle Alpi orientali. Nel settore occidentale è dal 1992 che il metodo viene applicato al Ghiacciaio Ciardoney, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, nell'ambito di un programma di ricerca sostenuto dall'Azienda Energetica Metropolitana di Torino. Le operazioni consistono nell'attrezzare la superficie glaciale con paline ablatometriche (l'ablazione è l'insieme dei fenomeni che portano alla perdita di ghiaccio), in corrispondenza delle quali si misura, alla fine di maggio l'accumulo di neve invernale, e a metà settembre il consumo di ghiaccio. Tutti i dati di spessore nivale o glaciale vengono trasformati in metri di equivalente d'acqua per essere confrontati indipendentemente dalle diverse densità. Se all'inizio dell'autunno il saldo tra l'accumulo di neve invernale e l'ablazione estiva è positivo, il ghiacciaio è in buona salute, avendo acquistato nuova massa. Se il bilancio è nullo, cioè la quantità di neve accumulata nell'inverno è uguale al ghiaccio fuso nell'estate, si avranno condizioni stazionarie. Se, infine, il bilancio è negativo, a seguito di un'ablazione più intensa dell'accumulo di neve invernale, allora il ghiacciaio perde massa riducendosi in perimetro e spessore. Dal 1992 al 1997 il piccolo ghiacciaio Ciardoney - poco meno di 1 km2 - è stato sottoposto a bilanci sempre negativi, con una perdita media annuale di circa 70 centimetri di ghiaccio. Quest'anno la situazione è nettamente peggiorata. Lo scarso innevamento invernale ha precocemente scoperto il ghiaccio. Privo della copertura di neve, che riflette gran parte dell'energia solare, il ghiaccio vivo diviene scuro per la presenza di detriti rocciosi, aumentando ulteriormente l'efficienza del soleggiamento. Torrenti d'acqua percorrevano così i ghiacciai scavando solchi sinuosi (le bedieres), precipitando in profondi mulini, aprendo voragini e gallerie. A metà settembre, il ghiacciaio Ciardoney aveva perso da 2 a oltre 6 metri di ghiaccio, secondo le quote, pari a un bilancio negativo di 3,36 metri, il valore più gravoso dal 1992, tre volte maggiore della già sfavorevole estate 1994 che chiuse con - 1,1 metri d'equivalente d'acqua. Sommando lo spessore di ghiaccio consumato dal 1992 a oggi, si ottiene un valore medio per l'intera superficie del ghiacciaio, di 8 metri, come una casa di due piani. In un mondo destinato ad essere sempre più caldo a causa dell'effetto serra, questo significa veder scomparire i piccoli ghiacciai alpini delle quote tra i 2700 e i 3500 metri entro una cinquantina di anni. Luca Mercalli


SCIENZE DELLA VITA LE ENIGMATICHE SPUGNE Intelligenti senza cervello Per secoli un rompicapo per gli studiosi
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: BOND CALHOUN
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Schema della sezione di una spugna cornea

VI può capitare di vederla nel Mar del Giappone o al largo delle isole Filippine. Sembra un'artistica struttura di finissima filigrana. E' alta dai 30 ai 60 centimetri ed è ancorata al fondo marino tramite un ciuffo di aghi sottili. Il corpo snello si eleva simile a una cornucopia e al suo interno pende una nuvola di morbido tessuto. Questa meraviglia che sembra fatta di merletto si chiama Euplectella (Euplectella aspergillum) o volgarmente "cestello di Venere", e, sembra incredibile, è cugina delle comuni spugne da bagno. E' una delle 5000 specie di spugne dalle forme e dalle dimensioni più varie che popolano i fondali marini. Ce ne sono di grandezza varia, da pochi millimetri a oltre due metri. Per secoli le spugne sono state una specie di rompicapo per gli studiosi. Si giurava e si spergiurava che non fossero animali. La maggior concessione fu quella di chiamarle zoofiti, che sarebbe come dire animali-piante, qualcosa di mezzo insomma tra regno animale e regno vegetale. Solo agl'inizi di questo secolo Jean-Marie Lamarck puntò i piedi e disse che le spugne erano animali autentici, anche se stavano conficcate sl suolo come vegetali. Da allora s'incominciò a studiarle con maggiore attenzione e si scoprirono cose stupefacenti. Se prendete una spugna e la spappolate completamente in un mortaio, poi filtrate il tutto con un setaccio finissimo in modo da separare le singole cellule, dopo un breve lasso di tempo, potrete assistere a un fatto incredibile: le cellule isolate si riaccostano spontaneamente l'una all'altra emettendo o ritraendo prolungamenti molli. E miracolosamente si riaggregano a riformare la spugna originaria. Queste enigmatiche creature sono diffuse non solo in tutti i mari del mondo, dai poli all'equatore, ma anche in acqua dolce. Il loro corpo ha la forma di un sacco fissato al suolo per la base. La parete del sacco, formata soltanto da due strati di cellule, uno interno, l'altro esterno, è sostenuta da minuscole spicole di varia natura chimica, calcaree, silicee o cornee, che possono misurare da un centesimo di millimetro a quaranta centimetri. Per molta gente la parola spugna si riferisce soltanto a quell'aggeggio con cui ci insaponiamo sotto la doccia. Oggi si usano soprattutto le spugne di materiale sintetico. Ma sono ancora in circolazione le spugne naturali, quelle masserelle giallognole, che rappresentano ciò che rimane dell'animale liberato dalle parti molli. E' cioè lo scheletro corneo disseccato e candeggiato, di alcune delle specie coloniali meno belle appartenenti ai generi Spongia e Hippospongia. Certo, a giudicare dal loro aspetto, non immagineremmo che esistano spugne simili a splendidi candelabri rosso vermiglio o a scultoree stalattiti giallo fiamma o a esili calici come la Euplectella, spugne dai colori vivi, freschi, smaglianti che rivestono come tappeti viventi le pareti delle grotte subacquee o i fondi sottomarini. Le spugne appartengono al phylum dei Poriferi. E non ci potrebbe essere nome più appropriato. Perché visto da vicino, il corpo della spugna rivela gli innumerevoli pori da cui è crivellato. Pur non obbedendo a un sistema nervoso, che nelle spugne non esiste, questi pori sono, per così dire, intelligenti. Quando l'acqua è ricca di sostanze nutritive e di ossigeno, si aprono per lasciarla passare, ma quando è inquinata da sostanze dannose, si chiudono. Possiamo dire che le spugne sentono l'inquinamento. Ciascun poro funge da aspiratore, succhia l'acqua marina o dolce e la conduce, attraverso un complesso sistema di canali, ai "motori" dell'animale, cioè a camere tappezzate di ciglia vibratili, ciglia che, con il loro movimento incessante, costringono l'acqua a circolare senza posa. Quelle ciglia, simili a miriadi di minuscoli tentacoli, catturano le prede microscopiche filtrando l'acqua. S'incaricano poi le cellule digestive a trasformarle in succhi nutritivi. Dopo aver circolato nel corpo, depositandovi ossigeno e sostanze commestibili e inglobando prodotti di rifiuto, l'acqua sfruttata non se ne esce dai pori da cui è entrata. Questa volta imbocca il portone principale, il cosiddetto "osculo" che corrisponde alla bocca della spugna. Animali sui generis, dunque, le spugne, prive di muscoli e di nervi, e apparentemente sedentarie. Ma questo è il punto. Le ultime ricerche di un biologo americano, Calhoun Bond, hanno dimostrato che queste enigmatiche creature si muovono. Si tratta di movimenti quasi impercettibili. Perciò sono sfuggiti per tanto tempo all'osservazione degli studiosi. Ma Bond non ha dubbi. Dagli esperimenti eseguiti in laboratorio su cinque specie di spugne risulta che queste si muovono a una velocità media di due millimetri al giorno. La campionessa è la specie Haliclona loosanoffi che viaggia alla velocità di quattro millimetri al giorno. Le spugne, secondo l'osservazione dello studioso, hanno un tipo di locomozione simile a quello delle amebe. Il loro corpo è di un'estrema plasticità. Cambia continuamente di forma. Le cellule marginali formano numerose protrusioni. Se queste trovano un sostegno a cui agganciarsi, quei prolungamenti trascinano a sè il resto del corpo e la spugna si sposta. Alle volte alcune cellule marginali si distaccano addirittura dal corpo della spugna e gironzolano all'intorno per un po' come microscopiche amebe, prima di ricongiungersi con la spugna madre. Ma contemporaneamente tutta l'anatomia interna si modifica. Quando la spugna cambia forma, lo scheletro, formato dalle minute spicole, si adegua al cambiamento. Si formano nuove spicole che s'incollano l'una all'altra, rimodellando l'impalcatura scheletrica. Una simile plasticità anatomica si riscontra anche in altri animali, ma solo in determinati momenti della vita: durante lo sviluppo embrionale o larvale, nel processo di cicatrizzazione delle ferite o durante l'invasione di cellule cancerose. Le spugne sarebbero l'unico esempio di animali in cui questa flessibilità anatomica si mantiene inalterata per tutta la vita. Isabella Lattes Coifmann


DIMOSTRAZIONE AL COMPUTER Keplero e le arance Risolto un problema ancora attuale
Autore: ODIFREDDI PIERGIORGIO

ARGOMENTI: MATEMATICA, INFORMATICA
NOMI: KEPLERO, HARRIOT THOMAS, RALEIGH WALTER, THUE AXEL, HILBERT DAVID, HALES THOMAS
ORGANIZZAZIONI: MICHIGAN UNIVERSITY
LUOGHI: ESTERO, AMERICA, USA

NEL 1611 il navigatore Walter Raleigh, organizzatore delle spedizioni dalle quali nacque l'impero coloniale inglese, propose al matematico Thomas Harriot il seguente problema, di evidente interesse pratico: qual è il miglior modo di impilare palle di cannone? Il metodo più ovvio è quello che si usa anche per accatastare le arance sui banchi del mercato: si dispone anzitutto una fila di arance; la seconda fila si dispone sfalsata, in modo da porre le arance negli avvallamenti della prima fila, e così via; una volta disposto un primo strato, si dispone un secondo strato sfalsato nello stesso modo, e si continua fino a costruire una piramide. In alcune fortezze rimangono ancora cataste di palle di cannone disposte così. Niente però assicura che, soltanto perché questa è la maniera intuitiva di disporre le arance o le palle di cannone, essa sia anche la migliore possibile, e proprio di questo Raleigh voleva sincerarsi. Harriot non seppe risolvere il problema, e lo passò all'astronomo Keplero, che in quel momento stava lavorando al problema della morfogenesi, in particolare della formazione dei cristalli di neve, degli alveari e dei semi di melograno. Egli aveva congetturato che tutte queste strutture si formassero a partire da sfere disposte in reticoli spaziali di varia forma, che espandendosi tendevano a riempire completamente lo spazio intermedio. Si trattava dunque di determinare quale configurazione di sfere nello spazio abbia la massima densità. Un analogo problema si pone per i cerchi nel piano, nel qual caso il problema si può illustrare chiedendo quale sia la più efficiente disposizione di monete su un tavolo. Keplero effettuò alcuni calcoli, per entrambi i casi, ma dovette limitarsi a congetturare che le disposizioni ovvie sono effettivamente le migliori. Il primo progresso si ebbe nel 1831 grazie al principe dei matematici Karl Gauss. Egli dimostrò che, nel caso dei cerchi, la configurazione ovvia è la migliore fra tutte quelle reticolari, tali cioè che i centri dei cerchi formino un reticolo planare, cioè una configurazione simmetrica di parallelogrammi. Nel 1892 Axel Thue annunciò di aver dimostrato che la configurazione esagonale è la migliore in assoluto, ma la dimostrazione fu pubblicata soltanto nel 1910. Anche per lo spazio Gauss dimostrò che la configurazione ovvia è la migliore fra tutte quelle reticolari, tali cioè che i centri delle sfere formino un re ticolo spaziale, cioè una configurazione simmetrica di parallelepipedi. Il caso generale rimase però aperto, e andò a costituire una parte del diciottesimo problema della famosa lista che David Hilbert propose al congresso internazionale di Parigi del 1900, come programma di lavoro per il nuovo secolo. Molti dei problemi di Hilbert sono stati risolti, ma quello mutuato da Keplero resisteva scandalosamente. Nel 1993 Wu-Yi Hsiang, dell'Università della California, pubblicò una soluzione del problema, che fece molto discutere, e risultò poi scorretta. Finalmente, il 9 agosto scorso Thomas Hales, dell'Università del Michigan, ha annunciato di aver concluso la ricerca e risolto il problema: la dimostrazione richiede 250 pagine e un programma di computer da 3 gigabytes, ed è esposta nel sito Internet di Hales. Quando il numero di dimensioni sale, la cosa diventa ancora più interessante. Il problema della miglior configurazione fra tutte quelle reticolari è stato risolto fino alla dimensione 8. Ma non sempre le configurazioni reticolari offrono la migliore densità. Il problema della configurazione di sfere a massima densità in spazi multidimensionali riveste oggi una grande importanza nella teoria dei codici di correzione d'errore per la trasmissione di messaggi. Stringhe binarie di n simboli individuano spigoli di un ipercubo ad n dimensioni, e per evitare errori di trasmissione si vuole impedire che spigoli adiacenti ad uno spigolo che codifica un messaggio, codifichino a loro volta messaggi: una configurazione di ipersfere a massima densità permette di massimizzare il numero di messaggi, minimizzando la possibilità di errore. Proprio in queste applicazioni sta l'importanza del problema di Keplero e della sua recente soluzione. Piergiorgio Odifreddi Università di Torino


SCIENZE DELLA VITA IL NOBEL GELL-MANN Un mondo ragionevole Previsioni fosche e sviluppo sostenibile
AUTORE: RAVIZZA VITTORIO
ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, PREVISIONI
PERSONE: GELL MANN MURRAY
NOMI: GELL MANN MURRAY
LUOGHI: ITALIA

MURRAY Gell-Mann, premio Nobel per la fisica nel 1969 per la scoperta dei quark, i costituenti ultimi della materia, nei giorni scorsi è stato protagonista, a Milano, di "Dieci Nobel per il futuro", una serie di incontri con accademici, ricercatori e manager dedicati a un tema, "Verso un mondo più sostenibile", di forte presa in questo fine millennio percorso da angosciose previsioni sul futuro della Terra e del suo carico di viventi. Gell-Mann, nato a New York nel '29, figlio di immigrati dall'Austria, genio precocissimo (a 15 anni era già all'università), partendo dal suo fondamentale lavoro nel campo della fisica ha costantemente ampliato il quadro delle sue speculazini; oggi è uno dei direttori del Santa Fe Institute, un centro da lui fondato insieme con scienziati di discipline apparentemente lontane per studiare quelli che egli ha definito "sistemi adattativi complessi", cioè quei sistemi, siano esseri viventi o programmi informatici, capaci di apprendere e di evolvere utilizzando le informazioni via via acquisite. Temi solo in apparenza lontani dalla realtà concreta, tanto che attraverso di essi Gell-Mann è infine giunto ad affrontare i problemi dello sviluppo e della difesa dell'ambiente, della protezione della biodiversità, della crescita demografica, della povertà e della distribuzione della ricchezza, per ipotizzare infine "una cooperazione e competizione non violenta fra tradizioni culturali diverse e Stati nazionali diversi, come pure una coesistenza sostenibile con gli organismi che condividono con noi la biosfera", come ha scritto concludendo un suo libro di grande successo, "Il quark e il giaguaro", pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri. Professor Gell-Mann, qual è il ruolo degli scienziati nelle scelte per uno sviluppo sostenibile? Gli scienziati, in generale, sono abbastanza impegnati su questo tema? "L'approccio a questo tema richiede l'integrazione di molti modi di pensare. Affrontare il tema della sostenibilità significa capire la stretta connessione tra i processi naturali, economici e demografici accanto ai processi politici, militari, diplomatici, ideologici, tutti difficili da separare gli uni dagli altri. Questo richiede che più persone lavorino separatamente su diversi aspetti, alcuni sul versante naturalistico, altri su quello sociale, altri ancora su quello storico, ideologico; ma ciò che è importante è che infine tutto ciò sia collegato. I naturalisti hanno un ruolo cruciale ma non esclusivo; alcuni di noi si occupano della crescita demografica o appartengono a organizzazioni che tentano di frenare l'aumento della popolazione, altri si occupano dell'aiuto alle popolazioni che vivono nella povertà estrema, altri ancora si occupano della pace o fanno parte di organizzazioni che si occupano della cooperazione e della comprensione internazionale, e così via. Si tratta di soggetti così strettamente connessi che è difficile considerarli separatamente". Come reagiscono politici, organizzazioni internazionali, economisti, imprese multinazionali alle idee e alle proposte che escono dal Santa Fe Institute a proposito di "un mondo ragionevolmente desiderabile e sostenibile"? "Noi del Santa Fe Institute non facciamo proposte specifiche. Ma mi potrebbe chiedere qual è stata la reazione di specifiche personalità politiche alle nostre posizioni. Ciò che posso dire con sicurezza è che il presidente Clinton e il vicepresidente Gore hanno apprezzato il nostro punto di vista, in particolare Gore. So che hanno letto il mio libro e hanno apprezzato il progetto di integrazione intellettuale che vi è illustrato. Il vicepresidente, in particolare, è fortemente impegnato su questi temi; non so quale sia stata la reazione negli altri Paesi ma so che altri leader mondiali sono sensibili a questi temi". Non ritiene che la trionfante parola d'ordine della liberalizzazione e della globalizzazione dell'economia, affidando lo sviluppo unicamente alle leggi del mercato, contraddica quella "consapevolezza planetaria" che lei auspica? "L'idea di un mercato libero è un'estrema ideologizzazione che non trova nessuna applicazione concreta sul pianeta. Ogni processo economico comporta una interazione tra innovazione, produzione, capitale e le istituzioni; senza un'istituzione che garantisca, per esempio, il diritto di proprietà intellettuale, o che renda vincolanti i contratti non ci potrebbe essere attività economica. Qualcuno può pensare che allevare animali in un ranch sia un'attività libera; in realtà nella maggior parte dei casi essa dipende da una serie di regole ridicolmente minuziose date dal governo. Qualunque economista riconosce che vi sono delle esternalità che devono essere internalizzate, come i costi dell'informazione, e che vi sono certi tipi di compenso non monetario di cui vi deve tenere conto come la qualità della vita, le buone condizioni di lavoro, il clima favorevole, il luogo piacevole. Quindi la nozione di un mercato libero è perlopiù un'illusione. Bisogna discutere di tutte queste cose insieme. Quando guardiamo alle istituzioni oggi ci riferiamo soprattutto agli Stati nazionali; in realtà la scala della maggior parte delle attività è sia a livello planetario sia a un livello più locale dato che è in corso simultaneamente una frammentazione e una globalizzazione; un riaggiustamento delle istituzione dovrà assolutamente aver luogo. La globalizzazione comporta la graduale costruzione di una consapevolezza che trascenda le frontiere nazionali. Una guerra tra Stati dell'Europa occidentale quale mio padre ed io abbiamo visto oggi è improbabile". Ritiene auspicabile e possibile in un prossimo futuro un super-governo mondiale della politica e dell'economia? "Nel futuro può essere; ma ciò che sta avvenendo oggi non è la costruzione di un governo mondiale ma la costruzione di molte istituzioni sempre più ampie e con obiettivi sempre più globali, come le agenzie specializzate delle Nazioni Unite, come anche l'Assemblea generale e il Consiglio di sicurezza, o molte organizzazioni private operanti a livello internazionale (di medici, di ecologisti, musicali e così via), o convenzioni internazionali (telefoniche, telegrafiche, per lo studio degli uccelli migratori)". Le Nazioni Unite hanno annunciato in questi giorni che nel giugno '99 la popo lazione mondiale raggiungerà i 6 miliardi. Per un mondo più sostenibile servono misure che rallentino la crescita demografica? "Il tasso di crescita della popolazione mondiale sta rallentando, forse ha raggiunto un paio di anni fa quello che con termine matematico viene chiamato punto flesso. Questo è un vero disastro perché diventa sempre più difficile alleviare la povertà; nello stesso tempo le popolazioni più fortunate stanno consumando risorse a un tasso sempre più elevato". Miliardi di persone in Asia, Africa e Sud America aspi rano a un tenore di vita pa ragonabile a quello euro peo e nordamericano. Quali sono le condizioni perché ciò possa avvenire con un impatto ambientale sostenibile? "E' un argomento molto difficile a causa dell'enorme pressione della popolazione e inoltre per il divario addirittura risibile tra il tasso dei consumi dei poveri e quello dei ricchi. Dobbiamo fare tutto il possibile per utilizzare la scienza e la tecnologia per ridurre il danno ambientale per persona e per unità di prosperità convenzionale; ma occorre anche tentare di rientrare noi stessi verso un nuovo concetto di prosperità. Naturalmente occorre che le persone abbiano da mangiare e un tetto, ma il nuovo concetto di prosperità non deve comprendere il consumo di enormi risorse per consumi frivoli. Molte di queste condizioni corrispondono al concetto di inte riorizzazione delle esternalità, che significa addebitare l'uso e il danneggiamento dell'ambiente, per esempio dell'aria o dell'acqua, ai costi di produzione, un concetto ben espresso dalla formula che usate in Italia: chi inquina paga". Vittorio Ravizza




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