TUTTOSCIENZE 2 giugno 99


TECNOLOGIA Un libro che conterrà tutti i libri Per via elettronica vi apparirà a richiesta qualsiasi testo
Autore: VALERIO GIOVANNI

ARGOMENTI: ELETTRONICA
NOMI: JACOBSON JOSEPH
ORGANIZZAZIONI: MIT MASSACHUSETTS INSTITUTE OF TECHNOLOGY, XEROX
LUOGHI: ITALIA

ALL 'ULTIMA Fiera del Libro di Torino erano in mostra migliaia di volumi. Metri cubi di carta, pesanti quintali, nei diecimila metri quadri di esposizione, con pagine e pagine da sfogliare: il paradiso dei bibliofili. Tutti quei volumi potevano stare dentro uno solo. Un solo libro in grado di contenere tutti gli altri: è lo scopo di un recente progetto del Media Laboratory del Massachusetts Institute of Technology di Boston, noto per le sue ricerche in campo informatico. Ma stavolta non si tratta di qualcosa da leggere sullo schermo di un computer, o da consultare in rete. Quello progettato dal fisico Joseph Jacobson è un libro vero, un libro-libro, con le pagine da sfogliare, che si porta in spiaggia e si può leggere in bagno. Ha l'aspetto di un tradizionale volume rilegato. Il suo segreto sta nelle particelle di ««inchiostro elettronico»» (e-ink): sferette di 50 micron di diametro, circa metà dello spessore di un foglio di carta per fotocopie. Milioni di queste microsfere vengono inserite all'interno delle pagine, costituite da un materiale sintetico simile alla carta. Le sfere sono mezze bianche e mezze nere: girate dalla parte scura compongono le lettere dell'alfabeto, mentre su quella bianca formano gli spazi vuoti. In pratica, è come se l'inchiostro venisse da dentro il foglio, invece che essere impresso sulla carta, come capita normalmente. La vera novità del progetto del Mit è che le sfere possono cambiare posizione e quindi lettere o spazi, sulla stessa pagina. Se stimolate da una carica elettrica, le sferette ruotano mostrando così la parte nera o bianca, come richiede il testo che devono riprodurre. Il fenomeno è simile a quello che avviene ai piccoli cristalli che cambiano posizione per bloccare o far passare la luce nei display a cristalli liquidi. Il progetto di Jacobson prevede che le pagine del libro contengano sottili fili elettrici in grado di spostare le sfere secondo le indicazioni in un computer nascosto nella costa. Il lettore potrà scegliere il testo da leggere: basterà schiacciare un tasto e, come per magia, la pagina di un giallo di Camilleri si trasformerà in un canto della Divina Commedia, o nel capitolo di un manuale tecnico, grafici compresi. Le applicazioni dell'inchiostro ««intelligente»» sono potenzialmente infinite. Con un'adeguata memoria, un solo libro potrebbe contenere intere biblioteche, ma anche immagini in movimento, variando velocemente la rotazione delle piccole sfere. Oppure potrebbe ricevere informazioni dall'esterno: basterà collegare la memoria alla rete per ottenere il quotidiano stampato con e-ink. I costi sono davvero competitivi: meno di 10 mila lire a pagina. Per ora il gruppo di ricerca di Jacobson, finanziato anche da Xerox, è riuscito a realizzare solo una pagina. Un prototipo con pochi fogli potrebbe essere pronto in due o tre anni e un tomo di 400 pagine dopo un paio d'anni ancora. I bibliofili possono dormire sonni tranquilli. Dopo aver letto qualche pagina di un vecchio libro, ovviamente. Giovanni Valerio


AERONAUTICA Voleremo guidati via satellite L'Europa sta per varare il sistema «Galileo»
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. T. Il traffico aereo
NOTE: TRASPORTI AEREI, CONTROLLI DEL TRAFFICO E DELLE ROTTE

ENTRO il 2015 il traffico aereo mondiale raddoppierà. Per l'Italia le previsioni sono di un aumento annuo del 6,5% grazie al quale si passerà da 993.000 voli del 1997 a un milione 550 mila nel 2004. Considerato che già oggi le rotte, specie in prossimità dei grandi aeroporti, sono intasate, come sarà possibile far fronte, in piena sicurezza, a un tale aumento del traffico? La risposta sta nella navigazione satellitare. Dal sistema attuale, basato su aiuti alla navigazione situati a terra e su aerovie prestabilite, si passerà a sistemi basati sui dati trasmessi direttamente ai velivoli da appositi satelliti e a una navigazione svincolata dalle aereovie, molto più flessibile, e soprattutto capace di far volare gli aerei in spazi più ristretti e in piena sicurezza. Ciò perché i piloti conosceranno in ogni istante e con estrema precisione la propria posizione e quella degli aerei vicini, indipendentemente dalle radioassistenze, in ogni parte del globo, compresa la fase di atterraggio. Grazie alla possibilità data al pilota di impostare la propria rotta svincolandola dai punti di riferimento terra (free routing), ci sarà anche un sensibile accorciamento delle rotte, che da spezzate come sono oggi, diventeranno prevalentemente delle rette, com minor consumo di carburante e minore inquinamento. Tutti i Paesi aeronauticamente sviluppati stanno lavorando già da qualche anno intorno a vari progetti, compresa l'Europa, che il 17-18 giugno deciderà probabilmente il lancio di un sistema satellitare tutto europeo, già denominato ««Galileo»», del costo di poco meno di 3 miliardi di euro. La navigazione satellitare è già una realtà di routine per navi e mezzi terrestri grazie alla costellazione di satelliti americani GPS (Global Positioning System) e a quella di satelliti russi GLONASS (Global Orbiting navigation satellite system). Il funzionamento si basa sulla misura della distanza tra satellite e utente, distanza che viene ricavata dal tempo impiegato dal segnale per raggiungere l'utente stesso. Ma per gli aerei la precisione di questi sistemi, così come sono usati in campo civile, non è sufficiente. GPS e GLONASS sono sistemi militari, strumenti della guerra fredda studiati in particolare per guidare sul bersaglio i missili balistici intercontinentali e quelli da crociera imbarcati sui sottomarini nucleari. In questa versione la precisione del loro segnale (che è cifrato per impedirne la conoscenza da parte del nemico) è molto elevata, con un margine di errore, per il GPS, di appena 17 metri. Sia gli Stati Uniti sia l'Unione Sovietica hanno messo i rispettivi sistemi a disposizione dei civili ma degradandone il segnale (in questo caso non cifrato) la cui precisione risulta ridotta a 100 metri orizzontali e 156 verticali. L'avvio del lungo lavoro per arrivare ad un sistema di navigazione satellitare risale al 1983, quando l'Icao, l'agenzia delle Nazioni Unite per l'aviazione civile lanciò il progetto FANS (Future air navigation system). L'Icao, pur considerando GPS E GLONASS come punto di partenza, non li ritenne sufficienti, così come sono, per una serie di motivi: le prestazioni non sono sempre costanti; in caso di guasto e quindi di segnali errati l'allarme scatta troppo tardi; le stesse due superpotenze proprietarie potrebbero ridurne le prestazioni per esigenze di sicurezza. L'Icao ne raccomandò quindi il potenziamento e l'integrazione per arrivare a quello che definì Global navigation satellite system (GNSS). A questo obiettivo si cominciò subito a lavorare in tutto il mondo; gli Usa ad un sistema per il Nord America, il Giappone per la copertura delle regioni dell'Estremo Oriente e del Pacifico settentrionale, la Russia per un proprio sistema. L'Europa è partita concretamente nel '94 con un piano che prevede due fasi: la prima, indicata come GNSS-1 e definita di transizione, che prevede il potenziamento di GPS e GLONASS, la seconda, denominata GNSS-2, che prevede la costruzione di un sistema interamente civile. Il programma di potenziamento europeo è denominato EGNOS (European geostationary navigation overlay system) ed è in corso di realizzazione da parte dell'Esa, l'agenzia spaziale europea, in collaborazione con Eurocontrol e gli enti di assitenza al volo dei principali Paesi europei tra cui l'Italia. Consiste nell'installazione a bordo di alcuni satelliti geostazionari di trasponditori che hanno lo scopo di verificare ed eventualmente correggere i segnali di GPS e GLONASS e di inviarli, tramite una rete di stazioni di terra, agli aerei in volo. EGNOS dovrebbe essere operativo dal 2002 e consentire, grazie a successivi affinamenti, di guidare tutte le fasi del volo, fino all'atterraggio di precisione. Nel frattempo dovrebbe partire la seconda fase, ora denominata ««Galileo»». I primi contatti sono avvenuti con gli americani, ma questi hanno preferito riservarsi il controllo diretto ed esclusivo del loro GPS, anche per i riflessi militari. L'Europa (pare per suggerimento proprio degli americani) si è quindi rivolta alla Russia, la quale metterebbe a disposizione le orbite e le frequenze del suo sistema, oggi molto deteriorato, oltre ai satelliti ancora operativi. Questi sarebbero poi integrati con una serie di nuovi lanci fino a completare la costellazione, che diventerebbe esclusivamente civile. L'entrata in servizio dovrebbe avvenire nel 2008, contemporaneamente al rinnovato GPS americano, con il quale andrebbe ad integrarsi in modo da coprire l'intero globo terrestre. L'Italia è partita con grande decisione: nell'ultima finanziaria sono stati stanziati 600 miliardi di lire, sono state mobilitate l'Agenzia spaziale italiana e l'Ente di assistenza al volo, sono state sollecitate le imprese; ««Galileo»» si annuncia come una delle maggiori iniziative europee di inizio millennio e il nostro Paese sembra deciso ad avere un ruolo di primo piano. Vittorio Ravizza


QUANDO BRINDARE? 2001, odissea nel calendario Il falso problema del vero inizio del terzo millennio
Autore: ODIFREDDI PIERGIORGIO

ARGOMENTI: METROLOGIA
LUOGHI: ITALIA

LA storia, ci dicono, si ripete: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Se all'alba del nostro millennio i medioevali temevano la fine del mondo, al suo tramonto i contemporanei si interrogano sul momento preciso del trapasso: quando finisce esattamente il secondo millennio, e quando incomincia esattamente il terzo? E, per buona misura, quando finisce esattamente il ventesimo secolo, e quando incomincia il ventunesimo? Poiché le domande sono pressanti e fondamentali, non abbiamo diritto di eluderle. Il fatidico momento scoccherà alla mezzanotte del 31 dicembre, ma il dubbio è: di quale anno? Alcuni argomentano a favore del 1999, altri del 2000. La prima risposta, ovvia, è che sia il ventunesimo secolo sia il terzo millennio iniziano il 1° gennaio 2000. Lo dimostrano sia il cambiamento di cifre, dal millenovecento al duemila, sia l'analogia con la vita: diciamo infatti che un bambino è nato il giorno che inizia la sua vita, mica quando compie il primo anno. La seconda risposta, altrettanto ovvia, è che sia il ventesimo secolo sia il secondo millennio finiscono il 31 dicembre 2000. Diciamo infatti che un bambino compie un anno quando finisce il suo anno 0, mica il giorno che nasce. Analogamente, un centenario lo diventa allo scadere del suo primo secolo, cioè il giorno che compie (cioè, letteralmente, termina) 100 anni, mica 99. Naturalmente, le due risposte complicano alquanto il cerimoniale. In genere, alla mezzanotte del 31 dicembre possiamo infatti scambiarci gli auguri di ««buona fine e buon principio»», ovviamente di anno. Ma se il prossimo 31 dicembre vorremo riferirci al secolo, o addirittura al millennio, potremo soltanto dire ««buon principio»», e ci toccherà aspettare un anno intero per poter aggiungere ««buona fine»». Il che significa che, mentre il secolo ventunesimo e il terzo millennio saranno già iniziati, il secolo ventesimo e il secondo millennio non saranno ancora finiti: per un anno vivremo dunque a cavallo di due secoli e due millenni. Un vantaggio ci sarebbe: poiché è tradizione che il giorno di trapasso tra un anno e l'altro sia allietato dalle vacanze, si potrebbe allietare analogamente l'anno di trapasso tra un millennio e l'altro. Scuole, fabbriche, uffici, negozi: tutto chiuso per un anno. Ci sono però soluzioni diverse. Ad esempio, si possono contare gli anni col sistema binario, invece che decimale: la cifra tonda 2000, che tanto ci preoccupa, diventa allora 11111010000, e il problema si sposta al 100000000000, cioè al 2048 (se ne preoccupino i nostri pronipoti). Oppure si potrebbe cambiare religione: gli ebrei sono all'anno 5759, gli induisti al 5101, i buddhisti al 2542, i musulmani al 1377, e il problema si sposta a chissà quando. Se poi proprio si insiste a voler contare gli anni dalla nascita di Cristo, allora il problema non si pone: il 2000 l'abbiamo già passato senza neppure accorgercene, perché Cristo è nato qualche anno prima dell'anno 1.Ma, a questo punto, abbiamo scoperto il vero problema: non l'inizio o la fine del millennio, ma il nostro provincialismo matematico, storico e religioso. Piergiorgio Odifreddi Università di Torino


SCIENZE FISICHE ASTRONOMIA Palomar, una seconda giovinezza L'elettronica rende competitivo il glorioso telescopio
Autore: PRESTINENZA LUIGI

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
NOMI: BAADE WALTER, DE PAOLI PAOLA, HORN D'ARTURO GUIDO, MASINI GIANCARLO
ORGANIZZAZIONI: UGIS
LUOGHI: ITALIA, AMERICA, CALIFORNIA, PALOMAR, USA
NOTE: TELESCOPIO ELETTRONICO

PER mezzo secolo è stato il ««gigante del Palomar»», il più grande telescopio del mondo, col suo specchio largo 508 centimetri pesante una quarantina di tonnellate. Una fama largamente illustrata da ricerche d'avanguardia, a cominciare dal raddoppio delle distanze extragalattiche, annunciato da Walter Baade nel 1952 a Roma e dalla scoperta dei primi, remotissimi, quasar. Oggi, però, le dimensioni del gigante sono superate da altri colossi dell'ottica, come i due Keck di 10 metri alle Hawaii o il primo ««occhio»» del quadruplice Very Large Telescope di Cerro Paranal, di recentissima inaugurazione. Per non parlare dell'Hst, il telescopio spaziale Hubble, sospeso a 500 chilometri sopra la Terra e in grado di dare immagini esenti dalla turbolenza atmosferica, il grande nemico di chi osserva il cielo. Potrebbe sembrare, dunque, un semplice amarcord recarsi in visita al vecchio colosso inaugurato solennemente nel 1948 e dedicato a George Ellery Hale, l'astronomo che lo aveva tenacemente voluto. Potrebbe, ma non è. Il complesso di telescopi del Palomar, a cominciare dal mitico ««200 pollici»» è tuttora attivissimo, le luci crescenti ma ben controllate di San Diego (distante un'ottantina di chilometri in linea d'aria) non lo hanno ridotto al silenzio, e del resto la tecnologia di oggi, con i rivelatori Ccd che accorciano moltissimo le lunghe pose fotografiche una volta necessarie, fa tuttora del magnifico riflettore della ««montagna delle colombe»» un importante strumento d'indagine, in stretto legame con i Keck di 400 pollici, dallo specchio ««a mosaico»» secondo una tecnica per prima sperimentata in Italia da Guido Horn d'Arturo. Niente amarcord: siamo tuttora davanti a un possente mezzo di ricerca, posto su un pianoro di mezza montagna, a suo tempo scelto fra cento siti diversi. Ed eccoci allora a rendere omaggio a tanto passato e a tanto presente: s'era una trentina di giornalisti dell'Ugis, l'unione dei divulgatori di scienza, guidati da Giancarlo Masini e da Paola De Paoli. Una visita che ci ha condotti fin nella cupola, oggi inaccessibile ai più per difesa contro la polvere, grande come quella di San Pietro. Oggi la funzione essenziale del 200 pollici è quella di ««apripista»» per i 400 pollici Keck, costruiti a 4000 metri sul Mauna Kea (isole Hawaii) dal California Institute of Technology (a cui appartiene il telescopio del Palomar) e dall'Università di California. Vale a dire che il 200 pollici viene usato, ad esempio, per localizzare galassie remotissime (nello spazio e nel tempo), presumibilmente nel loro processo di formazione; il telescopio Keck interviene in un secondo tempo per studiare le più interessanti. Un successo recente del telescopio Hale è la scoperta, nel marzo scorso, da parte di Kulkarni e Djorgowski della ««controparte»» ottica del più potente ««gamma-burst»» registrato dal satellite Beppo Sax: il Keck è riuscito poi a registrarne lo spettro, provandone l'inconcepibile distanza. Il telescopio del Palomar è stato dotato ad opera della Cornell University e del famoso Jet Propulsion Laboratory di un sistema di correzione automatica della turbolenza atmosferica. L'ultimo importante apporto all'Osservatorio viene dall'interferometro con base 100 metri montato non lontano dal ««cupolone»» e che ha già registrato significativi successi nella misura di diametri stellari per astri giganti o supergiganti e nel rintracciare ««compagni stellari»» di massa planetaria. Luigi Prestinenza


SCIENZE FISICHE ANTARTIDE: L'ESPERIENZA ITALIANA La vita in ambienti estremi Da non sottovalutare gli aspetti psicologici
Autore: FARRACE STEFANO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: ENEA, EPICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: MEDICINA E FISIOLOGIA,

SI è svolto di recente a Venezia, presso la Scuola Navale Militare della Marina Francesco Morosini, il primo workshop sull'adattamento umano al freddo e agli ambienti estremi, con la partecipazione di una nutrita rappresentanza di ricercatori provenienti da Regno Unito, Australia, Argentina, Stati Uniti, Uruguay, Svezia e Francia. Ufficiali medici della Marina e dell'Aeronautica che hanno maturato esperienze nelle spedizioni in Antartide hanno riferito sui problemi di assistenza sanitaria nell'estremo Sud del pianeta. E si sono puntualizzate le possibilità della telemedicina, già in opera, grazie ai satelliti INMARSAT, tra le basi antartiche e l'ospedale San Camillo di Roma. L'Italia ha in Antartide una base estiva (operativa da ottobre a marzo di ogni anno) sul Mare di Ross nella Baia di Terra Nova, oltre i 70° di latitudine Sud. Una seconda base (Dome C) è in corso di costruzione a circa mille chilometri dalla costa, sullo sconfinato altopiano antartico ad oltre 3000 metri di altitudine, in stretta collaborazione con la Francia e nell'ambito del programma ««Concordia»». La base è stata progettata per accogliere spedizioni anche invernali ed è destinata a costituire, insieme alla base costiera di Baia Terra Nova, un formidabile modello sperimentale per lo studio dell'adattamento umano ad ambienti estremi e confinati. Inoltre, la base di Dome C riassume molto bene tali prerogative, e costituisce anche il modello più accreditato per simulazione delle condizioni che potrebbero determinarsi nel corso di voli spaziali di lunga durata. A Dome C si è lavorato molto in questi ultimi tre anni, trasportando su pianali trainati da trattori, tonnellate di materiali di costruzione alla velocità media di 7 km orari, partendo dalla base costiera francese di Dumont D'Urville. Il complesso potrebbe essere operativo del 2003, anche se le pianificazioni in Antartide vanno fatte con elasticità. Le condizioni ambientali e le difficoltà logistiche, sono infatti tali da rendere a volte vane anche le più prudenti previsioni. Ma il lavoro fin qui svolto consente di essere ottimisti per i programmi futuri. L'Italia ha operato nel pieno rispetto dei contenuti etici e programmatici del trattato antartico (ricerca, rispetto dell'ambiente, collaborazione e cooperazione), acquisendo negli anni stima e rispetto. Questo grazie sia all'impegno dell'ENEA, nel curare la complessa organizzazione delle spedizioni e la gestione delle basi, sia all'opera sul campo dei ricercatori. Similmente l'Italia si è trovata coinvolta in diversi programmi internazionali, tra cui spicca EPICA (European Project of Ice Coring in Antarctica), avente come obbiettivo la perforazione profonda del plateau antartico (oltre 3000 metri di ghiaccio) per lo studio del paleoclima. Bilancio dunque lusinghiero che ha portato al consolidamento di una realtà di ricerca multidisciplinare, che ha acquisito col tempo un'importanza strategica irrinunciabile. Oltre alla ricerca di base, la costante sfida rappresentata dall'ambiente estremo è un campo ideale di sperimentazione di nuove soluzioni tecnologiche, prove su nuovi materiali, ed anche questo è elemento qualificante dell'esperienza del nostro paese in Antartide, certamente oggi non ultimo tra i suoi pari, pur avendo iniziato tardi il cammino su questa avventurosa strada dell'estremo. L'incontro veneziano è stato in particolare dedicato all'analisi dell'interfaccia costituita, da un lato, dall'animale uomo e i suoi limiti adattativi e dall'altro dall'Antartide, i suoi venti, il suo freddo ed il suo isolamento. Va premesso che l'adattamento implica l'attivazione di diversi meccanismi operanti da parte della macchina umana. L'adattamento infatti costituisce un esempio formidabile di unità corpo - mente. Esiste da un lato il corpo, l'organismo, inteso in senso strettamente biologico con tutti i suoi artifizi di cellule, ormoni, mediatori, recettori e trasmettitori, dall'altro la mente le cui reazioni all'ambiente estremo si traducono in modificazioni del tono dell'umore, del comportamento, delle emozioni. Una prima asserzione unanime, emersa nel corso dell'incontro, è stata che la ricerca dovrà sempre di più marciare di pari passo, considerando all'unisono sia l'aspetto psicologico che quello fisiologico. E infatti il confronto ha avuto come protagonisti psicologi e psichiatri da un lato e fisiologi dall'altro. Esempio di tale connubio tra psiche e corpo biologico è la stretta relazione, tipica dell'esposizione all'ambiente antartico, tra gli ormoni della tiroide e la tendenza a stati di depressione di tipo reattivo. Nel corso dell'incontro ricercatori americani e italiani hanno dimostrato come l'ambiente polare induca una sensibile riduzione degli ormoni tiroidei, in particolare della T3 (triiodotironina) e come questo calo si associ a rilevamenti psicometrici (che utilizzano particolari test per sondare lo stato psicologico individuale) che rivelano la presenza di una situazione depressiva, tanto da parlare di ««Sindrome Polare da T3»». E' stato altresì sottolineato come sia difficile distinguere se la diminuzione della funzione tiroidea preceda la situazione depressiva o viceversa. Si è inoltre rilevato come la situazione di isolamento e confinamento, difficoltà ambientali, deprivazione sensoriale, comportino una sorta di irrigidimento emotivo, aspetto riferito in particolare dai ricercatori argentini. Questa situazione è ben sintetizzata dal termine anglosassone di ««diminuzione dell'arousal» » (l'arousal definisce proprio il livello di attivazione emotiva di un individuo). Uno studio recente di ricercatori italiani ha evidenziato che tale diminuzione si associa a uno sbilanciamento del sistema neurovegetativo con prevalenza, indotta proprio dall'esposizione all'ambiente antartico, della componente parasimpatica. E' sorprendente rilevare come ricercatori del passato, fin dagli anni 50, avessero individuato proprio nel sistema neurovegetativo il più importante crocevia tra la psiche e le reazioni biologiche organiche dell'individuo. In termini più complessivi, sembra dunque che un ambiente così particolare, detto appunto estremo, induca nell'essere umano, una situazione di regressione ad un livello emotivo più elementare nel contesto di un irrigidimento di tipo protettivo. Questo aspetto psichico e comportamentale si associa a eventi organici tra cui un diverso rapporto (in termini di differente bilanciamento) tra sistema nervoso simpatico e parasimpatico e una diminuita attività di molti assi ormonali, ed in particolare di quello tiroideo. Tutto questo ha una finalità adattativa, come il padre della scienza dello stress, Hans Selye, predicava sin dal 1946 nei suoi studi sulla ««sindrome da disadattamento»». Resta da dimostrare quale sia il costo finale di questa apparente capacità umana di adattarsi. Se il sistema uomo sia cioè in grado, una volta rientrato nel mondo civilizzato ricco di stimoli e sollecitazioni emotive e non sempre gradite, di darsi un diverso tipo di equilibrio, ugualmente efficace ai fini dell'adattamento. Perché anche una metropoli, con il traffico dell'ora di punta, è classificabile come ««ambiente estremo»». Stefano Farrace Programma Nazionale Ricerche in Antartide


SCIENZE FISICHE TRASPORTI Tanti camion incolonnati, un solo autista Tecnologia d'avanguardia per migliorare efficienza e sicurezza sulle strade
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: TRASPORTI
ORGANIZZAZIONI: BOSCH, DAIMLER BENZ, FIAT, IVECO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. T. VOLUME DEI TRASPORTI SU STRADA IN EUROPA

FA una certa impressione. Davanti avete un camion, voi lo tallonate a bordo di un altro autocarro. E nella vostra cabina l'autista non tocca il volante nè il freno o altri comandi. Il volante oscilla lievemente, compie da solo piccole manovre di aggiustamento mantenendo la rotta con precisione. Se il camion che precede accelera, accelerate anche voi; se rallenta, rallentate; se sorpassa, voi sorpassate. E se frena, frenate con lui. Per ora è un esperimento, ma entro dieci anni questo modo di viaggiare degli autocarri potrebbe diventare qualcosa di molto comune. E' una ricerca europea, si chiama Progetto Chauffeur. Sedici miliardi di lire (8 finanziati) per sviluppare una tecnologia che permetta agli autocarri di viaggiare incolonnati in modo pressoché automatico. Come un treno, in certo senso, ma su strada e senza una connessione fisica tra i vagoni. Ci lavorano due leader dei costruttori di veicoli industriali, la Iveco e la Daimler Benz, affiancati da fornitori di sottosistemi elettronici (Bosch e Zf) e da istituti di ricerca come il Crf (Centro ricerche Fiat), Eltrac e Csst. Il teatro della sperimentazione sarà l'autostrada del Brennero, un nodo cruciale per il traffico pesante europeo. Sì, perché l'obiettivo della ricerca è proprio quello di utilizzare nel modo più efficiente la rete delle autostrade esistenti, decongestionando i punti critici. Si calcola che il traffico aumenta con lo stesso ritmo del prodotto interno lordo di un Paese; le previsioni al 2010 dicono che il trasporto su strada in Europa toccherà i 1200 miliardi di tonnellate/km all'anno (contro i 900 attuali), e di conseguenza aumenteranno gli effetti sull'ambiente, i rischi, la congestione, i tempi di percorrenza, i costi. Ma i calcoli dicono anche che è sufficiente migliorare del 4 per cento la potenzialità di una autostrada per evitare un terzo degli ingorghi da traffico. Quindi vale la pena di investire sulle tecnologie adatte per guadagnare quel 4 per cento. Queste tecnologie in parte esistono già. In Italia, per esempio, il Crf ha sviluppato il sistema anticollisione per vetture Alert: con due radar, uno a microonde e uno a raggio laser, l'auto percepisce i veicoli che precedono, li ««aggancia»» elettronicamente, mantiene la distanza di sicurezza ed evita i tamponamenti. Nel caso dei camion, la tecnologia del Progetto Chauffeur è diversa: una telecamera posta sul camion inseguitore tiene sotto controllo il camion che precede e un software di ««visione artificiale»» sviluppato dalla Bosch interpreta l'immagine e un computer centrale (Crf ed Eltrac) impartisce agli attuatori gli ordini opportuni per volante, freno, cambio e così via. Ovviamente le difficoltà non mancano: se ad esempio l'autista del primo camion commette un errore, il secondo camion lo ripete, e altri guai si avrebbero se una vettura si inserisse tra i due mezzi. Sono quindi previste tre fasi di sviluppo. Quella in corso punta all'accoppiamento elettronico dei due veicoli tramite una sorta di ««barra virtuale»» per farli viaggiare accoppiati in totale sicurezza. Nel 2003, con la seconda fase, si passerà a colonne di più camion, e l'autista sarà necessario soltanto per il camion capofila. Nella terza fase, ipotizzabile dopo il 2010, potremo avere colonne per trasporto merci completamente automatizzate grazie a infrastrutture telematiche che copriranno l'intero percorso: entreremo allora nell'era della ««infomobilità»». Piero Bianucci


SCIENZE DELLA VITA FARMACOLOGIA Un nuovo antidolorifico da un fungo parassita
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
NOMI: PASTEUR LOUIS
LUOGHI: ITALIA

MOLTI farmaci non sono costituiti da una sola sostanza, bensì da miscele chiamate ««racemi»». In questo caso, con il termine ««miscela»», non si intendono le preparazioni che contengono due o più principi farmacologici diversi, ma la combinazione di due forme isomeriche della stessa sostanza: i cosiddetti ««enantiomeri» » (dal greco ««enantios»», cioè opposto). Gli enantiomeri sono composti perfettamente identici nella struttura molecolare: differiscono per la diversa configurazione spaziale tridimensionale dei loro atomi. Per chiarire la cosa è sufficiente pensare alla mano destra e alla mano sinistra, che non sono perfettamente simili: una mano è l'immagine sovrapponibile dell'altra. Louis Pasteur, il famoso chimico francese della Sorbona, è stato il primo studioso che dimostrò, nel 1848, l'esistenza degli enantiomeri. Riuscì a verificare, tra l'altro, che gli enantiomeri sono sostanze capaci di deviare il piano della luce polarizzata (a destra o a sinistra). Queste miscele di antipodi ottici oggi vengono chiamate racemi. Con il progredire della scienza, si è visto che gli enantiomeri a volte possiedono attività farmacologiche diverse, a volte hanno la stessa attività farmacologica, ma con potenza diversa. Il problema sta nel fatto che sovente è difficile separare le molecole presenti in una miscela racemica. I laboratori di ricerca Menarini (l'unica azienda italiana del settore che investe ogni anno 170 miliardi in ricerca) hanno preso in considerazione un farmaco antiinfiammatorio non steroideo ad attività antidolorifica (ketoprofene) e sono riusciti a separare l'isomero attivo (in questo caso: destrogiro), grazie alla scoperta di un enzima. Questo enzima è prodotto da un fungo parassita di una pianta: l'olmo (ophiostoma novo-ulmi). Dopo aver identificato il gene del fungo che codifica l'enzima è stato possibile clonarlo con tecniche di ingegneria genetica per la produzione su scala industriale. Rispetto ad altre molecole si è visto che il ketoprofene destrogiro raggiunge una concentrazione ematica in tempi più brevi, inibendo la sintesi dei mediatori chimici del dolore (in particolare prostaglandine) sia a livello periferico che a livello centrale. In altre parole, la nuova sostanza possiede una potenza antidolorifica superiore rispetto alla miscela racemica e anche rispetto ai prodotti antiinfiammatori tradizionali, con un ottimo profilo di sicurezza (minor attività gastrolesiva dovuta al rapido assorbimento che riduce il tempo di contatto con la mucosa dello stomaco). Considerando gli effetti collaterali che di solito limitano l'impiego delle terapie antidolorifiche, anche questa caratteristica si è rivelata degna di nota. Renzo Pellati


SCIENZE DELLA VITA LAGO DI AVIGLIANA Nei fondali la bomba delle melme venefiche A rischio la lunga opera di bonifica delle aque per gli accumuli di decenni
Autore: GRANDE CARLO

ARGOMENTI: ECOLOGIA
NOMI: BODINO GUIDO
LUOGHI: ITALIA, AVIGLIANA, ITALIA, TO

UNA nuova sede per il parco naturale e la possibilità di tornare a fare il bagno in acque pulite: il destino del lago grande di Avigliana, a pochi chilometri da Torino e della millenaria Sacra di San Michele, potrebbe compiersi nel migliore dei modi alle soglie del Duemila, con un ritorno alla bellezza originaria, naturale e culturale, di quest'area all'imbocco della valle di Susa. La nuova sede è stata inaugurata qualche mese fa nella foresteria dell'ex dinamitificio Nobel, e così pure è iniziato il monitoraggio costante delle acque. Da anni il bacino lacustre era in una situazione precaria a causa dell'eutrofizzazione, cioè dell'eccessiva presenza di fosforo e azoto che moltiplicava le alghe unicellulari, alcune delle quali tossiche per i pesci: con l'ossigeno erano via via scomparse le specie più pregiate, come la trota. Gli studi già effettuati dal Dipartimento di Biologia Animale dell'università di Torino avevano evidenziato miglioramenti negli ultimi anni, dopo che erano state eliminati quasi totalmente gli scarichi delle fogne. Il problema non è però risolto e il lago dev'essere seguito costantemente: ci penserà Guido Badino, del Dipartimento di Biologia Animale, con un monitoraggio idrobiologico nel grande lago. I lavori andranno avanti per un anno, e sono finanziati dalla ditta Palmar, specializzata nel settore. ««Il tasso di crescita delle alghe - spiega Badino - può essere fortemente influenzato dalle condizioni meteorologiche e dalla temperatura dell'acqua: un aumento della medesima provoca un incremento dell'efficienza fotosintetica e quindi della produzione di fitoplancton, mentre una sua diminuzione ha l'effetto opposto. I campionamenti di zooplancton saranno effettuati in una sola stazione del bacino, ovvero al centro, nel punto di massima profondità»». ««Le analisi chimiche - prosegue Badino - dovranno rivelare i livelli di ossigeno disciolto; il ph, la temperatura, la presenza di sodio e potassio, calcio e magnesio, cloruri e solfati, l'alcalinità totale, l'azoto ammoniacale, nitroso e nitrico, il fosforo solubile totale»». L'eutrofizzazione è probabilmente anche la causa del moltiplicarsi delle zanzare: il monitoraggio degli insetti è in fase di completamento, gli interventi fatti in passato riescono a risolvere il problema solo temporaneamente. La ««guerra»» alle zanzare avviene distribuendo nell'acqua di paludi e mareschi (ogni quaranta giorni circa, da maggio a settembre) spore del bacillus turingiensis, organismo noto anche nella lotta biologica contro altri infestanti. Del bacillo sono stati ricavati ceppi particolari, che combattono le larve quando sono in acqua: sviluppano batteri che, una volta ingeriti dalle larve, liberano tossine e fanno scoppiare le cellule del loro intestino. Il costo dei trattamenti è consistente, considerato che a volta occorre anche usare l'elicottero. Ma il problema vero del lago di Avigliana, conclude Badino, sono i sedimenti: ««Plancton e acque di superficie sono sotto controllo. Sappiamo cosa succede e possiamo fare previsioni di intervento. L'unica cosa ancora non studiata, di cui non si sa nulla, è la situazione dei sedimenti, l'effetto che hanno sull'acqua. I sedimenti rappresentano un carico inquinante interno al lago, e se continuano a rilasciare sostanze eutrofizzanti o tossiche la loro presenza può rendere inutile o poco efficace l'intervento sull'acqua o sull'ambiente esterno»». I sedimenti, spiega Badino ««per colpa dei liquami scaricati nel lago per decenni, sono un esplosivo potenziale, che può compromettere tutto il lavoro. Sono difficili da studiare, il progetto è di ricreare un modello in laboratorio»». Sarà una novità importante, perché studi di questo genere sono rari: quello di Avigliana potrebbe diventare un modello per lo studio di altri laghi. Carlo Grande


SCIENZE DELLA VITA PICCIONI METROPOLITANI Dalle scogliere ai condomini Le origini selvatiche dei colombi di città
Autore: ALLEVA ENRICO, MAZZOTTO MONICA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
NOMI: AGRIMI UMBERTO, BALDACCINI NATALE EMILIO, BATTISTI ANTONIO, MANTOVANI ADRIANO
LUOGHI: ITALIA

PROVATE a immaginare, nel Centro-Sud dell'Italia, pareti rocciose, che si tuffano tra le onde, e sui cui fianchi il tempo e l'erosione hanno creato, in un materiale friabile come il calcare, rientranze e buchi. In varie, purtroppo non in molte, di queste pareti, ci si può imbattere in una colonia di colombi selvatici. Ora provate a immaginare una piazza cittadina, piena di persone indaffarate. Se la vostra immaginazione è così attenta da ricreare esattamente un ambiente reale, allora la nostra piazza sarà sicuramente piena anche di loro: i colombi urbani. Siamo partiti da un ambiente naturale proprio perché il colombo di città nasce dalla specie di scogliera, selvatica, ma non in maniera diretta: prima passa per forme selvatiche sinantropiche. Alcuni di questi colombi sono stati catturati e allevati dall'uomo che ne ha selezionato così le varie razze. Da questi colombi domestici scappati o abbandonati, infine hanno avuto origine i nostri colombi di città. Perciò i rapporti filogenetici tra il colombo selvatico e il colombo urbano sono soltanto indiretti e passano attraverso le razze domestiche. Purtroppo scagionare il nostro tranquillo colombo di scogliera, e puntare il dito come al solito su di un potente ««pirata ecologico»» come l'uomo, non risolve il problema della difficile convivenza tra cittadini con le penne e quelli senza. A questo complesso argomento a Roma è stato dedicato il convegno ««La gestione sanitaria dei piccioni in ambito urbano»» organizzato dall'Istituto Superiore di Sanità. Il primo punto chiarito da Natale Emilio Baldaccini, ordinario di etologia presso l'Università di Pisa, è stato proprio l'origine. Da studi risulta ormai chiara la non appartenenza all'elenco delle specie selvatiche e anzi, dove c'è stata convivenza, i colombi di città hanno soppiantato le popolazioni inurbate di selvatici senza mescolarvisi. Le differenze tra queste due popolazioni non sono solo morfologiche (a differenza dei selvatici che hanno un mantello uniforme, grigio barrato, i colombi urbani sono altamente disomogenei sia come colori che come fantasie), ma anche eco-etologiche: per esempio nel colombo selvatico la riproduzione è circannuale (con un picco in primavera estate) mentre nel cittadino il periodo si è ormai esteso a tutto l'anno. Questo più che spezzare una lancia in loro favore, ha messo in allarme anche gli ornitologi, non ultimo il rappresentante della Lipu, Marco Dinetti, che vede nel colombo di città un effettivo elemento di erosione di biodiversità e perciò una delle cause del recente inserimento del colombo selvatico nella lista delle specie in rischio di estinzione. Altro punto focale è stata l'analisi da parte di Umberto Agrimi, dell'Istituto Superiore di Sanità, e di Antonio Battisti dell'Istituto Zooprofilattico delle regioni Lazio e Toscana, delle varie forme di disturbo arrecate dai piccioni all'uomo: oltre ai problemi di peggioramento della vivibilità dei centri urbani, danni alle strutture cittadine e ai monumenti, sporcizie e l'accumulo di deiezioni con tutti i problemi che ne conseguono, si sono analizzati i problemi igienico-sanitari veri e propri. Questi ultimi sono stati divisi in tre grosse categorie: prima categoria quelle delle malattie infettive, come la salmonellosi, la clamidiosi, le tubercolosi aviarie, la criptococcosi, e la colibacilliosi. Tanti nomi difficili per varie zoonosi, malattie infettive isolate in piccioni di diverse città da Bolzano a Napoli, da Milano a Roma, da Messina a Perugia. I rischi effettivi di trasmissione di queste malattie all'uomo però non sono ancora stati quantificati. Il problema, si lamenta Umberto Agrimi, è anche dovuto alla mancanza di dati e di una corretta casistica umana. Basti pensare che, nella letteratura scientifica, l'unico dato certo di trasmissione di salmonella per ingestione di carne di piccione, si riferisce al 1959. La seconda categoria di disturbi causati dai piccioni è quella relativa alle reazioni allergiche dovute ad allergeni propri del colombo (es. penne) o a punture di ectoparassiti che provocano reazioni allergiche di ipersensibilità. La terza è quella delle punture di ectoparassiti in individui non allergici, quale semplice forma di disturbo. Oltre agli innegabili disagi provocati da questi invadenti pennuti, Adriano Mantovani, del Centro di collaborazione Organizzazione Mondiale della Sanità/Fao per la Sanità Pubblica Veterinaria, ha messo in evidenza i benefici che traiamo da questa convivenza. Gli uccelli, compresi i piccioni, sono un bene prezioso per le città, il loro valore educativo è profondo e rappresenta il cordone, che non dovrebbe mai essere interrotto con gli animali. Quel loro volare da un balcone all'altro, da una panchina ad un albero, ci riporta in una dimensione più naturale. Non va poi dimenticato che anche dal punto di vista sanitario, i colombi, come tanti altri animali con cui entriamo in contatto, sono una fonte di arricchimento per la carica microbica dell'ambiente, fondamentale per tenere sempre all'erta e in ««allenamento»» il nostro sistema immunitario. E' ormai da tempo provato che ambienti resi eccessivamente sterili provocano un abbassamento del nostro sistema immunitario, che diventa facile preda anche di infezioni virali potenzialmente innocue. Concorde è la sensazione che sia necessario trovare un punto di equilibrio tra la presenza ragionevole di colombi urbani e le necessità del benessere di tutti, nel rispetto della salute pubblica. Le soluzioni per una corretta gestione del problema sono state affrontate con esempi concreti di tentativi effettuati in diverse città italiane. Sia a Bolzano che a Roma si è tentato il controllo numerico dei colombi grazie a metodologie di sterilizzazione chimica. Mentre nel primo caso i risultati sono stati apprezzabili anche se non totalmente incoraggianti, nella seconda città le caratteristiche differenti delle colonie presenti e il diverso numero di individui, ha reso l'esperimento più difficile, i limiti della strategia consistono nei costi e nella necessità di somministrare quotidianamente il farmaco ad animali che non sempre vengono a cibarsi nel medesimo luogo. Il caso più interessante si è avuto a Perugia, dove un'amministrazione pubblica altamente motivata, ha attuato un piano di lavoro diviso in due parti: la prima consisteva nella chiusura dei dormitori dei colombi, nella riduzione dei siti di nidificazione e dei posatoi, la seconda in un'opera di divulgazione corretta e capillare. Grazie a volantini, cartelloni, filmati proiettati nelle scuole ed in televisioni locali, il Comune ha cercato di dissuadere i cittadini dall'abitudine sbagliata di alimentare i colombi (fattore principale che determina il loro aumento). Questa campagna ha ottenuto senza metodi cruenti la diminuzione del numero di colombi dal centro del 23%. Uno dei dati più interessanti emersi dal convegno è la continua crescita delle tendenze zoofile, sicuramente da incoraggiare, ma che purtroppo nel caso dei piccioni si manifestano non di rado con comportamenti ecologicamente scorretti, come il nutrirli troppo e senza criterio. Occorre far comprendere, come già tenta il Comune di Bologna, che nutrire tutti i piccioni può costituire un danno anche grave per altri uccelli. Lodevole interagire, nutrendoli, con gli animali cittadini, ma più saggio è mirare gli interventi verso specie rare, magari aiutando con cibo adatto affaticati uccelli migratori, facilmente osservabili, in certi periodi dell'anno nei parchi cittadini. Enrico Alleva Monica Mazzotto


SCIENZE A SCUOLA PARTECIPANO 60 PAESI A Padova le olimpiadi della Fisica In Italia, su 30 mila studenti, selezionati in cinque
Autore: VIOLINO PAOLO

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, PADOVA, PD
TABELLE: T. PAESI DOVE SI SONO SOSTENUTE LE OLIMPIADI DELLA FISICA E DOVE SI SOSTERRANNO NEI PROSSIMI 5 ANNI
NOTE: OLIMPIADI INTERNAZIONALI DELLA FISICA, GARA, STUDENTI, SCUOLA

LE Olimpiadi Internazionali della Fisica sono nate trent'anni fa nell'Europa Orientale. Oggi, come le Olimpiadi della Matematica e della Chimica, rappresentano un significativo momento di relazioni internazionali, coinvolgendo oltre 60 Paesi in cinque continenti, dagli Stati Uniti alla Cina, dall'Australia al Liechtenstein. L'Italia, dopo una prima sporadica apparizione negli anni 1981-82, quando non si era ancora organizzata una selezione della squadra nelle scuole, vi partecipa regolarmente dal 1987, con risultati non disprezzabili. Ogni Paese, ha una squadra di 5 studenti di scuole secondarie (non ancora iscritti all'Università) accompagnati da due docenti (generalmente un professore di liceo e un universitario). La gara si svolge risolvendo 4-5 problemi, di cui tre teorici e uno-due sperimentali, che richiedono la conoscenza della matematica e della fisica liceali. Ogni studente lavora per conto suo, non in collaborazione con gli altri del proprio Paese, e trova il testo del problema scritto nella propria lingua. Le medaglie hanno un valore puramente simbolico, e non c'è l'agonismo accanito di altre competizioni. Tuttavia far bene alle Olimpiadi significa essere uno dei migliori studenti di Fisica del mondo, e ciò è molto gratificante, senza contare l'occasione di farsi un bel viaggio. In qualche Paese, inoltre, a chi vince una medaglia alle Olimpiadi viene data una borsa di studio per l'Università, cosa che ha anche un bel valore economico. In Italia non c'è nessun premio del genere, ma di fatto gli studenti ««della squadra»» superano quasi sempre - grazie alla loro preparazione - l'esame di ammissione alla Scuola Normale di Pisa, il collegio universitario più prestigioso che abbiamo in Italia. Attualmente in Italia partecipano alle selezioni circa trentamila studenti; dopo prove locali, regionali e nazionali ne vengono selezionati 10 a cui viene fatta una sorta di ««allenamento» »; in base al risultato di questo allenamento vengono infine selezionati i 5 che andranno alla gara internazionale. In molte delle 600 scuole che aderiscono alle Olimpiadi c'è un insegnante responsabile che organizza le gare e cura la preparazione degli studenti. A differenza delle Olimpiadi ««vere»», queste non hanno un comitato permanente di persone che lavorano alla loro organizzazione, e neppure un bilancio. C'è solo un presidente (il prof. Gorzkowski, di Varsavia) che comunica per posta elettronica con i membri di un comitato internazionale. Le gare internazionali si tengono ogni anno in un Paese diverso, e quest'anno è il turno dell'Italia. Si tratta di un'occasione insolita, se non unica, di ospitare questa manifestazione e - se possibile - di lasciare ai nostri ospiti una buona impressione del nostro Paese. Per il futuro, sono già state fissate le nazioni che ospiteranno le prossime Olimpiadi fino al 2015. Quella di quest'anno sarà la trentesima edizione e si terrà a Padova dal 18 al 27 luglio. La responsabilità internazionale della manifestazione è del ministero della Pubblica istruzione, e il presidente onorario delle Olimpiadi è il ministro Berlinguer, che ha invitato 68 Paesi, Jugoslavia compresa. Contando anche gli organizzatori e gli osservatori di altri Paesi o di organismi internazionali la cosa coinvolgerà circa 650 persone, impegnate in molte attività fra loro collegate in un intreccio di notevole complessità. Il ministero, tuttavia, ha preferito non gestire l'organizzazione con le proprie strutture, ma ha affidato le Olimpiadi di Padova all'Aif (Associazione per l'insegnamento della fisica, un'associazione professionale di insegnanti che già da tempo si occupa della selezione della squadra italiana), con un finanziamento che copre circa la metà dei costi reali: per quel che manca, l'Aif deve trovare degli sponsor, impresa non facile. Per motivi di riservatezza ciascun problema per le prove di esame viene approvato dal Comitato internazionale soltanto il giorno prima della prova stessa e durante la notte i problemi devono essere tradotti in 42 lingue, anche in alfabeti non latini (russo, coreano, cinese, per far degli esempi), senza contare le varianti nazionali (l'inglese degli australiani non è lo stesso degli inglesi...), e riprodotti in un bel numero di copie. Quest'anno è già successo anche che l'improvvisa defezione di una ditta che aveva offerto la propria sponsorizzazione ha costretto l'Aif a cercare di recuperare in tempi strettissimi i sostegni tecnici e finanziari su cui aveva fatto conto, pari a poco meno del 10% del budget complessivo. Paolo Violino


SCIENZE A SCUOLA LA LEZIONE / TECNOLOGIA SPAZIALE I segreti della tuta lunare Un vestito pesante 82 chili compreso lo zaino
Autore: LO CAMPO ANTONIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. LO ZAINO DI SOPRAVVIVENZA NELLO SPAZIO
NOTE: TECNOLOGIA, DIDATTICA

MENTRE nel corso dei programmi ««Mercury»» e ««Gemini»» gli astronauti americani indossarono sempre una sola tuta spaziale; per l'««Apollo»» dovevano utilizzarne due: una per le operazioni a bordo dei veicoli spaziali e un'altra per le escursioni sulla superficie della Luna. In realtà si trattava dello stesso tipo, ma quella indossata dai due lunauti aveva una serie di strati aggiuntivi per difenderli dalle temperature elevate o troppo basse, dalle radiazioni e dall'eventuale impatto con micrometeoriti. Il modello di tuta lunare venne realizzato nel 1968; originariamente era previsto solo un tipo di tuta/scafandro, vale a dire quella da indossare per le ««passeggiate»» lunari, ma in seguito all'incendio della capsula Apollo 204 nel gennaio 1967, venne presa la decisione di realizzarne un modello più leggero, che poi divenne la famosa tuta spaziale della Luna. Il modello di bordo, utilizzato nel corso delle fasi di lancio e rientro (normalmente, durante il viaggio, gli astronauti indossavano semplici indumenti di tela bianchi) era formata da sei strati di materiali sintetici (nomex, neoprene e teflon), per un peso di 16 chilogrammi. Il modello esterno, invece, aveva in più altri dieci strati di neoprene, nylon e beta/kapton per proteggere i due astronauti sulla Luna. Questi, oltre ad avere incorporata nella tuta una sacca per la raccolta delle urine, indossavano un leggero indumento di nylon fornito di tubicini in cui circolava acqua per asportare il calore dovuto alla forte radiazione solare. Ma la grossa novità per le tute lunari era rappresentata dall'utilizzo del Plss, lo speciale zaino che i ««lunauti»» portavano sulla schiena e che conteneva tutti i sistemi che potevano garantire loro l'autonomia (ossigeno, acqua, telecomunicazioni). Lo zaino Plss era fondamentale, anche perché nelle escursioni lunari l'autonomia per gli astronauti non poteva certo essere rappresentata dai ««cordoni»» di sicurezza come quelli adoperati ancora oggi dagli astronauti-scienziati delle navette. Le tute lunari, la cui sigla in codice era ««A7L»», furono utilizzate dagli uomini delle missioni pre-lunari (da Apollo 7 ad Apollo 10) e durante le prime missioni lunari, fino ad Apollo 14. Per le successive Apollo 15, 16 e 17 fu sviluppato il modello ««A7L-B»», una versione migliorata, che doveva soddisfare i requisiti richiesti per le ultime tre imprese lunari e per le loro esplorazioni previste ed effettuate ««a largo raggio»» sulla superficie lunare, con tempi raddoppiati rispetto alle prime. Vennero modificati il tronco e altri punti, secondo le valutazioni degli stessi astronauti, che furono molto critici con il primo tipo di tuta lunare, la quale non consentiva molto movimento. Anche i caschi subirono modifiche nel corso del programma Apollo; essi comprendevano un visore di color oro per proteggere il volto degli astronauti, che copriva il casco vero e proprio di forma ovale. Sopra di esso c'era la copertura di colore bianco realizzata con gli stessi materiali della tuta. Ma a partire da Apollo 14, venne utilizzata una versione modificata che comprendeva anche un ulteriore visore opaco, dotato di una speciale aletta apribile a 120 gradi, per proteggere gli astronauti dalla radiazione ultravioletta. Alan Shepard e Ed Mitchell sono stati gli unici astronauti a scendere sulla Luna vestiti dalle tute ««A7L»» e dotati del nuovo tipo di casco. Shepard fu il primo dei comandanti dell'Apollo a potersi riconoscere grazie a fasce rosse all'altezza di braccia, gambe e supporto del casco contenente il visore anti-raggi ultravioletti. Le tute (chiamate anche Emu, Extravehicular Mobility Unit) di tipo ««A7L-B»» furono poi utilizzate nel corso delle tre missioni ««Skylab»» nel 1973-74 e ««Apollo-Soyuz»» nel 1975. Le stesse tute oggi utilizzate per le Eva dallo shuttle sono una versione migliorata di quelle del programma lunare, zaino portatile compreso. Le tute/scafandro utilizzate dagli astronauti per le escursioni lunari pesavano 82 chilogrammi, compreso lo zaino Plss, che consentì autonomia fino a 7 ore consecutive senza bisogno di rifornimenti (Apollo 17). Antonio Lo Campo


IN BREVE Il Nobel Sakman giovedì a Milano
ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
NOMI: SAKMAN BERT
LUOGHI: ITALIA

Bert Sakman, premio Nobel per la medicina, terrà la settima ««Bruno Ceccarelli Lecture»» a Milano, il 3 giugno (Caravella S. Maria, Dibit, via Olgettina 58, ore 12,15), sul tema ««Segnali corticali: materia grigia»». Tel.: 02-2643.4751.


IN BREVE Rischio asteroidi «vertice» a Torino
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

Il rischio di impatto tra la Terra e asteroidi del tipo ««Neo»» verrà discusso questa sera, mercoledì 2 giugno a Torino, centro congressi Torino Incontra, via Costa 8, ore 20,30, da David Morrison (Nasa), Andrea Carusi (Space Foundation), Carl Pilcher 8Nasa) e Marcello Coradini (Esa). Ingresso libero, traduzione in italiano. Nel quadro del workshop su asteroidi e comete a Villa Gualino, 1-4 giugno. Tel. 011-810.1935.


IN BREVE Handicap: verso i diritti
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

Contro l'handicap la tecnologia e la solidarietà possono fare molto, ma tutto è inutile senza leggi che garantiscano i diritti di chi dell'handicap è vittima. E' il tema del convegno che si terrà l'8 giugno a Roma (via XX Settembre 30, ore 10) nel quarantennale dell'Anffas e per l'uscita del libro "Il coraggio di una vita normale" di Giovanni Godio (Sperling & Kupfer). Informazioni: 06-361. 15.24.


IN BREVE Fantascienza ad Acqui
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

««Dalla guerra dei mondi a X Files»» è il tema di una mostra e di due giornate di proiezioni e dibattiti sulla fantascienza che si terranno ad Acqui il 5-6 giugno. Per altre informazioni: tel. 0144-323.573.


IN BREVE Torino, il lupo tra mito e realtà
ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Rimarrà aperta fino all'11 ottobre la grande mostra ««Attenti al lupo, la convivenza possibile»», inaugurata nei giorni scorsi presso il Museo regionale di storia naturale di Torino (via Giolitti 36). Informazioni: 011-432.30.80.


IN BREVE Un'arca per il 2000 sulla rivista «Oasis»
ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Il numero di ««Oasis»» attualmente in edicola lancia il progetto ««Un'arca per il 2000»» che ha per obiettivo la soluzione di problemi umani e ambientali come quelli del Kosovo, del Tibet e di molti tra i Paesi più poveri della Terra.




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