TUTTOSCIENZE 26 maggio 99


IN EDICOLA DA OGGI Cd-rom che parla e ascolta Con Tuttoscienze '94-'98, gli studi Cselt
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: DIDATTICA
NOMI: BALBONI GIAN PAOLO, BILLOTTI MICHELA, VICO ANDREA
ORGANIZZAZIONI: CSELT, LA STAMPA, TUTTOSCIENZE
LUOGHI: ITALIA

DA oggi è nelle edicole un nuovo Cd-Rom di ««Tuttoscienze»» che contiene le ultime cinque annate del supplemento (circa quattromila articoli) e più di 500 indirizzi Internet di interesse scientifico accuratamente selezionati, molti dei quali ne aprono altri, sicché il loro numero è virtualmente enorme. Ma tutto questo occupa solo una parte del dischetto. Nello stesso Cd, il lettore troverà la storia di vent'anni di ricerche dello Cselt sulla sintesi e sul riconoscimento della voce, una delle sfide più suggestive nel campo informatico. Di questa sfida riferiscono qui accanto Gian Paolo Balboni e Michela Billotti in rappresentanza dei ricercatori Cselt che di questi studi sono stati e sono tuttora protagonisti. Nel Cd i diversi approcci tecnologici per realizzare il dialogo uomo-macchina sono raccontati in modo divertente, con animazioni, giochi e quiz. E naturalmente con esperimenti che il lettore potrà fare in prima persona per misurare gli straordinari progressi compiuti dai primi computer parlanti a quelli di oggi. Ma non vogliamo togliervi il gusto della sorpresa. Limitiamoci quindi a qualche osservazione sulle annate di ««Tuttoscienze»» e sulla scienza imbandita alla grande mensa di Internet. Sollecitati da insistenti richieste, abbiamo ritenuto utile affiancare alla raccolta di ««Tuttoscienze»» del 1998 anche quelle degli anni 1994-1997. E' vero che sono già disponibili in altri Cd, ma il grande vantaggio del digitale sta nella possibilità di accesso per parole-chiave a quantità massicce di informazione. Dunque perché non avvalersene? L'editoria elettronica ha leggi diverse da quella su carta, ed è bene che ognuna sfrutti al meglio le proprie armi. Nessuno ricomprerebbe una enciclopedia intera per averne il volume di aggiornamento ma, nel campo dei Cd, il valore aggiunto consiste soprattutto nella potenza del sistema di consultazione. Quindi d'ora in poi seguiremo la linea di affiancare l'ultima annata alle quattro precedenti. Ad uno sguardo retrospettivo, il periodo compreso nel Cd è particolarmente interessante: sono gli anni della scoperta dell'ultimo quark (il Top), della lettura del genoma umano, della clonazione, delle biotecnologie, del robot che ha passeggiato su Marte, della scoperta del ghiaccio sulla Luna, delle straordinarie osservazioni della sonda ««Galileo»» intorno a Giove e del telescopio spaziale Hubble. Quanto agli indirizzi scientifici di Internet, Andrea Vico ha di nuovo curato la selezione dei siti, verificando quelli già segnalati, cassando i cattivi e aggiungendone di buoni. Un po' come si fa per le guide gastronomiche. Con Internet però bisogna sempre ricordare che solo apparentemente il pranzo è gratuito (cioè le informazioni sono lì a disposizione). Chi ha servito le informazioni, qualche tornaconto, anche nobilissimo, ce l'avrà pure. Quindi al nostro spirito critico aggiungete il vostro. E con questo viatico, buona navigazione. Piero Bianucci


PRONTO: sono un computer, dica pure...
Autore: BALBONI GIAN PAOLO

ARGOMENTI: INFORMATICA
ORGANIZZAZIONI: CSELT, LA STAMPA, TUTTOSCIENZE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: CD-ROM TUTTOSCIENZE, ELETTRONICA

SONO passati ormai più di trent'anni da quando Stanley Kubrick concepì Hal, il computer di controllo che dialogava con gli astronauti per ricevere gli ordini e fornire informazioni sul volo dell'astronave Discovery. Il regista riteneva plausibile che nel 2001 sarebbe stato possibile usare la voce come mezzo per interagire con il sistema. In fondo non si sbagliava di molto. Lo sviluppo delle tecnologie vocali consente oggi di avere voci artificiali di qualità molto buona, e permette alle macchine di riconoscere parole, comprendere il senso delle frasi, ed operare di conseguenza. Questo è il risultato di oltre 25 anni di ricerca scientifica in cui, una volta tanto, l'Italia ha la possibilità di ben figurare grazie a Cselt, il Centro di Ricerca torinese del Gruppo Telecom Italia, che costituisce uno dei riconosciuti punti di eccellenza mondiale nel campo.Con l'aiuto prezioso e paziente di molti ricercatori Cselt, abbiamo costruito per il Cd Tuttoscienze 1998 un percorso didattico, che spiega su quali principi si costruisce una voce sintetica di buona qualità e come si riesce a dotare il calcolatore della intelligenza necessaria affinché riconosca le parole che voi pronunciate, o meglio si impegni in un dialogo. La ricerca sulle tecnologie vocali comincia negli Anni 70 in Cselt, agganciandosi alle competenze maturate per il trattamento numerico della voce nelle reti di telecomunicazioni. A quel tempo il problema era soprattutto quello di trovare la migliore codifica digitale per un segnale vocale che andava prima numerizzato, poi trasportato e riprodotto, e talvolta memorizzato. E una volta definita la rappresentazione numerica di una voce umana, perché non cercare di farla generare automaticamente da un computer? O di farla dallo stesso computer interpretare? Le tecnologie di sintesi e riconoscimento vocale si svilupparono negli anni attraverso cammini talvolta indipendenti, per ritrovarsi oggi riunite nelle applicazioni. Su quali principi si basa la sintesi della voce? I primi tentativi di produrre una voce artificiale si basarono sullo studio dell'apparato fonatorio ed articolatorio dell'uomo. Erano perciò studi adatti più a fisici o medici che a ingegneri elettronici. Questi studi permisero di sviluppare una buona conoscenza dei vari suoni utilizzati nella lingua: la ««classificazione articolatoria»» definisce il luogo e il modo in cui si forma il suono nel cavo oro-faringeo, l'analisi dello spettro fornisce le frequenze e le energie in gioco. Ma la strada che Cselt ed altri laboratori svilupparono per generare una voce sintetica prese presto una direzione differente, seguendo la tecnica della composizione di segmenti acustici. Con questa tecnica, anziché riprodurre con complessi algoritmi matematici il comportamento dell'apparato fonatorio di un essere umano, la voce sintetica costruisce ogni parola mettendo in fila, uno dopo l'altro, tanti mattoncini acustici elementari scelti opportunamente. L'insieme di questi mattoncini, immagazzinato nella memoria del computer, è il cosiddetto vocabolario di sintesi, elemento fondamentale da un punto di vista tecnico. I primi vocabolari furono costruiti basandosi sui fonemi propri della nostra lingua, i suoni di base che compongono le nostre parole. Si scoprì presto, però, che una voce artificiale che usi i fonemi come unici elementi per comporre il proprio eloquio è destinata a lasciare sempre l'impressione di una dicitura meccanica e mal articolata. Questo perché l'elemento caratterizzante di ogni espressione pronunciata non è tanto il fonema quanto il difono, una particella acustica che rappresenta il legame tra un fonema e il successivo. I difoni infatti generano quel senso di scorrevolezza nella pronuncia delle parole che caratterizza una parlata fluida. Su un principio di concatenazione di fonemi e difoni si basa perciò Eloquens, il sintetizzatore vocale che Cselt realizzò nei primi Anni 90, che oggi utilizza un vocabolario di circa 3000 elementi acustici per la propria voce. Eloquens è una voce oggi molto nota anche al pubblico: la possiamo ascoltare al telefono, quando chiediamo di conoscere l'indirizzo di una persona di cui ricordiamo solo il numero telefonico, oppure in alcuni prodotti di editoria multimediale, dove viene impiegato per leggere testi scritti. Ma naturalmente la ricerca prosegue: oggi nei laboratori Cselt (ed in questo Cd...) è possibile ascoltare i primi ««vagiti»» di una nuova voce sintetica, di qualità ancora superiore, cui i tecnici stanno lavorando alacremente. L'idea alla base di questo miglioramento è quella di ampliare il vocabolario oltre gli elementi acustici semplici (cioè fonemi e difoni), inserendo altre unità acustiche di lunghezza variabile, che siano concatenazioni più lunghe di suoni significativi per la lingua italiana. Fin qui però è solo metà della storia. Per dialogare con un computer bisogna infatti anche insegnargli a capire ciò che noi diciamo. E la cosa si complica ulteriormente. Con le capacità di oggi dobbiamo scegliere fra due strade: vogliamo un sistema che sia capace di comprendere una sola voce, la voce del padrone per così dire, o vogliamo un sistema capace di ascoltare qualunque persona gli rivolga la parola? Questo secondo sistema realizza ciò che chiamiamo indipendenza dal parlatore. Poi serve ancora una decisione: vogliamo un sistema capace di comprendere qualunque tipo di domanda o di richiesta, oppure ci ««accontentiamo»» di qualcosa che sappia interpretare le nostre richieste in un contesto ben definito, per esempio una richiesta di informazioni turistiche sulla città in cui siamo? Quest'ultimo è il caso di dipendenza dal contesto applicativo. Al giorno d'oggi non sappiamo (ancora...) costruire una macchina che riconosca tutte le voci, in tutte le situazioni, quando parlano liberamente di un qualunque argomento. Perciò la ricerca sviluppata nel mondo delle applicazioni informatiche per ufficio si è concentrata su oggetti per trascrivere automaticamente un testo letto parola per parola (i cosiddetti sistemi di dettatura), capaci di apprendere progressivamente le caratteristiche vocali della ««voce del padrone» », e ridurre gli errori di trascrizione.Invece la ricerca mirata a fornire servizi interattivi sulle reti di telecomunicazioni si è preoccupata di sviluppare riconoscitori che fossero totalmente indipendenti dal parlatore, sfruttando al meglio la conoscenza del contesto applicativo al fine di migliorare la probabilità di successo del riconoscitore. Ed oggi, su contesti definiti, abbiamo riconoscitori in grado di capire oltre l'80% di frasi pronunciate in modo naturale da un qualunque parlatore in una cornetta telefonica, e perciò rispondere a tono. Tutto questo, ed altro ancora, è ben raccontato nel Cd, una guida didattica ed articolata per tutti coloro che vogliano addentrarsi nei meandri, poi non così misteriosi, delle tecnologie che già oggi ci consentono quotidiani ««Dialoghi Digitali»»... Gian Paolo Balboni Cselt e Politecnico di Torino


APPLICAZIONI QUOTIDIANE Sempre più spesso dialoghiamo con un chip Succede in auto, su Internet, quando chiediamo l'orario del treno...
Autore: BILLOTTI MICHELA

ARGOMENTI: INFORMATICA
ORGANIZZAZIONI: CSELT, LA STAMPA, TUTTOSCIENZE, WEB
LUOGHI: ITALIA
NOTE: CD-ROM TUTTOSCIENZE, ELETRONICA

LE tecnologie vocali consentono una sempre più facile interazione tra l'uomo e la macchina. E' il caso, ad esempio, della nostra auto che, dotata di un sistema di localizzazione satellitare, tramite voce sintetica ci suggerisce la strada migliore in termini di viabilità e di tempo. Così, evitati gli ingorghi di traffico, si arriva in ufficio e si telefona a un collega, pronunciando solo il suo nome o quello del settore aziendale in cui lavora, o si accede da lontano alla propria casella postale per sentirsi leggere da una voce sintetica i messaggi ricevuti. Intanto nostro figlio, studente universitario, intervista su Web gli avatar di personaggi famosi, da Einstein a Leonardo da Vinci, che sono in grado di rispondergli a tono, oppure parla con la segreteria di Facoltà, dove è attivo 24 ore su 24 un sistema di riconoscimento vocale, e richiede certificati o (speriamo!) si iscrive agli esami. Tutto questo non è futuro, ma realtà. Oggi prenotare le vacanze su Internet è alla portata di tutti: Call Center multimediali, detti anche Web Call Center, permettono, mentre si naviga sulla rete, di attivare una comunicazione in voce, ad esempio con l'operatore dell'agenzia viaggi, oppure di ottenere chiarimenti da una voce sintetica . Ormai molti servizi usano la tecnologia di sintesi per offrire all'utente la lettura di informazioni tramite voce sintetizzata. CosIn tale contesto persone non vedenti possono usufruire di servizi informativi, accedere a banche dati, o navigare in Internet. Un risultato concreto viene dal progetto di telemedicina del ministero della Ricerca: Cselt, con ««La Stampa»», ha realizzato il giornale elettronico per non vedenti, che consente la lettura in sintesi vocale degli articoli del quotidiano. Per i non udenti esistono sistemi che permettono la comunicazione via telefono, convertendo sul videotelefono il parlato in testo scritto e, in caso di afasia vocale, permettono alla persona di scrivere un testo che viene poi vocalizzato tramite sintesi. Nelle applicazioni più avanzate, sintesi e riconoscimento vocale consentono il dialogo diretto uomo-computer. E' il caso del servizio telefonico delle FS che fornisce, 24 ore su 24, tramite voce sintetica, gli orari ferroviari tramite un sistema di risposta automatico sviluppato dallo Cselt. Non sempre però è necessario avere una macchina che comprenda ciò che diciamo e sia in grado di rispondere; ci sono servizi in cui è importante solo il sentire una voce, anche sintetica, che parli con noi. Un recente studio condotto in ospedali di Boston e di Pittsburg ha infatti rivelato come il semplice ascolto di una voce sintetica abbia una positiva influenza sui pazienti. La sensazione di una presenza continua, offerta da una voce in grado di trasmettere stati d'animo, anche in relazione alle diverse intonazioni assunte, ha portato a condizioni psicologiche favorevoli, con conseguenti benefici terapeutici. Michela Billotti


SCIENZE FISICHE RICERCHE NEGLI USA Le ciliegie sostituiranno l'aspirina? Avrebbero le stesse qualità terapeutiche senza effetti collaterali
Autore: VAGLIO GIAN ANGELO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: MICHIGAN STATE UNIVERSITY
LUOGHI: ITALIA
NOTE: ALIMENTAZIONE, RICERCA SCIENTIFICA

A cent'anni dalla sua scoperta l'aspirina avrà, forse tra breve, un temibile competitore come antidolorifico, una pillola a base di ciliegie. E' la speranza del professor Nair e del suo gruppo della Michigan State University.La ricerca è iniziata dalla constatazione che produttori e lavoratori impiegati in piantagioni di un tipo di ciliegia asprigna, coltivata nel Michigan, con un'alimentazione ricca di ciliegie e di prodotti derivati, sono soggetti ad attacchi di cuore e a malattie cardiovascolari con un'incidenza molto bassa rispetto alla media statunitense. Nelle regioni interessate alle piantagioni, all'inizio degli Anni 90, furono fatte indagini sistematiche da cui risultò in modo evidente una relazione tra diminuzione di attacchi di cuore e consumo di ciliegie. A questo punto Nair decise di iniziare la sua ricerca sui composti isolati dalle ciliegie del Michigan, con la convinzione che la maggior parte degli stessi fossero contenuti anche in altri tipi di ciliegie. Dai risultati ottenuti i ricercatori statunitensi hanno dedotto che le sostanze responsabili degli effetti antidolorifici attribuiti alle ciliegie siano principalmente antociani. A questa classe di composti appartengono le specie che conferiscono la colorazione, da rosso-arancio a rosso, a vari tipi di frutta e di fiori. Dal punto di vista chimico gli antociani sono sali, di solito cloruri, in cui gli ioni positivi sono colorati ed hanno la struttura base del benzopirilio, a cui sono legati gruppi ossidrilici ed una o due molecole di uno zucchero che è generalmente glucosio. Le diverse posizioni in cui si trovano i gruppi sostituenti differenziano gli antociani gli uni dagli altri. Prove di laboratorio in vitro hanno dimostrato che diversi antociani, isolati dalle ciliegie, sono inibitori efficaci dei due enzimi cicloossigenasi 1 e 2. La modalità di azione di questi antociani non è ancora nota in tutti i dettagli, ma è provato che l'effetto antidolorifico è correlato, come per l'aspirina, ad una riduzione nei livelli di prostaglandine dovuta all'inibizione degli enzimi cicloossigenasi 1 e 2. Ciò rende gli antociani potenzialmente utili come farmaci antinfiammatori per artrite e gotta, dove il dolore è associato al rilascio di prostaglandine a seguito di un danno ai tessuti. Per idrolisi con acidi o per azione di fermenti gli antociani liberano lo zucchero e formano gli agliconi corrispondenti. Questi ultimi composti, detti antocianidine, si sono dimostrati efficaci contro il dolore in dosi inferiori ad un decimo del principio attivo dell'aspirina. Le antocianidine possono, perciò, essere considerate super-aspirine, e la loro efficacia può essere attribuita alla selettività elevata del processo di inibizione unicamente nei confronti della cicloossigenasi 2, mentre non esercitano azione inibente verso l'enzima 1, fatto positivo in quanto un'inibizione della cicloossigenasi 1 può avere effetti collaterali indesiderati e causare disturbi di stomaco e, a lungo termine, anche forme di ulcera. Il gruppo di ricerca ha scoperto che, oltre a possedere proprietà antidolorifiche, diversi antociani sono molto efficaci in vitro, insieme ad altri composti presenti nelle ciliegie appartenenti alla famiglia dei flavonoidi, nell'impedire l'ossidazione dei lipidi. Sono, quindi, in grado di prevenire un danno irreversibile a componenti fondamentali delle membrane delle cellule. Questa attività antiossidante degli antociani, più spiccata di quella delle vitamine E e C, può quindi esercitare un ruolo importante anche nella prevenzione di alcune forme di cancro. Una conferma deriva dalla constatazione che quantità abbastanza grandi di certe sostanze contenute nelle ciliegie, in particolare antociani, aggiunte alla carne durante la cottura riducono fortemente la formazione di ammine aromatiche eterociliche che sono sostanze con attività cancerogena. La richiesta di brevetto del gruppo dell'Università del Michigan è indirizzata alla produzione di un farmaco. Il processo consiste nell'eliminazione di zuccheri e acidi dalla polpa delle ciliegie e nella successiva trasformazione in pillola della restante parte. Le pillole, contenenti da 12 a 25 milligrammi di sostanze attive, dovrebbero avere un'efficacia molto simile a quella delle compresse di aspirina. L'arrivo sul mercato Usa è previsto entro la fine dell'anno. Gian Angelo Vaglio Università di Torino


SCIENZE FISICHE CHIMICA Sulla plastica Pvc è ancora guerra Greenpeace attacca, Baxter resiste
Autore: FOCHI GIANNI

ARGOMENTI: CHIMICA
NOMI: CADOGAN DAVID, MCGINLEY JACK
ORGANIZZAZIONI: BAXTER
LUOGHI: ITALIA

NOI applaudiamo!»» dichiarava recentemente Greenpeace negli Stati Uniti. Si riferiva all'annuncio della Baxter, società fra i leader mondiali nella produzione d'attrezzature mediche, alla quale veniva attribuita l'intenzione d'abbandonare il PVC (polivinilcloruro) per i sacchetti di sangue e derivati da iniettare in vena. Come si sa, quella diffusissima materia plastica è da parecchi anni nel mirino dell'associazione ambientalista. Il grido di esultanza spingeva però la Baxter a precisare: in realtà si era impegnata a studiare e sviluppare materiali alternativi, da impiegare in avvenire ««nei casi in cui - dichiarava il vicepresidente Jack McGinley - le proprietà e l'innocuità risultassero superiori a quelle del PVC»». Un riconoscimento di fatto - sostengono gli industriali produttori del PVC - che, considerati tutti gli aspetti, per il momento alternative valide non ci sono. Greenpeace fa invece notare che la Baxter ha anche invitato a non citare nè mostrare articoli suoi nelle campagne pubblicitarie volte a promuovere l'immagine del PVC presso l'opinione pubblica. Di tutto questo si è parlato a Bruxelles in un incontro fra giornalisti e Cefic (Consiglio Europeo dell'Industria Chimica). Sotto il tiro degli ambientalisti si trovano da anni in particolare alcuni composti organici detti ftalati, che vengono aggiunti in dosi alte al PVC per renderlo flessibile e morbido (in gergo si chiamano plastificanti). Se Greenpeace può citare l'agenzia governativa statunitense per la protezione dell'ambiente (EPA), la quale non ha mai cancellato i suoi sospetti sul DEHP (lo ftalato più diffuso), che una decina d'anni fa definì possibile cancerogeno, la ragione - ha detto il relatore David Cadogan - sta nel fatto che l'EPA attende il giudizio definitivo dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC). Quest'ultima ha annunciato di voler riprendere in esame il DEHP, che nel 1981 inserì nella lista dei sospettati perché causava tumori al fegato dei ratti. Ma intanto, nel 1995, la IARC ha preso atto dei molti studi che hanno chiarito come un effetto del genere sussista solo nei roditori: questi nel fegato hanno un notevole numero di corpuscoli detti perossisomi, che in presenza di DEHP proliferano e portano al cancro. Lo stesso effetto sui ratti ce l'hanno alcuni farmaci usati per abbassare il livello dei grassi nel sangue; il loro impiego è tutt'altro che recente, e non ha mai generato sospetti per l'uomo. Sono limitate ai roditori anche alcune conseguenze negative sulla fertilità maschile (atrofia dei testicoli) osservate per il DEPH e per alcuni altri ftalati d'interesse pratico. Per quanto riguarda le alterazioni endocrine, Cadogan ha esposto dati secondo cui le ricerche in vitro, che avevano rivelato qualche possibile effetto sgradito, sono fuorvianti, perché gli stessi plastificanti danno risultati negativi in vivo: gli ftalati vengono infatti trasformati rapidamente nell'organismo in sostanze inattive. L'industria del PVC si appella alla scienza anche per il problema dei rifiuti. Allo scopo sta dando il suo pieno appoggio ai programmi lanciati dalla Commissione Europea (ne avremo i risultati nella seconda metà di quest'anno) per chiarire l'influenza del PVC sulla pericolosità dei gas emessi dagli inceneritori, il suo comportamento nelle discariche, le possibilità di riciclaggio chimico e infine lo stato e le prospettive reali dello smaltimento dei rifiuti di PVC nei vari stati membri. Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa


SCIENZE FISICHE ASTRONAUTICA L'esercito avrà un radar in orbita
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: DE JULIO SERGIO, ZIGNANI ALBERTO
ORGANIZZAZIONI: ASI
LUOGHI: ITALIA

L'ITALIA si appresta ad entrare in orbita anche con gradi e stellette. Sarà infatti una ««costellazione»» di sette satelliti militari, a formare dal 2003 un vero e proprio sistema nazionale di osservazione per impieghi strategici e tattici dell'area mediterranea. Il progetto riguarda una convenzione stipulata nei giorni scorsi a Roma tra l'Agenzia Spaziale Italiana e il ministero della Difesa, con un accordo sottoscritto dal generale Alberto Zignani, segretario generale della Difesa, e da Sergio De Julio, presidente dell'Asi, e si basa sul già esistente ««Skymed Cosmo»». Si prevede di realizzare sette satelliti pesanti meno di mille chilogrammi ciascuno, dotati di tecnologia radar e ottica molto sofisticata. L'Italia, che già negli anni scorsi si era distinta come nazione leader nel settore dei radar per osservazione della Terra dallo spazio, ha fornito le proprie esperienze in questo settore per il progetto del satellite militare ««Helios»» assieme a Francia e Spagna. Ma la rete ««Skymed Cosmo»» fornisce prestazioni maggiori, come l'osservazione dello spazio in qualsiasi condizione ambientale (molto utile in casi di disastri ambientali), elevata frequenza di sorvolo degli obiettivi, brevi tempi di reazione, migliore rapporto costo/operazioni. Il progetto prevede un investimento di 60 miliardi di lire (circa 40 a carico dell'Agenzia Spaziale Italiana), e un prototipo di sensore-radar ad apertura sintetica chiamato ««SAR 2000»», in grado di soddisfare requisiti civili e militari, che nasce nell'ambito del Comitato Interministeriale Difesa - Murst e Asi, e che vede la Divisione Spazio di Alenia Aerospazio con il ruolo di capocommessa. Questo tipo di radar, che opera nella banda dei raggi X per immagini telerilevate della superficie terrestre, si basa sulle competenze di quello impiegato nel progetto Asi-Dara-Nasa per osservazione terrestre a scopi civili, che ha volato nella stiva dello shuttle ««Columbia»» STS-68 nell'ottobre 1994, e che si è rivelato un importante successo per dati, immagini e informazioni di tipo ambientale. Antonio Lo Campo


SCIENZE FISICHE ASTRONOMIA Luna, origine violenta Sarebbe nata da una collisione catastrofica
Autore: DI MARTINO MARIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. FORMAZIONE DELLA LUNA

LE idee sull'origine della Luna sono radicalmente cambiate a partire dalla seconda metà degli Anni 70. Iniziò allora a farsi strada l'ipotesi che il nostro satellite si sarebbe originato in seguito a un gigantesco impatto che interessò la Terra poco dopo la sua formazione, quando il suo nucleo metallico si era già differenziato dal resto degli altri materiali di cui il nostro pianeta è costituito. La necessità di una nuova teoria sull'origine della Luna si manifestò in seguito al confronto fra le tre teorie ««classiche»» (cattura, fissione, coaccrescimento) e l'enorme quantità di dati ottenuti dalle missioni ««Apollo»» effettuate tra il 1969 e il 1972. Le analisi delle rocce lunari riportate a terra dagli astronauti, insieme con le misurazioni geofisiche e fotografiche effettuate sia in loco sia dall'orbita, fornirono un quadro che risultò incompatibile con ciascuna di quelle teorie e da questa constatazione vennero poste le basi per un approccio completamente nuovo riguardo al meccanismo di formazione del nostro satellite. E' noto da più di un secolo che la densità media della Luna (3,344 grammi/cm cubo) è molto inferiore a quella della Terra (5,515 grammi/cm cubo), ma è molto prossima alla densità del mantello superficiale del nostro pianeta. Questi valori quindi sono l'indicazione principale che la Luna non possiede un consistente nucleo metallico. Inoltre la sua composizione chimica generale mostra molte similarità con quella della crosta terrestre. Ad esempio, i rapporti isotopici dell'ossigeno e le abbondanze degli elementi più comuni, come silicio e magnesio, sono praticamente identici ed indicano perciò una strettissima relazione tra i due corpi. D'altra parte la Luna appare più ricca di elementi come alluminio, calcio, cromo, titanio ed uranio, mentre le abbondanze di elementi e sostanze volatili come sodio, potassio, rubidio ed acqua appaiono molto inferiori a quelle presenti sulla Terra. Un elemento che caratterizza il sistema Terra-Luna è il suo elevatissimo momento angolare, se confrontato con quello degli altri pianeti (fatta eccezione per il sistema Plutone-Caronte). Se tutta la massa e il momento angolare del sistema Terra-Luna fossero concentrati in un unico corpo, questo ruoterebbe con un periodo di sole circa 4 ore. Fu questo il principale sostegno alla teoria della fissione, la maggiore concorrente della teoria dell'impatto gigante. La fissione di materiale terrestre si sarebbe verificata per l'elevatissima forza centrifuga che avrebbe causato il distacco di materiale dalle regioni equatoriali della giovane Terra il quale successivamente si sarebbe riaggregato formando la Luna. Questa teoria però non si preoccupo' di spiegare come un corpo delle dimensioni della Terra, poco dopo la sua formazione, avesse potuto raggiungere uno stato di così rapida ed anomala rotazione, nè del perché il piano orbitale del nostro satellite non è complanare con l'equatore terrestre. La teoria della collisione prevede che la Terra sia stata colpita con un impatto radente da un corpo di dimensioni comprese tra la metà e tre volte la massa di Marte. A seguito dell'impatto un'enorme quantità di materiale vaporizzato del mantello terrestre sarebbe stato espulso ed avrebbe prodotto un anello di detriti in orbita attorno alla Terra che con il tempo si sarebbero aggregati per formare l'attuale Luna. Chiaramente questo anello orbitante sarebbe stato ««inquinato»» dal materiale dell'impattore vaporizzatosi a causa dell'enorme calore sviluppatosi a seguito della collisione; ciò potrebbe spiegare le differenze composizionali riscontrate tra la Luna e la crosta terrestre. Questa teoria ha ricevuto recentemente un forte sostegno dai risultati ottenuti dalle osservazioni effettuate dalla sonda ««Lunar Prospector»», che dal gennaio dello scorso anno è in orbita attorno alla Luna. Si è potuto infatti stabilire che il nucleo metallico della Luna contiene meno del 4% della sua massa totale. E' un valore estremamente basso se confrontato con quello della Terra, nel cui nucleo si concentra oltre il 30% della massa totale del pianeta, un valore che dovrebbe avere anche il nostro satellite, se fosse vera la teoria del coaccrescimento. I dati ottenuti dalla sonda ««Lunar Prospector»» provengono dalle misure gravimetriche che hanno permesso di stabilire che il nucleo della Luna ha un diametro compreso tra 450 e 900 km, valori questi che sono in accordo con quelli ottenuti indipendentemente da misure magnetometriche. ««Lunar Prospector»» ha condotto la sua missione primaria di mappatura della superficie lunare da un'altezza di 100 km per circa un anno a partire dall'11 gennaio 1998. Alla fine dello scorso dicembre la sua altezza orbitale è stata abbassata a circa 30 km e le osservazioni effettuate da una quota così bassa permetteranno di ottenere preziose e dettagliate informazioni sulla composizione mineralogica del nostro satellite e potranno forse fornire una risposta definitiva sulla sua origine ed evoluzione. Mario Di Martino Osservatorio di Torino


SCIENZE DELLA VITA PICCOLI MUSEI: TORINO I colibrì di don Franchetti Una collezione di mille esemplari
Autore: GROMIS DI TRANA CATERINA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: COLONGO ALFREDO, SBARSI ERNESTO, SIMONDETTI MARIO, SOZZO SARA, TARONI GIORGIO
ORGANIZZAZIONI: MUSEO DI SCIENZE DELL'ISTITUTO SAN GIUSEPPE DI TORINO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: ANIMALI, AMBIENTE, ECOLOGIA

NELL 'ATMOSFERA fiera di secoli che si respira per le strade di Torino, nascosta tra Risorgimento e Barocco c'è un'altra storia, quella naturale: il Museo di Scienze ne è il più grande depositario, e conserva un'enormità di natura imbalsamata e preziosissima. Peccato sia protetta dallo sguardo dei curiosi come se fosse una riserva integrale speciale, da molti anni e per chissa quanto tempo ancora. Pazientiamo, e nell'attesa di vedere la mura del vecchio ospedale San Giovanni riportate all'onor del mondo, non resta che guardarci intorno occhieggiando angoli più segreti del vecchio Piemonte studioso e conservatore. E così troviamo altri musei, piccole chicche tenute con amore e cura. Uno di questi è all'Istituto San Giuseppe dei Fratelli delle Scuole Cristiane, in via San Francesco da Paola. Quì si trova un museo di tutto rispetto, con i suoi reperti rari e preziosi che, per ora su appuntamento, si lascia visitare con piacere. Alla fine del percorso, dopo aver visto i fossili con la rondine silicizzata di 600.000 anni, e la bella raccolta di minerali, e gli esemplari di animali oggi estinti come il francolino di monte di Lanzo, e la boccia di vetro con la migale a suo tempo allevata in casa e nutrita a topi, ... la sorpresa: l'incanto dei colibrì. c'è una stanza intera tutta per loro, tre grandi vetrine di una collezione imponente, inaspettata, da restare a bocca aperta per la meraviglia. In ordine perfetto, ciascuno sul suo trespolo e con il cartellino in bella scrittura, sono oltre mille e rappresentano 226 specie delle 334 descritte da uno degli elenchi più recenti e rigorosi (Howard & Moore, 1991) nel Nuovo Mondo. Sono i colibrì di don Franchetti, ««fratello»» appassionato di scienze naturali (1878-1964). Chi lo ricorda lo descrive un gracile erudito che diceva Messa in poco più di un amen, e così non c'era nemmeno il tempo di ripassare le lezioni durante la predica. Aveva altri modi per rendere grazie a Dio: celebrava la grandezza della creazione raccogliendo uccelli mosca. Aveva contatti ovunque ed era pronto a recarsi in capo al mondo per la sua raccolta; un aneddoto lo descrive in una serata al Regio chiedere il colibrì che adornava il cappello di una signora. Ha lasciato una raccolta tra le più importanti d'Europa, perché era un collezionista vero, uno di quei pochi uomini che conservano da adulti il gusto fanciullesco di raccogliere piccoli tesori, gusto che di solito trasforma il collezionismo spontaneo del bambino in desiderio di possesso. Incarnava quello che scrive Giorgio Taroni: ««Nessun animale spende tempo, spazio, energie e risorse per raccogliere oggetti di non vitale necessità. Da molti millenni, invece, l'uomo dedica una parte non secondaria della propria esistenza alla ricerca di oggetti apparentemente inutili, che entrano a far parte della sua vita. Forse, la nascita stessa della civiltà umana coincide con questa possibilità (o forse con questo bisogno) di uscire dalla logica dell'indispensabile e di acquisire il concetto di ««bello»» con cui si schiude il sentimento di libertà e di giudizio individuale»». La collezione di don Franchetti, con quasi ogni specie rappresentata nei due sessi, esemplari in livrea giovanile, ibridi e albini, minuscoli nidi e uova grosse come piselli, è l'apoteosi del gusto vittoriano: ogni museo dell'Ottocento conserva una manciata di colibrì, per offrire allo sguardo una moltitudine di riflessi metallici di topazio, rubino e smeraldo nelle più svariate parti del corpo. Anche immobili sul loro trespolo di eterna fissità, questi gioielli del verde americano lasciano immaginare il loro volo, con il battito d'ali di una rapidità proporzionale alla piccolezza dell'uccello: fantastico record di 50 o addirittura 70 battiti al secondo (un piccione batte le ali da 5 a 8 volte al secondo), che li fanno rientrare nello schema degli insetti dal volo rumoroso e li rendono come loro capaci di librarsi ma non di veleggiare. Non si può pretendere anche questo quando le ali sono minuscoli capolavori costruiti in modo da permettere il volo verticale e all'indietro, e anche di restare immobili a mezz'aria. I colibrì articolano le ali soprattutto alla spalla, mentre il gomito e il polso sono se non bloccati, di sicuro meno ««liberi»». Così le ali sono simili a ali rotanti sulle spalle come le ali degli insetti. La struttura della maggior parte degli uccelli ricorda il volo dell'aeroplano, quella dei colibrì è da elicottero, con le ali che si inclinano come le pale del rotore. Come l'elicottero il colibrì non ha bisogno di una pista di lancio: si alza in verticale, si libra. E intanto, mentre sembra giochi a stare fermo in aria, infila il becco sottile come uno spillo nella corolla dei fiori, si inebria di profumo e di nettare e poi prosegue il suo volo da insetto di fiore in fiore. Queste cose e tante altre ancora devono immaginare quelli che si avvicinano a una collezione come quella del San Giuseppe: lo studio deve essere una sorta di sogno in cui la mente è in volo per fiori, foreste e giardini, e intanto classifica le specie. Della collezione di don Franchetti si sono occupati appassionati naturalisti: punte di diamante fra tanti furono Ernesto Sbarsi, accurato conservatore, Alfredo Colongo, donatore di molti esemplari e delle vetrine, Mario Simondetti, buon conoscitore dei colibrì e serio revisore. Oggi è in pubblicazione un catalogo dal titolo ««The Hummingbird Collection in ««Collegio S. Giuseppe (Turin, Italy)»» a cura del Museo Regionale di Scienze Naturali. Gli autori, Giorgio Aimassi e Lisa Levi, hanno dedicato anni a classificare, rinominare, controllare il patrimonio di storia naturale chiuso in quelle tre vetrine che presto accoglieranno il pubblico in modo ufficiale. Così a molti, non solo studiosi, sarà permesso lasciare libera l'immaginazione...di librarsi, di tuffarsi nelle corolle traboccanti nettare, di intravedere bagliori metallici muoversi tra le fronde, di sognare Paesi lontani. Caterina Gromis di Trana


SCIENZE DELLA VITA OSPEDALI Lo stress di medici e infermieri
Autore: ANGELINI GIUSEPPE, CASCIO BARBARA

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: SANITA', LAVORO, DIPENDENTI, SONDAGGIO

SONO numerose le persone colpite da burnout. Il termine anglosassone tradotto letteralmente significa bruciato, e indica uno specifico disagio professionale causato dalla continua tensione proveniente dall'ambiente di lavoro. L'operatore colpito presenta uno stato di esaurimento fisico, emotivo e mentale e sviluppa atteggiamenti negativi verso la propria attività e le persone che lo circondano. Gli effetti del burnout si ripercuotono oltre che sulla salute psicofisica del soggetto anche sul suo rendimento lavorativo, e poiché il fenomeno sembra interessare particolarmente professionisti che svolgono un'attività sociosanitaria, un deterioramento delle capacità professionali è particolarmente preoccupante. In una ricerca in alcuni ospedali della città di Torino sono stati distribuito questionari rigorosamente anonimi a 500 operatori sanitari (medici ed infermieri), evitando di inserire nel campione il personale dei reparti ritenuti ad alto rischio di burnout (reparti oncologici, psichiatrici...). Sono state riconsegnate solo 280 schede poiché si è spesso incontrata una forte diffidenza da parte dei soggetti interpellati, che non apprezzavano l'intrusione di estranei (anche se colleghi) nel proprio lavoro. Dai risultati ottenuti si è riscontrato però che quasi la metà del gruppo è interessata al fenomeno burnout con una intensità alta o media. Il 50% del campione si giudica esaurito emotivamente dal proprio lavoro, il 46% riferisce sporadiche manifestazioni di distacco o intolleranza verso gli utenti, il 40% talora percepisce un sentimento di inadeguatezza nel rapporto emotivo con il paziente. Al burnout si associano sovente sintomi depressivi e ansiosi, senza giungere a patologie psichiatriche vere e proprie che necessitino di terapia farmacologica. L'età e il sesso non hanno un'influenza particolare sullo sviluppo della sindrome, mentre alcune caratteristiche della persona come il forte desiderio di successo, aggressività, bisogno dell'aiuto degli altri, scarsa capacità di collaborazione con i colleghi e una personalità di tipo ansioso, sono fattori favorenti. L'insoddisfazione per il lavoro deriva soprattutto da mancanza di riconoscimenti che provengono dall'esterno: scarse opportunità di carriera e un trattamento economico inadeguato. Permane invece forte l'autostima e non viene riferita una ridotta capacità di ricavare gratificazione dai propri compiti e di soddisfare le richieste dei pazienti; sembrano anzi maggiormente colpite proprio le persone più appassionate e volitive nell'esercizio della propria professione. Il rilevamento di una massiccia presenza di burnout negli ospedali di Torino ci ha spinto a valutare quali fossero gli interventi per ridurre e prevenire l'estensione del problema. Esistono fattori socio-ambientali, relativi agli aspetti organizzativi del lavoro, e fattori individuali che possono favorire l'insorgenza del burnout. Dove si riscontrino condizioni di lavoro particolarmente stressanti, su queste si dovrà intervenire; qualora la situazione di lavoro non sia invece imputabile del disagio, l'intervento sarà diretto verso il singolo per aumentarne le capacità di adattamento, attraverso corsi di formazione o l'inserimento in gruppi di psicoterapia. Giuseppe Angelini Barbara Cascio Università di Torino


SCIENZE DELLA VITA ARTE E FLORICOLTURA Da Botticelli a lezione di botanica La storia della rosa raccontata in tremila anni di pittura
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: ARTE, STORIA

I dipinti possono aiutare la divulgazione delle conoscenze botaniche, far comprendere l'evoluzione avvenuta nelle varie specie vegetali, e stabilire una cronologia nella loro introduzione facendo apprezzare il lavoro fatto dai genetisti lungo i secoli. La rosa, che è stata ed è una costante presenza nel giardino, ha ispirato numerosi pittori fin dall'antichità. Già sui bassorilievi di tombe egizie databili al 3000 a.C. accanto alle palme e al loto erano presenti disegni di rosa assimilabili presumibilmente alla ««Rosa richardii»» facente parte della sezione delle galliche conosciuta come ««Rosa sacra di Abissinia»». Si pensa si trattasse di un ibrido tra la ««Rosa gallica»» e la ««Rosa phoenicia»». Il roseto e il prato fiorito sono alcuni dei motivi floreali delle pitture medioevali del XV e del XVI secolo. Molto spesso tappeti erbosi nitidi sono scanditi da vialetti rettilinei cinti da alti muri, la cui rigidezza è ingentilita da rosai a spalliera o a cespuglio. Il culto della rosa come madre di Dio nacque al tempo delle crociate, quando i cavalieri tornando dall'Oriente portarono in patria alcuni esemplari della pianta. Nelle officine di pittura e di miniatura della Toscana del XV secolo si incontra un interesse specifico per il tema del giardino che sconfina con il paesaggio. Appartiene a una trasposizione figurativa dell'immagine della Madonna la raffigurazione del giardino, ambiente a lei confacente in quanto metafora del Paradiso. Il dipinto di un maestro renano dell'inizio del Quattrocento è uno dei più begli esempi dell'arte del giardino medioevale. L'insieme degli alberi e delle piante disposte lungo il muro è una reinterpretazione dell'antico bosco sacro, convertito al cristianesimo e grazie alle mura isolato dal mondo esterno. La vergine è circondata da angeli, da santi e da un concerto di uccelli; ogni personaggio compie atti rituali, come la santa Dorotea impegnata nella raccolta delle ciliegie. Si possono contare almeno diciotto specie di fiori fra cui gigli, iris, primule, mughetti, margheritine, malvone, campanellini, peonie e fragole. Le rose, essendo caratterizzate da notevoli spine, potrebbero fare pensare alla ««Rosa pimpinellifolia»». E' una rosa rustica, adattabile a terreni molto poveri, con una piacevole colorazione autunnale del fogliame: i fiori sono piccoli a volte avorio a volte giallo pallido. Nella ««Primavera»» di Botticelli è possibile identificare la ««Rosa X alba incarnata»», dal fiore piatto di colore rosa pallido, con una lievissima tonalità rosata e dal profumo raffinato. Un altro tema caro ai pittori di questo periodo è l'adorazione in cui Gesù infante in un piccolo giardino intensamente fiorito. Nell'««Adorazione del Bambino»» di Francesco Botticini, nello spazio rettangolare isolato dalla campagna grazie a una balaustra, probabilmente è la ««Rosa centifolia»» ad essere presente. Il suo nome corretto è ««Rosa X centifolia»»: si tratterebbe di un ibrido di cui fanno parte ««Rosa gallica»», ««R. phoenicia»», ««R. canina»» e ««R. moschata»» . Spalliere di rose poggianti su di un graticcio di canne a maglie romboidali sconfinanti verso il fondo a perdersi nel paesaggio sono state dipinte da Benozzo Gozzoli tra schiere di angeli adoranti concentrati nel canto del Gloria. L'influenza araba in Europa è notevole: basti pensare ai ««Tacuinum sanitatis»», libri redatti dagli arabi in cui sono contenute le norme per mantenersi in buona salute. Essi contengono elenchi di piante che si accompagnano con figure dipinte da artisti di consumata esperienza con equilibrate composizioni e un magico gioco di cromatismi. Per esaltare la virtù della rosa e il significato che questa può avere in campo medico, il protagonista diventa un roseto in cui una ragazza raccoglie le rose e un'altra intreccia una ghirlanda di rose: si tratta presumibilmente di ««Rosa centifolia»»; lo stesso tipo di rosa si identifica nel ««Vaso di fiori con due conchiglie»» della miniatrice Giovanna Garzoni del 1659. Nell'opera di Giovanni Stanchi ««Ghirlanda di fiori con tre uccellini e una farfalla»» del 1692, nella ghirlanda dipinta su fondo scuro in cui sono inserite quasi esclusivamente rose tra piccoli convolvoli e gelsomini notiamo la ««R. damascena»», la ««R. Centifolia»», la ««R. alba»» e la ««R. canina»», tutte rose conosciute alla fine del Seicento in una gamma infinita di toni tra il bianco e il rosso acceso. Il realismo distingue un dipinto di un pittore fiammingo Otto Marseus (1669) in cui sono osservabili interventi di insetti minatori e addirittura una macchia nera, una malattia dovuta ad un fungo patogeno, conosciuta dagli amanti di questo fiore. C'è chi come Bartolomeo Bimbi, forse più noto per le composizioni di frutta, nel dipingere la rosa ha voluto sottolineare la sua caducità: corolle mollemente inclinate, petali caduti a terra... Tra i ««fioranti»» pittori il più noto è Pierre Joseph Redouté, noto anche come il Raffaello dei fiori: infatti ha dipinto tutte le 250 rose che Giuseppina Bonaparte aveva introdotto nel suo parco a la Malmaison a 16 chilometri da Parigi. E' il primo pittore che sa accoppiare le conoscenze botaniche alla preziosità calligrafica del dipinto: ritrarrà anche le rose ««cinesi»», come la ««Crimson China»», la ««Pink China»», la ««Yellow Cina»», dal profumo di té, che ebbero una importanza notevole per dare origine alle rose ibride di Tea e agli ibridi moderni. Elena Accati Università di Torino


SCIENZE A SCUOLA IL NODO ALLA CRAVATTA La matematica dell'eleganza Curiosa ricerca di due fisici dell'Università di Cambridge
Autore: PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: MATEMATICA
NOMI: FINK THOMAS, HALTON JOHN, YONG MAO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. T. ESEMPI DI NODO ALLA CRAVATTA. TRE MODI DI ALLACCIARE LE SCARPE

LA matematica e la moda, un abbinamento inconsueto, ha portato ad alcuni brillanti risultati che possono modificare le nostre abitudini, i gesti quotidiani che molti di noi eseguono automaticamente ogni mattina: fare il nodo della cravatta o allacciare le scarpe. La ricerca più curiosa è quella di due fisici inglesi dell'Università di Cambridge, Thomas Fink e Yong Mao, i quali sono riusciti a stabilire che i nodi possibili della cravatta sono 85. Quelli generalmente usati, fino ad oggi, erano soltanto quattro. Il nodo più antico, nato in Inghilterra alla fine del secolo scorso, è il 'Four in Hand', usato dai cocchieri per legare la sciarpa attorno al collo. Altri due, il ««Windsor»» e l'««Half-Windsor»», diventarono popolari negli anni trenta dopo essere stati adottati dal duca di Windsor e l'ultimo, il ««nodo Pratt»», è noto soltanto da una decina d'anni. Fink e Mao, specializzati nello studio delle proteine e dei colloidi, hanno pensato che non era necessario attendere altri cinquant'anni per avere un nuovo nodo, ma che la matematica poteva risolvere in modo definitivo il problema. La loro idea è stata quella di creare un modello matematico collegato ai vari passaggi della costruzione del nodo. ««La difficoltà - afferma Fink - è stata quella di convertire criteri estetici in vincoli matematici»».I due scienziati hanno presentato il loro lavoro sull'autorevole rivista scientifica Nature (4 marzo 1999). Un nodo inizia sempre con il movimento dell'estremo più largo della cravatta che viene portato sopra o sotto l'estremo più sottile e prosegue con una serie di movimenti, di mezzi giri, che portano l'estremo più largo a sinistra, al centro o a destra, sopra o sotto l'estremo più sottile, verso l'interno, cioè verso la camicia oppure verso l'esterno. La chiave dello studio, il modello matematico adottato, è un reticolo triangolare sul quale viene effettuata una successione di movimenti casuali, quella che tecnicamente si chiama una ««passeggiata aleatoria»» o ««random walk»». Stabilendo un massimo di nove possibili movimenti e con l'ulteriore vincolo che non si possano avere due movimenti successivi nella stessa direzione, Fink e Mao sono arrivati a determinare gli 85 nodi possibili, compresi i quattro nodi classici, già noti. I due scienziati hanno poi selezionato sei nuovi nodi, quelli esteticamente più validi, per le loro caratteristiche di simmetria e di equilibrio fra i possibili movimenti. Sono nodi che non hanno ancora un nome, ma vengono identificati semplicemente da una coppia di numeri, com'è riportato nella tabella di figura, il primo per indicare il numero totale dei movimenti, escluso quello finale che chiude il nodo, e il secondo per indicare il numero dei movimenti centrali. Uno dei nodi più belli, il (7,2), ha già avuto l'approvazione della sartoria più prestigiosa di Londra, Gieves and Hawkes (i sarti del principe Carlo), che lo ha adottato, battezzandolo ««nodo Fink»». Anche i lacci delle scarpe sono stati recentemente oggetto di un'interessante indagine matematica, autore John Halton, informatico della University of North Carolina. Halton ha voluto determinare il modo più conveniente, in pratica quello che richiede la stringa più corta, per allacciare le scarpe, fra i tre più usati: all'europea, all'americana o stile ««negozio di scarpe»». Anche in questo caso si tratta di analizzare i possibili percorsi dall'occhiello in alto su un lato e all'occhiello in alto sul lato opposto, con una serie di passaggi attraverso un certo numero di occhielli intermedi. Nel modello matematico gli occhielli diventano punti e la stringa una linea. Anche un bravo studente delle medie che conosca il teorema di Pitagora è in grado di risolvere il problema e dimostrare che l'allacciamento all'americana è quello più conveniente. Halton però ha avuto la brillante idea di far corrispondere il percorso dei lacci delle scarpe a quello di un raggio di luce riflesso da una serie di specchi. Il raggio, invece di procedere a zig zag, viene riflesso ad ogni occhiello in modo da conservare un percorso il più possibile rettilineo. In questo modo, riportando i vari percorsi su un reticolo rettangolare, è facile verificare che quello all'americana è più dritto e anche più corto degli altri. Cravatte e stringhe avranno a questo punto un maggior interesse per noi e al mattino, abbandonato il solito nodo, avremo a disposizione un'ampia scelta, per soddisfare l'umore e gli impegni della giornata. Buon divertimento. Il nodo alla cravatta può essere l'avvio di una ricerca sull'affascinante mondo dei nodi. Il punto di partenza, su Internet, è la pagina di Peter Suber che ha raccolto più di 500 collegamenti ad altre pagine sui nodi: http: //www.earlham.edu/~peters/knotlink.htm Alla pagina di Fink si trova il lavoro originale sui nodi della cravatta: http://www.tcm, ohy.cam.ac.uk/~tmf20/ Una stupenda 'Esposizione dei nodì è presentata dalla University of Wales: http://www.bangor.ac. uk/ma/CPM/exhibit/images/menu.htm Il progetto MegaMath per l'insegnante che vuole introdurre in classe la teoria dei nodi: http://www.c3.lanl.gov/mega-math/workbk/knot/knactiv.html Federico Peiretti


SCIENZE A SCUOLA LA LEZIONE / PIERRE SIMON DE LAPLACE Intuì per primo i buchi neri Nato 250 anni fa, fu astronomo, matematico e ministro
AUTORE: GABICI FRANCO
ARGOMENTI: STORIA SCIENZA
PERSONE: DE LAPLACE PIERRE SIMON
NOMI: DE LAPLACE PIERRE SIMON
LUOGHI: ITALIA
NOTE: ASTRONOMIA, MATEMATICA, FISICA

IL 23 marzo 1749, nasceva in un piccolo villaggio della Francia settentrionale il matematico e astronomo Pierre Simon de Laplace. Di umilissime origini contadine, le modeste condizioni della famiglia non gli avrebbero consentito di continuare gli studi, ma i successi riportati alla scuola del villaggio indussero i suoi ricchi vicini di casa a farsi carico dell'educazione scolastica di quel ragazzino promettente che dimostrava grande interesse e versatilità per le scienze e per la matematica. Inviato a Parigi con una lettera per D'Alembert, Laplace non fu ricevuto perché il famoso illuminista e coautore della Enciclopedia si rifiutava di ascoltare i giovani raccomandati. Laplace, allora, gli scrisse una lettera con la quale esponeva in maniera magistrale i principi generali della meccanica e D'Alembert, colpito da quella originale esposizione, volle conoscere il giovane autore e grazie al suo interessamento Laplace fu nominato professore di matematica della Scuola militare di Parigi. Alcuni anni più tardi ebbe anche modo di esaminare un giovane allievo del Corpo reale di artiglieria che rispondeva al nome di Napoleone Bonaparte. Laplace non ne restò particolarmente impressionato ma l'allievo, quando divenne famoso, si ricordò invece del suo professore, nominandolo senatore e Ministro della Pubblica istruzione. Caduto Napoleone, si legò a Luigi XVIII che lo fece pari di Francia e marchese. Insieme ad altri illustri personaggi riuscì ad evitare la ghigliottina perché, durante la rivoluzione francese, fu precettato per calcolare le traiettorie dei proiettili e per collaborare alla direzione dei laboratori che preparavano il salnitro, necessario per la polvere da sparo. Quando la Convenzione decise di riformare il calendario, Laplace propose come inizio del nuovo computo degli anni il 1250, anno nel quale l'asse maggiore dell'orbita della Terra era perpendicolare, come risultava dai suoi calcoli, alla linea degli equinozi. Ma la proposta non passò e fu scelto come inizio della nuova era il 22 settembre 1792, data della proclamazione della Repubblica. Affascinato dal sistema di Newton, e dalla teoria della gravitazione, Laplace considerò l'astronomia ««il vero metodo che bisogna seguire nella ricerca delle leggi della natura»». Gli astronomi, infatti, non si limitano a raccogliere fatti (questo metodo, secondo Laplace, porterebbe solamente a sterili nomenclature), ma vanno oltre ad essi per scoprire quelle connessioni che consentono di formulare le ««leggi» » dei movimenti dei pianeti per poi risalire al principio generale costituito dalla ««gravitazione»». Nella scienza, dunque, tutto discenderebbe da pochi principi generali e grazie alla potenza della matematica, che cessa di essere considerata una scienza autonoma per diventare un semplice strumento delle scienze empiriche, è possibile prevedere tutto. Nulla, dunque, può essere affidato al caso e all'imponderabile (la meccanica quantistica era ancora di là da venire!). Famosissima la affermazione che sta alla base del suo determinismo e secondo la quale una ««intelligenza»» che conoscesse in un certo istante lo stato di un sistema, potrebbe abbracciare in un'unica formula il passato e il futuro. Considerato il ««Newton francese»», nell'arco di ventisei anni pubblicò la Meccanica celeste, della quale propose una edizione più comprensibile e senza formule matematiche dal titolo Esposizione del sistema del mondo, considerato il suo capolavoro. Nella Meccanica celeste, infatti, sembrava farsi burla del lettore quando giustificava certi suoi passaggi matematici con la locuzione ««è facile vedere ...»». E di fronte a quella frase i suoi lettori brontolavano non poco perché, come scrive Bell, sapevano ««che verosimilmente ne avrebbero avuto per una settimana di lavoro da facchini»». Famosissima, in astronomia, la sua ipotesi sull'origine nebulare del sistema solare, che oggi viene giustamente detta ««di Kant-Laplace»» perché il filosofo tedesco fu comunque il primo a proporla. Notevole anche il contributo di Laplace al calcolo delle probabilità e il suo Trattato sulla probabilità resta ancora oggi un classico dell'argomento e un bellissimo esempio di divulgazione scientifica. Va ancora attribuita a Laplace l'intuizione dei ««buchi neri»», vale a dire l'esistenza di un corpo dalla densità talmente elevata da riuscire a intrappolare perfino la luce con il suo forte campo gravitazionale. E' legata al suo nome, infine, una famosissima equazione alle derivate parziali seconde (il cosiddetto ««operatore laplaciano»») che ogni studente di fisica e matematica non può fare a meno di incontrare. Morì a Parigi il 5 marzo 1827. Franco Gàbici Planetario di Ravenna


IN BREVE Onde radio e salute
ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: FONDAZIONE MARCONI
LUOGHI: ITALIA

L'impatto sanitario delle radiocomunicazioni è stato discusso in in una giornata di studio organizzata dalla Fondazione Marconi di Bologna. Ne è emerso che i limiti previsti dal drecreto italiano 381/98 sono i più restrittivi tra quelli finora emanati e in particolare sono molto inferiori a quelli della raccomandazione europea che verrà firmata l'8 giugno.


IN BREVE Una giornata senza tabacco
ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Il 31 maggio sarà la Giornata mondiale senza tabacco, a tutela dei fumatori attivi e passivi. Alla presentazione, venerdì 28 maggio al Circolo della Stampa di Milano, interverrà Silvio Garattini (Istituto Mario Negri).


IN BREVE Sparse in mare le ceneri di Shepard
ARGOMENTI: STORIA SCIENZA
PERSONE: SHEPARD ALAN
NOMI: SHEPARD ALAN
LUOGHI: ITALIA

Dopo molti mesi di mistero si è saputo che fine ha fatto la salma di Alan Shepard, il primo americano lanciato nello spazio nel 1961, a bordo della capsula Mercury, morto per un male incurabile il 21 luglio del '98 a 74 anni. Shepard, che per vent'anni era stato ufficiale e pilota collaudatore della Marina, per sua volontà ha voluto restare legato al mare per sempre: le sue ceneri sono state infatti sparse il 19 novembre '98 nel Pacifico, al largo della costa Califoniana, poco distante dal punto i cui abitava da qualche anno. In origine pareva che le ceneri di Shepard fossero destinate a finire in orbita sullo Shuttle nella missione di John Glenn, ma il suo legame col mare ha superato quello per lo spazio. A differenza di Deke Slayton, altro veterano della Mercury, le cui ceneri orbitanoda qualche anno intorno alla Terra.




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