I personaggi che si muovono all'interno di ciascuna storia sono gente comune, spesso modesta, sono i nostri vicini di casa, i nostri nonni. Insomma, gente di paese ormai attempata che potremmo incontrare al mercato, in chiesa alla domenica, all'osteria durante una partita a carte, o ancora nell'orto dietro casa, o nella piazza davanti al municipio, e gli argomenti che si discutono sono quelli d'attualità: il furto nella banca, i ragazzi che si drogano, o fatti eccezionali come l'inondazione (è l'inondazione del novembre 1966) che ha messo in pericolo le vite di tanti. A chi, sentendo le conversazioni delle donne anziane che popolano i racconti, non vengono in mente i grembiuli scuri di rigatino o a fiorellini minuti delle nostre nonne, le loro mani consumate dal lavoro e dal tempo e i loro fazzolettoni neri legati sulla nuca?
Ci sono anche ricordi che Francesco Artico, rifattosi fanciullo, richiama dalle profondità della sua memoria, e li rivive con immutata intensità: come dimenticare quel Venerdì santo di tanti, tanti anni fa, uguale a tanti, a tutti i venerdì santi che rinnovavano ogni anno, sempre con la stessa affollata sacra liturgia, la Passione di Cristo? Su quelle panche di chiesa, sui banchi di legno scuro i bambini si avvicendavano, e mano a mano che crescevano, molti diventavano chierichetti e passavano dai banchi al coro, gli altri si trasferivano dalle prime alle ultime file e venivano sostituiti dai piccoli. I canti si succedevano ogni anno con la stessa mestizia, le «racoe» gracchiavano con lo strepito assordante di sempre, gli improperi di Cristo tuonavano senza pietà contro i persecutori. Poi è intervenuto il Concilio a cambiare tutto. In Francesco Artico si scopre una mai del tutto celata nostalgia per il passato: non è ripudio del rinnovamento epocale intervenuto nella Chiesa, è piuttosto una nostalgia totale, è la nostalgia del proprio essere stato piccolo in un'epoca semplice, è la nostalgia della giovinezza lasciata alle spalle con il suo carico di esperienze umane liete e dolorose, da condividere con tanti. E anche, e soprattutto, accettazione della vita con una fede senza incertezze.
Francesco Artico ascoltava, era solidale, e chi avrà voglia di non fermarsi alla superficie di questi scritti semplici, sentirà tutto il fascino dell'affetto che li permea.
Forse chi è lontano dai nostri paesi da tanti anni, chi magari non è in grado di leggere con facilità la difficile scrittura fonetica del nostro dialetto avrà piacere di riascoltarne la cadenza talvolta rustica, ma cara all'udito e vicina al cuore come le carezze delle nostre nonne.
Ceggia, 28 ottobre 2001.
Lia Artico
Francesco Artico Tornén un pas indrìo! Raccolta di conversazioni in dialetto. Brescia, Paideia editrice, 1976 |
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