TUTTOSCIENZE 29 settembre 99


PREGIUDIZI SUGLI OPPIOIDI Negli ospedali italiani la morfina è ancora tabù Londra: il primo caso di un medico punito per aver ignorato le sofferenze diun paziente
Autore: E_PU

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
NOMI: BAUSMAN ALLAN
ORGANIZZAZIONI: BRITISH MEDICAL JOURNAL
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G. T. CONSUMO DI FARMACI ANTALGICI
NOTE: FARMACI CONTRO IL DOLORE. MEDICINA NATURALE

NEL numero del 18 settembre, il ««British Medical Journal»» riporta il caso di un provvedimento disciplinare, il primo di questo genere, nei riguardi di un medico che avrebbe ripetutamente sottovalutato, non trattandolo, il dolore in sei suoi pazienti. La capacità di dare sollievo dal dolore è, in effetti, un dovere per il medico e un diritto per il paziente. Attraverso il commento di uno specialista algologo, la rivista fa notare come la responsabilità del singolo debba essere condivisa dai due organi deputati alla formazione dei medici: le facoltà di Medicina, accusate di non fornire conoscenze adeguate sul trattamento del dolore cronico e acuto, e il ministero della Sanità, che per anni non ha mostrato interesse legislativo su uso, prescrizione e distribuzione di oppioidi, trattamento cardine del dolore forte. I medici italiani, tranne alcune nicchie di competenza specialistica avanzata e alcune positive, seppur ridotte, realtà territoriali, hanno scarsa conoscenza dell'utilità e dell'impiego degli stupefacenti. Purtroppo, questa scarsa conoscenza sembra essere uniformemente distribuita tra medici generali e ospedalieri. In ospedale, il controllo del dolore non può essere di sola pertinenza dell'oncologo, anche perché non esiste solo il dolore oncologico: il dolore post-operatorio è ancora in gran parte " orfano", mentre il chirurgo e l'anestesista si concentrano principalmente sul lavoro intraoperatorio. Da uno studio epidemiologico nazionale (GISAPO) condotto tra il 1992-94, è emerso gli oppioidi sono prescritti nel post-operatorio solo dall'8% degli anestesisti, mentre il 22% dichiara di seguire dei protocolli, ma questi sono da ritenersi personali, non istituzionali o basati sull'evidenza. Uno studio del 1998-99 sul consumo di farmaci antalgici e sulle relative scelte terapeutiche delle chirurgie generali di una ASL piemontese, effettuato da Clemente per la Scuola di specializzazione in Farmacia ospedaliera di Torino, ha riportato che i Fans (come l'aspirina) rivestono la quasi totalità di impiego dei farmaci per il dolore; gli altri principi attivi sono richiesti meno del 2% del totale. L'uso della morfina o di altri oppioidi è praticamente assente. Il consumo di ciascun farmaco (antinfiammatorio e oppioidi), per singolo reparto, se rapportato al numero di interventi si attesta su valori estremamente bassi, inferiori a quelli richiesti da uno schema posologico attento, considerando inoltre che una parte dei farmaci richiesti è anche utilizzato per il dolore di varia natura e per la febbre. Non esiste, da quanto rilevano i dati, la terapia standardizzata, ma uno scarso e discontinuo utilizzo dei farmaci antalgici, associato ad un ingiustificato se non dannoso uso "al bisogno" (pro re nata), che può comportare forti oscillazioni nella concentrazione plasmatica del farmaco e trascinare il paziente in un estenuante spirale di dolore, paura ed ansia. Al 9° Congresso mondiale sul dolore, tenutosi a Vienna ad agosto, è stato ribadito che il dolore persistente (non trattato) aumenta il rischio di sviluppare il dolore cronico. Le prospettive sono quelle già delineate ai primi anni '90 dal neurobiologo americano Allan Bausman, promotore della "preemptive" analgesia (forma di analgesia peri-operatoria utilizzata da molti anestesisti italiani atta a cancellare "la memoria del dolore"): la morfina non solo riduce il dolore, ma ne previene l'insorgenza. Basta usarla. Siamo vicini al nuovo millennio e a 6.000 anni circa dalla prima descrizione delle proprietà analgesiche dell'oppio ritrovata su un testo sumero. \


DALLA NATURA tre molecole CONTRO IL DOLORE
Autore: PUGNO ENRICA

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: FARMACI CONTRO IL DOLORE. MEDICINA NATURALE

LA morfina, il prototipo degli analgesici, è un composto naturale. "Naturale" è un aggettivo di moda che, soprattutto in medicina, ha generato molta confusione. Il vantaggio del naturale sul sintetico è solo uno dei tanti falsi miti: nessun composto di sintesi ha, infatti, tossicità paragonabile a quella dei grandi veleni e tossine naturali. Molti farmaci di uso comune derivano da veleni. Un esempio relativamente recente e vistoso in termini commerciali è il captopril, il prototipo degli Ace-inibitori che hanno rivoluzionato il trattamento dell'ipertensione. Alcuni di questi farmaci ispirati al veleno di una vipera brasiliana hanno un fatturato superiore al miliardo di dollari all'anno. La ricerca di nuovi farmaci contro il dolore continua a rifarsi alla natura e non è un caso che tre fra i più importanti prototipi di analgesico non-oppioide, cioè diverso dalla morfina, derivino da veleni micidiali, prodotti da una rana sudamericana (epibatidina), da un gasteropode del Pacifico (SNX-111) e da un cactus africano (resiniferatossina). L'origine di questi composti dà un'idea si della globalizzazione della ricerca in questo campo, e di come la distruzione di un habitat e la perdita della biodiversità siano catastrofi irreversibili non solo scientifiche, ma anche cliniche. Vediamo dunque questi tre composti più da vicino. Vanilloidi: parola che sa di vaniglia, di dolce. Invece, questi composti sono piccanti, anzi terribilmente irritanti. Se la capsaicina, il principio pungente del peperoncino, è il prototipo dei vanilloidi, la Rtx ne è la quintessenza; in alcuni saggi farmacologici, questo composto è addirittura 10.000 volte più potente della capsaicina. La Rtx si ottiene dall'Euphorbium, una vecchia resina già nota ai medici Greci e Romani, ottenuta da una pianta succulenta del Marocco, l'Euphorbia resinifera. La resina fu così chiamata da re Giuba di Mauritania in onore del suo medico Euforbio, il fratello di Antonio Musa, il medico dell'imperatore Augusto. Il potere irritante dell'Euphorbium è leggendario. Il medico rinascimentale Mattioli ricorda che i farmacisti si rifiutavano di polverizzarlo, lasciando l'ingrato compito a " facchini ò altre persone vili et mecaniche", e la fertile fantasia di Rabelais lo fa utilizzare a Gargantua in uno dei suoi scherzi terribili. La Rtx porta alla inattivazione funzionale di una serie di neuroni implicati nella trasmissione del dolore, probabilmente per deplezione di sostanza P (come Pain, dolore). E' di questi mesi la scoperta di una interessante sovrapposizione di azione fra vanilloidi e cannabinoidi, gli analoghi del principio attivo dell'hashish. Dall'Ecuador, una rana amica: la storia dell'epibatidina inizia nel 1976, quando si scoprì che un estratto della pelle di una minuscola rana velenosa dell'Ecuador, l'Epipedobates tricolor, induceva negli animali da esperimento reazioni tipiche della morfina, non bloccate però dal suo antagonista naloxone. Il composto responsabile di questa azione era presente solo in tracce, e dalla pelle di circa 750 rane se ne ottenne meno di un milligrammo. Per la scarsità del prodotto, la caratterizzazione strutturale richiese oltre 15 anni. Non fu, infatti, più possibile isolare altra epibatidina, in quanto si scoprì che la rana non produceva questo composto, ma lo assumeva, invece, dalla sua dieta nella giungla: le rane allevate in laboratorio non contenevano, quindi, epibatidina. Cambiamenti nella rete stradale dell'Ecuador portarono a sconvolgimenti ambientali nel luogo in cui erano state raccolte le rane, che, nel 1984, finirono inoltre nella lista Cites delle specie protette. Progressi tecnologici resero possibile all'inizio degli anni 90 l'analisi strutturale dell'epibatidina, che fu poi sintetizzata in laboratorio in modo da permetterne un approfondito studio farmacologico. Il composto risultò circa 200 volte più potente come analgesico della morfina e il suo meccanismo d'azione risultò di tipo nicotinergico (un meccanismo diverso da quello della morfina). L'epibatidina è troppo tossica per uso clinico; un suo analogo sintetico, l'Abt-594, in sviluppo clinico, meno tossico e più attivo dell'epibatidina, potrebbe rappresentare un'autentica svolta nella terapia del dolore come alternativa non oppioide alla morfina. E ora l'Snx-111, un peptide prodotto da un gasteropode velenoso del mare delle Filippine, il Conus magus. Le conchiglie colorate dei Conus sono sempre state oggetto di collezione e, nel passato, raggiunsero quotazioni sbalorditive. Il caso più eclatante è quello di una conchiglia del C. cedonulli, battuta ad un asta di Londra nel 1796 insieme con uno dei più famosi dipinti di Jan Vermeer, la "Lettrice in azzurro", oggi al Rijksmuseum di Amsterdam. Il quadro di Vermeer fu venduto per 43 guinee, mentre la minuscola conchiglia del Conus, lunga 5 centimetri, raggiunse un prezzo di 273 guinee. Sono lumache carnivore: le loro prede, di solito più grandi e mobili, sono immobilizzate con un cocktail di tossine che stimolano una cascata di effetti letali, agendo su canali ionici diversi. Alcune tossine provocano una specie di scossa tetanica, altre bloccano le giunzioni neuromuscolari, ed altre ancora bloccano i canali del calcio interrompendo la comunicazione tra neuroni. La Neurex di Palo Alto, California, ha semplicemente sintetizzato una molecola con le stesse caratteristiche di queste conotossine: piccoli peptidi a struttura rigida, altamente selettivi per un recettore e resistenti alla degradazione. Non è stato possibile migliorare la natura, dopo 50 milioni di anni di evoluzione! L'Snx-111 è un bloccante di una sottoclasse di canali del calcio (di tipo N), la cui inattivazione a livello del midollo spinale blocca la trasmissione dello stimolo dolorifico. L'approccio moderno è quello di impedire a monte che il segnale del dolore parta, secondo la filosofia del "chiudere la stalla prima che i buoi scappino". Queste tre molecole, o i loro derivati, hanno dato ottimi risultati (e scarsi effetti collaterali) non solo nel dolore cronico, acuto e post-chirurgico, ma anche in quello intrattabile, neuropatico, tipico del paziente oncologico, diabetico, affetto da AIDS, e dalla patologia post-erpetica. E' però da ribadire, a chiare lettere, che l'uso sistematico ed adeguato della morfina, un vecchio composto naturale, rimane tuttora il mezzo più efficace per alleviare il dolore. Quindi, dal punto di vista pratico, la vera domanda è perché molti pazienti con dolore forte continuino a non ricevere morfina o antalgici appropriati. Enrica Pugno


TRA LOGICA E FISICA Se il computer gira a vuoto Un'applicazione informatica dei ««vetri di spin»»
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: INFORMATICA
NOMI: ANDERSON PHILIP
ORGANIZZAZIONI: NATURE, POLITECNICO DI TORINO
LUOGHI: ITALIA

UN gruppo di ricerca composto da Monasson, Zecchina, Kirkpatrick, Selman e Troyansky ha pubblicato recentemente (sulla riviasta ««Nature»», n. 400, 133-137; 1999) un lavoro che ha attirato l'attenzione degli esperti di informatica e che conferma risultati di rilievo già ottenuti in precedenza da Monasson e Zecchina. Prima di entrare nei dettagli vorrei richiamare alcune nozioni elementari di logica. Una variabile logica è una quantità, detta booleana, che può prendere solamente il valore "falso" o "vero". Molti rompicapo offerti ai lettori da riviste di enigmistica, la soluzione di un giallo ma anche molti problemi pratici implicano l'assegnazione del valore "falso" o "vero" a una serie di variabili logiche legate tra di loro da clausole che dipendono dal problema considerato e lo definiscono. Nel suo divertente e acuto commento al lavoro di Monasson, il Nobel Philip W.Anderson ricorda i quiz del liceo in cui si dovevano collegare tra di loro tre case, tre cognomi e tre nomi di tre persone in base a una serie di domande ben congegnate. A prima vista di tratta di un rompicapo fatto apposta per trascorrere piacevolmente il tempo in un momento di relax. Immaginiamo tuttavia di avere a che fare con un problema decisionale che coinvolge miliardi di variabili logiche e relative clausole e ci renderemo conto che, senza computer e senza un algoritmo adatto che punti velocemente verso la soluzione la perdita di tempo può diventare di fatto l'eternità. Molti problemi di grande interesse pratico sono effettivamente di questo tipo. Per consultare efficacemente un elenco telefonico occorre poterlo ordinare velocemente in ordine alfabetico oppure secondo il numero di telefono. Se esaminiamo in dettaglio questi problemi ci rendiamo conto che essi richiedono una soluzione in cui occorre decidere se un numero sterminato di variabili logiche legate da un numero paragonabile di clausole sono vere o false. Un problema di grande interesse pratico è quello della ottimizzazione degli orari delle linee aeree. Problemi importanti hanno diritto a una sigla criptica: in questo caso la sigla è K-SAT, dove SAT sta per "soddisfabilità" e K denota il numero di variabili booleane legate dalle clausole. Una clausola è vera se lo è almeno una delle variabili da essa collegate. Solitamente K = 2 o K = 3. Il problema decisionale consiste nel soddisfare tutte le clausole contemporaneamente. Se il numero di clausole è piccolo si trova facilmente una soluzione; se invece è alto non esiste in generale soluzione in cui tutte le clausole sono soddisfatte. Il caso peggiore è quello posto a metà strada tra questi estremi in cui il computer impiega un tempo lunghissimo per arrivare alla meta: si tratta quindi di una configurazione da evitare a tutti i costi nelle applicazioni. Se K » 2, in pratica si assume K = 3, i K-SAT richiedono un tempo di computer che cresce in progressione geometrica o esponenziale nel numero di variabili logiche, detti in gergo NP-completi. Il più celebre ed emblematico dei problemi NP-completi è quello affrontato da un commesso viaggiatore che presenta il suo campionario in una serie di città di cui conosce tutte le distanze relative e vuole visitarle nell'ordine in cui il percorso totale è minimo. Il problema del commesso viaggiatore sembra molto semplice ma sconfigge anche i supercomputer più agguerriti se il numero delle città supera il centinaio. Monasson ha esaminato problemi misti in cui una frazione delle clausole è di tipo 3-SAT e le rimanenti di tipo 2-SAT. Se la frazione 3-SAT sta al di sotto di un valore critico ben definito il problema richiede tempi proporzionali al numero di variabili in gioco, andando oltre la soglia i tempi crescono esponenzialmente. La soglia segnala un regime di calcolo in cui il computer impazzito gira in tondo senza raggiungere la meta. La difficoltà che si incontra nel trattare questi problemi non dipende tanto dal numero di variabili e di clausole quanto dalla vicinanza alla soglia. Giova ripetere che questi risultati si applicano solo a problemi con un numero rilevante di variabili e di clausole ma in ogni caso avranno un impatto profondo sulle future strategie in campo informatico. Di grande interesse è l'identità formale tra questi problemi e altri remoti collegati ai cosiddetti ««vetri di spin»». In fisica la parola vetro indica strutture amorfe e prive di quella ripetitività e simmetria che caratterizza i cristalli. In questo contesto la parola "cristallo" applicata nel linguaggio comune ai vetri di alta qualità appare fuori luogo, la struttura microscopica del vetro è infatti disordinata. Il vetro di spin è materiale virtuale composto da magneti elementari che puntano solamente in due direzioni, alto e basso, assimilabili al "vero" o "falso" della variabili logiche. Tra i magneti agiscono forze, il cui ruolo è simile a quello delle clausole, che tendono ad allinearli oppure a farli puntare in direzioni opposte. I vetri di spin sono molto popolari tra i fisici perché suscettibili di una trattazione matematica che dà indicazioni utili per lo studio dei sistemi complessi. Variando la temperatura o cambiando le forze tra magneti la struttura fisica del vetro di spin può cambiare in modo discontinuo e macroscopico, passando per quella che i fisici chiamano ««transizione di fase»». Qualsiasi materiale è soggetto a transizioni di fase se sottoposto a cambiamenti di temperatura, pressione o composizione chimica. L'ebollizione e congelamento dell'acqua sono esempi ben noti di transizioni di fase. Di grande interesse è l'analogia interdisciplinare fra transizione di fase in un vetro di spin e la transizione che appare in un problema K-SAT. Una prima conclusione pratica che si può trarre dalla analogia è che occorre stare lontani da queste transizioni che segnalano configurazioni critiche il cui il computer gira a vuoto senza arrivare a una conclusione. Vorrei chiudere questo articolo con due considerazioni. La prima è che nella scienza le visioni interdisciplinari hanno un ruolo propulsivo fondamentale e che di certo i risultati di Monasson avranno ulteriori applicazioni di rilievo. L'altra è la soddisfazione personale di vedere Riccardo Zecchina, già ricercatore al Politecnico di Torino, nel plotone d'assalto. Tullio Regge Politecnico di Torino


MACCHINE I calorimetri della Big Science
AUTORE: MARCHIS VITTORIO
ARGOMENTI: TECNOLOGIA
NOMI: RUBBIA CARLO, VAN DER MEER SIMON
LUOGHI: ITALIA

VENTI centimetri per una macchina gigantesca. ««Certamente»», ha detto Brahe. ««Così - ha sorriso Wang come se riavvolgesse rapido la corda, - così io le sono grato di avermi dato i venti centimetri che le avevo chiesto»», e ha tirato fuori dalla giacca un piccolo disegno stampato con la sua parte del rilevatore. ««Un momento- ha detto Brahe sciogliendo le braccia conserte, mettendo avanti le mani - Nel telex le ho detto che potevamo discuterne, non che le avevo dato i venti centimetri»». Wang si è appoggiato alla spalliera del divanetto, ritraendo il disegno; ha guardato Brahe con grande dignità di sè: ««Discutere? Ma abbiamo appena discusso. Forse non sono stato chiaro. Se per vedere...»». ««Sì, sì - ha sorriso Brahe interrompendolo - su questo non c'è dubbio. Io ho una grande intenzione, penso anche che avremo molta energia. Quello che non ho sono i venti centimetri da darle»». ««Ma come mai?»» ha detto Wang sconsolato. ««Perché dovrei rinunciare a una fila di calorimetri per adroni, e proprio non posso»». \ ««Ora mi dica la verità: in una macchina così grande, in una parte grande come la sua, lei non può rinunciare a venti centimetri?»». Lo guardò con occhi profondi; disse: ««Sia sincero, non può rinunciare a questi venti centimetri?»». \ ««E' una macchina molto bella. Molto competitiva»». Brahe, sporgendosi al di sopra del foglio, indicava con una matita le linee piene e le linee tratteggiate, i profili vuoti o campiti, che sarebbero diventati piastre e lamine e spicchi in successione, foglie sottili o sfoglie più spesse, blocchi circolari o squadrati, elementi densi di materia, dimensioni enormi di materia per percepire una materia infinitesimale e virtuale, punti di energia per percepire punti di energia, campi di forza per rilevare campi. Ogni elemento del bleu d'usine su cui Brahe poggiava la matita guardando lo sguardo di Wang, era permeabile a un'intensità e non a un'altra, a una luminosità e solo a quella, a una velocità e leggerezza e durata e densità e non ad altre, e solo queste erano le differenze dato che gli elementi per vedere erano fatti della stessa materia che forse sarebbe stata vista, e in fondo il perché della differenza nella consustanzialità e identità del tutto era sempre il problema» ». Ciò che racconta Daniele Del Giudice nel suo Atlante occidentale svela uno degli aspetti più sconosciuti della scienza: sia essa Big Science, oppure anche più piccola, più comune, più banale. Accanto a chi pensa, a chi lavora solo con carta e matita o al più di fronte ad uno schermo di computer, ci sono anche altri che devono combattere con chiavi inglesi e con fili elettrici. Lo ha dimostrato il Nobel nel 1994 quando, per la scoperta dei bosoni, accanto al fisico Carlo Rubbia è stato premiato anche l'ingegnere Simon Van der Meer. Talvolta però manca lo spazio. Vittorio Marchis Politecnico di Torino


ASTRONAUTICA Entriamo nella fabbrica dei robot marziani Al Jet Propulsion Laboratory la culla delle missioni spaziali del futuro
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: PIAZZA ENRICO, RIVELLINI TOMMASO
ORGANIZZAZIONI: CALIFORNIA INSTITUTE OF TECHNOLOGY, FIDO, JET PROPULSION LABORATORY, PLANET ROBOTICS LAB
LUOGHI: ITALIA

IL Jet Propulsion Laboratory (Jpl), una divisione del California Institute of Technology (Caltech), è un centro americano di primaria importanza per l'esplorazione dello spazio. Sorge a Pasadena a Nord Est di Los Angeles su un'area di 75 ettari. L'ottantatrè per cento della ricerca si rivolge al settore civile, il 17 per cento a quello militare. Vi lavorano 5000 tecnici e ricercatori, con un budget annuale di un miliardo di dollari. Dalla sala di controllo di Pasadena gli scienziati dialogano con le sonde robot della Nasa in rotta verso i pianeti e raccolgono, interpretano e traducono i dati che ricevono a Terra. I robot sono fondamentali per l'esplorazione dello spazio: al Jpl si stanno già sperimentando i rover di seconda generazione per Marte. Uno di questi è Fido (Full Integrated Design Operator), ultrasofisticato, capace di muoversi in piena autonomia, di ««pensare»» e di affrontare e risolvere situazioni nuove. E' munito anche di un braccio-trivella per staccare e prelevare campioni di roccia che costituiranno il carico prezioso del viaggio di ritorno sulla Terra previsto per il 2008. Solo con l'analisi delle rocce, dicono gli scienziati, si potrà stabilire in modo preciso se su Marte c'è acqua e se ci sono o ci sono state forme di vita. Per assicurare a Fido un atterraggio che non lo danneggi, l'impatto sarà protetto da un apposito airbag inventato dal ricercatore italiano Tommaso Rivellini che lavora presso il Planet Robotics Lab. Nel 2003 verrà inviato verso Europa, una delle grandi lune di Giove, un robot Jpl il cui atterraggio è previsto nel 2007; un altro robot, Pluto-Kuiper Express, partirà alla volta di Plutone e della sua luna Caronte nel 2004, con arrivo previsto nel 2012; verso il Sole un lancio è previsto nel 2007 con arrivo nel 2010: le nuove informazioni andranno ad arricchire quelle inviateci da Ulysses (la sonda Nasa-Esa) che ha completato l'osservazione dei due poli della nostra stella. Già altre sonde sono in viaggio, come ««Cassini»», lanciata nel 1997 verso Saturno e che entrerà nella sua orbita nel 2004 dove per quattro anni studierà, oltre al pianeta, anche i suoi anelli, le lune e il campo magnetico. Del nostro sistema solare, dice Enrico Piazza, addetto stampa del Jpl, un piemontese arrivato in America dieci anni fa, sono a disposizione splendide immagini ed informazioni su Internet all'indirizzo: www.newellcolour.com Della missione ««Polvere di stelle»», lanciata quest'anno in febbraio con l'obiettivo di raccogliere campioni di materia da una cometa utilizzando una specie di spugna di silicio, esistono immagini all'indirizzo stardust.jpl.nasa.gov; Tutto su Marte, passato e futuro, si trova all'indirizzo: mars.jpl.nasa.gov Future missioni a Plutone: www. jpl.nasa.gov/ice-fire/. Pia Bassi


DOMANI A PAVIA Biotecnologie, un appello per norme serie e razionali
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, PAVIA, PV

SUL tema ««La riproduzione alla fine del millennio»» si terrà domani e venerdì all'Università di Pavia lo ««Spallanzani Symposium»» (Laboratorio di biologia dello sviluppo, piazza Botta 9, tel. 02-480.12.068). Interverrà Ryuzo Yanagimachi, Premio Internazionale per la biologia 1996. Nel corso dei lavori gli organizzatori Carlo Alberto Redi, Silvia Garagna (Università di Pavia) e Maurizio Zuccotti (Università di Parma) presenteranno un ««Manifesto per il buon uso delle biotecnologie»». Ne riportiamo le affermazioni principali, seguite dalle firme degli aderenti. ««Le biotecnologie rappresentano una delle frontiere più promettenti della scienza contemporanea, in grado di fornire all'umanità nuove opportunità per combattere le malattie e la denutrizione, e per allargare gli orizzonti della nostra conoscenza dei sistemi viventi. Al tempo stesso, queste tecniche implicano delle incognite e dei rischi per l'ambiente e la salute umana. Sono in particolare le biotecnologie applicate alle cellule germinali animali e vegetali a rappresentare una delle frontiere più promettenti e insieme più temute. Per sfruttarne appieno le potenzialità e limitarne gli effetti indesiderati è necessaria una corretta informazione, che rifugga tanto da interessati trionfalismi quanto da catastrofismi irresponsabili. ««La sperimentazione biotecnologica sulle cellule germinali sta diventando imprescindibile per competere a livello internazionale nell'indagine sulle basi molecolari e cellulari della vita (...). Le biotecnologie applicate alla creazione di organismi animali e vegetali geneticamente modificati e al controllo della loro riproduzione rappresentano un progresso conoscitivo e tecnico che sarebbe irragionevole contrastare pregiudizialmente, inoltre potrebbero svolgere un ruolo propulsivo per l'innovazione (in termini sia di produzione di beni ad alto valore aggiunto sia di occupazione)... ««E' quindi indispensabile che il parlamento e il governo promuovano una efficace azione di alfabetizzazione scientifica sulle potenzialità e i rischi delle biotecnologie, in modo da creare un confronto aperto e democratico per sviluppare delle normative che indirizzino verso una buona pratica di impiego delle biotecnologie, mirata al progresso scientifico e al benessere della umanità»». Francesco Amaldi, Enrico Bellone, Edoardo Boncinelli, Piero Bianucci, Ranieri Cancedda, Ernesto Capanna, Ivan Cavicchi, Luigi Luca Cavalli Sforza, Alessandro Coda, Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Riccardo Chiaberge, Romano Dallai, Luigi de Carli, Pino Donghi, Sergio Dompè, Silvio Garattini, Giulio Giorello, Maria Gabriella Romanini, Alberto Mantovani, Armando Massarenti, Giovanni Maria Pace, Umberto di Porzio, Tullio Regge, Pier Luigi Sacco, Enrico Solcia, Mario Stefanelli, Franco Voltaggio.


RISCHI DEGLI STEROIDI Seno da Miss invece che muscoli Sgradevoli e imprevisti effetti collaterali per gli atleti
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
NOMI: MCGWIRE MARC
ORGANIZZAZIONI: BRITISH MEDICAL JOURNAL, CIO
LUOGHI: ITALIA

L'ANDROSTENEDIONE, uno steroide precursore dell'ormone maschile testosterone prodotto dalle ghiandole surrenali e dalle gonadi, è severamente bandito dal Comitato Olimpico Internazionale. Malgrado tale disposizione è una delle sostanze più usate dagli atleti per aumentare la performance alle gare. Secondo la nozione che circola negli spogliatoi esso avrebbe la doppia funzione di sviluppare i muscoli e di aumentare la forza muscolare e la resistenza allo sforzo. Questo effetto sarebbe visibile come un aumento del testosterone misurato nel sangue. Negli Stati Uniti l'uso dell'androstenedione è molto popolare tra i giocatori di baseball e secondo il campione Marc McGwire il suo uso sarebbe aumentato di cinque volte tra i giovani giocatori. Sempre grazie alla presunta sovrapproduzione di testosterone esso farebbe miracoli per coloro che praticano il body-building a scopo competitivo. L'androstenedione è prodotto normalmente nel nostro organismo dalle ovaie nelle donne e dalle ghiandole surrenali e dai testicoli negli uomini e può essere convertito nei tessuti periferici in testosterone da un enzima, la 17beta-idrossisteroide deidrogenasi. Secondo il credo degli atleti esso aumenterebbe il volume delle fibre muscolari e quindi le prestazioni atletiche. Un suo parente stretto chiamato Dhea (cioè deidroepiandrosterone) è popolare per le stesse presunte virtù e viene propagandato come rimedio contro la vecchiaia. Essendo entrambi prodotti naturalmente dal nostro corpo avrebbero come vantaggio di essere difficilmente scopribili ad un controllo e di essere privi di effetti collaterali. Un recente studio pubblicato nella rivista della associazione medica americana ««Jama»» e commentato in ««Lancet»» smentisce entrambe le credenze. Per andare alla radice della questione si somministrarono oralmente dosi moderatamente alte di androstenedione, corrispondenti a quelle usate normalmente dagli atleti come doping, ad un gruppo di 20 giovani atleti di 19-29 anni di età aventi livelli normali di testosterone. Si controllò in seguito l'effetto sia a livello della grandezza delle fibre muscolari che sulle prestazioni atletiche e la resistenza allo sforzo durante un periodo di allenamento totale di due mesi. Paragonando la forza muscolare e la resistenza allo sforzo dei giovani trattati con un gruppo di controllo dalle medesime caratteristiche di allenamento e di età, non si notava alcuna differenza tra i due gruppi. Il livello di testosterone nel sangue non era pertanto variato. Tali risultati non erano inattesi in quanto precedenti studi su animali avevano dimostrato delle proprietà androgeniche molto deboli di tali preparati. Risulta chiaro che le informazioni fornite ai consumatori (e agli atleti) sono false e svianti. Ulteriori dati emergenti dallo studio americano dimostrano la pericolosità di tali ««prodotti naturali»». Essi hanno l'effetto di ridurre il colesterolo ««buono»» nel sangue chiamato Hdl e di aumentare le concentrazioni nel plasma sanguigno e nelle orine dei livelli di estrogeni femminili (sia estrone che estradiolo) fino ad arrivare con l'uso prolungato ad una ginecomastia, cioè ad un aumento del volume delle mammelle. Come tali potrebbero essere più indicati per ovviare ad eventuali carenze nelle candidate al titolo di Miss Italia che per degli atleti, se non fosse per il fatto che un precedente studio nelle donne ha dimostrato che una singola dose di androstenedione provoca invece l'aumento della concentrazione di testosterone (ironia del metabolismo ormonale). Vi sono però pericoli maggiori della ginecomastia correlati all'uso di tali steroidi. Tra questi è il rischio che nei giovani si arrivi a una saldatura precoce (accorciamento) delle ossa lunghe degli arti, e negli adulti a un aumento delle malattie cardiovascolari. Ultima e brutta notizia per gli atleti che non leggono le riviste mediche e che quindi non sono aggiornati sull'effetto di questo tipo di doping è che, come dimostrato da un articolo sul ««British Medical Journal»», tali steroidi possono essere facilmente scoperti e misurati nel sangue e nelle orine, come dimostra il recente caso di un famoso lanciatore di pesi statunitense. Ezio Giacobini


SETTIMANA EUROPEA CONTRO IL CANCRO Come morire di tabacco Impressionanti i dati Usa sulle malattie da fumo
Autore: BADELLINO FAUSTO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA SUL CANCRO, LEGA ITALIANA PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T. DATI SULLE MALATTIE PRODOTTE DAL FUMO DI SIGARETTA

DAL 4 al 10 ottobre in Europa (e quindi anche in Italia) si svolgerà la ««Settimana Europea contro il Cancro»». Il tema di quest'anno è la disassuefazione dal fumo nei giovani. Verrà distribuito del materiale informativo uguale in tutti i Paesi europei, e nel nostro Paese provvederanno la Lega italiana per la lotta contro i tumori e l'Associazione italiana per ricerca sul cancro. A Padova, dal 30 settembre al 2 ottobre, si terrà inoltre il convegno ''A fuoco il fumò', primo convegno nazionale sul tabagismo (tel. 049-651.699). E' utile, a questo proposito, presentare alcuni dati dell'annuale relazione dell'American Cancer Society, validi per gli Usa ma estensibili all'Europa occidentale. Il fumo è oggi la causa di morte più facilmente evitabile. Eppure negli Usa il tabacco causa una morte su cinque: per il periodo 1990-1994 gli sono stati addebitati 430.700 decessi all'anno. Sebbene il numero delle morti per malattie cardiovascolari sia in diminuzione, la percentuale di quelle da tumore collegate al fumo è in aumento. Dal 1987 ogni anno muoiono più donne per cancro del polmone che per cancro mammario, che era stato la prima causa di morte da tumore nelle donne per oltre quarant'anni. All'incirca metà dei fumatori decede prematuramente, tra i 35 e i 69 anni, perdendo tra i 20 e i 25 anni di vita prevista. La mortalità per cancro polmonare è di 23 volte più alta nei fumatori maschi e 13 volte nelle fumatrici donne rispetto a chi non fuma. Oltre ad essere responsabile di più dell'87% dei cancri polmonari, il fumo è chiamato in causa anche per i tumori della bocca, faringe, laringe, esofago, pancreas, collo dell'utero, rene e vescica; esso è globalmente motivo del 30% delle morti per tumore, è la maggior causa di malattie cardiache, ed è associato a molte altre condizioni patologiche, dal semplice raffreddore all'ulcera gastrica, alla bronchite cronica, all'enfisema ed alle malattie cerebro-vascolari. Un'indagine nazionale americana indica che la percentuale di fumatori di sigarette dai 18 anni in su è diminuita del 40% tra il 1965 e il 1990, cioè dal 42% al 25%. Tra il '90 e il '95 non vi sono state ulteriori variazioni. Ma nel periodo '91-97 il numero di sigarette fumate dagli studenti delle scuole superiori è aumentato del 32% e rispettivamente dell'80% negli africani, del 34% negli ispanici, e del 28% nei bianchi. Profilo dei fumatori. Nel 1995 fumavano 47 milioni di americani adulti (24,5 milioni di uomini e 22,5 milioni di donne) con: prevalenza maggiore negli uomini (27%) che nelle donne (22,6%) ed assai più elevata negli americani indiani o nati in Alaska (36%) che in tutti gli altri gruppi razziali od etnici; prevalenza maggiore nei maschi che hanno abbandonato gli studi (41,9%); più dell'80% degli adulti fumatori ha iniziato a fumare a diciott'anni. Sigari. Dal '93 al '97 vi è stato un aumento del consumo di sigari e sigarilli. Nel '97 ne sono stati fumati 5,1 miliardi, e la tendenza è in aumento negli studenti e più nei maschi che nelle femmine. Vi è stata una forte pubblicità sui sigari (coinvolgendo persone note e riservando nei locali e nei ristoranti degli spazi appositi per questi fumatori). Inoltre il Congresso non ha incluso i sigari nella legge del 1984 che prescrive di riportare sui pacchetti gli avvertimenti sul fumo del ««Surgeon General»». Nel 1998 in una monografia dell'Nci (Istituto nazionale per il cancro) sono riportati i dati sanitari sui sigari: molti dei carcinogeni contenuti nelle sigarette ci sono anche nei sigari; il fumo del sigaro causa cancri del polmone, del cavo orale, della laringe, dell'esofago e forse del pancreas; similmente ai fumatori di sigarette, quelli di sigaro hanno un rischio 4-10 volte maggiore di morire di cancro laringeo, orale o esofageo che i non fumatori. Interruzione del fumo. Nel '90 vennero indicati i benefici che si ottengono quando si smette di fumare: indipendentemente dall'età, si vive più a lungo; chi smette di fumare prima dei cinquant'anni ha un rischio di morte dimezzato (nei 15 anni successivi) nei confronti di chi continua a fumare; si riduce il rischio di tumori e di malattie cardiovascolari. Nel 1995 circa il 68% dei fumatori desiderava smettere, e circa il 46% era stato un giorno senza fumare nell'arco dei 12 mesi precedenti. Circa il 23,3% di adulti (25 milioni di uomini e 19,3 milioni di donne) erano ex fumatori. I teenagers trovavano molto difficile smettere. Sul 73% solo il 13,5% ci riuscì. Una indagine del '90-92 ha evidenziato che il 23,6% di fumatori tra i 15 e i 24 anni diventa fumo-dipendente, in maniera simile alla dipendenza da cocaina (24,5%) ed eroina (20,1%). Sebbene il 70% degli adolescenti fumatori fossero dispiaciuti di aver iniziato a fumare, i programmi di disassuefazione per i giovani hanno avuto scarso successo. Fumo passivo. Ogni anno 3000 adulti non fumatori muoiono per cancro del polmone dovuto dal fumo delle sigarette altrui. Il fumo passivo è causa di morte per malattia cardiaca in 35-40.000 non fumatori. Gli sono addebitati altri danni ai non fumatori quali tosse, catarro, dolori toracici e ridotta funzionalità polmonare. Ogni anno il fumo passivo provoca da 150.000 a 300.000 polmoniti e bronchiti nei bambini al di sotto dei 18 mesi, ed è motivo di alcune migliaia (da 7500 a 15.000) di ricoveri ospedalieri. Vi è un incremento numerico degli attacchi di asma e della loro intensità pari al 20% in 2-5 milioni di bimbi asmatici. Il fumo passivo contiene oltre 4000 composti chimici tra cui il monossido di carbonio, la formaldeide, l'ammoniaca, il nickel, lo zinco, l'acetone; e colesterolo, acido cianidrico e formico. Quattro sostanze chimiche (benzene, 2-naftilamina, 4-amino di fenile e polonio-210) sono note come carcinogeni umani, e altre 10 sono considerate come possibili cancerogeni. Esportazione di sigarette. Le compagnie americane produttrici di tabacco hanno conquistato i mercati mondiali. Una relazione del 1998 del Dipartimento americano per l'Agricoltura afferma: l'esportazione del tabacco dagli Usa è aumentata da 2,1 miliardi di dollari nell'86 a 4,9 miliardi nel '97, con un picco di 5,9 miliardi nel '95; l'export di sigarette è calato nel '97 da 243,9 miliardi di pezzi a 217 miliardi; l'export in Giappone è aumentato da 6,5 miliardi ('85) a 67,7 miliardi ('97), circa 9 volte; l'export nell'ex Unione Sovietica è aumentato da 4,6 ('91) a 14,9 miliardi ('97). Tabacco senza fumo. Nel 1986 il ««Surgeon General» » aveva affermato che il tabacco senza fumo non è un sostituto innocuo delle sigarette. Infatti può causare tumori e lesioni orali di vario tipo e può portare alla nicotino-dipendenza. Cancri orali si hanno con più frequenza in chi fiuta tabacco. Il rischio di cancro alle guance e alle gengive è di 50 volte maggiore a lungo termine in questi soggetti. Afferma il Dipartimento dell'Agricoltura che la produzione di tabacco da fiuto (tabacco umido) è aumentata del 100%, da 30 milioni di libbre nel 1981 a 60 milioni nel '97. Il 15,8% degli studenti maschi nelle superiori mastica tabacco o usa quello da fiuto (dati del '97). Lo stesso accade per il 5,9 degli uomini e lo 0,6 delle donne oltre i 18 anni. Costi del tabacco. I danni economici provocati dal tabacco vanno valutati in base al numero delle morti e degli ammalati. Le perdite per le cure e la diminuita produzione lavorativa ammontano a 100 miliardi di dollari. Nel '93 le spese mediche furono di 50 miliardi di dollari, di cui il 43% venne pagato con fondi del governo inclusi Medicaid e Medicare. A quest'ultima il tabacco costa 10 miliardi di dollari all'anno e alla prima quasi 13, con variazioni da Stato a Stato, dagli 1,9 miliardi di dollari a New York agli 11,4 milioni di dollari nello Wyoming. La diminuita produzione lavorativa ha gravato nel '90 per ben 47,2 miliardi di dollari. In questi conti non sono stati inclusi i danni provocati da ustioni e incendi, e i malanni insorti nei bambini nati sotto peso da madri fumatrici. Anche se muoiono in età più giovane, il costo della vita dei fumatori accresce le spese generali di 501 miliardi di dollari. In media un pacchetto di sigarette incide sugli americani per oltre 3,90 dollari pro-capite a motivo dei danni da fumo correlati. Lo smettere di fumare in fin dei conti vuol dire guadagno in salute e guadagno economico! Anche in Italia. Fausto Badellino Istituto Nazionale per la ricerca sul cancro, Genova


AMBIENTE&GEOLOGIA Quando s'inaridì il Mediterraneo Periodicamente variano livello e salinità
Autore: ZANOLI STEFANO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA GEOFISICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. UNO «SPACCATO» DEL MEDITERRANEO CON L'ALTIMETRIA DEI FONDALI

UN recente articolo sulla rivista Nature ha riproposto un tema caro ai geologi: la ««crisi di salinità del Messiniano»», le cui cause e implicazioni sono state, negli ultimi trent'anni, aspramente dibattute. Ma che cos'è una ««crisi di salinità»»? Negli Anni 70 il programma di perforazione Deep sea drilling project (Dsdp) portò all'inaspettato ritrovamento di estesi e spessi depositi di solfati e cloruri nel sottosuolo dei fondali profondi di gran parte del Mediterraneo. La loro presenza segnala che a un certo momento della storia geologica vi è stato un aumento anomalo della concentrazione di sali nelle acque. Depositi salini di età Messiniana affiorano discontinui a terra un po' su tutta la penisola italiana, e in passato i geologi li avevano sempre interpretati come prodotto di precipitazione in piccoli bacini locali, isolati dal mare aperto. I sondaggi Dsdp dimostrarono invece che la crisi evaporativa aveva colpito l'intera regione del Mare Nostrum. Nel Messiniano il Mediterraneo divenne un grande bacino chiuso, isolato dall'Atlantico. Il deficit di bilancio idrico che affligge questo mare (la perdita per evaporazione supera le entrate di piogge e fiumi) portò in alcune centinaia di migliaia di anni a una progressiva stagnazione e sovrassaturazione salina: fino alle condizioni per la precipitazione di carbonati, solfati e a volte dei solubilissimi cloruri. Lo spessore di questi depositi salini impacchettati entro argille marine profonde può superare il migliaio di metri. Hsu, Ryan e Maria Bianca Cita, a capo del progetto DSDP, suggerirono essere all'origine di questi depositi ripetuti cicli di isolamento intervallati da brevi influssi di acque atlantiche. Nei periodi di isolamento il deficit idrico faceva abbassare il livello del mare del Mediterraneo, portando alla sovrassaturazione dei sali, e a metà del Messiniano un maggiore episodio di interruzione degli scambi portò al disseccamento quasi completo del Mediterraneo. La fine della crisi è segnalata dagli strati basali del Pliocene, con faune fossili di chiara provenienza atlantica e assenza dei sali evaporitici. Uno dei punti irrisolti in questo quadro è se la causa dell'isolamento possa essere imputata a puro eustatismo (un abbassamento globale del livello marino) o tettonica (innalzamento nella zona dello stretto betico). Per capirlo bisogna datare le fasi della crisi di salinità e sincronizzarle con gli eventi geologici extra-mediterranei registrati nelle successioni sedimentarie oceaniche. Queste datazioni e correlazioni vengono solitamente fatte dai geologi sulla base del contenuto paleontologico: ma in questo caso l'assenza di fossili nelle successioni marine più continue del Messiniano, non permette accurate calibrazioni con quegli eventi globali che hanno lasciato traccia nelle successioni stratigrafiche del resto del mondo. Ed è qui che intervengono gli autori del nuovo lavoro pubblicato sulla rivista. Per datare le varie tappe della crisi di salinità, Krijgsman e colleghi si sono affidati a un nuovo orologio del tempo geologico: l' ««astrocronologia»», basato sul riconoscimento degli effetti sui sedimenti da parte delle regolari oscillazioni climatiche legate a cicli astronomici. Per esempio il numero di cicli pre-evaporitici ed evaporitici del Messiniano (argilla + argilla bituminosa e gesso + argilla) corrisponde al numero di cicli di precessione (circa 26.000 anni) nello stesso intervallo di tempo. Partendo dalla classica datazione radiometrica dell'inizio del Messiniano (7,2 milioni di anni fa), si ottiene che: a) la prima metà del Messiniano, tra 7,2 e 6 milioni di anni, vede la progressiva stagnazione delle acque mediterranee; b) la crisi di salinità vera e propria (isolamento del Mediterraneo) comincia ovunque contemporaneamente a 5,96 milioni di anni. Proprio in questo momento è stato indipendentemente riconosciuto un aumento del tasso di espansione della crosta oceanica atlantica. Sembra dunque che la prima causa della chiusura dello stretto betico possa essere imputata a un incremento dell'attività tettonica. Il periodo della precessione coincide con particolari fasi di minima insolazione e di massima aridità, durante le quali si concentravano le brine saline. Contando i cicli di evaporazione si copre tutto l'intervallo del Messiniano Superiore: rimane ««scoperto» » solo un piccolo intervallo di tempo, compreso tra 5,59 e 5,50 milioni di anni, durante il quale probabilmente il Mediterraneo si disseccò quasi completamente, portando il Rodano, l'Ebro e il Nilo a incidere i suoi fondali fino a oltre 2000 metri di profondità. All'inizio del Pliocene un innalzamento del livello del mare portò di nuovo l'Atlantico sopra la soglia di Gibilterra: le acque oceaniche cominciarono allora a rifluire e riempire di nuovo il grande mare salato. E ora un suggerimento a chi voglia osservare da vicino gli strati del Messiniano, materica memoria di questo breve intervallo della storia geologica. Risalite la valle del Santerno, nell'Appennino romagnolo (da Imola), fino a Tossignano. Qui affiora l'erta Vena del Gesso, con i suoi limpidi cristalli di solfato, impacchettata nelle argille marine pre-Messiniane e Plioceniche. Altri importanti affioramenti sono quelli classici della Sicilia (tra Caltanissetta ed Enna), dove la crisi si protrasse da 5,96 a 5,3 milioni di anni con deposizione anche di salgemma. In Romagna e nel bacino adriatico invece gli strati della parte finale del Messiniano contengono faune salmastre, segno che in questa parte del Mediterraneo già prima del Pliocene vi erano stati influssi di acque dolci, provenienti da Oriente, dai bacini della cosiddetta Paratetide, i cui residui oggi vediamo nel Mar Caspio. Stefano Zanoli


ETOLOGIA Il vantaggio di vivere in branco ««Insieme è meglio»» è il motto di foche, pinguini, pesci
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

SEMBRA di affacciarsi a panorami preistorici quando si sorvola l'isola di Round, al largo dell'Alaska, dove centinaia e centinaia di grossi trichechi (Odobenus rosmarus) dormono ammassati gli uni sugli altri, o il lago Nakuru, nel Kenia, dove sostano nel volo migratorio due milioni di fenicotteri minori (Phoeniconaias minor), una selva di becchi, teste, colli, zampe che si fondono in un mare indistinto di rosa. O quando si scorge un enorme stormo di oche delle nevi che solca compatto le vie del cielo. E ci si domanda: cosa spinge gli animali a riunirsi in così gran numero, a diluire la propria individualità in un anonimo collettivo? Certo, se un simile comportamento gregario si è imposto nel corso dell'evoluzione ed è largamente diffuso in natura, significa che offre tangibili vantaggi per la sopravvivenza delle specie. " Insieme è meglio" sembra sia il motto di foche e trichechi, di pinguini e fenicotteri, di oche selvatiche e di aringhe, di storni e di farfalle monarca. Tutte specie animali in cui l'individuo vive isolato il meno possibile e ama mescolarsi a una folla di compagni per migrare, per riprodursi o semplicemente per dormire. L'aggregazione è anzitutto una strategia difensiva. Se si trova davanti una moltitudine di prede, il predatore mangia a sazietà. Ma a un certo punto non ce la fa più. Così la maggior parte delle prede sfugge alla cattura. La grotta di Crlsbad, nel Nuovo Messico, meta di un flussso continuo di turisti, è famosa perché vi si danno convegno fino a dieci milioni di pipistrelli della specie Tadarida mexicana. All'uscita dalla grotta si appostano i predatori, in attesa che i chirotteri abbandonino il lro rifugio verso il crepuscolo per andare a caccia di insetti. Ma quando d'improvviso la fiumana dei pipistreli, simile a una grande corda nera che si avvolge a spirale e contiene milioni d'individui, i predatori in agguato, investiti da quella raffica di volatori veloci, rimangono disorientati e confusi. In questo modo la percentuale delle vittime è irrilevante. L'animale che fa parte di un branco, di uno stormo, di uno sciame, si sente più al sicuro e protetto dell'individuo isolato. Non ci sono soltanto i suoi occhi ad avvistare i nemici. Il suo potere visivo va moltiplicato per cento, per mille, centomila. L'aggregazione è sinonimo di protezione anche per le aringhe e le sardine che sfilano rapide nel mare. Sono milioni d'individui che nuotano alla stessa velocità, mantenendo un rigoroso ordine geometrico. Se debbono virare, lo fanno tutti contemporaneamente, mantenendo costante la distanza tra un individuo e l'altro. Quell'insieme compatto simula un pesce grosso e scoraggia il predatore che non esiterebbe a mangiarsi gli individui isolati. Il momento cruciale della vita in cui conviene essere in tanti è quello della riproduzione. Sono molte le specie che in quella circostanza si aggregano in folle immense, anche se normalmente fanno vita solitaria. Così, all'epoca degli amori, per le tartarughe marine che vivono sparpagliate nell'immensità degli oceani è come se suonasse un misterioso ordine di adunata. Si avviano verso la terraferma e, strada facendo, s'incontrano. I branchi si ingrossano man mano che si aggregano nuovi individui. E tutti insieme percorrono centinaia se non migliaia di chilometri per raggiungere la meta scritta nel loro programma genetico, il luogo dove avverranno gli accoppiamenti e dove le femmine deporranno le uova fecondate. Lo stesso avviene per le anguille. Milioni di individui provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo si danno convegno al largo delle Bermude, nel Mar dei Sargassi, un'immensa prateria di alghe galleggianti. Qui avvengono le nozze. Le femmine depongono le uova e i maschi le fecondano. In certi casi, proprio la presenza di "facce amiche" favorisce l'ovulazione e la sincronizzazione delle nascite, altro strattagemma anti-predatore. Gli gnu femmine partoriscono simultaneamente nelle praterie africane. Il bello è che se una delle partorienti è leggermente sfasata rispetto alle compagne, riesce a interrompere il parto in qualunque fase prima che il piccolo cacci la testina fuori dal corpo materno. La sincronizzazione ha il grande vantaggio di offrire ai predatori una tale quantità di prede (i cuccioli per l'appunto) da saziare in un batter d'occhio la loro fame. E aumenta notevolmente il tasso di sopravvivenza dei neonati. Ma oltre che difensiva, l'aggregazione può essere anche una strategia offensiva. Quando uccelletti praticamente inermi vogliono prevenire l'attacco di un falco o di un altro rapace, escogitano la tattica del cosiddetto " mobbing", cioè l'attacco collettivo. Mettendo inconsapevolmente in atto il motto "l'unione fa la forza" si raccolgono in gruppo e si scagliano tutti insieme contro il predatore. Così fanno le eleganti ma inermi avocette americane. Stare insieme nelle fredde nottate, nei rigidi inverni o nei climi più inospitali è anche un mezzo eccellente per non disperdere il calore corporeo e farsi vicendevolmente da stufa. Lo fanno le piccole coccinelle rosse a puntini neri (Coccinella septempunctata). Nella cattiva stagione si addossano l'una all'altra per ridurre al minimo la perdita di calore. Allo stesso modo i maschi del pinguino imperatore (Aptenodytes forsteri), quando devono incubare l'uovo che la femmina ha loro affidato. Dopo averlo sistemato sulla parte superiore delle zampe e ricoperto con le calde piume del basso ventre, si stringono l'uno all'altro, facendo barriera contro le gelide bufere dell'Antartico. Ma l'aggregazione può servire anche per trovare più facilmente il partner sessuale. E, secondo alcuni ricercatori, i raduni di massa sono veri e propri "centri di informazione", dove i più giovani vengono eruditi da quelli più anziani e più esperti di loro. Così, in un esperimento compiuto sui ratti dall'èquipe di Bennet Galef della McMaster University di Ontario, è apparso evidente che i giovani apprendono dagli anziani quali sono i cibi velenosi da evitare e quali quelli più buoni da mangiare per il loro maggiore potere nutritivo. Isabella Lattes Coifmann


SCAFFALE George Charpak e Richard Garwin: «Il fuoco del 2000», Baldini & Castoldi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA

IL Novecento ha scoperto l'energia nucleare. Ma poi l'ha anche esorcizzata e rimossa. Il prossimo secolo, tuttavia, per combattere l'effetto serra prodotto dalle fonti energetiche fossili, dovrà, in qualche modo, tornare a fare i conti con l'atomo. D'altra parte, si spera che le armi nucleari rimarranno al bando per sempre, ma resta il problema del loro smaltimento. Nella valutazione di ciò che è stata e di ciò che potrà diventare l'energia nucleare, questo libro ricchissimo di dati, chiaro e piacevole nella scrittura, equilibrato nei giudizi e tradotto in modo esemplare da Silvie Coyaud, è il migliore strumento di conoscenza a livello divulgativo che si possa desiderare. Georges Charpak, premio Nobel per la fisica nel 1992, ha legato il suo nome a strumenti essenziali per la ricerca in fisica delle particelle, poi applicati anche in campo medico. Richard Garwin è un fisico a tutto campo, già consulente del governo americano sulla questione nucleare. Tra i temi affrontati, le radiazioni ionizzanti naturali e non, il bilancio dell'incidente di Cernobil, i vari tipi di reattori a fissione.


SCAFFALE Gianni Fochi: «Il segreto della chimica», Longanesi. John Emsley: «Molecole in mostra», Edizioni Dedalo
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: CHIMICA
LUOGHI: ITALIA

E' un curioso viaggio tra le molecole quello che ci propone Gianni Fochi nel suo libro ««Il segreto della chimica»». Molecole che spesso sono familiari in quanto accompagnano la nostra vita quotidiana, come quelle del profumo Chanel n. 5, dell'anilina o dello stesso ossigeno atmosferico, ma che in realtà conosciamo pochissimo. Fochi ce le racconta con penna veloce ed elegante, arricchisce le informazioni di aneddoti curiosi, infila tra le molecole i ritratti dei chimici che le hanno studiate, scoperte, sintetizzate. E in definitiva ci fa capire quanto la chimica sia presente e importante nel mondo moderno. Collaboratore di ««Tuttoscienze»», Fochi è chimico alla Scuola Normale Superiore di Pisa e ha fatto ricerca in Italia e in Svizzera in laboratori industriali e universitari (Politecnico di Zurigo). Con questo libro intende sfatare il mito ««che l'essere del tutto digiuni di conoscenze chimiche sia una lacuna senza rilievo»». Nello stesso filone, altrettanto avvincente, è ««Molecole in mostra»», di quel John Emsley che per alcuni anni ha tenuto una insolita rubrica di chimica sul quotidiano inglese ««The Independent»». Fochi è professore alla Scuola Normale di Pisa. Emsley all'Università di Cambridge. Ecco due esempi di come si possa essere insieme accademici e buoni divulgatori.


SCAFFALE Yurij Castelfranchi: «X-life», Ed. Avverbi
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: BIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Piante e animali transgenici popoleranno l'orto e lo zoo del futuro. Dobbiamo averne paura, dando ascolto alle prediche apocalittiche di Dario Fo e di molti ambientalisti, o dobbiamo guardare a questi frutti della biotecnologia come a una soluzione di antichi problemi dell'umanità come la fame e certe malattie finora difficilmente curabili? Questo volumetto fornisce un quadro equilibrato, non demonizza e non esalta. E' utile, quindi, per formarsi un'opinione obiettiva e poi valutare in autonomia di pensiero.




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