TUTTOSCIENZE 17 novembre 99


FRONTIERE DELLA RICERCA Macchine costruite atomo su atomo Le nanotecnologie sono la grande sfida del futuro
Autore: FERRONI LUCA PAOLO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
PERSONE: FEYNMANN RICHARD
NOMI: FEYNMANN RICHARD
LUOGHI: ITALIA

OPERAI specializzati o assemblatori di atomi? Se si pensa a una professione del futuro si deve immaginare uno scenario tecnologico del tutto diverso da quello attuale. Alle catene di montaggio automatizzate della Fiat, dove un'automobile viene costruita pezzo su pezzo dai robot, si affiancheranno linee di assemblaggio i cui componenti principali, invece di essere una biella, una molla o un albero di trasmissione, saranno un atomo di ossigeno, due atomi di carbonio o un gruppo di molecole. Così si potrebbe presentare una moderna nanoindustria, così piccola da essere alloggiata in una scatola di fiammiferi e i cui prodotti saranno motori di dimensioni inferiori a quelle di una singola cellula umana. Naturalmente non si parla di motori per automobili ma di macchine molecolari la cui funzione è limitata solo dalla fantasia: dai vettori di farmaci alla chirurgia microinvasiva, dalla metrologia all'archiviazione di dati. Le nanotecnologie sono l'ultima moda nella corsa all'innovazione. Se già nel 1997 il Giappone aveva investito 128 milioni di dollari nella ricerca e nello sviluppo delle nanotecnologie, è di questi giorni la notizia che il governo degli Stati Uniti nel 2001 raddoppierà a 500 milioni di dollari la propria spesa nel settore. Ma cosa s'intende per nanoscienza o nanotecnologia? In generale queste si occupano dello studio o della produzione di sistemi di dimensioni prossime al nanometro (cioè al miliardesimo di metro, più o meno cinque volte il diametro di un atomo di medie dimensioni), ma le definizioni variano a seconda del campo di applicazione: si potrà allora parlare di elettronica molecolare o di nanofabbricazioni, di microscopia atomica o di nanoingegneria. Soprattutto, diversi sono i modi con cui si può arrivare a produrre oggetti di dimensione nanometrica. Mentre nell'industria elettronica si guarda principalmente all'approccio ««dall'alto»», dal ««micro»» al ««nano»» verso la progressiva miniaturizzazione dei componenti per produrre circuiti integrati e processori sempre più piccoli e potenti, in altri settori, quali l'ingegneria molecolare, si realizza il processo opposto: si parte ««dal basso»», dai componenti di base, gli atomi, per arrivare alla costruzione di oggetti funzionali. Un po' come costruire con il Lego, sostituendo ai mattoncini colorati i diversi elementi atomici. Proprio questo secondo approccio sembra ultimamente suscitare i maggiori entusiasmi degli esperti nel settore. E allora ecco il proliferare sulle riviste scientifiche di immagini di strutture atomiche a forma di sfere, cilindri, coni, ma anche di cuscinetti e ingranaggi: componenti meccanici per costruire le macchine più piccole che si possano finora pensare. Si badi bene che si tratta ancora solo di immagini: finora di queste macchine si hanno essenzialmente progetti e simulazioni al calcolatore. Ma la sperimentazione è quanto mai intensa e i primi successi non si fanno attendere. Sul numero di ««Nature»» del 9 settembre sono stati illustrati i lavori di due ricercatori che per la prima volta hanno dimostrato di poter realizzare un rotore unidirezionale molecolare, una specie di elica costituita da un'ottantina di atomi: il primo passo verso la creazione di un motore vero e proprio. Non che sia tutto facile. Il mestiere degli assemblatori di atomi è irto di ostacoli e spesso mancano gli strumenti adatti al lavoro. Per manipolare gli atomi è necessario costruirsi pinze e forbici di dimensioni analoghe: la realizzazione dell'elica a cui si accennava ha richiesto quattro anni di lavoro. Le prospettive sono però promettenti e gli esperti parlano già di rivoluzione nanoindustriale. Il primo a ispirare le ricerche sulle nanotecnologie, fu Richard Feynmann, Premio Nobel per la fisica nel 1965. In un discorso per la conferenza annuale della Società di Fisica Americana del 1959, illustrava come fosse teoricamente possibile scrivere i 24 volumi dell'Enciclopedia Britannica sulla testa di uno spillo, a condizione che si creasse una ««penna»» con cui scrivere caratteri 25 mila volte più piccoli di quelli di stampa. Il discorso di Feynmann fu profetico. L'Enciclopedia Britannica da monumentale opera cartacea è passata alla maneggevole versione in cd-rom. Ormai possiamo portarcela in tasca. Luca Paolo Ferroni Kyoto Institute of Technology


ESPLORAZIONE DELLA NASA E.T. forse abita in Antartide In un lago sotto il ghiaccio creature sconosciute ?
Autore: BONANNI AMERICO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA
PERSONE: CARSEY FRANK
NOMI: CARSEY FRANK
ORGANIZZAZIONI: NASA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C. L' ANTARTIDE

QUALCOSA a metà strada tra una macchina del tempo e un mondo alieno. Così gli scienziati vedono il lago Vostok, in Antartide, un ambiente che vive da milioni di anni isolato dal resto del pianeta e che potrebbe ospitare forme di vita sconosciute: una nicchia ecologica eccezionale, il luogo più incontaminato che ancora esista sul pianeta terra, il posto ideale per sperimentare le raffinate tecnologie che in un prossimo futuro saranno destinate alla ricerca di forme di vita extraterrestri su altri corpi del sistema solare. Sicuramente una delle formazioni naturali più bizzarre che si conoscano, il Vostok, situato a mille chilometri dal polo sud, è un vero e proprio lago. Ma si trova sigillato sotto uno strato di ghiaccio spesso circa quattro chilometri. La sua esistenza, come peraltro quella di altri laghi analoghi sparsi nell'Antartide (tutti molto più piccoli), è un mistero scientifico. Ad esempio non è ancora del tutto chiaro come faccia l'acqua a mantenersi allo stato liquido in un ambiente così freddo, anche se è noto che il ghiaccio è un buon isolante termico. Certamente ci troviamo di fronte a un fenomeno che in qualche modo rende il lago Vostok "cugino" del satellite di Giove Europa, un oggetto grande più o meno come la nostra Luna, rivestito da uno strato di ghiaccio sotto il quale i planetologi pensano che possa trovarsi un vastissimo oceano di acqua allo stato liquido, una caratteristica che fa di Europa uno dei luoghi più promettenti per la ricerca di forme di vita fuori dalla Terra. La scoperta del lago Vostok non è recentissima: risale agli inizi degli Anni '70, quando scienziati inglesi e sovietici analizzarono le immagini radar prodotte da una sonda in orbita. Rilevamenti più accurati hanno poi permesso, negli ultimi tempi, di stabilire le sue dimensioni (è largo come il lago Ontario ma tre volte più profondo) e le sue caratteristiche geografiche. Attualmente si ritiene che la graduale formazione dello strato di ghiaccio soprastante abbia tagliato fuori il lago dal resto del mondo più di dieci milioni di anni fa (cioè ben prima che la specie Homo facesse la sua comparsa sulla Terra), intrappolando così le forme di vita presenti all'epoca, che potrebbero poi essersi evolute in modo da resistere al nuovo ambiente. Avrete capito che stiamo praticamente parlando di un mondo perduto nella migliore tradizione della fantascienza più ingenua. Ma anche un mondo fragile, da studiare con molta cautela. Introdurre strumenti scientifici potrebbe infatti significare portare laggiù i comuni microrganismi dei giorni nostri, che potrebbero riprodursi fino ad invadere l'ambiente e rendere impossibile la ricerca delle forme di vita primordiali. Così tutti gli studi sono stati finora compiuti con metodi indiretti ed il lago, quasi fosse una piramide egizia da leggenda, non è stato mai violato. Lo scorso anno i Russi, che hanno una base polare proprio in quella zona, hanno trapanato il ghiaccio fino a notevole profondità ma si sono fermati prima di sbucare nel lago vero e proprio, per la precisione centoventi metri più in alto. Ma gli scienziati sono convinti che bisogna andare fino in fondo. Così i programmi di esplorazione del lago Vostok sono stati recentemente esaminati a Cambridge durante una conferenza che ha visto radunati tutti gli esperti del settore, principalmente russi, inglesi e, naturalmente, americani della Nasa. ««Stiamo lavorando - dice Frank Carsey, del Jet propulsion laboratory di Pasadena - allo sviluppo di un "criobot", una sonda che si aprirà la sua strada fondendo il ghiaccio e che trasporterà strumentazione scientifica e sistemi di comunicazione. Pensiamo di poter disporre di un'attrezzatura funzionante entro due anni.»». Ma questa sonda dovrà anche essere mantenuta sterile per evitare la contaminazione del lago. ««Sul problema della sterilità - si lamenta Frank Carsey - siamo ai primi stadi dello studio, e purtroppo dobbiamo fare i conti con finanziamenti piuttosto scarsi»». Una volta raggiunta l'acqua, dopo quattro chilometri di cammino verso il basso, le criosonde dovranno trasformarsi in qualcosa di simile ai robot acquatici già usati negli oceani. A quel punto inizieranno le indagini scientifiche vere e proprie. ««Personalmente - dice ancora lo scienziato americano - preferirei che le sonde fossero in grado di effettuare le analisi da sole, senza dover riportare indietro campioni di acqua. Questo ci permetterebbe una maggiore sicurezza per quanto riguarda i rischi di contaminazione. Certo, c'è anche da considerare che i biologi vogliono avere materiale da studiare in laboratorio, ma io sono convinto che le analisi sul posto saranno comunque il primo passo.»». Del resto, concludono gli scienziati della Nasa, le prime sonde spaziali destinate a cercare vita su Europa dovranno fare tutto da sole, e il lago Vostok sarà il loro banco di prova. Americo Bonanni


OCCHI AL CIELO Oggi le stelle cadenti incoronano la Luna
Autore: GUAITA CESARE

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
ORGANIZZAZIONI: MCDONALD OBSERVATORY
LUOGHI: ITALIA, AMERICA, TEXAS, USA

AL McDonald Observatory, nel Texas, un gruppo di ricercatori dell'Università di Boston guidato dall'astronomo M. Mendillo aspetta con ansia la grande pioggia di Leonidi prevista per questa notte (17 sul 18 novembre: per altre informazioni si veda ««Tuttoscienze»» della settimana scorsa). L'obiettivo, però, non è tanto l'osservazione diretta delle meteore come tali, quanto, invece, un'indagine sulle conseguenze che la ««tempesta»» potrà avere sulla Luna. La storia inizia nel lontano 2 febbraio 1987, quando Potter e Morgan, applicando al riflettore da 2,7 metri del McDonald Observatory un filtro centrato sulla banda di assorbimento del sodio neutro a 589 nanometri, scoprirono che la Luna era circondata da una debole atmosfera di sodio. Il 23 novembre 1993, con lo stesso strumento e sfruttando l'attenuazione di luce indotta, per un paio d'ore, sul disco della Luna dal cono d'ombra della Terra durante un'eclisse totale, Mendillo si accorse che l'alone di sodio lunare si estendeva per almeno 14.000 chilometri. Fu anche chiaro che la Luna doveva essere una fonte continua di sodio, in quanto questo elemento tende a ««evaporare»» continuamente a circa 2,5 chilometri al secondo, che è all'incirca la velocità di fuga della Luna. Osservazioni successive, eseguite con la Luna nella fase di primo quarto, indicarono anche che la forma di questa atmosfera di sodio si allungava considerevolmente in direzione opposta al Sole, quasi si trattasse della coda di una cometa. Per nulla chiaro era invece il meccanismo fisico che faceva liberare atomi di sodio dalla superficie lunare. Proprio su questo punto c'è stata una svolta clamorosa lo scorso anno, durante il picco anomalo di Leonidi osservato all'1,30 T.U. (tempo universale, quello di Greenwich) del 17 novembre '98 (questa raffica di grandi bolidi colse tutti alla sprovvista 18 ore prima che la Terra attraversasse il piano orbitale della Temple-Tuttle, la cometa madre delle Leonidi). Dal 17 al 22 novembre '98 Mendillo e il suo gruppo di ricerca ripresero immagini CCD (i CCD sono sensori elettronici simili a quelli usati nelle comuni telecamere amatoriali e professionali: anche in astronomia questi dispositivi hanno ormai quasi completamente sostituito la classica pellicola fotografica) con un obiettivo fisheye (letteralmente, ««occhio di pesce»») a tutto cielo equipaggiato con un filtro centrato a 589 nanometri (la lunghezza d'onda del sodio neutro). Lo scopo primario era quello di visualizzare fotograficamente il massimo della pioggia delle Leonidi. In realtà si ebbe un risultato del tutto imprevisto. Nella costellazione del Toro, a fianco delle Iadi, le immagini evidenziarono una nuvola di vapori di sodio che aumentò velocemente in luminosità e in dimensioni raggiungendo, nella notte del 19 novembre, una estensione di 2 x 3 gradi e una intensità 10 volte maggiore dei giorni immediatamente precedenti e seguenti. E' importante ricordare che il 19 novembre c'era Luna Nuova e che la nube di sodio si rese visibile in direzione diametralmente opposta rispetto alla Luna. Queste misure vennero confermate anche da un gruppo di ricercatori italiani dell'Università di Padova guidato da Barbieri e Cremonese, lo scopritore della coda di sodio neutro nella cometa Hale-Bopp. Si trattava a questo punto di interpretare fisicamente il misterioso fenomeno. Cosa che il gruppo di Mendillo ha fatto, raggiungendo conclusioni sorprendenti: la nuvola di sodio si sarebbe sollevata dalla crosta della Luna in conseguenza dell'intenso bombardamento meteorico prodotto dalle Leonidi, sarebbe stata soffiata in direzione antilunare dal vento solare, percorrendo in un paio di giorni una distanza di poco superiore a quella Terra-Luna (in media circa 384 mila chilometri). Dal momento poi che il 19 novembre era giorno di Luna Nuova, il perfetto allineamento Sole-Luna-Terra faceva sì che la Terra fosse completamente immersa nella coda di Sodio emergente dalla Luna: da qui l'interpretazione della nuvola visibile da Terra come la sezione della coda di sodio lunare vista sulla volta celeste in posizione antilunare (ovvero antisolare). Una conferma è venuta dalla forma velocemente variabile della nuvola di sodio antisolare: nei giorni precedenti e seguenti il 19 novembre (con la Terra non ancora o non più perfettamente allineata con la Luna) la forma circolare è andata infatti allungandosi in direzioni opposte per un evidente effetto di prospettiva. L'impatto di micrometeoriti, dunque, è la causa primaria della debole atmosfera di sodio rilasciata dal suolo lunare. Che questo meccanismo sia stato dimostrato per la prima volta lo scorso anno grazie alle Leonidi è una diretta conseguenza dell'aumento dell'intensità di questo sciame con periodicità di 32-33 anni, e anche del fatto che le Leonidi, con la loro velocità di 72 chilometri al secondo, sono le meteore più rapide che si conoscano. Non ultimo fattore da tenere in considerazione, le Leonidi sono anche note per la loro alta percentuale di particelle massicce (massa media dell'ordine dei grammi). Sciami di meteore lente con un tasso orario piuttosto basso sembrano del tutto inadatte ad aumentare in maniera sostanziosa l'emissione di sodio dalla crosta lunare: non è quindi un caso che Barbieri e Cremonese abbiano ottenuto risultati nulli dalla osservazione delle meteore Quadrantidi dello scorso 2-3 gennaio. La pioggia di Leonidi attesa per la notte del 17-18 novembre di quest'anno sembra fatta apposta per confermare queste previsioni. Lasciando ai professionisti queste osservazioni che richiedono attrezzature abbastanza sofisticate, agli appassionati di astronomia rimane la possibilità di assistere a un fenomeno naturale tra i più suggestivi. Non aspettiamoci però troppo, se non vogliamo rimanere delusi. Nessuno può dire se sarà questa notte assisteremo a una ««tempesta»» di stelle cadenti o soltanto a una pioggerella. Cesare Guaita Planetario di Milano


CURIOSO ESPERIMENTO Così il suono si trasforma in luce Sono luminescenza, una stella in un bicchiere
Autore: MADONNA RIPA DANIELE, SPAGNOLO RENATO

ARGOMENTI: ACUSTICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. FENOMENO DELLA SONOLUMINESCENZA

LA sonoluminescenza (che richiameremo con la sigla SL) è lo strano e affascinante fenomeno per cui una microbolla di gas intrappolata in un liquido emette flash di luce ultrabrevi durante la fase di collasso provocata da una forte pressione acustica. In un certo senso si tratta di un processo, per quanto se ne sa unico in natura, di conversione di suono in luce. Il fenomeno è stato rivelato per la prima volta più di sessant'anni fa da due fisici tedeschi, nell'osservare la presenza di ampie zone di emulsione annerite su lastre fotografiche esposte a forti campi di ultrasuoni in acqua. E' però solo dall'inizio degli anni 90 che si è iniziato a produrre sonoluminescenza in modo abbastanza stabile da bolle singole isolate (Single Bubble Sonoluminescence, SBSL). Da allora l'interesse dei fisici non ha fatto che crescere e molto lavoro sia sperimentale che teorico è stato svolto, senza tuttavia che sostanzialmente nessuno degli aspetti di fondo sia stato finora spiegato. D'altra parte l'esteso e persistente interesse ha la sua ragione - oltre che naturalmente nella sfida che pone un fenomeno che sembra non lasciarsi spiegare dalla fisica che "conosciamo" - nel fatto che esso può essere considerato una sorta di piccolo (ed economico) laboratorio in cui studiare una varietà di problemi molto interessanti: trasporto termico e di massa, onde di shock, caos, dinamica non lineare di interfacce liquido-gas, tutti fenomeni associati con le oscillazioni fortemente non lineari di bolle di gas in un liquido. Nella SBSL, una bolla di gas delle dimensioni più o meno di un capello, intorno ai 10 micromètri (10 milionesimi di metro) di raggio, viene levitata e intrappolata nell'antinodo dell'onda acustica stazionaria creata all'interno di un risonatore contenente un liquido, tipicamente una semplice boccetta di vetro con acqua. Il campo acustico deve essere sufficientemente intenso da indurre escursioni del raggio della bolla abbastanza ampie, ma non tanto da creare instabilità autodistruttive; l'acqua abbastanza degasata per evitare di rendere instabile la posizione della bolla. Considerate le dimensioni dei risonatori impiegati, la frequenza di eccitazione è sui 25 kilohertz; la pressione acustica a cui il fenomeno si manifesta dell'ordine dei 120 kilopascal (195 decibel). Ad ogni ciclo del campo acustico, la bolla è indotta a espandersi durante il semiperiodo in cui la pressione acustica diminuisce, fino a raggiungere un raggio massimo di circa 50 micromètri, per poi riprendere a comprimersi e ridursi a un raggio di circa 0,5 micromètri, durante il semiperiodo di compressione acustica. Nel collasso avviene l'emissione del flash di luce; e tutto questo si ripete regolarmente alla frequenza acustica di eccitazione (25 mila volte al secondo, se questo è il suo valore) e anche per tempi molto lunghi, di diverse ore. Ciò che appare ad occhio nudo, nel laboratorio oscurato, è un puntino luminoso di colore bluastro al centro del piccolo risonatore di vetro (c'è chi l'ha definito, un po' suggestivamente, "stella in un bicchiere"). I lampi di luce risultano molto brevi - troppo per essere misurati direttamente anche con i più veloci rivelatori disponibili - di durata comunque valutata inferiore ai 50 picosecondi (un picosecondo equivale a mille miliardesimi di secondo); abbastanza intensi, comprendendo intorno ai centomila fotoni, e soprattutto estremamente ben sincronizzati (con una stabilità anch'essa dell'ordine delle decine di picosecondi) con le fasi di espansione e compressione del campo acustico che li induce. Lo spettro della luce emessa ha un andamento molto regolare, senza picchi, estendendosi dal vicino ultravioletto lungo tutto il visibile, e perfettamente consistente con l'irraggiamento che risulterebbe da un corpo nero ad una temperatura di almeno 20 mila gradi: questo sarebbe dunque il valore di temperatura raggiunto al centro della bolla nel momento dell'emissione. Particolare, questo, per certi versi inquietante, ma non più della constatazione che dietro il manifestarsi del processo ci dev'essere una fenomenale concentrazione di energia, di molti ordini di grandezza (diciamo come moltiplicare l'energia iniziale per un numero formato da un 1 seguito da undici o dodici zeri), per passare dall'energia acustica fornita alla bolla, a quanto essa restituisce come radiazione elettromagnetica emessa. Della fenomenologia di queste simpatiche bollicine si sa dunque parecchio, grazie alla grande quantità di sofisticate osservazioni sperimentali compiute negli ultimi anni. A quanto appena elencato occorrerebbe aggiungere che il liquido più adatto al manifestarsi del fenomeno è proprio l'acqua; che i gas nobili disciolti nel liquido, come l'argo e lo xeno, giocano un ruolo importante; che l'intensità dei flash di luce è molto sensibile alla temperatura ambiente, e così via. Ciò che manca è una loro spiegazione convincente, nonostante la pletora di modelli teorici fino ad oggi proposti in letteratura. Escludendo le interpretazioni più esotiche, quella più popolare e che finora sembra resistere meglio alle critiche si basa sull'ipotesi che nella fase del collassamento si generi un'onda supersonica di shock che comprime e riscalda il gas contenuto nella bolla. La zona più calda risulta proprio il centro della bolla, perché l'intensità dell'onda di shock cresce mano a mano che converge. Il risultato è il formarsi di un plasma parzialmente ionizzato che emette luce nel rapido processo di diseccitazione che ne consegue. Quanto ancora reggerà questa ipotesi è un mistero, come la sonoluminescenza. Renato Spagnolo Daniele Madonna Ripa Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris, Torino


IL FENOMENO Se collassa la bollicina...
ARGOMENTI: ACUSTICA
LUOGHI: ITALIA

Nel curioso fenomeno della sonoluminescenza si ottengono, tramite la pressione prodotta da onde sonore, brevissimi lampi di luce il cui spettro corrisponde a quello di un corpo nero alla temperatura di circa ventimila gradi. I disegni mostrano le fasi del processo: inizialmente una bolla di gas si espande da un raggio di 10 micron (un micron = un millesimo di millimetro) a un raggio di 50, diventando quasi vuota; frattanto all'esterno della bolla viene creata una forte pressione determinata da onde acustiche, finché la bolla collassa riducendosi in un tempo brevissimo entro un raggio di circa mezzo micron. Durante l'istantaneo collasso viene emesso un rapidissmo lampo di luce.


PRIX LEONARDO Cresce bene il cinema scientifico
Autore: ANTONETTO ROBERTO

ARGOMENTI: DIDATTICA
NOMI: HARRISON JOHN, JONES PETER
LUOGHI: ITALIA
NOTE: «PRIX LEONARDO»

QUANT' ACQUA è passata, in pochi anni, sotto i ponti della cinematografia scientifica! Lo si è visto al Festival internazionale "Prix Leonardo" di Parma, decollato in sordina nel 1990 e arrivato rapidamente alle prime posizioni nel mondo. La IX edizione, conclusasi pochi giorni fa, ha offerto la misura di una evoluzione esponenziale non solo nel continuo allargamento alle nuove tecnologie (prima di tutte la multimedialità informatica), ma nella maturazione di un linguaggio espressivo ormai peculiare a quella affascinante impresa che è il rendere "visibile" la scienza. Nata con scopi didattici, la cinematografia scientifica - filmica o televisiva- è arrivata presto a coniugare la "spiegazione" con lo "spettacolo". Produttori e manipolatori di palinsesti hanno dovuto prendere atto, magari con sorpresa, della grande potenzialità cinematografica di argomenti "astrattì' un tempo relegati alla cerchia degli addetti ai lavori. Le carte giocate in questo senso si erano rivelate subito vincenti (il successo italiano di Piero Angela insegna, ma il fenomeno è universale). L'avvento della computer-grafica ha fatto bruciare una nuova frontiera, dando visibilità all'interno dei corpi, dei fenomeni, delle architetture naturali più segrete, e creando uno strabiliante quanto veridico immaginario scientifico. A Parma si è vista ora una ulteriore tendenza: le immagini della scienza stanno orientandosi verso l'arte, il loro linguaggio si sta facendo raffinato, complesso, in qualche modo letterario, con un occhio (se non tutti e due) ai modelli del cinema. I più interessanti tra i diversi lavori premiati non sono più documentari, ma si avvicinano a veri e propri film, anche nella durata. Esemplari in questo senso i 53 minuti di "Longitude" dell'inglese Peter Jones, ex-BBC ora in proprio: riprese di netta intonazione artistica, effetti di macchina estremamente ricercati, spiegamento di mezzi imponente, a cominciare da una nave d'epoca in navigazione. Il tutto per raccontare come l'orologiaio inglese John Harrison, applicandosi per ben quarant'anni a cavallo della metà del Settecento, riuscì a determinare una svolta nel calcolo della posizione delle navi in mare, in particolare per quanto riguarda la longitudine. Altrettanta eleganza figurativa nel lavoro tedesco che ha condiviso, ex-aequo, con "Longitude" il premio della sezione Scienza: "La luce, il buio, i colori", romantica illustrazione, con colonna musicale di gran pregio, della teoria dei colori di Goethe contrapposta a quella di Newton, come dire del rapporto tra occhio e cervello. Vien fatto di pensare ai costi di lavori così impegnativi: certo non più le decine, ma le centinaia e centinaia di milioni. Negli altri settori del Prix Leonardo sono arrivati al traguardo, fra i 60 film di 30 Paesi, produzioni che hanno in comune la qualità narrativa e l'eccellenza delle immagini,siano esse "reali" o "virtuali". I temi sono sempre quelli che l'attualità dei problemi o gli sviluppi della ricerca portano alla ribalta: clima, genetica, agricoltura naturale, animali (superbo dal punto di vista fotografico " I draghi delle Galapagos", 56 minuti, dell'australiana ABC). In medicina ha conquistato il primo posto non la ricerca di punta ma la "banale" influenza, che rimane ancor oggi la malattia che ha mietuto il maggior numero di vittime nel mondo. Roberto Antonetto


PESCA INDISCRIMINATA In pericolo le oloturie Nell'arcipelago delle Galapagos
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA
LUOGHI: ITALIA, AMERICA, ECUADOR, GALAPAGOS

DA molti anni alle isole Galapagos è guerra. Una guerra sorda tra protezionisti e pescatori. I primi cercano di tutelare il patrimonio faunistico unico al mondo di quel paradiso terrestre che ispirò a Darwin la teoria dell'evoluzione. I secondi vogliono sfruttare al massimo l'abbondanza di oloturie che si trovano nelle acque dell'arcipelago. Perché tanto interesse per queste creature marine, parenti dei ricci e delle stelle di mare? Se lo chiediamo a un giapponese, un cinese o un tailandese, gli brilleranno gli occhi, perché per lui la parola "oloturia" è sinonimo di " trepang", una delle più apprezzate ««delicatesse»» della cucina orientale. La ricetta ve la può dare un cuoco di quei paesi. Si prendono le oloturie, si spellano, si svuotano dei visceri, si fanno seccare al sole o si affumicano. Poi le si taglia a strisce o a dadi e le si cuoce. Con la cottura si gonfiano e acquistano una consistenza gelatinosa. Sono diventate il famoso "trepang" che figura al posto d'onore nei menu tradizionali. Sono note come " cetrioli di mare", le oloturie, perché quelle che vivono nelle acque costiere hanno forma allungata e cilindrica. A un'estremità del cilindro si trova l'ano, all'altra estremità la bocca circondata da un ciuffo di tentacoli, semplici o ramificati. Il corpo è molle, anche se nelle sue pareti sono immerse numerose spicole calcaree. Ma si è scoperto che nelle acque abissali vivono moltissime oloturie che non hanno affatto la forma di cetriolo. Ce ne sono di tonde, di piatte, a forma di mezzaluna, e sono provviste di bitorzoli di papille, di appendici varie. Questi curiosi animali marini che strisciano pigramente sul fondo ingoiando tonnellate di fango, possono misurare pochi centimetri, ma possono anche raggiungere dimensioni di tutto rispetto. Come lo Stichopus variegatus, che ha la forma di uno sfilatino di pane lungo un metro o la Synapta maculata che raggiunge addirittura i due metri di lunghezza. I cetrioli di mare si spostano sul fondo a forza di contrazioni muscolari, ma non sono certo campioni di velocità. Lo Stichopus parvimensis impiega 15 minuti per coprire il percorso di un metro. Nello stesso tempo il Thyone briareus si sposta di 7 centimetri e la Holothuria surinamensis percorre soltanto 4 centimetri. Le specie che vivono lungo le coste europee hanno tinte neutre, mentre quelle dei mari tropicali sfoggiano colorazioni accese, rosso fuoco, verde, azzurro e sono ornate da protuberanze, rilievi, strisce, di colore contrastante. Per quanto apparentemente pigre e apatiche, le oloturie hanno i riflessi pronti e sanno difendersi dagli attacchi dei predatori con un singolare strattagemma. Scagliano contro l'aggressore, attraverso l'ano, il pacchetto dei visceri, un ammasso vischioso entro cui l'intruso rimane avviluppato. E non è detto che questa automutilazione le uccida, perché appena svanita la collera, le oloturie ritornano quiete quiete sul fondo e in poche settimane rigenerano gli organi perduti, riacquistando la piena integrità fisica. Eppure, nonostante sia tanto suscettibile, l'oloturia ospita senza battere ciglio numerosi parassiti e commensali. I più singolari sono i pesciolini del genere Carapus che entrano ed escono dalla sua apertura anale con la più grande disinvoltura. Vi penetrano a ritroso con la coda appuntita e si installano nei polmoni acquiferi dell'ospite. Escono per andare in cerca di cibo e per riprodursi, ma vi si rifugiano in tutta fretta se un predatore li insegue. La pesca indiscriminata delle oloturie per soddisfare le richieste del mercato ha già fatto scomparire questi animali marini da varie località del Pacifico, come le Isole Salomone,le Isole Cook e le Isole Figi. Si teme che possa succedere qualcosa di simile anche nelle Galapagos, dove negli ultimi anni i pescatori hanno raccolto oloturie al ritmo di l30-l50 mila esemplari al giorno. Se la pesca continuerà di questo passo, entro pochi anni non vi sarà più una sola oloturia nelle acque dell'intero arcipelago. Ma, si domanderà qualcuno, perché mai la scomparsa di un oscuro, insignificante invertebrato come l'oloturia potrebbe compromettere la stabilità del prezioso patrimonio faunistico delle Galapagos? La risposta è molto semplice. Le oloturie hanno un ruolo importantissimo nell'ecologia generale del mare. Ingoiano tonnellate di fango, lo filtrano trattenendone le particelle alimentari. Il resto lo espellono. In questo modo rimuovono e arieggiano incessantemente i sedimenti di profondità, riciclando il materiale nutritivo, con un'azione simile a quella che svolgono i lombrichi in terraferma. E non basta. Per riprodursi, le oloturie riversano direttamente in mare le cellule sessuali. Uova e spermi si congiungono e, a fecondazione avvenuta, si formano miliardi di minuscole larve che invadono il mare entrando a far parte dello ««zooplancton»», che fa da cibo a una vastissima schiera di animali, dai crostacei ai pesci, dalle foche alle otarie, alle balene. I cetrioli di mare sono quindi un anello fondamentale nelle catene alimentari marine. Il governo dell'Ecuador, a cui l'arcipelago delle Galapagos appartiene, fin dal l986 ha dichiarato riserva naturale tutto l'anello di oceano che circonda le isole, per un'estensione di 70 mila chilometri quadrati. Il che significa che la pesca vi era severamente proibita. Ma qualche anno fa, in seguito alle crescenti pressioni dei pescatori, ha concesso una licenza parziale a quattrocento pescatori locali fissando la quota del pescabile in 500 mila oloturie. Approfittando di questo spiraglio, un gran numero di pescatori abusivi si è precipitato nelle Galàpagos e in soli due mesi sono state pescate quasi sei milioni di oloturie. E'la solita visione miope del'uomo che mira al profitto immediato, senza preoccuparsi delle conseguenze a lungo termine sui delicati equilibri della natura. Isabella Lattes Coifmann


TECNOTESSUTI Una fibra per le calze del tennista Soluzioni mirate anche per ciclismo, sci e trekking
Autore: GRASSIA LUIGI

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. I PUNTI DI RINFORZO IN TEFLON A OTTENUTI CON INEDITI SISTEMI DI FILATURA IN UNA CALZA PROGETTATA PER IL TENNIS

SUL teflon si può camminare, saltare e pedalare come su una nuvola. O almeno questo promettono i laboratori DuPont, dopo aver sperimentato nella produzione di calze sportive un nuovo impiego della fibra impermeabile, da loro creata molti anni or sono e diventata proverbiale per la sua resistenza all'acqua (il boss mafioso John Gotti si guadagnò la nomea di ««Teflon Don»» per come schivava le accuse nei processi). Utilizzando una nuova tecnologia di filatura, il gruppo chimico americano ha sviluppato e introdotto sul mercato cinque tipi di calzettoni specifici per altrettanti sport - tennis, ciclismo, running, sci e trekking - che assicurano più comfort e migliori prestazioni.L'obiettivo è raggiunto grazie a una drastica riduzione dell'attrito tra piede e scarpa. A questo scopo il teflon viene incorporato, nella fase della tessitura, nelle parti della calza corrispondenti alle dita, al tallone e al cucinetto del piede. L'operazione non si ripete identica per tutti i modelli: è invece differenziata a seconda dello sport al quale ogni specifico calzettone è destinato. Per esempio, nel caso dello sci il maggior livello di attrito è stato identificato nella zona del perone, che appoggia e sfrega sulla parte superiore dello scarpone. E in corrispondenza si dispone il rinforzo di teflon. Nel caso delle calze da tennis e da running, sono invece più protetti il tallone e la parte anteriore del piede, dita comprese, perché queste sono le zone in cui si concentrano i carichi maggiori. Un'altra calza speciale è in corso di sviluppo per lo snowboarding, con l'inserimento del teflon nella zona corrispondente alla tibia. Tutti i nuovi calzettoni vengono filati con macchine speciali grazie alle quali le aree rinforzate sono sagomate e non quadrate, offrendo maggiore comfort. Un po' a sorpresa per una fibra impermeabile, il teflon delle calze garantisce anche una notevole traspirazione. Oltre a promettere benessere e prestazioni, migliora la salute del piede prevenendo la formazione di arrossamenti, vesciche, calli e duroni assortiti e di quel disturbo dermatologico che è noto come ««piede d'atleta»». Luigi Grassia


MEDICINA DELLO SPORT Scoprire il sovrallenamento al primo indizio Test su 15 atleti a Torino durante una gara di canottaggio sul Po
Autore: DALMASSO MARIO

ARGOMENTI: SPORT
LUOGHI: ITALIA

NELL' ATTIVITA' sportiva agonistica è importante identificare, il più presto possibile, quella condizione nota come ««sovrallenamento»» che conduce a uno stress cronico, con fattori tossici soprattutto a carico del sistema nervoso e, come conseguenza, ridotte prestazioni sportive. Il sovrallenamento si presenta, specie nello stadio iniziale, con caratteristiche non ben definite, difficilmente differenziabili dai normali fenomeni di adattamento all'allenamento intenso e dalla risultante fatica. Inoltre l'atleta spesso non riconosce alcuni sintomi precoci (cefalea, stanchezza eccessiva, noia) e, quasi invariabilmente, non li riferisce all'allenatore o al medico. A questa fase segue il quadro conclamato del sovrallenamento, con alterazioni dello psichismo e sintomi a carico dei diversi organi e apparati (cardiocircolatorio, respiratorio, digerente), cui concorrono molteplici fattori (fisiologici e psicologici), come l'età e l'interazione con l'ambiente (allenatore, dirigenti, attesa dell'evento agonistico di rilievo). E' importante identificare in modo oggettivo lo stadio precoce del sovrallenamento, prima che compaia il quadro clinico conclamato, il cui elemento caratterizzante è lo stress. A tutt'oggi, tuttavia, non esiste un iter diagnostico del sovrallenamento che sia davvero valido. L'elemento anatomo-funzionale integrante le funzioni neuroendocrine e immunitarie è rappresentato dall'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che risulta attivato da qualsiasi situazione stressante. Si può prevedere che valutazioni simultanee e ripetute dei parametri fisiologici sopra descritti nel corso delle diverse fasi di allenamento dell'atleta possano consentire di individuare precocemente una condizione di stress psico-fisico, spia di incipiente sovrallenamento. Domenica 14 novembre si è svolta a Torino una gara di canottaggio della durata di circa due ore, aperta a vogatori di ogni livello agonistico e classe di età. Questo appuntamento agonistico ha offerto un'opportunità per lo studio delle risposte integrate, neuro-umorali e immunitarie, ad una prestazione atletica massimale. Hanno partecipato al test 12-15 atleti di età inferiore ai 35 anni. Le variabili esaminate sono: 1) elettrocardiogramma e attività respiratoria per via transtelefonica (tramite Cardguard sport model) per la valutazione della frequenza cardiaca e delle sue componenti di variabilità; 2) campioni di saliva per la determinazione del cortisolo e dei parametri immunologici. Le registrazioni elettrocardiografiche e i prelievi di saliva sono stati effettuati il giorno della gara 1-2 ore prima della competizione e 3 ore dopo la fine della gara. Le stesse variabili saranno poi esaminate nel corso di una normale giornata di allenamento durante la stagione agonistica seguendo il medesimo schema. Il gruppo di ricerca è coordinato da Massimo Pagani dell'Università di Milano. Il fine del progetto è identificare precocemente la condizione di sovrallenamento tramite la misurazione simultanea di diversi parametri biologici che esplorano la funzione di sistemi fisiologici tra loro integrati e correlati alle condizioni di stress, come il sistema neuro-endocrino e quello immunitario. I parametri presi in considerazione sono: 1) la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la variabilità delle stesse; 2) il cortisolo libero e 3) le citochine nei campioni di saliva. Nel sovrallenamento è infatti evidente una alterazione del controllo neurovegetativo cardiovascolare. Il sistema nervoso simpatico svolge un ruolo fondamentale nel tradurre in risposte fisiologiche il processo di elaborazione cerebrale dello stress percepito dal soggetto. Nell'atleta in sovrallenamento la frequenza cardiaca aumenta come conseguenza dell'iperattività simpatica; e anche nei casi in cui la frequenza cardiaca non aumenta, si notano i segni precoci dell'iperattività simpatica attraverso l'analisi della variabilità della frequenza cardiaca. E' dimostrato che sotto stress si ha un aumento delle oscillazioni spontanee della frequenza cardiaca nella banda delle basse frequenze (indice di attivazione simpatica). Per quanto riguarda il cortisolo, è noto che lo ««stress»», sia di tipo fisico che psichico, determina un'aumentata secrezione di questo ormone. E' anche provato che lo ««stress»» determina una alterazione delle risposte immunitarie, ben rilevata dalla determinazione delle citochine. In particolare, l'attività fisica intensa non ben controllata può ridurre l'attività del sistema immunitario, predisponendo il soggetto a infezioni. Mario Dalmasso


L'ESPERIMENTO / FISICA Quando bolle l'acqua Le proprietà della struttura molecolare
Autore: MAINA EZIO

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. AGGREGAZIONE TRA MOLECOLE DI ACQUA

CHE cosa succede quando si comincia a scaldare l'acqua per la pasta? Ecco un semplice esperimento per rispondere a questa domanda, semplice solo in apparenza. Occorrente: una bottiglietta di vetro, per esempio un flacone di sciroppo per la tosse; una cannuccia da bibita; Un poco di creta o plastilina. In alternativa si può utilizzare della pellicola di alluminio per cucina; Un poco di colore a tempera o ad acquerello. E' preferibile utilizzare un colore piuttosto scuro; un pentolino di acqua; un fornello elettrico oppure a gas; un contenitore di acqua fredda mista a ghiaccio. Esecuzione. Sciogliete un poco di colore in acqua a temperatura ambiente e riempite completamente la bottiglietta in modo che non vi rimanga aria. Immergete la cannuccia nel liquido per qualche centimetro e fissatela con un poco di creta oppure di pellicola di alluminio appallottolata. Ponete la bottiglia nel pentolino con un poco d'acqua. Scaldate il pentolino sul fornello, a calore moderato. L'aumento della temperatura provocherà la dilatazione dell'acqua colorata che risalirà lungo la cannuccia. La colorazione dell'acqua rende più agevole l'osservazione. Dopo aver svuotato la bottiglietta, riempitela nuovamente con acqua colorata a temperatura ambiente. Fissate la cannuccia come nella prima parte della dimostrazione. Aggiungete un poco di liquido, riempiendo completamente anche la cannuccia. Spostate la bottiglia nel recipiente di acqua fredda mista a ghiaccio. La diminuzione della temperatura provocherà la contrazione del liquido e quindi la discesa del suo livello nella cannuccia. Osservando con attenzione potrete notare che l'acqua ad un certo punto smette di contrarsi e comincia ad espandersi nuovamente. Questo fenomeno si verifica ad una temperatura vicina ai 4 gradi centigradi. Raffreddandosi da 4°C allo zero l'acqua aumenta il proprio volume di circa il 10% Che cosa succede. La struttura molecolare dell'acqua non cambia quando si forma il ghiaccio. Si modificano invece le interazioni fra molecole. La molecola di acqua ha una forma triangolare. Gli elettroni dei due atomi di idrogeno tendono ad avvicinarsi molto all'atomo di ossigeno che assume una carica negativa, lasciando gli atomi di idrogeno con carica positiva. L'atomo di ossigeno di una molecola attrae quindi gli atomi di idrogeno delle molecole vicine dando origine a quello che viene chiamato un legame-idrogeno. Questi legami sono molto più deboli dei legami fra un atomo di ossigeno e i due atomi di idrogeno che fanno parte della stessa molecola e vengono facilmente rotti dall'agitazione termica, per poi riformarsi rapidamente. Se la temperatura si avvicina a quella di congelamento l'agitazione termica diminuisce e non riesce più a rompere i legami-idrogeno. Di conseguenza le molecole d'acqua si dispongono in una struttura regolare tipo cristallo, dove le distanze medie fra le molecole sono più grandi che nella fase liquida. Alla temperatura di fusione il peso specifico del ghiaccio è quindi inferiore al peso specifico dell'acqua allo stato liquido. Questa proprietà dell'acqua, condivisa da poche altre sostanze, è cruciale per il movimento dei ghiacciai e per la sopravvivenza della vita acquatica. Se il ghiaccio fosse più denso si accumulerebbe sul fondo degli specchi d'acqua e porterebbe gradualmente al congelamento l'intera massa liquida. Ezio Maina Università di Torino


INGLESE ««Discrete»»: attenzione allo spelling
Autore: CARDANO CARLA

ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

IL termine discreto non è raro nè sconosciuto, tutt'altro. Ed è anche vocabolo scientifico. Ma siamo sicuri di conoscerne i significati e l'origine? Un'analisi della parola si rivelerà interessante e costruttiva in italiano come in inglese. Cominciamo con il significato più comune in italiano: discreto è ciò o chi si distingue dagli altri, è più che sufficiente, di un certo valore, superiore a mediocre. Questo è anche il significato che ha nelle valutazioni scolastiche ufficiose, L'etimologia è dal latino discretus, da discermer = distinguere, separare. Non esiste in inglese la parola corrispondente con la stessa origine e contemporaneamente medesimo significato: si usano pertanto fair, adeguate, fairby good, reassonable... Con diversa accezione, discreto descrive chi è in grado di distinguere, di giudicare obiettivamente e quindi è assennato, riservato, prudente, circospetto. L'etimologia è la stessa ma il valore attivo che la parola ha assunto la rende lontana dal significato latino di origine. In inglese si usa in questo caso il termine analogo con medesima origine: discreet. Abituati a usare discreto nelle accezioni precedenti, piomba sugli studenti come un fulmine a ciel sereno l'uso che se ne fa nelle scienze e li lascia stupiti. Lontano dai precedenti significati ma molto più vicino all'etimo, discreto ha in questo caso valore esclusivamente passivo e vuol dire distinto, separato, intervallato, isolato: è usato a indicare una discontinuità che implica interruzioni nello svolgimento di un fenomeno. In inglese la parola è discrete, pronunciata allo stesso modo di discreet. L'importanza della parola e il suo uso nella fisica e nella chimica moderne sono legati alla concezione che essa rappresenta, il concetto di discontinuità contrapposto alla continuità. Così leggiamo in inglese, ma sarebbe lo stesso in italiano: ««... Planck postulated that energy can only be emitted or absorbed in discrete amounts, which he called quanta ...»». ««. .. Bohr postulated that the angular momentum of the electron is quantized, i.e. it can only have discrete values ...»». ««... J. Franck and G. Hertz made atoms absorb discrete amounts of energy from the electron beam ...»». ««Atoms»» Britannica CD, Version 97, Encyclopedia Britannica, Inc., 1997. Tutto ciò si riferisce al concetto moderno di energia quantizzata, collegata allo stato degli elettroni intorno al nucleo dell'atomo, nella dimensione del microcosmo. Ma secondo E. Schrodinger l'idea di discontinuità fisica è antichissima e appare già nella teoria atomica formulata da Democrito nel quinto secolo a. C. Essa implicava l'esistenza di particelle discrete e si contrapponeva al concetto di materia infinitamente e continuamente divisibile, sostenuto da gran parte degli altri filosofi. Possiamo dire in inglese che gli atomi costituenti la materia sono discrete particles e cioè particelle separate, distinte le une dalle altre, non ulteriormente suddivisibili in particelle più piccole dello stesso tipo. In matematica riappare il termine discreto contrapposto a continuo: è continua ad esempio la serie costituita dall'insieme dei numeri reali, infiniti anche in un intervallo minimo, è discreta la serie dei numeri naturali, 1, 2, 3, ... separati l'uno dall'altro da un baratro incolmabile. Per concludere, in italiano tre diversi significati corrispondono ad un'unica parola, in inglese invece, una volta chiariti i significati, attenzione allo spelling! Carla Cardano


LA LEZIONE / STORIA DELLA SCIENZA Il Ciclope matematico Leonhard Euler, nato a Basilea nel 1707, visse tra Pietroburgo e Berlino: fu il più grande fisico teorico del suo secolo. La sua opera omnia è di 74 volumi
Autore: PEIRETTI FEDERICO

ARGOMENTI: STORIA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DEL PROBLEMA «DAI PONTI DI KONIGSBERG AL GRAFO» CONSIDERATO ALLA FINE IRRISOLVIBILE

DUE mogli, tredici figli e un nugolo di nipoti: una serena vita familiare, quella di Leonhard Euler, il più grande matematico svizzero, nato a Basilea nel 1707 e vissuto tra Pietroburgo, alla corte di Caterina la Grande, e Berlino, al servizio di Federico il Grande. ««Figura chiave della matematica del Settecento, il più grande fisico teorico del secolo, l'uomo che dovrebbe essere accostato ad Archimede, Newton e Gauss»» - afferma lo storico della matematica Morris Kline. ««Eulero calcolava senza sforzo apparente, così come gli uomini respirano o le aquile si librano nel vento»» - disse di lui Francois Arago, l'accademico di Francia che lo definì l'««Incarnazione dell'Analisi»». Per il divertimento e l'istruzione di figli e nipoti proponeva problemi e realizzava piccoli esperimenti di fisica che dimostravano la sua grande capacità divulgativa, confermata anche da un suo curioso libretto, molto popolare, tradotto in sette lingue, ««Lettere a una principessa tedesca»», scritto per insegnare le nozioni fondamentali della fisica e della matematica alla principessa di Anhalt-Dessau, nipote di Federico il Grande. Eulero non ha aperto nuovi spazi di indagine, ma il suo grande merito è stato quello di aver saputo sistemare e collegare campi separati della matematica, utilizzando in modo geniale le risorse della geometria, dell'algebra e dell'analisi, per arrivare a tanti risultati straordinari. Già ai suoi tempi godeva di un enorme prestigio, testimoniato da una celebre frase di Lagrange: ««Leggete Eulero. Leggete Eulero. Egli è il maestro di tutti noi»». E' stato probabilmente il matematico più prolifico: la sua opera omnia comprende 74 volumi in-quarto, dedicati non solo alla matematica, ma anche alla meccanica, all'astronomia e ancora all'ottica, all'acustica, alla termologia, all'elettricità e al magnetismo. Per cinquant'anni, dopo la sua morte, l'Accademia di Pietroburgo continuò a pubblicare suoi lavori inediti. Alcune delle sue opere rimangono fondamentali, come l'Introductio in analysin infinitorum, la prima presentazione completa del calcolo infinitesimale, e la Meccanica, la prima opera nella quale venga sistematicamente applicata l'analisi alla meccanica. Eulero aveva una memoria prodigiosa e una geniale inventiva che gli consentiva di affrontare, e risolvere, i problemi più complicati. Poco salottiero e tutt'altro che brillante, non piaceva per questo a Federico il Grande che lo aveva soprannominato il ««ciclope matematico»»: Eulero aveva perso l'occhio destro a trent'anni, sembra come conseguenza dell'impegno eccessivo nel lavoro. A sessant'anni una cataratta all'occhio ancora sano, lo portò alla cecità completa. Ma questo non fermò i suoi studi: aiutato dai figli, continuò a produrre un'enorme quantità di lavori matematici. La sua memoria eccezionale gli consentiva di avere sempre ben presente quanto andava dettando. Il 7 settembre 1783 Eulero, dopo aver giocato con i nipotini e discusso con alcuni amici le novità del giorno, la mongolfiera e la scoperta di Urano, colpito da emorragia cerebrale, come disse il marchese di Condorcet nell'orazione funebre, ««cessò di calcolare e di vivere»». Chi volesse approfondire gli aspetti matematici del suo lavoro, legga l'accuratissima biografia di William Dunham, ««The master of us all»», pubblicata recentemente dalla Mathematical Association of America. Ricordiamo soltanto, fra i meriti di Eulero, l'introduzione di simboli usati oggi da tutti gli studenti quali (, i, per , e, base dei logaritmi naturali, f(x) per la funzione di x, il simbolo ( per indicare una sommatoria. Sua è anche la formula che si trova su tutti i libri di geometria, valida per i poliedri semplici, cioè privi di buchi: V - E + F = 2, dove V, E ed F indicano rispettivamente il numero dei vertici, degli spigoli e delle facce del poliedro. Un problema, indicativo del modo di lavorare del grande matematico, riguarda la città di Konigsberg, celebre per aver dato i natali a Kant e per i suoi sette ponti che collegavano i vari quartieri della città, attraversata dal fiume Pregel. Erano in molti a chiedersi se fosse possibile attraversare tutti e sette i ponti ritornando alla fine al punto di partenza, dopo essere passati una volta sola su ognuno di essi. Il problema, al tempo di Kant, aveva attirato l'attenzione dei più celebri matematici, i quali avevano tentato invano di trovare una soluzione. Anche Eulero non riuscì a risolvere il problema, ma dimostrò che questo non aveva soluzione. Per prima cosa, egli tracciò un grafico della situazione: trasformò le quattro parti della città, collegate dai ponti, in punti e i sette ponti in linee di collegamento fra questi punti. Eulero costruì in tal modo quello che si chiama un grafo, con nodi, i punti, e archi, le linee, e allargò la sua indagine ai problemi di percorso, in generale. Egli stabilì che un grafo composto soltanto da nodi pari, collegato cioè a un numero pari di archi, è sempre percorribile e si può ritornare al punto di partenza senza sovrapposizioni di percorso. Se un grafo contiene nodi pari e soltanto due nodi dispari è ancora percorribile, ma non si può più ritornare al punto di partenza. Se contiene invece più di due nodi dispari, non è più percorribile, senza sovrapposizioni di percorso. La passeggiata sui ponti di Konigsberg è di quest'ultimo tipo, e porta a un grafo composto da quattro nodi dispari, quindi non ha soluzione. Quello che sembrava un piccolo rompicapo senza importanza, nelle mani di Eulero diventò un grande problema matematico, punto di partenza della teoria dei grafi e di una nuova scienza: la topologia, destinata a grandi sviluppi, un secolo più tardi. I possibili punti di partenza per scoprire le tante pagine web dedicate a Eulero: http: //www-history.mcs.st-and.ac.uk/history/Mathematicians/euler.html http://forum.swarthmore.edu/~isaac/problems/bridges1.html Federico Peiretti


IMPARARE GIOCANDO Multimedialità per i bambini Su Cd-Rom nuova Enciclopedia con ««curiosario»»
Autore: SIMONELLI LUCIANO

ARGOMENTI: DIDATTICA
NOMI: PANEBARCO DANIELE
LUOGHI: ITALIA

IL ««mitico»» Panebarco ha il volto rotondo incorniciato da una corta barba bianca e piccoli occhi dallo sguardo vivace che emanano il candore di chi riesce ancora a credere alle fiabe. ««Mitico»», Daniele Panebarco lo hanno definito i tanti suoi piccoli ammiratori (dai sei agli undici anni), per i quali disegna e realizza Cd-Rom che sono la felice dimostrazione di come si possa insegnare giocando. Ne volete un esempio che ormai è diventato un classico? E' l'enciclopedia multimediale per bambini che, sull'onda di un successo consolidato con edizioni anche in inglese, francese, tedesco, spagnolo, greco, coreano e, tra breve, in cinese, ci viene ora presentata in una versione notevolmente rinnovata. ««Omnia Junior 2000»» (De Agostini Multimedia, 2 Cd-Rom per Win 95-98, Lire 99.000) offre l'Enciclopedia con 2500 lemmi e 2000 contributi multimediali; il Dizionario con 10.000 voci in cui non solo si spiega il significato dei termini ma si insegna anche a come usarli al meglio; il Ricercario per trovare facilmente una risposta ad ogni quesito. Troviamo inoltre alcune sezioni interattive in 3D quali Funziona Così, Storia, Antiche Civiltà, Linea del Tempo e, infine, nove giochi, un karaoke e un racconto di sessanta minuti sulla storia dell'uomo. Ma Daniele Panebarco ora diventerà certamente ancora più ««mitico»» per i suoi piccoli fans con la nuovissima ««Omnia Junior Animali»» (De Agostini Multimedia, 1 Cd-Rom per Win 95-98, Lire 99.000). Sono 320 le specie di cui si parla in questa originale enciclopedia multimediale; una sezione speciale è dedicata ai dinosauri che irrompono sul video in spettacolari disegni tridimensionali in movimento e vengono inseriti nel loro habitat dell'era giurassica. All'ambiente in cui si muovono le varie specie animali è stata riservata particolare attenzione con ricostruzioni tanto attente quanto suggestive. Semplici schede informative (basta richiamarle con un click del mouse) si integrano sempre con le immagini, che giungono persino a risolvere curiosità come: quali orme lascia questo o quest'altro animale? Il Curiosario offre poi l'opportunità non solamente di scoprire tutti i record e le particolarità che caratterizzano il mondo degli animali ma anche di mettere alla prova le proprie conoscenze risolvendo una serie di quiz. La ciliegina sulla torta dell'ultima creatura di Panebarco è però il gioco del Safari fotografico. Qui il piccolo ««lettore»» si trasforma in un autentico cacciatore d'immagini, tutto proteso a cogliere gli animali che vede muoversi sullo sfondo di giungla, savana, polo, oceani in preziose istantanee. L'obiettivo del gioco è appunto quello di creare un album fotografico; album che però non resta soltanto virtuale: ogni istantanea può essere facilmente stampata. Allora, dalle prossime settimane, non ci sarà da sorprendersi in famiglia dell'eccitazione del nostro bambino se grida, sventolando un foglio fresco di stampante: ««Mamma, mamma... guarda! Ho fotografato un dinosauro!»». Luciano Simonelli


SCAFFALE Maurizio Dapor: ««Sfere di cristallo»», Ed. La Stampa
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA

Maurizio Dapor: ««Sfere di cristallo»», Ed. La Stampa NELLA divulgazione scientifica molti sono i libri dedicati a singole discipline, rarissimi i libri interdisciplinari, concepiti per suggerire collegamenti tra ambiti del sapere di solito ben separati. Il saggio di Maurizio Dapor appartiene a questa seconda esigua categoria, che è anche la più stimolante per un lettore intelligente. ««Sfere di cristallo»» spazia tra fisica fondamentale, psicoanalisi, neuroscienze, calcolo delle probabilità e pseudoscienze della predizione. La natura del tempo (fisico, storico e psicologico), della memoria e della percezione costituisce lo sfondo del discorso, che è ben mirato e rigoroso, a dispetto dell'apparente divagare dei capitoli e dei sottocapitoli. La meccanica quantistica ci mette oggi di fronte a fenomeni che imitano (ma non realizzano) la trasmissione istantanea di informazioni facendo scattare l'associazione con le riflessioni sulla sincronicità di Jung e con i rapporti tra caso e predizione: Dapor esplora con acutezza, pur senza rinunciare alla levità, le implicazioni di queste ricerch e, indicando nell'enigmatico concetto di ««tempo»» un paradigma-chiave per la cultura contemporanea, non solo scientifica.


SCAFFALE ««Il grande libro dei ragazzi 2000»», Adnkronos Libri
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

Ambiente, animali, energia, geografia, clima, informatica, invenzioni, scoperte, astronomia, matematica, botanica, salute: sono alcuni dei temi scientifici trattati in modo divertente ma sempre con ricchezza di dati e cifre nell'enciclopedia per i ragazzi realizzata da Adnkronos in una speciale edizione per il 2000 avendo come riferimento il ««World Almanac for Kids»». Opera utilissima per le ricerche scolastiche.


SCAFFALE Autori vari: ««Gli spinaci sono ricchi di ferro»», Raffaello Cortina
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: DIDATTICA
LUOGHI: ITALIA

E' voce popolare che gli spinaci siano ricchi di ferro. Ma non è vero. La diceria risale a un errore di stampa in una pubblicazione di fine Ottocento: saltò una virgola, e invece di 3,0 milligrammi di ferro per 100 grammi di spinaci uscì 30 milligrammi. Questo libro fa giustizia di quel luogo comune e di decine di altri. Divertente e istruttivo.


SCAFFALE Dava Sobel: ««La figlia di Galileo»», Rizzoli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: STORIA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA

Dei tre figli, due femmine e un maschio, che Galileo Galilei ebbe a Padova dalla sua bellissima compagna Marina Gamba, Maria Celeste fu quella che gli somigliò di più per intelligenza e sensibilità. Nata da una relazione irregolare, Maria Celeste, come allora era costume, non poté sposarsi e, come pure sua sorella, fu costretta a farsi suora. Avrebbe avuto molto da rimproverare al padre. Invece gli fu straordinariamente devota, affiancandolo nei momenti più difficili fino all'ultimo, nel confino di Arcetri, quando era ormai un vecchio cieco e stanco. Sul filo delle 124 lettere che padre e figlia si scambiarono, la Sobel ricostruisce una grande vicenda umana, con partecipazione ma anche con puntualità storica.


SCAFFALE ««Astronomia»» e ««Museo aperto»», Cd-Rom, Gruppo Editoriale Giunti; Caterina Canavese: ««Ferro e felicità»», Cd-Rom Bayer
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA

La biblioteca multimediale affianca sempre più spesso quella su carta. La Giunti ha trasferito nel Cd-Rom ««Astronomia»» uno dei suoi fortunati atlanti scientifici, arricchendolo con filmati e notizie aggiornate. E nel Cd-Rom ««Museo aperto»», che distribuirà a gennaio con la rivista ««Archeologia viva»», ha concentrato le collezioni del Civico Museo di Rovereto, un patrimonio di arte, numismatica, botanica, zoologia. Con ««Ferro e felicità»», Cd-rom di Caterina Canavese, entriamo invece nel campo medico. Il ferro è essenziale in vari meccanismi biologici: basti ricordare che, nell'emoglobina, scambia l'ossigeno permettendoci di ossidare il cibo per produrre l'energia necessaria alla vita. Il discorso è articolato su tre livelli: per tutti, per chi desidera un approfondimento pur non essendo uno specialista e per i medici.




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