TUTTOSCIENZE 6 ottobre 99


AVIAZIONE MILITARE La guerra dei fantasmi Negli Stati Uniti nasce il caccia senza pilota
AUTORE: RIOLFO GIANCARLO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: AIR FORCE, DARPA, NATO, UCAV
LUOGHI: ITALIA

IL caccia è decollato da una base a un'ora di volo dal teatro di operazioni. Puntuale all'appuntamento con l'aereo cisterna, in pochi minuti fa il pieno di cherosene e si dirige verso l'obiettivo: una postazione di missili terra-aria. I sensori di bordo "fiutano" le emissioni elettromagniche. Non appena riconoscono il fascio di onde del radar nemico, lo localizzano, permettendo il lancio di un missile. Missione compiuta: distrutto il sistema di puntamento, le rampe antiaeree non costituiscono più un pericolo. Il velivolo può tornare all'aeroporto di partenza. Sembra la cronaca di una delle centinaia di missioni compiute dai caccia della Nato durante la crisi del Kosovo, tranne che per un particolare: il pilota è un robot. Quella dell'aereo da combattimento senza uomini a bordo è un'idea che l'aeronautica americana ha cullato sin dai giorni della guerra con l'Iraq. E che, pian piano, si sta concretizzando. Alcuni mesi fa la Darpa, l'agenzia di ricerca del Pentagono che si occupa dei progetti avanzati, ha affidato la realizzazione di due prototipi alla Boeing Phantom Works, la divisione del colosso aerospaziale dedicata ai programmi militari "speciali". Se i collaudi soddisferanno le aspettative, a partire dal 2010 l'Air Force potrebbe disporre di un certo numero di aerei robot. Nulla a che vedere con i missili da crociera o con i piccoli velivoli radiocomandati, da tempo impiegati con successo per la sorveglianza e la ricognizione: quelli di cui parliamo sono veri cacciabombardieri, capaci di svolgere gli stessi compiti di un F16 o di un F18. Missioni complesse, che vanno dalla distruzione di obiettivi a terra con bombe o con missili, al pattugliamento armato. E che prevedono operazioni particolarmente difficili, come il rifornimento in volo o le manovre d'attacco in formazione con altri velivoli. Dal Golfo Persico ai Balcani, la storia recente dimostra come il "nuovo ordine mondiale" sognato all'indomani della caduta del muro di Berlino fosse un'illusione. Il mondo è pieno di focolai di guerra e da un momento all'altro le forze armate Usa potrebbero essere chiamate a intervenire in qualche regione del pianeta. Di qui la preoccupazione della Casa Bianca e del Pentagono di limitare, per quanto possibile, i rischi per l'incolumità dei militari americani. Un'attenzione dettata anche dal timore degli effetti sull'opinione pubblica della morte di un connazionale o della sua cattura da parte del nemico. L'impiego di aerei da combattimento senza pilota, tecnicamente indicati con la sigla Ucav, (Unmanned Combat Air Vehicle) permetterebbe di svolgere le missioni più pericolose senza esporre la vita dei propri uomini. E difatti l'utilizzo prioritario dei velivoli-robot sarebbe l'attacco di obiettivi strategici e la soppressione delle difese aeree all'inizio delle ostilità. Solo in un secondo momento, spazzata via l'antiaerea, entrerebbero in azione i piloti dei cacciabombardieri tradizionali. A guardarlo bene, però, il progetto presenta anche altri vantaggi. E non di poco conto. Controllati a distanza da postazioni mobili e comunque dotati di una propria "intelligenza artificiale", gli Ucav non devono portarsi appresso nè il pilota nè i pesanti sistemi legati alla sua presenza a bordo (cabina pressurizzata, seggiolino eiettabile, bombole d'ossigeno, eccetera). Questo significa velivoli più piccoli, più leggeri e meno costosi. Non solo. Un pilota di caccia deve tenersi costantemente allenato al combattimento, addestrandosi a compiere manovre che sottopongono il suo organismo ad accelerazioni superiori a 9 G (oltre tre volte quella massima raggiunta dagli astronauti durante il lancio dello Shuttle). E questo significa una costante e costosa attività di volo, accompagnata da una continua e accuratissima manutenzione. Agli Ucav, invece, non è richiesto di volare tutti i giorni: possono restare inattivi per mesi o per anni, pronti a entrare in azione in qualsiasi momento. Quanto ai loro operatori, possono esercitarsi attraverso simulazioni al computer, non molto diverse da un videogame ma assolutamente realistiche. Giancarlo Riolfo


AERONAUTICA CIVILE Idrovolanti 2000, il grande ritorno Potrebbero risolvere in parte la crisi degli aeroporti
Autore: FILTRI TULLIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: GIAMPAGLIA GIUSEPPE, SYTCHEF PHILIPPE
LUOGHI: ITALIA

IL traffico aereo è in continuo aumento; di questo passo, presto si arriverà alla saturazione degli aeroporti. E' difficile ingrandire quelli attuali, più difficile ancora costruirne di nuovi. Si pensa di rimediare costruendo aerei da grande capacità, i cosiddetti Vla (Very Large Aircraft). Ma anche questi creano problemi; le piste attuali degli aeroporti non sopportano pesi superiori alle 600 tonnellate. E gli aerei da grande capacità hanno pesi dell'ordine delle mille e più tonnellate. In alternativa, si comincia a guardare con attenzione al mare, ed al ricorso all'idrovolante, mezzo creato apposta per agire sul mare. Vi sono progetti per idrovolatni di grandi dimensioni. Il più recente è il francese Hydro 2000 di Philippe Sytchef, associato con la tedesca Dornier e la russa Beriev. E' stato proposto al Salone Aeronautico di Parigi nel 1997. L'idrovolante è stato tema di un convegno tecnico della Nato ad Amsterdam dal 5 all'8 ottobre 1998, con il titolo ««Vehicles Operating Near or in the Air-Sea Interface»». Sono stati esaminati idrovolanti da grande capacità, dalle mille alle quattromila tonnellate di peso, compresi quelli comunemente chiamati Ekranoplan. (Noi preferiamo la dizione ««schermoplano»» proposta da Giuseppe Giampaglia sulla ««Rivista Marittima»» dell'aprile 1996). Conclusioni del simposio: per lunghe distanze è preferibile l'idrovolante. Per quelle medio lunghe, nelle quali si devono congiungere più idroporti, quindi con più ammaraggi ed involi, il costo-efficienza passa a favore dello schermoplano. C'è un'osservazione da fare. L'idrovolante classico porta un carico pagante inferiore a quello di un aereo terrestre di pari tonnellaggio, a causa del peso dello scafo. Lo scafo del nuovo idrovolante avrà un peso uguale, o di poco superiore, a quello della fusoliera di un aereo terrestre, specialmente per la presenza di un sistema di ammaraggio. Questo consiste in gambe di forza aventi alette idrodinamiche ad incidenza variabile, comandate da una centralina elettronica. Le alette fungono da sostegno, da freno e da ammortizzazione nelle fasi di involo e di ammaraggio. Lo scafo tocca l'acqua a velocità ridotta, pertanto viene fatto robusto quel tanto che basta, così da essere leggero come la fusoliera del terrestre. Il sistema di ammaraggio per idrovolanti è stato oggi realizzato in Italia, dall'Alenia Sistemi Navali, ed applicato ad uno schermoplano, l'SPW-01, sviluppato dalle Intermarine di Sarzana. Pesa 85 tonnellate e porta 200 passeggeri. Il passaggio al sistema di ammaraggio non è quindi un salto nel buio, un'innovazione da sperimentare. Il ritorno dell'idrovolante si prospetta pienamente fattibile. Un segnale del rinnovato interesse per gli idrovolanti è la rinata ««Piccola Coppa Schneider»» che si è disputata il 19 settembre sul lago di Garda, unica gara di velocità per idrovolanti in Europa. Ha vinto la Targa Agello il ceco Erwin Chip, secondo l'italiano Riccardo Filippi. Tullio Filtri


ECOLOGIA Il saccheggio della Terra: ecco le cifre
Autore: BOLOGNA GIANFRANCO

ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

DA diversi anni economisti ed ecologi stanno cercando di calcolare la quantità di energia e materie prime che attraversa le nostre economie per capire concretamente quale sia l'ammontare di risorse naturali intaccate, modificate, mobilizzate e poi trasformate in scarti e rifiuti, in questi processi. Conoscere queste quantità è di grande importanza per attivare concretamente politiche che consentano di modificare lo straordinario impatto che esercitiamo sulle risorse e gli ambienti di tutto il pianeta. Recentemente alcuni studiosi, a cominciare da quelli del Wuppertal Institut sul clima, l'ambiente e l'energia, uno dei centri di ricerca internazionali più innovativi sulle problematiche ambientali, economiche e sociali, hanno elaborato interessanti metodologie per calcolare i flussi dei materiali delle nostre economie. Gli ultimi studi forniscono dati di grande interesse: ricercatori tedeschi, statunitensi, olandesi e giapponesi hanno calcolato i flussi di materiali dei loro Paesi. Una analisi focalizzata sull'anno 1991 ma che si è basata su di una serie di dati statistici omogenei e comparabili di questi Paesi del periodo 1975-1994, individua il cosiddetto Total Material Requirements (Tmr) degli stessi. In pratica la massa totale di materie prime utilizzata nel processo economico (e quindi le esigenze energetiche, i metalli, i minerali, la sabbia, la ghiaia, le pietre, i materiali da costruzione, i suoli erosi, i prodotti agricoli e zootecnici, il pescato, il legname, tutte le materie prime, i semi-lavorati o i prodotti finiti importati e così via.). Stati Uniti, Germania, Olanda e Giappone richiedono dalle 45 alle 85 tonnellate pro capite annue di Tmr. In queste economie per ottenere 100 dollari di prodotto interno lordo (Pil) ci vogliono almeno 300 chilogrammi di materie prime. Gli studiosi riconoscono che non si può andare avanti così, in un mondo sempre più sovrappopolato (abbiamo raggiunto ormai i sei miliardi di abitanti) e con un consumo eccessivo di risorse, in particolare da parte dei ricchi della Terra. E' sempre più necessario rivedere gli indicatori che governano le nostre economie e guidano le nostre politiche. Sappiamo bene che il Pil, elaborato come sistema di contabilità nazionale a partire dagoli anni Quaranta, ha ormai assunto un valore simbolico in tutti i Paesi del mondo, tanto da divenire l'autentica bandiera della ricchezza e del benessere di una nazione. Da molto tempo alcuni economisti ed ecologi hanno dimostrato come il Pil sia un indicatore bugiardo. Infatti, tanto per fare un esempio tra i tanti, non tiene assolutamente conto e quindi non contabilizza tutti i danni ambientali, sociali e sanitari provocati dalla stessa crescita economica come l'erosione del suolo, la distruzione delle foreste, l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e dei terreni. Il Tmr costituisce un indicatore di grande importanza per comprendere meglio le reali dimensioni ambientali delle nostre economie. Non vi è dubbio che bisogna procedere alla riduzione del Tmr dei Paesi industrialmente maturi e molti ricercatori credono che, nell'arco dei prossimi 30-50 anni, sia necessario ridurre di un fattore 10 l'intensità di energia e materie prime per la produzione di beni e servizi, il che significa in pratica, ottenere 100 dollari di Pil con circa 30 kg di materie prime. Esistono già le tecnologie per ridurre di un fattore 4, come dimostrato da uno splendido rapporto al Club di Roma dallo stesso titolo (von Weizsaker e coniugi Lovins, ««Fattore 4»», edizioni Ambiente) e il nuovo istituto creato da Friederich Schmidt-Bleek, Istituto Fattore 10 a Carnoules in Francia, sta seriamente approfondendo la praticabilità proprio di un fattore 10. E' ormai indispensabile che tutti i Paesi si dotino di una contabilità ecologica, parallela a quella economica, con i conti fisici delle attività economiche ed a questo scopo sta lavorando anche l'ufficio statistico delle Nazioni Unite nonché, in sede europea, l'Eurostat. Abbiamo davanti la grande sfida di cominciare a connettere seriamente l'ecologia all'economia. Gianfranco Bologna Segretario generale Wwf Italia


PREMIO ITALGAS 1999 Tra energia e informatica
Autore: VICO ANDREA

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
PERSONE: GRAY GEOFFREY, KOHONEN TEUVO, MATTHEY JOHNSON, PETCH MICHAEL
NOMI: GRAY GEOFFREY, KOHONEN TEUVO, MATTHEY JOHNSON, PETCH MICHAEL
ORGANIZZAZIONI: PREMIO ITALGAS
LUOGHI: ITALIA

NUOVI strumenti di calcolo per sveltire la ricerca di dati e un più efficiente metodo di trattamento del carburante nelle microturbine e nelle celle a combustibile sono i due progetti vincitori dell'edizione 1999 del Premio Italgas per la ricerca e l'innovazione tecnologica, che saranno assegnati venerdì a Torino. Giunto alla XIII edizione, il riconoscimento va ogni anno a due progetti che abbiano dato contributi importanti nei settori dell'informazione, dell'ambiente e dell'energia. Peter Gray e Michael Petch, del Johnson Matthey Technology Centre di Reading (Gran Bretagna), hanno vinto (settore energia) per il loro " Processore HotSpot a gas naturale per sistemi di microgenerazione". Con la liberalizzazione del mercato, chiunque può decidere di produrre energia per le sue necessità. Ed ecco che diventano appetibili anche quei sistemi finora poco sfruttati e ideali per i piccoli impianti. Come le microturbine a gas e le celle a combustibile. Ma si tratta di ottimizzarne la resa, specie nel momento in cui il carburante viene e inviato alla camera di comustione. Occorre una miscela che bruci senza sprechi e che riduca l'impatto ambientale. Il processore HotSpot di Gray e Petch assolve proprio questo compito e ha dato ottimi risultati se utilizzato con gas naturale. Teuvo Kohonen, Accademico di Finlandia e ricercatore presso l'Helsinki University of Technology, con le sue mappe auto-organizzanti (Som), è invece vincitore per il settore scienze e tecnologie dell'informazione. Per spiegare di che si tratta ricorriamo a una metefora automobilistica. A che serve il cruscotto? A rilevare informazioni utili all'autista e a comunicarle con un'adeguata presentazione grafica. Immaginate cosa sarebbe la guida se fosse l'uomo a dover misurare costantemente il livello dell'olio, il numero di giri del motore, velocità di crociera... Una Som funziona all'incirca come un cruscotto: raccoglie milioni di dati, ci "ragiona" sopra e li organizza come una mappa in modo che l'utente non debba scorrere una interminabile lista di informazioni. La mappa è solo il riassunto: ogni singolo dato che vi è rappresentato può essere immediatamente approfondito, ordinando nuove ricerche di dati. Questo sistema può essere applicato in qualsiasi campo: dal riconoscimento del parlato (il computer che riceve ordini a voce o che trascrive un dettato) alle previsioni meteo; dalle analisi finanziarie (quante variabili e quanti ragionamenti prima di decidere un investimento!) al controllo di un processo industriale automatizzato. Inoltre, nel caotico mare magnum di Internet, le mappe auto-organizzanti di Kohonen possono dimostrare al meglio tutte le loro potenzialità, costituendo una valida alternativa ai classici motori di ricerca. Attualmente il motore di ricerca trova tutto rispetto alle parole chiave inserite, ma ha il difetto di fornire una scoraggiante e interminabile lista di risultati. La Som applicata al mondo di Internet (che si chiama Websom) all'inizio si comporta come un motore di ricerca (cioè trova tutto), quindi organizza il risultato della ricerca in una mappa studiata con criterio. Cioè non decide al posto dell'utente cosa è interessante e cosa non lo è ma offre un sistema di scelta rapido ed efficace. In questo senso la Websom può esser descritta come un "motore di trovamento", non un "motore di ricerca": la differenza che corre tra cercare funghi e trovarli effettivamente. Andrea Vico


ASTRONAUTICA Volo radente sui vulcani di Io Per svelare i segreti del satellite più vicino a GioveL'11 ottobre la sonda della Nasa ««Galileo»» scruterà uno dei corpi più strani e misteriosi del sistema solare
Autore: GUAITA CESARE

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T.D.LA ROTTA DELLA SONDA DELLA NASA GALILEO INTORNO A GIOVE

IL grande momento sta per arrivare: l'11 ottobre la sonda Galileo, in orbita attorno a Giove dal dicembre 1995, tenterà un'impresa ritenuta inizialmente impossibile: scrutare da minima distanza i vulcani attivi del satellite Io. Io (diametro 3462 km) è il più vicino a Giove tra i grandi satelliti (raggio orbitale medio 421. 000 km) e anche il più denso (3,57 g per centimetro cubo). Una settimana prima del flyby del Voyager 1 con Giove (5 marzo 1979), apparve sulla rivista ««Science»» un articolo profetico: un gruppo di ricercatori guidati da Peale faceva la predizione che il satellite gioviano fosse sede di violenti fenomeni vulcanici. La sorgente di energia in grado di riscaldare Io veniva individuata nelle violente maree esercitate da Giove, a causa dell'orbita leggermente ellittica del suo satellite. Quando il Voyager 1 passò a 20.500 Km da Io, la previsione fu confermata in maniera clamorosa: la superficie era ricoperta da un centinaio di edifici vulcanici, una decina in piena attività. Il materiale emesso da questi vulcani risultò composto soprattutto da zolfo in forma elementare od ossidata (anidride solforosa): questo spiega la bizzarra colorazione giallo-arancio di Io, disseminata di chiazze scure (dove lo zolfo esce caldissimo dalle bocche vulcaniche) e da depositi bianchi di biossido di zolfo ghiacciato. Un primo incontro ravvicinato (900 km) della Galileo con Io avvenne già il 5 dicembre 1995, con lo scopo di riceverne una deviazione di traiettoria indispensabile per il corretto inserimento in orbita gioviana: purtroppo, per un guasto al registratore a nastro di bordo, non fu possibile raccogliere immagini ad alta risoluzione. Secondo il programma ufficiale la Galileo non avrebbe mai più dovuto passare nei pressi di Io per evitare che la dose massiccia di radiazioni presente in quella zona (Io è immerso nella magnetosfera di Giove) potesse compromettere la navicella. Adesso invece le cose sono cambiate. Il programma principale della missione Galileo si è concluso felicemente nel dicembre 1997 dopo 11 orbite. Nel febbraio 1999 si è pure conclusa, dopo altre 8 orbite, la prima parte dell'estensione della missione (denominata ICE), dedicata alla ricerca di oceani di acqua liquida su Europa. Da tutto questo lavoro la Galileo è uscita con qualche acciacco ma tutto sommato ancora in buona salute: per questo si è deciso un ulteriore prolungamento della missione (questa volta sotto la sigla FIRE) con lo scopo primario di ritentare l'esplorazione dei vulcani di Io. Dal 5 maggio al 16 settembre scorsi 4 incontri ravvicinati con Callisto (da circa 1000 km) hanno abbassato il periastro della Galileo fino all'orbita di Io. Adesso tutto è pronto per il grande appuntamento: Io verrà sfiorato per tre volte a distanza sempre più ravvicinata. Due passaggi (quello dell'11 ottobre e quello del 22 febbraio 2000) avverrano lungo l'equatore (da 611 e 200 km) e con il terminatore non lontano da Pelè, il vulcano più grande: sono attese fantastiche immagini dei lapilli del vulcano ancora immerso nella luce notturna, nonché splendide riprese di Pillar Patera, una caldera non lontano da Pelè, sede di una gigantesca e misteriosa eruzione lo scorso anno. Il 26 novembre, invece, Io sarà sfiorato al polo Sud (da 300 km): questa posizione è ideale per l'osservazione tridimensionale di Prometeus, il secondo dei grandi vulcani. Un obiettivo di FIRE è determinare la vera natura delle lave di questi vulcani: negli anni scorsi misure infrarosse da Terra hanno rafforzato l'ipotesi della presenza massiccia, assieme alle emissioni di zolfo, di magmi silicatici a temperatura di oltre 1000 °C. Il lavoro di Galileo nei pressi di Io non è senza problemi. Il principale è la dose massiccia di radiazioni che la sonda dovrà assorbire dalla magnetosfera di Giove. Gli effetti negativi potrebbero risentirsi sulla memoria del computer di bordo (la cosa più temuta è lo spegnimento repentino di tutti gli strumenti) oppure si potrebbe avere un eccesso di disturbi nelle immagini (le stime più pessimistiche parlano di segnali spuri superiori al 50%). Altri problemi sono dovuti alla cronica lentezza nella trasmissione dei dati (l'antenna principale da 4 metri è sempre rimasta bloccata). Per esempio i 38 giorni tra le orbite 25 e 26 sono ritenuti assolutamente insufficienti per riversare a Terra tutti i dati raccolti. Da qui la necessità di grossi sacrifici. Anche perché alla fine dell'incontro con Io del 26 novembre è prevista la prima e unica osservazione dell'emisfero di Europa rivolto verso Giove: immagini essenziali per capire l'influenza mareale di Giove (e per dimostrare o meno la presenza di oceani di acqua liquida su Europa), per cui ad esse verrà data la priorità. Se dopo il terzo incontro con Io del 22 febbraio 2000 la Galileo sarà sopravvissuta alle violente radiazioni gioviane, la sua missione verrà ulteriormente prolungata fino alla fine del 2000 per attendere il flyby con Giove della sonda Cassini (30 dicembre del 2000) ed effettuare memorabili osservazioni sincronizzate. Nell'attesa, il 20 maggio e il 28 dicembre sono previsti altri due flyby stretti con Ganimede, per il quale i dati sono ancora insoddisacenti. Cesare Guaita Planetario di Milano


SISMOLOGIA I meccanismi del terremoto? Dominati dal caos Turchia, Grecia, Taiwan: ecco perché sarà sempre difficile prevedere le scosse
Autore: DRAGONI MICHELE

ARGOMENTI: GEOGRAFIA GEOFISICA
PERSONE: DE LAPLACE PIERRE SIMON
NOMI: DE LAPLACE PIERRE SIMON
LUOGHI: ITALIA
NOTE: TERREMOTI

LO abbiamo visto anche con i recenti terremoti in Turchia, in Grecia, a Taiwan: la gente si attende che la ricerca scientifica conduca a previsioni accurate delle catastrofi naturali. Questa aspettativa deriva dai successi ottenuti dalla fisica, dall'astronomia e altre scienze che basano le loro previsioni sulle ««leggi»» scoperte negli ultimi quattro secoli. In realtà, poiché non possediamo modelli esatti dei sistemi fisici naturali, nè possiamo fare misure assolutamente precise, qualunque previsione non può che essere di tipo probabilistico. In casi semplici, come il moto dei pianeti o quello di un proiettile, la probabilità che il fenomeno evolva in una data direzione è così alta da sfiorare il 100 per cento, e la previsione appare deterministica. Ma in generale non è così. Ciò risulterà chiaro se si esamina come la fisica può formulare previsioni su un dato sistema naturale. Ad esempio, gli uragani sono fenomeni del sistema ««atmosfera-idrosfera»»; i terremoti lo sono del sistema ««litosfera»». Poiché nell'universo non vi sono sistemi isolati, ma tutto interagisce con tutto, la scelta di un sistema è questione di opportunità e dipende dai fenomeni che si vogliono riprodurre. Prevedere un fenomeno significa allora calcolare l'evoluzione futura del sistema in cui il fenomeno può avvenire e verificare tempi e modi del fenomeno cercato. Ma, per fare questo, occorre inserire nel modello le esatte condizioni iniziali del sistema fisico in un determinato istante. Il comportamento meccanico di tutti i sistemi fisici è governato, in ultima analisi, dalla seconda legge della dinamica, un'equazione che mette in relazione l'accelerazione di una massa con le forze che le sono applicate. Se sono note la posizione e la velocità di una particella in un qualunque istante dato, l'equazione permette di calcolare la posizione della particella in qualunque istante successivo, a patto di conoscere le forze che nel tempo agiscono su essa: alla fine del '700 Pierre Simon de Laplace affermò orgogliosamente che, se avesse potuto conoscere la posizione e la velocità di tutte le particelle dell'universo, avrebbe potuto prevederne l'evoluzione per tutta l'eternità. L'idea del determinismo, secondo la quale leggi causali rigorose regolano i fenomeni elementari della natura, è stata però una estrapolazione indebita di regolarità causali osservate nel macrocosmo. In realtà la regolarità macroscopica è compatibile anche con un'irregolarità del mondo microscopico, in base alla legge dei grandi numeri, che trasforma il carattere probabilistico dei fenomeni microscopici nella certezza pratica delle leggi statistiche. La possibilità che le leggi della fisica fossero di tipo probabilistico si affacciò verso la fine dell'Ottocento, quando Boltzmann mostrò che la seconda legge della termodinamica è statistica e non causale. Il punto di vista deterministico è stato superato nel nostro secolo. Ciò è avvenuto dapprima a livello atomico con il principio di indeterminazione di Heisenberg e, più recentemente, a livello macroscopico. Alcuni fenomeni macroscopici sono prevedibili; altri no, ma non è solo un problema di insufficienza di informazioni. Già all'inizio del secolo, Poincarè aveva sottolineato che piccole imprecisioni nelle condizioni iniziali possono alterare completamente, dopo breve tempo, l'evoluzione di un sistema, anche se conoscessimo perfettamente le leggi naturali. In effetti, semplici sistemi deterministici possono manifestare un comportamento aleatorio intrinseco, che non scompare se si aumentano le informazioni sulle condizioni iniziali. Questi sistemi sono detti ««caotici»». I sistemi caotici amplificano esponenzialmente gli errori: poiché questi, per quanto possano essere ridotti, sono ineliminabili, si ha l'impossibilità di previsioni a lungo termine. La scoperta del ««caos»» pone dunque una limitazione alla nostra capacità di compiere previsioni per molti fenomeni macroscopici, tra cui quelli geofisici. Ciò è già evidente per i moti atmosferici. In quale misura processi come lo scorrimento delle faglie o la risalita di magma lungo un condotto vulcanico, che danno origine rispettivamente ai terremoti e alle eruzioni, abbiano carattere caotico, è attualmente oggetto di studio. Anche per questi fenomeni, una previsione accurata a lungo termine potrebbe essere un obiettivo non raggiungibile. Ciò non significa che non possiamo formulare nessun tipo di previsione a lungo termine. Ma dobbiamo rinunciare alla possibilità di descrivere i dettagli del comportamento del sistema: si può avere solo una descrizione delle sue ««proprietà statistiche»». Anche se questa eventualità sarà confermata, resta aperta la possibilità di una previsione a breve termine, che può soddisfare in parte la nostra ansia, ma solo per l'immediato futuro. Michele Dragoni Università di Bologna


CONFERENZA MONDIALE ««Cancro, non è un male incurabile»» Moderato ottimismo tra 9000 oncologi a Vienna
Autore: SANSA TITO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
NOMI: DEBATIN KLAUS MICHEL, SOTO PARRA HECTOR, VERONESI UMBERTO
LUOGHI: ITALIA, AUSTRIA, EUROPA, VIENNA

UNA sciocchezza ricorrente sui giornali e alla tv è quella di definire ''male incurabilè' il cancro»». Lo dice Hector Soto Parra, un giovane oncologo venezuelano del gruppo italiano di ricerca sui tumori rari presso l'istituto Humanitas di Milano. ««Se davvero avessimo dubbi - aggiunge - e pensassimo che il cancro fosse incurabile (come lo chiamate voi con malinteso eufemismo, spaventando i malati e anche i sani), non saremmo qui a fare il punto sui progressi dell'ultimo anno - e non sono pochi - nella lotta contro la malattia»». Hector Soto Parra è uno degli oltre 9000 delegati - medici, chimici, psicologi, educatori, infermieri - che a metà settembre sono convenuti per cinque giorni a Vienna per Ecco 10, la decima conferenza europea sul cancro. E' stata una delle tante conferenze monstre nella capitale austriaca, con 763 oratori succedutisi ai microfoni nelle diverse sale e la bellezza di 1591 relazioni scientifiche scritte a disposizione dei congressisti. I quali, nel fare il punto, al termine della conferenza, hanno manifestato due tendenze: una piuttosto pessimistica per quel che riguarda il presente e una moderatamente ottimistica ma senza illusioni, per il futuro. Il pessimismo è dovuto in primo luogo alla crescente diffusione del fumo, al tabacco, ««il grande assassino»», al quale è stata dedicata una relazione plenaria del congresso. Gli oratori hanno ripetuto ai loro colleghi cose in gran parte arcinote sui rischi di sigarette, sigari e pipa, documentate però (forse con la speranza di trovare un'eco sulla stampa internazionale) da cifre spaventose che dovrebbero far riflettere. Negli ultimi 50 anni - dicono le statistiche - nei soli Paesi industrializzati 60 milioni di persone sono morte per gli effetti del consumo di tabacco (8 milioni più che durante tutta l'ultima guerra); in tutto il mondo la nicotina uccide ogni anno 4 milioni di persone (2000 al giorno nella sola Cina); con il costante aumento del consumo di tabacco, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e tra le donne, si calcola che dell'attuale popolazione mondiale circa mezzo miliardo di persone è condannata a morire per avere ceduto al vizio. Un monito terribile si è levato dall'Austria Center di Vienna: la metà di coloro che fumano regolarmente fin dalla giovane età morirà a causa del tabacco. A rischio sono anche (si sa, ma pochi vi fanno caso) i non fumatori esposti all'inquinamento del fumo passivo. Perciò - invocano a gran voce i relatori - gli adulti smettano di fumare. C'è anche una ««buona notizia»»: è accertato che chi smette di fumare nella maggiore età evita gran parte del rischio, se non si è ancora sviluppato un tumore. Rivolti ai giovani, gli oncologi rassicurano, che ««coloro che smettono, non corrono alcun rischio di morire a causa di tardive conseguenze del consumo di tabacco»». Buone, ma non tali da diffondere speranze a brevissima scadenza, le notizie presentate dai relatori (molti dei quali venuti dagli Stati Uniti, benché la conferenza fosse europea) su progressi nella ricerca e nella terapia, più nella prima che nella seconda. Negli Stati Uniti, che sono all'avanguardia, per esempio, sono stati registrati nell'ultimo anno ben 316 nuovi preparati per la lotta contro il cancro. Si tratta di farmaci ««sicuri»», non tossici come quelli attuali, che dovrebbero essere in grado di attaccare le cellule malate, ma innocui per le cellule sane. Un'altra ricerca riguarda nuovi farmaci che interrompano il rifornimento di sangue ai tumori, e anche qui si è sulla buona strada. Il problema principe non è però tanto quello della ricerca quanto quello dell'applicazione pratica delle scoperte, della connessione tra ricerca e terapia, tra laboratorio e clinica. Occorre anzitutto avere a disposizione più pazienti che si sottopongano agli esperimenti perché - come hanno lamentato diversi oratori - ««è impossibile conoscere una certa forma di cancro se si hanno a disposizione solo una decina di malati»». Ne occorrono almeno due o trecento l'anno per ciascun gruppo operativo, ma i pazienti hanno paura perché male informati, temono di venire degradati al rango di cavie, ignorano che verranno curati più intensivamente dei pazienti ««normali»». L'invito a presentarsi è rivolto soprattutto agli uomini, più timorosi e pigri delle donne, che esitano a sottoporsi perfino a un controllo preventivo della prostata. Con i nuovi esami bio-molecolari è possibile oggi, per tutte le forme di cancro, valutare i rischi individuali di malattia e identificare un tumore nascente. Non occorre più asportare una porzione di tessuto sospetto, bastano un po' di orina o una goccia di sangue dalla punta di un dito. Strenuo fautore della chirurgia conservativa, Umberto Veronesi, direttore dell'Istituto europeo di oncologia di Milano, ha trovato il consenso dei colleghi che sostengono la concertazione di chirurgia, radiazioni e chemioterapia. ««Abbiamo i piedi nei blocchetti di partenza, siamo pronti a scattare - ha detto il tedesco Klaus-Michel Debatin dell'Università di Ulma - per portare nel settore clinico i successi ottenuti dai ricercatori. La strada da percorrere è lunga, occorrerà che collaborino e scambino informazioni tra di loro non solo gli scienziati e i medici ma anche gli infermieri, gli psicologi, le famiglie, la società intera. Ci vorranno forse 10, forse 15 anni. Ma di una cosa siamo certi: riusciremo a sviluppare terapie selettive che aggrediscano soltanto i tumori maligni»». Tito Sansa


UN EVENTO CRITICO Come prevenire il parto prematuro
Autore: PELLATI RENZO

ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
NOMI: SALING ERICH
LUOGHI: ITALIA

OGNI anno in Italia avvengono 550.000 nascite. Una su otto si verifica prima della 38a settimana di gravidanza. Fra questi 64.000 casi complessivi, 9000 avvengono prima della 32a settimana, con possibili complicazioni fisiche per il neonato, cosi elevati (300 miliardi), e problemi psicologici. Il parto prematuro è un evento critico per il bambino e sovente traumatico per la madre, che vede il neonato sottratto alle sue cure e sottoposto alle terapie intensive dei reparti di neonatologia. Le cause sono numerose (alterazioni dei vasi sanguigni della placenta, anomalie di conformazione, traumi, gravidanze multiple e in età avanzata), ma le infezioni incidono per il 60-70 per cento dei casi.I germi migrano dalla vagina all'utero, dove possono attivare delle sostanze (bacterial protease) che contribuiscono alla rottura della membrana (rottura delle acque) e all'inizio prematuro del travaglio del parto. Normalmente un fluido vaginale intatto è in grado di combattere numerosi germi (clamidia, gonococco, trichomonas) ed evitare qualsiasi migrazione. Infatti più del 90 per cento del fluido vaginale è formato da lactobacilli che generano un ambiente protettivo. A volte però il sistema di difesa naturale può indebolirsi (alimentazione sbagliata, stress, malattie) e i germi indesiderati superano i lactobacilli, aumentano di numero e migrano verso l'utero, danneggiando il feto. Di conseguenza ogni variazione che avviene nel fluido vaginale deve essere considerata come un segnale di allarme. Oggi è possibile evidenziare queste variazioni misurando il grado di acidità (ph) vaginale. Erich Saling (Università di Berlino), uno dei padri dell'amniocentesi, ha sperimentato su 6000 donne un mezzo diagnostico semplice e pratico per verificare gli effetti delle alterazioni della microflora vaginale. Si tratta di uno speciale guanto sul cui dito indice è posta una piccola striscia test che indica il valore del ph. E' sufficiente introdurre il dito indice per circa 3 centimetri nella vagina: un'operazione simile all'uso del tampone. Successivamente si confronta il colore della striscia test con una scala colorata. Se il colore è al di fuori dei valori normali (in genere ph 4,4), è consigliabile rivolgersi al medico. Nelle donne prese in esame per lo studio (pubblicato su Geburtshilfe Neonatalogie) i risultati sono convincenti: il rischio di mettere al mondo un bambino molto prematuro con un peso inferiore a 1500 grammi si è ridotto, con questo test (chiamato ««CarePlan VpH»»), dal 7,8% all'1,4%. La frequenza di bambini prematuri molto piccoli, con un peso alla nascita inferiore a 1000 grammi è diminuita dal 4% all'1%. Per un'efficace prevenzione dei parti pretermine è consigliabile che le misurazioni del ph vaginale avvengano all'inizio della gravidanza, quando la donna (statistiche alla mano) si sottopone meno frequentemente ai controlli medici. Renzo Pellati


LA SPECIE HA COLONIZZATO L'ITALIA Invadenti tortore turche Le nostrane confinate in campagna
Autore: GROMIS DI TRANA CATERINA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA
TABELLE: T. SCHEDA DELLA TORTORA TURCA E DELLA TORTORA ITALIANA

TORTORA selvatica. Streptopelia turtur. Voce: un ronzio morbido e musicale»». ««Tortora dal collare orientale. Streptopelia decaocto. Voce: un tubare u-uu-u con l'accento sulla seconda sillaba; anche un lamentoso ''meir''»». Così dice la ««Guida agli uccelli d'Italia e d'Europa»», e si scopre che la parola ««tortora»» corrisponde a due diverse specie che volano nei nostri cieli. Quell'««u-uu-u»» della tortora turca riempie tutta la nostra vita urbana, dal parco al tetto al giardino. E' una delle presenze più domestiche tra i selvatici delle città ed è così confidente che volteggiando sulle nostre teste fa come se non ci fossimo, sotto i nostri occhi amoreggia chiassosa, e passando lascia una rapida ombra vicinissima assieme al frullo, mentre grida un richiamo forte e sfacciato, incurante di noi e di tutte le regole di riservatezza che governano l'esistenza degli uccelli selvatici. Ci siamo così abituati che non le badiamo nemmeno. L'invasore non è arrivato da molto: la prima tortora dal collare orientale fu segnalata in Italia nel 1944. Il fronte è stato sfondato dalla parte dell'Istria e negli anni seguenti è passata dal Veneto alla Lombardia al Piemonte, e poi via via ovunque, orde di tortore straniere hanno invaso pianure e colline, campagne e città, e oggi hanno l'Italia in mano. Non tutta però: le città e le periferie sono perdute, e anche le campagne dei loro dintorni. Ma qualche bosco c'è ancora, con le sue radure e gli specchi d'acqua corrente, e nel folto delle siepi il silenzio dell'estate è rotto da un altro tubare, il ««ronzio morbido e musicale»» di quella che i patrioti chiamano ««la tortora vera»». Schiva, velocissima, con un volo che si getta in avanti a penetrare l'aria in un fruscìo lieve e un po' disordinato, non ha collarini ad ornarla come gioielli. Le penne però sono un incanto di sfumature, con un po' di rosa sul ventre e di bosco autunnale sul dorso, l'aspetto ha la leggerezza e l'eleganza del selvatico vero, e anche gli occhi, imbellettati dal circolo oculare rosso, hanno la concentrazione dello sguardo che rivela l'attenzione, la timidezza, la poca confidenza che ci meritiamo. La nostra tortora aristocratica e melodiosa non è la vittima degli strilli di una invadente arricchita che la schiaccia con una incalzante competizione; è lei che sceglie altri orizzonti. E' solo estiva, con un tubare che non ha la monotonia del quotidiano: l'ambiente urbano e suburbano dove il quotidiano stanca, non fa per lei. Vuole quelle siepi che dividono i campi, i piccoli ambienti d'ombra e di riposo, la discrezione del sottobosco per nascondere il nido: per questo sparisce dai campi coltivati ad agricoltura intensiva, sterminate distese di implacabile sole,un vuoto di fronde, freschi ricoveri, pur di non perdere neanche un centimetro coltivabile. E non solo per le tortore. Loro vanno altrove ad abitare: costruiscono un nido semplice, senza fronzoli e senza rivestimenti di piume e muschio, piatto e angusto, formato da pochi ramoscelli secchi malamente intrecciati, così leggero che a volte dal basso si vede in trasparenza il contenuto. Qui da due uova bianche schiudono bruttissimi neonati rosa col becco troppo lungo, e molto in fretta si trasformano in ridicoli adolescenti rivestiti della guaina argentea delle penne che sembra proteggerli come una corazza. Le giovani tortore hanno bisogno di abbondante cibo e vengono lasciate sole per periodi sempre più lunghi dalla madre che va a fare provviste nei campi di frumento o nelle ««cardare»». Intanto crescono e stanno ferme nel nido che appena le contiene, vigili e avvedute. Se un intruso si avvicina diventano statuarie, tradite solo dagli occhietti neri e vivaci, ostili. Guai a chi le tocca: si difendono a colpi di ala e di becco con una sconcertante energia. Dopo le messi il silenzio; finiscono gli spettacolari inseguimenti aerei, si acquieta il tubare amoroso del maschio che in primavera accarezzava o rimproverava incalzante la sua compagna, e finiscono gli inchini, e il girare attorno alla femmina nel colmo dell'eccitazione amorosa. Le tortore vecchie e giovani si riuniscono in branchetti e pascolano zitte nei girasoli anneriti, nei campi di miglio e di avena, cercando l'acqua per abbeverarsi e rinfrescarsi tre o quattro volte al giorno, nell'arsura dell'agosto. Nelle ore più calde stanno ferme nel folto, all'ombra fresca dei rami, e alla sera dormono assieme su qualche albero grande, dentro al bosco. Intanto stanno in guardia, pronte ad andarsene ai primi temporali, presto, quando l'estate sembra ancora nel pieno del fulgore e questa partenza, messaggera di autunno, sconcerta e stupisce. Alcune rimangono ancora per un po', a godersi i tepori settembrini, ma tante e tante sono già partite quando le rondini cominciano appena a radunarsi sui fili. Ci lasciano la compagnia delle cugine dal collare, che si guardano bene dall'allontanarsi dalle zone di conquista e si adattano al freddo del nostro inverno. Le tortore ««vere»» invece vanno al caldo in Africa, in una stretta fascia a Sud del Sahara, perché sanno godersi le stagioni migliori al momento opportuno, e conoscono la strada per tornare, pronte al nuovo tubare del prossimo mese di aprile ««mormorando ai baci»». Caterina Gromis di Trana


PROTEZIONE DELL'AMBIENTE Amianto, un killer ancora misterioso Occorrono nuovi studi per renderlo inoffensivo
Autore: FUBINI BICE

ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

BASTA una notizia alla tv e improvvisamente ci troviamo circondati: la scuola ha amianto nelle intercapedini dei muri e verrà chiusa per essere bonificata, nell'ultima riunione condominiale ancora non si è risolto il problema del sottotetto coibentato con amianto. Il capannone in giardino ha il tetto in Eternit e nello scantinato i tubi sono avvolti da una specie di bambagia grigia; sospettiamo persino il nostro vecchio asse da stiro. Che fare? Le reazioni più comuni vanno da una pericolosa negligenza a un panico eccessivo. Queste reazioni sono entrambe dovute alla particolarità di questo materiale, il quale è, in apparenza, un solido innocuo; non essendo nè solubile nè volatile sembra improbabile che possa nuocere alla nostra salute. Esso può però dividersi in fibre invisibili, sospese nell'aria, che penetrano nei nostri polmoni. Un pericolo oscuro e quindi più spaventoso. L'amianto è un materiale cancerogeno il cui utilizzo è oggi bandito nella maggioranza dei paesi occidentali (in Italia dal 1992). Rimane tuttavia diffusissimo per via dell'uso che se ne è fatto nel corso di questo secolo, da quando si scoprirono le sue eccezionali proprietà meccaniche e termiche: resiste al fuoco e alla trazione, può essere tessuto, non è attaccato da reagenti chimici. Con il termine amianto (più correttamente asbesto) si indicano vari minerali appartenenti a due distinte famiglie di silicati (anfiboli e serpentino) che hanno la caratteristica di cristallizzare in fibre rigide o incurvate, ma sempre lunghe e sottili. Se queste fibre si separano, restano sospese nell'aria e provocano, qualora inalate, una malattia professionale debilitante (asbestosi) e due diverse forme tumorali, il carcinoma polmonare ed il mesotelioma pleurico (forma rara e gravissima, che può comparire anche decine di anni dopo l'esposizione, di cui non sono note altre cause). L'amianto, finché resta rinchiuso tra pareti, o ricoperto da uno strato protettivo, non può far male solo per il fatto di esistere. E' quando le fibre arrivano ad essere sospese nell'aria, in seguito a rimozione, deterioramento o rottura del manufatto, che deve scattare l'allarme. La quantità di fibre in grado di innescare il processo patogeno è relativamente bassa (il limite consentito dalla legge è di 0,2 - 0,6 fibre sospese nell'aria per millilitro; negli anni '60, in alcuni settori industriali si superavano le 50 fibre per millilitro e gli effetti sono stati devastanti tra i lavoratori). Il 1999 ha visto un rinnovato interesse per la questione amianto in Italia: il consiglio dei ministri ha indetto una Conferenza nazionale sull'amianto (Roma, marzo '99), il ministero della Sanità e il Cnr stanno per varare progetti strategici. Ma se l'amianto è ormai bandito, quali sono gli scopi di questi nuovi studi che vengono commissionati? Per quanto gli effetti patogeni causati dalle fibre di amianto siano ampiamente accertati, il meccanismo molecolare con cui agiscono non è ancora ben chiarito. In parole povere si sa che fanno male ma non si sa perché. Giocano certamente un ruolo la forma delle fibre, il tipo di amianto, la sua composizione chimica alla superficie ed il tempo in cui la fibra rimane inalterata nel corpo. Ma le reazioni chimiche e biochimiche che intercorrono tra le fibre inalate e le cellule nel nostro organismo sono ancora oscure. Ne consegue che in tutte le azioni da intraprendere in questo campo - rimozione dell'amianto, sostituzione con materiali alternativi, terapie di prevenzione sulla popolazione esposta - si brancola nel buio. Non tutte le sorgenti di amianto sono egualmente pericolose: mancando una mappatura a livello nazionale dei diversi gradi di rischio, si finisce di delegare il criterio di priorità di bonifica alla magistratura (di fatto si agisce là dove si è avuta una notifica giudiziaria). Si sostituisce l'amianto con materiali - fibre di vetro o di roccia - della cui innocuità non si è ancora sicuri. Molti tra gli ex-esposti all'amianto prevedibilmente svilupperanno patologie per le quali mancano ancora terapie adeguate. Infine, come sbarazzarsi dell'amianto in opera? Rimuovendolo, con costi elevatissimi e rischi di dispersione delle fibre nell'aria, o modificandolo sul posto? Mentre forse un trattamento relativamente "blando", ancora da scoprire, potrebbe bastare, si spendono capitali per rimuoverlo con le dovute cautele e distruggerlo completamente, ad esempio usando temperature elevatissime. La conoscenza dei meccanismi attraverso cui l'amianto danneggia la salute potrebbe risolvere questi problemi. Il Piemonte è una delle regioni più coinvolte: la miniera di Balangero, nelle valli di Lanzo, descritta da Primo Levi, ormai dismessa e in fase di bonifica, è la più estesa miniera di amianto crisotilo in Europa; a Casale Monferrato le attività della fabbrica di cemento-amianto Eternit hanno causato un numero assai elevato di vittime, non solo tra gli addetti alle lavorazioni ma sull'intera popolazione e molti nuovi casi sono purtroppo attesi. Le Alpi Occidentali sono largamente costituite da serpentiniti, rocce da cui affiorano svariati minerali fibrosi detti asbestiformi, in quanto presentano caratteristiche assai simili a quelli degli amianti noti ed utilizzati. La loro patogenicità non è ancora nota ma in molte cave di pietre della zona si registrano occasionalmente alte concentrazioni di fibre nell'aria, nei confronti delle quali non esistono norme certe. All'Università di Torino si è costituito da alcuni anni un gruppo di studio sugli Amianti composto da esperti in varie discipline - geologia, mineralogia, chimica, biochimica, biologia molecolare, patologia, medicina del lavoro ed epidemiologia - in quanto è necessario un approccio multidisciplinare. Per avviare una collaborazione fruttuosa l'Università con Environment Park, Arpa e Amiat organizza una giornata di studio (Asbestos at the end of the century: basic science for safe substitutes, adequate inactivation and prevention therapies) che si svolgerà lunedì 11 ottobre all'Accademia delle Scienze, via Accademia delle Scienze 6. Bice Fubini Università di Torino


PALEONTOLOGIA Rettile, pesce o delfino? Il Besanosauro scoperto presso Varese
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, BESANO, ITALIA, VA
TABELLE: C., T. IDENTIKIT DEL BESANOSAURO E LUOGO DEL RITROVAMENTO

Con l'avvio dell'anno scolastico ritorna su ««Tuttoscienze»» la pagina dedicata alla didattica. Per la scuola italiana questo è un anno di svolta. I migliori auguri a studenti e insegnanti. LO hanno battezzato Besanosauro. Mezzo rettile e mezzo pesce, lungo sei metri e vagamente simile a un delfino, sguazzava 235 milioni di anni fa nel Varesotto, quando la Lombardia era ancora un mare tropicale circondato da lagune. Da qualche settimana potete ammirarlo al Museo di Storia Naturale di Milano, dove è esposto un suo fedelissimo calco. Un'attrazione in più per un Museo molto attento alla didattica che anche quest'anno propone alle scuole numerosi itinerari guidati per scoprire la natura in modo diretto, con osservazioni sul campo. Ma di questo diremo dopo. Torniamo al Besanosauro. La scoperta risale al 1993, a Besano (Varese), donde il nome scientifico: Besanosaurus leptorhynchus, cioè ««rettile di Besano dal becco sottile»». Era imprigionato in una lastra di roccia di undici metri quadrati. Sono state necessarie 16.500 ore di lavoro per far emergere il fossile di questo ittiosauro dalla sua antichissima tomba. Via via che si procedeva, divenne chiaro che si trattava di una specie sconosciuta, che l'esemplare era una femmina e che addirittura conservava nel ventre embrioni in maturazione. Aiutandosi con 145 radiografie realizzate dal Policlinico di Milano, tre tecnici armati di microscopi binoculari hanno pazientemente rimosso millimetro per millimetro la matrice di roccia sedimentaria che imprigionava lo scheletro. A causa della forte compressione subita dal Besanosauro nel suo sarcofago naturale, non è stato possibile estrarlo del tutto: ci si è accontentati di farne una sorta di ««bassorilievo»», che peraltro dà una nitida idea dell'aspetto di questo rettile marino del Triassico: è possibile contarne una per una le 201 vertebre. L'originale è ora a disposizione degli studiosi, mentre il calco è esposto al pubblico. Il Besanosauro, lontano parente delle lucertole, è antecedente ai dinosauri e appartiene alla famiglia degli shastasauri, ittiosauri primitivi i cui resti finora erano stati ritrovati soprattutto in Germania e in California, ma sempre incompleti. Vivevano in acque tiepide e poco profonde, come dovevano essere le sponde della Tetide, l'antico mare che, con la scissione di Pangea e la deriva dei continenti, ha poi dato origine al Mediterraneo. Si erano adattati alla vita acquatica trasformando le zampe in quattro pinne ma respiravano con i polmoni ed erano ovovivipari, cioè covavano le uova all'interno del corpo partorendo la figliolanza già in grado di vivere in modo autonomo. Numerosi nel Mesozoico, gli ittiosauri scomparvero nel periodo Cretacico, 80 milioni di anni fa, un po' prima dei dinosauri. Si è accennato ai programmi didattici per le scuole. Quelli per l'anno 1999-2000 sono su tre livelli: elementari, medie inferiori e superiori. Comprendono laboratori e visite guidate a parchi e ad ecosistemi. Tra i temi in ««catalogo»» , l'evoluzione, i minerali, gli alberi in città, i fossili, i vari habitat del pianeta. Informazioni e prenotazioni: 02-78.35.28; 02-79.54.48. Piero Bianucci


IN BREVE Mercurio sul Sole visto dalle Hawaii
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA, AMERICA, HAWAII, USA

Il 15 novembre Mercurio transiterà davanti al Sole, un fenomeno relativamente raro e molto curioso perché consente un immediato confronto tra le dimensioni della nostra stella e il pianeta più interno del sistema solare, i cui diametri stanno nel rapporto di circa 1 a 300. Il fenomeno sarà visibile solo dall'oceano Pacifico. Per l'occasione, Walter Ferreri, direttore della rivista ««Orione»» , guiderà un gruppo di appassionati di astronomia all'Osservatorio di Mauna Kea, nella più grande delle isole Hawaii. Nelle due sere successive, 16 e 17 novembre, gli astrfili potranno approfittare del magnifico cielo a quota 4000 metri per osservare la pioggia delle meteore Leonidi, che non si ripeterà in condizioni così favorevoli fino al 2031. Il viaggio è organizzato dall'agenzia Porta d'Oriente. Informazioni: 011-964.23.31, fax 011-963.61.56.


IN BREVE «Confini della scienza» tre incontri a Valenza
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA, AL, ITALIA, VALENZA

Con la collaborazione di ««Tuttoscienze»» si terrà a Valenza il ciclo di conferenze ««Ai confini della scienza»» organizzato dal Centro comunale di cultura. Interverranno Piero Bianucci (11 ottobre, ««La Luna, dallo sbarco alla colonizzazione»»), Luca Mercalli (8 novembre, ««Come cambierà il clima»») e Margherita Fronte, ««Salute e campi elettromagnetici»»). Tel. 0131-952.679; 949.287.


IN BREVE Siamo 6 miliardi: se ne parla al Cnr
ARGOMENTI: DEMOGRAFIA STATISTICA
ORGANIZZAZIONI: CNR, ONU
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, ROMA

Il 12 ottobre, per una convenzione proposta dall'Onu, la popolazione mondiale raggiungerà i sei miliardi. Il giorno prima il Cnr organizza una giornata di studio a Roma durante la quale verrà presentato uno studio italiano sulla questione demografica.


IN BREVE Organi artificiali per 15 miliardi di dollari
ARGOMENTI: MEDICINA FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, ITALIA, PADOVA, PD

Il mercato mondiale degli organi artificiali, e in particolare di cuori impiantabili, è potenzialmente di 15 miliardi di dollari. Se ne parlerà alla Fiera di Padova il 24-27 novembre.




La Stampa Sommario Registrazioni Tornén Maldobrìe Lia I3LGP Scrivi Inizio